Il travaso del risparmio

Travaso del risparmio nelle banche del Nord Ovest, che perdono depositi ma aumentano la raccolta indiretta. Dall'inizio di gennaio alla fine di marzo 2017, nelle tre regioni del Nord Ovest, i depositi bancari e il risparmio postale sono diminuiti di 2,9 miliardi rispetto al 31 dicembre 2016, scendendo da 148 a 145,1 miliardi; mentre la raccolta indiretta, costituita principalmente da titoli di Stato (Bot, Btp e Cct) e da titoli di capitale (soprattutto azioni, obbligazioni convertibili e warrant), a custodia o in amministrazione, è aumentata di quasi 3,9 miliardi, salendo dai 269,1 miliardi dell'ultimo giorno dell'anno scorso ai 273 miliardi del 31 marzo appena passato.
In particolare, i depositi bancari e il risparmio postale delle famiglie consumatrici è sceso dai 109,1 miliardi del 31 dicembre 2016 ai 108,3 miliardi di fine marzo 2017, mentre, nello stesso periodo, i loro titoli in deposito a custodia o in amministrazione sono passati da 122,4 a 124,7 miliardi.
Alla somma di questi ultimi le famiglie consumatrici del Piemonte hanno contribuito per 92,1 miliardi, quelle della Liguria per 30,8 miliardi e quelle delle Valle d'Aosta per quasi 1,8 miliardi. Nel primo trimestre 2017, la raccolta indiretta relativa alle famiglie consumatrici è cresciuta di 1,754 miliardi (+1,94%) in Piemonte, di 533 milioni (+1,76%) in Liguria e di 22 milioni (+1,27%) in Valle d'Aosta.
Quanto ai depositi bancari e al risparmio postale, le disaggregazioni dei dati rilevati dalla Banca d'Italia mostrano che, al 31 marzo 2017, le famiglie consumatrici ne avevano per 77,4 miliardi in Piemonte (78 miliardi al 31 dicembre 2016), per 28,5 miliardi in Liguria (28,7 miliardi) e per 2,36 miliardi in Valle d'Aosta (2,35), unica delle tre regioni del Nord Ovest a non evidenziare una diminuzione.

Sempre dal bollettino della Banca d'Italia, fra l'altro, è emerso che il credito al consumo erogato dalle banche e dagli altri intermediari finanziari vigilati nel Nord Ovest è salito dagli 11,315 miliardi di fine 2016 agli 11,580 miliardi del 31 marzo 2017 (8,523 miliardi in Piemonte, 2,820 miliardi in Liguria e 237 milioni in Valle d'Aosta).

Rincarano le stanze per universitari

A Torino, città universitaria (circa 100.000 gli iscritti ai due atenei su poco più di 800.000 abitanti), è di 344 euro il prezzo medio richiesto agli studenti per l'affitto di una camera singola. Lo ha calcolato l'ufficio studi di Immobiliare.it, che ha preso in esame il mercato dei posti letto nelle 14 città italiane che hanno più fuori sede.
Il canone di Torino è il quinto più caro, anche se non è aumentato rispetto a un anno fa. Al primo posto si trova Milano con 528 euro, al secondo Roma con 439, al terzo Firenze con 401 e al quarto Bologna con 355. Il meno caro, invece, è quello di Catania: 196 euro, 3 euro meno che a Palermo.
La media nazionale è di 416 euro al mese, il 4% in più rispetto all'anno scorso e il 9% in più rispetto al 2015, sempre secondo Immobiliare.it, il cui amministratore delegato, Carlo Giordano, ha aggiunto che “negli ultimi anni è stata registrata una crescita costante della domanda di stanze e posti letto in affitto e se un tempo era prerogativa degli universitari fuori sede, l'home sharing ha guadagnato popolarità anche fra i lavoratori, non solo come forma di risparmio ma anche come nuovo stile di vita giovane e alla moda”.

“Ne è conseguito un aumento dei prezzi delle locazioni – ha detto ancora Carlo Giordano – a cui, riducendo la quota del sommerso, hanno contribuito anche misure come il canone concordato e la cedolare secca”.

Quell'affinità editoriale

Le famiglie torinesi Agnelli-Elkann-Nasi e De Benedetti credono nel matrimonio editoriale che hanno perfezionato alla fine del giugno appena passato, unendo i gruppi Itedi e l'Espresso-La Repubblica; ma la Borsa non è ancora convinta.
Nonostante l'annuncio che Exor, la holding guidata da John Elkann, è salita al 5,99% della Gedi Gruppo Editoriale, la nuova società nata dall'unione delle attività italiane delle due famiglie nel settore e quotata a Piazza Affari, oggi, 30 agosto, il titolo ha chiuso a 0,70 euro, valore inferiore dello 0,43% al prezzo di ieri e vicinissimo al minimo dell'anno, che è stato di 0,69 euro, toccato il 7 luglio (il massimo, invece, è stato di 0,89 euro, raggiunto il 28 marzo).
Per arrivare a sfiorare il 6% della Gedi, gruppo che edita La Repubblica, La Stampa, il Secolo XIX, l'Espresso e, fra l'altro, 13 testate locali, oltre a possedere la Manzoni, concessionaria di pubblicità, nonché tre radio più diversi assets, Exor ha comprato un ulteriore 1,71% delle azioni, per un totale di 6,8 milioni di euro.
Gedi Gruppo Editoriale, al cui vertice operativo si trovano il presidente Marco De Benedetti e l'amministratore delegato Monica Mondardini (Carlo De Benedetti è presidente onorario), conta poco meno di 2.000 dipendenti, capitalizza in Borsa quasi 360 milioni e nel primo semestre di quest'anno ha fatturato 287,3 milioni, ricavandone un utile netto di 7,4.
Risultati che non comprendono i dati relativi all'ex Itedi, che invece concorreranno alla formazione del bilancio della seconda parte dell'esercizio.

La Gedi è controllata dalla Cir, la quale ne ha il 43,4% del capitale, la stessa identica quota che Exor ha de L'Economist, il settimanale anglosassone considerato la Bibbia dell'economia internazionale (i diritti di voto di Exor, però, sono limitati al 20%).

Bim e Buzzi, 29 agosto nero

Nerissimo 29 agosto per Bim-Banca Intermobiliare in Borsa. L'azione dell'istituto torinese specializzato nel private banking e ancora posseduto da Veneto Banca, in liquidazione -  posseduto ancora per poco perché l'intera partecipazione di maggioranza assoluta (71%) sta per passare di mano - ha chiuso a 1,125 euro, segnando il 9,4% meno del giorno precedente e il nuovo minimo dall'inizio dell'anno. Rispetto agli ultimi dodici mesi la performance è negativa del 16%.
La valutazione borsistica (capitalizzazione) dell'intera Bim è scesa a 180 milioni di euro; ma le voci che i fondi interessati all'acquisto offrirebbero, ai liquidatori di Veneto Banca, circa 80 milioni ha fatto precipitare la quotazione, già in sofferenza da tempo. anche a causa delle notevoli perdite accusate negli ultimi due esercizi. E pensare che fino a poco più di due anni fa, l'azione della Banca subalpina veleggiava in Piazza Affari sopra i 3,5 euro.
La giornata è stata particolarmente negativa anche per un'altra società piemontese, Buzzi Unicem, la cui azione ordinaria ha avuto come ultimo prezzo 19,31 euro, che rappresenta il valore più basso del 2017. Il nuovo calo, comunque contenuto nello 0,8%, ha come causa principale, secondo diversi esperti, la rivalutazione dell'euro nei confronti del dollaro, moneta con la quale viene regolato circa il 40% del fatturato del gruppo, realizzato appunto in America.

Buzzi Unicem, multinazionale del cemento che fa capo all'omonima famiglia di Casale Monferrato, ha una capitalizzazione di oltre 3,2 miliardi e la sua azione ordinaria, l'8 maggio scorso, era stata scambiata a 25,22 euro.  

Strage di botteghe e il fattore estorsioni

Strage di artigiani e piccoli commercianti. Negli ultimi otto anni, dal giugno 2009 allo stesso mese 2017, in Italia, hanno cessato l'attività 145.678 imprese artigiane e 12.045 commercianti al dettaglio. Le prime sono scese a 1.322.640 da 1.468.318 che erano, mentre i piccoli negozi di vicinato sono calati da 805.147 a 802.508.
Complessivamente, il nostro Paese ha perso quasi 158.000 imprese dei due settori, che, secondo l'Ufficio studi della Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, davano lavoro a poco meno di 400.000 persone.
In particolare, per quanto riguarda le imprese artigiane, in Piemonte hanno chiuso i battenti 15.333 (negli ultimi otto anni, sono diminuite dell'11,3%), in Liguria 2.603 (-5,6%) e in Valle d'Aosta 494 (-11,7%).
La stessa Cgia ha spiegato il fenomeno con queste parole: “La crisi economica, il calo dei consumi, le tasse, la burocrazia, la mancanza di credito e l'impennata del costo degli affitti sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli imprenditori ad abbassare definitivamente la saracinesca della propria bottega. Se, inoltre, teniamo conto che, negli ultimi 15 anni, le politiche commerciali della grande distribuzione si sono fatte sempre più mirate e aggressive, per molti artigiani e piccoli negozianti non c'è stata via di scampo. L'unica soluzione è stata quella di gettare la spugna”.
Tra i mali che pervadono il mondo delle mini-imprese, dai laboratori artigianali ai piccoli negozi ed esercizi pubblici, quali i bari e i ristoranti, la Cgia di Mestre non ne ha ricordato uno, che pure ha evidenziato pochi giorni prima di diffondere i dati sulla moria delle aziende minori, cioè il forte aumento delle estorsioni, “tipico reato praticato dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso ai danni degli imprenditori”.
Nel nostro Paese, infatti, le denunce per estorsione sono cresciute dalle 5.992 del 2010 alle 9.839 del 2015 (ultimo dato disponibile finora). L'incremento è stato del 64,2%. Così che il giro d'affari collegato a questo reato è stato stimato tra i 2,7 e i 7,7 miliardi di euro all'anno (forbice larga, perché, come per l'usura, le estorsioni denunciate sono soltanto un parte di quelle praticate e subite”.
Comunque, sulla base delle denunce presentate all'Autorità giudiziaria, è risultata la Valle d'Aosta la regione che ha avuto il maggior incremento percentuale di estorsioni, a livello nazionale. Infatti, per la Valle d'Aosta, l'aumento è stato del 466,7% (dalle 3 denunce del 2010 alle 17 del 2015), a fronte del 188% del Trentino-Alto Adige, secondo in questa graduatoria e del 172,8% dell'Emila-Romagna.
In Liguria, le estorsioni denunciate sono salite dalle 154 del 2010 alle 290 del 2015 (+88,3%, che vale l'ottava posizione nella classifica italiana) e in Piemonte dalle 409 alle 667 (+63,1% e quindicesimo posto).
In termini assoluti, nel 2015 è stata la Lombardia a registrare il maggior numero di denunce per estorsione (1.336), seguita dalla Campania (1.277) e dal Lazio (916).


Le banche "soffrono" di più in Liguria

Nel Nord Ovest, al 31 dicembre 2016, è la Liguria che presenta la quota più elevata di crediti deteriorati sul totale degli impieghi bancari: 19,6%, a fronte del 10,4% della Valle d'Aosta, il 14,3% del Piemonte e il 17,6% medio italiano. In Liguria, dunque, di ogni mille euro prestati dagli istituti di credito 196 euro sono “non performing loans” (Npl), cioè esposizioni nei confronti di soggetti in stato di insolvenza o in situazioni equiparabili (“sofferenze”), esposizioni scadute e/o sconfinanti e probabili inadempienze.
Per le banche, sono le imprese liguri a rappresentare i peggiori debitori del Nord Ovest, dato che ben il 30,1% dei crediti da loro ottenuti sono diventati Npl, quindi a rischio di non essere onorati del tutto o in parte. Questa quota è quasi doppia a quella delle imprese della Valle d'Aosta (15,8%) ed è superiore sia a quella del Piemonte (21,8%) sia della media nazionale (29,2%).
Il primato negativo ligure vale anche per le piccole imprese, che, infatti, mostrano Npl pari al 25,1% dei finanziamenti bancari ottenuti, contro il 23,3% del Piemonte e il 16,5% della Valle d'Aosta.
Invece, è in Piemonte che si trovano le famiglie consumatrici meno affidabili per gli istituti di credito. Qui, infatti, è risultato dell'8,5% il tasso di crediti deteriorati affidati alle famiglie, mentre è dell'8,3% in Liguria e del 5,4% in Valle d'Aosta (10,4% la media nazionale).
In Liguria, a fine 2016, i prestiti delle banche alla clientela ammontavano complessivamente a 35,788 miliardi, dei quali 21,725 nella provincia di Genova, 6,114 nella provincia di Savona, 4,523 nella provincia di La Spezia e 3,427 nella provincia di Imperia.
Come precisato dalla Banca d'Italia, in Liguria, a fine 2016, le banche vantavano crediti per 19,061 miliardi nei confronti delle imprese (in particolare, 3,8 miliardi alle piccole), per 13,753 miliardi verso le famiglie consumatrici e 1,719 miliardi verso le Amministrazioni pubbliche. Alla stessa data, le sofferenze erano pari a 3,810 miliardi.
In Piemonte, al 31 dicembre 2016, i prestiti delle banche alla clientela erano pari a 112,825 miliardi, dei quali 56,470 alle imprese (12,826 alle piccole), 39,598 alle famiglie consumatrici e 9,551 alle Amministrazioni pubbliche. Per quanto riguarda le singole province, Torino evidenziava prestiti complessivi per 61,538 miliardi, Cuneo per 16,427, Alessandria per 9,911, Novara per 8,756, Asti per 4,827, Biella per 4,606, Vercelli per 3,681 e Verbania per 3,079. In totale, le sofferenze erano pari a 11,734 miliardi.

Infine, la Valle d'Aosta: la somma dei prestiti bancari a fine 2016 era di 2,831 miliardi, dei quali 1,507 alle imprese (427 milioni alle piccole), 870 milioni alle famiglie consumatrici e 99 milioni alle Amministrazioni pubbliche. Totale delle sofferenze: 193 milioni.

Elkann-Agnelli a quota 65 miliardi

Di nuovo al vertice della Borsa italiana. Le cinque società quotate a Piazza Affari, che fanno capo alla famiglia Elkann-Agnelli-Nasi, cioè Fiat Chrysler Automobiles (Fca), Ferrari, Exor, Cnh Industrial e Juventus, alla chiusura del 25 agosto 2017, hanno evidenziato una capitalizzazione complessiva di 64,95 miliardi di euro (valore che si ottiene moltiplicando il prezzo dell' azione per il numero delle azioni costituenti il capitale della società).
Capitalizzazione quasi raddoppiata rispetto a quella di fine luglio 2016. Allora, infatti, la Borsa valutava le cinque società, tutte insieme, 32,663 miliardi, il 98,86% in meno rispetto a oggi.
E' vero che il 24 agosto 2017 le azioni di tre delle cinque quotate controllate dalla grande famiglia torinese hanno fatto segnare il massimo storico (12,9 euro Fca, 98,75 euro Ferrari e 55,2 euro Exor); ma, indubbiamente, tutte evidenziano grandi performances annuali, a partire dal 134,4% della Juventus e il 123% della Ferrari.
Comunque, grazie all'impennata degli ultimi mesi, Fca, della quale Exor ha il 29,4% delle azioni ma il 42,6% dei diritti di voto, ha chiuso la settimana con una capitalizzazione di 19,362 miliardi, tornata superiore a quella della Ferrari (18,961 miliardi), della quale Exor possiede il 22,91% delle azioni e il 32,75% dei diritti di voto. 
Terza per capitalizzazione, con i suoi 13,1 miliardi, è la stessa Exor, il cui 52,99% del capitale è della Giovanni Agnelli, la finanziaria della Famiglia al vertice dell'omonimo Gruppo.
Segue, per capitalizzazione, Cnh Industrial (12,8 miliardi al 25 agosto 2017), controllata da Exor con il 26,9% delle azioni e il 42,6% dei diritti di voto. Chiude la serie, la Juventus, che capitalizza 714 milioni ed è posseduta per il 63,7% da Exor, della quale John Elkann è presidente e amministratore delegato, mentre vice presidenti sono Sergio Marchionne e Alessandro Nasi e responsabile della finanza Enrico Vellano.

Exor, l'ex Ifint, ha in portafoglio anche il 100% di Partner Re, colosso assicurativo. Il valore netto degli asset di Exor al 31 dicembre 2016 ammontava a 14,6 miliardi.

Brevetti: Alessandria lepre

Alessandria è l'unica provincia del Nord Ovest a figurare tra le prime dieci italiane che hanno fatto registrare il maggior aumento di brevetti registrati all'Epo (European Patent Office) tra il 2006 e il 2015, periodo dello studio di Unioncamere appena reso noto. Alessandria è passata dai 33 brevetti registrati all'Ufficio europeo di Monaco di Baviera ai 44 del 2015, con un incremento del 35%.
A questa performance certamente hanno contribuito il gruppo Mossi Ghisolfi e il gruppo Guala.
Leader nell'innovazione applicata al settore del Pet, dell'ingegneria e dei prodotti chimici rinnovabili derivati da biomasse non alimentari, il gruppo Mossi Ghisolfi, sede a Tortona, attivo nelle Americhe e in Asia, oltre che in Europa, nel 2016 ha fatturato oltre 1,9 miliardi di dollari, realizzati con più di 1.700 dipendenti. E' controllato dalla M&G Finanziaria, di proprietà della famiglia Ghisolfi.
Quanto al Guala Closures Group, sede a Spinetta Marengo, è leader di mercato nella produzione di chiusure in alluminio e non “non refillable”, con una vasta gamma di soluzioni tecnologiche innovative per proteggere la qualità del prodotto contenuto: liquore, vino, olio, aceto, farmaci, acqua e altre bevande. Guidato da Marco Giovannini, presidente e amministratore delegato, il gruppo Guala, produce annualmente oltre 14 miliardi di chiusure di sicurezza, vendute in più di 100 Paesi. Ha 26 stabilimenti, 5 centri di ricerca e circa 4.000 dipendenti. L'anno scorso ha fatturato oltre 500 milioni di euro.
Tornando all'Epo, Unioncamere, dopo aver attribuito ad Alessandria la decima posizione tra le province che hanno maggiormente aumentato il numero dei loro brevetti registrati allo specifico Ufficio europeo nel 2015 rispetto a dieci anni prima, ha assegnato il quindicesimo posto alla seconda provincia del Nord Ovest più performante, quella di Novara, i cui brevetti sono saliti dai 31 del 2006 ai 39 di due anni fa (+26%).
Unioncamere ha redatto anche la graduatoria delle 15 province che, al contrario, sono regredite nella loro capacità brevettuale. E in questa classifica si trovano tre province del Nord Ovest: Torino, Genova e Asti.
Dai 305 brevetti registrati all'Epo nel 2006, Torino è scesa ai 217 del 2015. Peggio, a livello italiano, hanno fatto soltanto Monza-Brianza (meno 194 brevetti) e Milano (meno 126, differenza tra i 641 del 2006 e i 515 di dieci anni dopo). La provincia di Genova è passata da 42 a 32 brevetti e quella di Asti, quindicesima, da 14 a 5.

Nella graduatoria relativa ai Paesi europei per capacità brevettuale, l'Italia si piazza al quarto posto, preceduta dalla Germania, che brevetta cinque volte più di noi, dalla Francia (il doppio) e dall'Olanda, che però presenta il più alto tasso d'innovazione, con 418 brevetti ogni milione di abitanti, a fronte dei 391 della Svezia, i 307 della Germania, i 162 della Francia, i 64 dell'Italia e i 32 della Spagna.  

Chi ha ridotto le tasse locali

E' la Valle d'Aosta la regione italiana che, nel 2016, ha avuto il fisco locale meno esoso. Qui, la famiglia tipo individuata dalla Banca d'Italia, ha pagato tasse e tributi, agli enti locali, per un ammontare medio di 1.160 euro, 523 euro meno della media nazionale (1.683 euro), 640 euro meno della famiglia media piemontese (1.800 euro) e 549 euro meno di quella ligure (1.709).
A evidenziare questa situazione è stato Il Sole 24 Ore, rielaborando i dati di Banca d'Italia, grazie ai quali, fra l'altro, è emerso che rispetto al 2015, il maggior calo percentuale del prelievo locale è stato fatto segnare dalla Liguria, con il suo 22,3% (nel 2015, la famiglia tipo aveva versato 2.300 euro), mentre la diminuzione media è stata del 18,5% in Piemonte (2.210 euro il prelievo 2015, per famiglia), del 10,9% in Valle d'Aosta (1.302 euro nel 2015) e del 15,1% a livello italiano.
La riduzione della fiscalità locale nel 2016 è conseguente prevalentemente all'abolizione della Tasi sulle abitazioni principali non di pregio.
A proposito di Amministrazioni locali, dall'ultima rilevazione della Banca d'Italia è emerso che, al 30 giugno scorso, è sceso a 88,233 miliardi il totale del loro debito, dovuto dai Comuni per 40,553 miliardi, dalle Regioni per 30,385 miliardi, dalle Province per 7,440 miliardi e per 9,854 miliardi da altri enti.
Rispetto al 30 giugno 2016, a livello nazionale, il debito delle Amministrazioni locali è sceso di 3,121 miliardi e del 3,4%. In particolare, è diminuito del 3,2% il debito dei Comuni, del 3,3% quello delle Province e dell'1,4% quello delle Regioni.
Nell'anno passato, le entrate delle Amministrazioni locali sono ammontate, complessivamente, a 244,1 miliardi (246,3 miliardi nel 2015), mentre le loro spese hanno sfiorato i 240 miliardi, il livello più basso almeno dal 2011. Tuttavia, è continua la corsa delle loro spese correnti, arrivate a 211,6 miliardi, ancora oltre 3 in più rispetto all'anno prima; mentre di 3 miliardi è diminuita la loro spesa per investimenti fissi lordi.
Quanto all'insieme delle Amministrazioni pubbliche, compreso quindi lo Stato, Banca d'Italia ha comunicato che, al 30 giugno 2017, ha raggiunto il massimo storico (finora) di 2.281,4 miliardi, dai 2.256,1 miliardi di fine luglio 2016. Da allora, perciò, il debito è cresciuto di altri 25 miliardi, mediamente 2 miliardi al mese.




Il caso borsistico Ferrari-Fca

Ah, la Borsa italiana. Fonte di gioie e di dolori. Guru finanziario per alcuni, diavolo per altri. Miglior misuratore dei valori societari per chi crede ciecamente nel “libero” mercato; ma, per chi non ci crede, la Borsa di Milano è, invece, un efficace strumento manovrato da pochi potenti, ai fini delle loro speculazioni.
Forse, la piccola Piazza Affari non è il luogo dove si può giocare come al casinò e dove vince quasi sempre il banco, cioè la grande finanza, i gestori di enormi masse di denaro, (indiscutibile esagerazione); però, non è neppure quel mitico luogo dove la capitalizzazione di una società esprime obiettivamente il suo valore attuale e potenziale; dove le oscillazioni di un'azione non sono conseguenti a voci o indiscrezioni diffuse ad arte da chi ne ricaverà beneficio, né, fra l'altro, rappresenta l'approdo migliore per le imprese che puntano allo sviluppo.
I dubbi sulla Borsa italiana vengono anche quando si assiste al ritiro di buone società dalla quotazione (“delisting”) magari da parte di forti imprenditori; oppure, quando un gruppo, già presente in Piazza Affari, quota una o più sue controllate. E vengono pure, i dubbi, quando la crescita di un titolo attribuisce al suo emittente una capitalizzazione straordinaria, superiore a quella di un'impresa concorrente più grande, più redditizia, più solida. In proposito si ricordano casi clamorosi, non solo all'epoca della new economy, della finanza creativa, delle sturt up ipertecnologiche.
Premessa lunga; tuttavia considerata opportuna per trattare il “caso” Ferrari-Fca.
Oggi, 23 agosto 2017, l'azione Fca – Fiat Chrysler Automobiles in Borsa ha chiuso a 12,13 euro, il 5,75% in più rispetto a ieri. E' il nuovo record, che assume un significato ancora maggiore pensando che la sua performance è aumentata del 106% negli ultimi dodici mesi e che ancora ai primi di gennaio il titolo supera di poco gli 8 euro e, nel settembre del 2016, viaggiava intorno a 5,5 euro.
L'impennata dell'azione Fca ha avuto come ultima ragione l'ipotesi di uno scorporo di attività (spin-off) del Gruppo, a partire da Alfa Romeo e Maserati; mentre, nei giorni scorsi, a tirare la volata erano le voci di un interesse dei cinesi a comprare la Jeep o l'intera azienda. E prima ancora: altre manovre, risultati migliori del previsto, la vendita di Magneti Marelli e così via.
Comunque, nonostante il progressivo aumento dell'ultimo anno, Fca, guidata mirabilmente da Sergio Marchionne, capitalizza oggi 17,662 miliardi, oltre un miliardo in meno rispetto alla Ferrari, che ha la stessa società controllante: l'Exor delle famiglie Agnelli-Nasi-Elkann.
Ferrari, che prima della quotazione, apparteneva a Fiat per il 90%, oggi ha chiuso in Borsa a 97,9 euro, lo 0,15% in meno rispetto a ieri, quando, però, ha toccato il massimo dei 98,35 euro. La sua capitalizzazione è risultata di 18,749 miliardi. Negli ultimi 12 mesi il suo valore si è incrementato del 128,5%.
La Ferrari, che ha al vertice lo stesso Sergio Marchionne, presidente e amministratore delegato (vice presidenti sono John Elkann e Piero Ferrari, mentre uno dei consiglieri di amministrazione è Lapo Elkann) nel 2016 contava 3.115 dipendentti, ha venduto 8.014 auto in 62 mercati, ha avuto ricavi netti per 3,1 miliardi e un utile netto di 400 milioni.
Nei primi sei mesi di quest'anno, Ferrari ha consegnato 4.355 suoi “gioielli” a quattro ruote (+6%), ha registrato ricavi netti pari a 1,741 miliardi (+17%) e un utile netto di 260 milioni (+48%); per cui prevede, per l'intero 2017, la vendita di 8.400 “rosse”, ricavi netti superiori a quelli dell'esercizio passato e un margine operativo lordo di 500 milioni.
Fca, che ha 231.000 dipendenti, nel 2016 ha venduto 4,7 milioni di veicoli, ha avuto ricavi pari a 111 miliardi di euro e un utile netto di 1,8 miliardi.




Per le nostre quotate, 12 mesi d'oro

Dodici mesi d'oro, quelli terminati il 31 luglio 2017, per quasi tutti gli azionisti delle società quotate del Nord Ovest: nell'ultimo anno, il valore borsistico dei loro titoli è aumentato, molto, moltissimo in alcuni casi. Tre le eccezioni: Banca Carige, Banca Intermobiliare e Boero Bartolomeo.
La capitalizzazione borsistica del travagliato istituto di credito genovese, che ha come azionista di riferimento la famiglia Malacalza, alla fine del mese scorso è risultata di 208,4 milioni, a fronte dei 283,7 di un anno prima. Il valore attribuito dal mercato alla Carige è sceso di un altro 10,7% e tale, quindi, è stata la perdita “potenziale” dell'ultimo anno per i possessori di quote della banca (potenziale, perché la minusvalenza, come la plusvalenza, diventa reale soltanto quando il titolo viene venduto).
Ecco, qui sotto, i valori che Piazza Affari attribuiva alle società del Nord Ovest al 31 luglio appena passato e, tra parentesi, i rispettivi valori borsistici al 29 luglio 2016. Con la premessa che l'elenco comprende non solo le quotate con sede legale in una delle nostre tre regioni – Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta – ma anche le società che possono essere considerate del Nord Ovest, arbitrariamente, per motivi diversi, come le origini locali del soggetto controllante, quali le famiglie Agnelli-Nasi-Elkann per il gruppo Exor, l'alessandrino Urbano Cairo per la Cairo Communication e la cuneese Daniela Garnero Santanché per Ki Group e Visibilia Editore.

Intesa Sanpaolo al secondo posto nella graduatoria della Borsa per capitalizzazione: 48,917 miliardi (33,015), inferiore unicamente a quella dell'Enel, prima con 49,178 miliardi (41,614) e più alta anche di quella dell'Eni, scesa al terzo posto con 48,761 miliardi dai 49,251 di fine luglio 2016, quando ancora si trovava in testa.
Fca 15,655 miliardi (7,444), Exor 12,193 miliardi (8,360), Cnh 13,328 miliardi (8,731), Diasorin, che fa capo alla famiglia torinese Denegri, 4,143 miliardi (3,154), Buzzi, dell'omonima famiglia casalese, 4,072 miliardi (3,379), Italgas, rientrata in Borsa sul finire dell'anno scorso, 3,755 miliardi, Sias (gruppo Gavio di Alessandria) 2,633 miliardi (1,838), Iren 2,544 miliardi (1,728), Erg (famiglie genovesi Garrone e Mondini) 1,824 miliardi (1,546), Astm (gruppo Gavio) 1,821 miliardi (874 milioni), Reply (faniglia Rizzante di Torino) 1,642 miliardi (1,1999.
Cir (gruppo De Benedetti) 991 milioni (814), Vittoria Assicurazioni (famiglia Acutis, di Torino) 800 milioni (613), Juventus (Exor) 593 milioni (295), Cairo Communication 528 milioni (494), Sogefi (gruppo De Benedetti) 508 milioni (180), Cofide (holding dei De Benedetti) 406 milioni (274), Gedi (nuova editoriale dei gruppi De Benedetti-Exor) 398 milioni, Dea Capital (gruppo delle famiglie novaresi Drago e Boroli) 386 milioni (318), Prima Industrie 275 milioni (136), Basicnet (famiglia Boglione di Torino) 237 milioni (200), Tecnoinvestimenti, sede operativa a Torino e vertice subalpino formato da Enrico Salza e Pier Andrea Chevallard, 237 milioni (110).

Banca Carige 208 milioni (284), Banca Intermobiliare, sede legale e centrale sotto la Mole, 200 milioni (223), Orsero di Albenga 186 milioni, Pininfarina 111 milioni (52), Damiani (omonima famiglia di Valenza Po) 94 milioni (82), Boero dell'omonima famiglia genovese 81 milioni (83), M&C (De Benedetti) 81 milioni (76), Cover 50 (famiglia Fassino, di Torino) 50 milioni (42), Centrale del Latte d'Italia (famiglie Luzzati, Pozzoli, Artom, piemontesi e liguri) 39 milioni (28), Fidia (famiglia Morfino di Torino) 33 milioni (29), Italia Independent (Lapo Elkann) 26 milioni (15), Ki Group, presieduta da Daniela Garnero Santanché, che ne è anche azionista 17 milioni (16), Visibilia Editore (Daniela Garnero Santanchè) 4 milioni (2).

La capitalizzazione di tutte le 331 società quotate alla Borsa di Milano al 31 luglio 2017 è risultata pari a 611,578 miliardi, 142,105  miliardi e il 30,27% in più rispetto al 29 luglio 2016. 
Al 31 luglio appena passato l'indice Italia Mib storico era di 19.470 punti, il più alto degli ultimi dieci anni, ma ancora lontano dai 28.525 punti del 28 dicembre 2007 e dei 31.005 di fine dicembre 2006.

Nell'impero dei Boroli-Drago

Alla vigilia di Ferragosto, Dea Capital, uno dei quattro pilastri dell'attività del gruppo De Agostini, facente capo alle famiglie novaresi Drago e Boroli, ha comunicato che era vicinissimo a 50 milioni il numero di azioni proprie in portafoglio, pari al 16,2% del capitale della società guidata dal torinese Paolo Ceretti. E gli acquisti continuano. D'altra parte, l'ultima assemblea di Dea Capital ha approvato il piano che autorizza il Consiglio di amministrazione a comprare azioni, entro l'aprile prossimo, fino ad arrivare alla soglia di 61,3 milioni di azioni, pari al 20% del capitale, il massimo consentito dalle norme.
L'operazione, destinata alla costituzione del “Magazzino Titoli”, consentirà operazioni straordinarie, “anche di scambio di partecipazioni”, oltre che l'incentivazione azionaria a favore del management. Ma è proprio la sottolineatura dell'eventuale impiego delle azioni proprie per uno “scambio di partecipazioni” che fa crescere l'attenzione sull'iniziativa di Dea Capital, che ha chiuso il bilancio 2016 con utile netto di 7,6 milioni (12,4 a livello consolidato).
Dea Capital, quotata in Borsa, è la subholding del gruppo De Agosti per le attività nel settore della gestione di fondi di private equity e altri alternative assets, principalmente attraverso le sue controllate Idea Fimit (fondi immobiliari), della quale ha il 64,3% e Idea Capital Funds. Gestisce asset del valore di 11,4 miliardi. Alla fine del primo trimestre 2017, durante il quale ha conseguito un utile netto di 6,8 milioni a livello di gruppo, aveva un portafoglio investimenti di 472,8 milioni. In Borsa, capitalizza oltre 390 milioni.
Amministratore delegato, da dieci anni, è, appunto, Paolo Ceretti, nato a Torino nel 1955, lauera in Economia e commercio a Pavia, che ha fatto la prima parte della sua brillante carriera in imprese del gruppo Agnelli, dalla Fiat a Exor. Oltre a essere il numero uno operativo di Dea Capital (presidente è Lorenzo Pelliccioli, responsabile finanziario Manolo Santilli e neo direttore Strategie e sviluppo Pier Luigi Rossi), Paolo Ceretti è anche direttore generale della De Agostini, holding dell'omonimo gruppo, amministratore delegato della De Agostini Editore e consigliere di diverse controllate.
Il gruppo De Agostini ha chiuso il bilancio consolidato 2016 con ricavi per poco meno di 5,2 miliardi di euro, un margine operativo lordo di 1,584 miliardi, entrambi superiori del 6% al 2015, e un patrimonio netto di 4,463 miliardi.
La capogruppo, presieduta da Marco Drago (vice presidenti sono Marco Boroli, vicario, Pietro Boroli e Roberto Drago), è controllata dalla B&D Holding, accomandita delle famiglie Drago e Boroli. Nel 2016, il suo utile netto è stato di 33,6 milioni e ha consentito la distribuzione di dividendi per complessivi 27 milioni.
La De Agostini possiede il 58,3% di Dea Capital, il 100% delle subholding De Agostini Editore e De Agostini Communications più il 50,8% della Igt. Quest'ultima è quotata alla Borsa di New York ed è il più grande player mondiale nel mercato delle lotterie, dei giochi e dei relativi servizi. Fra l'altro, è sua Lottomatica, a capo del consorzio che ha riottenuto la concessione del gioco del Lotto in Italia, in esclusiva fino al 2025.
Nel 2016, Igt ha conseguito ricavi per 4,675 miliardi di euro e un margine operativo lordi di 1,6 miliardi, entrambi aumentati del 9% rispetto al 2015.



Le famiglie più indebitate

Indovinello: qual è la regione italiana che ha la quota più alta di famiglie indebitate? Per chi non legge i rapporti della Banca d'Italia, la risposta è: la Valle d'Aosta. Forse sorprendentemente, la quota delle famiglie indebitate abitanti nella regione alpina è salita al 37,6% (dato 2015, ultimo disponibile), mentre era ancora al 35,2% nel 2010 e al 30,3% nel 2005. In seguito a questo balzo, la Valle d'Aosta è risultata al primo posto nella classifica nazionale, precedentemente occupato dalla Sardegna, la cui quota 2015 è del 36,4%, mentre era del 36,6% nel 2010 e del 33,5% nel 2005.
La quota media italiana delle famiglie indebitate è del 23,5% (25,7% nel 2010 e 25,5% cinque anni prima). In Piemonte, la quota è scesa al 21,4% dal 24,1% dei due periodi precedenti indicati dalla Banca d'Italia); in Liguria, invece, è aumentata al 24,5%, dal 17% del 2010 e il 18,6% del 2005.
La Valle d'Aosta è prima in Italia anche per il tasso di famiglie con mutuo: 23,2% (sempre nel 2015, quando il secondo posto è stato attribuito al Friuli-Venezia Giulia, con il suo 19,6%), a fronte del 14,3% medio nazionale, il 13,6% del Piemonte e il 15,4% della Liguria. Ancora la Valle d'Aosta figura ai vertici per la quota di famiglie indebitate sia per mutuo sia per crediti al consumo; però, evidenziando l'8,6%, è preceduta dalla Sardegna, per il suo 9,5%.
A sua volta, Unimpresa, associazione che raggruppa imprese micro, piccole e medie, recentemente ha comunicato che, nel nostro Paese, le famiglie sono indebitate per un totale di 928 miliardi di euro, per oltre il 60% con le banche. Ha aggiunto che nel 2016 i debiti delle famiglie sono cresciti di 13,1 miliardi rispetto all'anno precedente.
Unimpresa ha precisato che oltre 624 miliardi delle passività delle famiglie, pari al 67,2%, sono con gli istituti di credito e questa somma è costituita per 571,1 miliardi da debiti a medio-lungo termine (principalmente mutui per la casa) e per 230,3 miliardi da debiti commerciali e prestiti personali.
Comunque, per evitare che queste cifre possono incutere qualche preoccupazione, va subito riferito che innanzi tutto i debiti a medio-lungo termine corrispondono sostanzialmente a investimenti e a una forma sana di risparmio; poi, che le famiglie italiane, nel loro insieme, hanno attività, finanziarie e non, di gran lunga superiori alle passività. Il saldo è nettamente positivo. 
Il valore delle sole attività finanziarie delle famiglie (depositi bancari, titoli di stato, obbligazioni, azioni, partecipazioni societarie, quote di fondi comuni e altri strumenti) a fine 2016 ammonta a 4.168 miliardi, ancora 33,2 miliardi in più rispetto al 31 dicembre 2015.
Aggiungendo ai beni finanziari quelli immobiliari, emerge un patrimonio netto vicino ai 9.000 miliardi di euro. Cifra che spiega tante cose e, fra l'altro, spiega perché l'Italia continua ad avere la fiducia degli investitori internazionali, nonostante il colossale indebitamento pubblico (2.281 miliardi al 30 giugno 2017, nuovo record storico) e tutti gli altri problemi del Bel Paese.



Meno fallimenti, ma non in Valle d'Aosta

Fallimenti in calo. Nel Nord Ovest, dal primo giorno di aprile all'ultimo di giugno, sono state 267 le imprese che hanno portato i libri in tribunale, il 13,6% in meno rispetto alle 309 del corrispondente periodo dell'anno scorso. Il calo del Nord Ovest, però, è risultato inferiore a quello medio nazionale, che è stato del 15%, dato che le procedure avviate in tutta l'Italia sono ammontate a 3.008 contro le 3.537 del secondo trimestre 2016.
Di procedure fallimentari, tra l'inizio di aprile e la fine di giugno, ne sono state aperte 196 in Piemonte (232 negli stessi mesi 2016), 62 in Liguria (73) e 9 in Valle d'Aosta, dove sono, invece, state 5 in più, così che il tasso di fallimenti di questa regione è salito allo 0,71 per mille, a fronte dello 0,38 della Liguria e dello 0,45 del Piemonte.

A livello nazionale, i maggiori cali di fallimenti nel secondo trimestre 2017 sono emersi dai settori costruzioni (-24,8% rispetto al corrispondente periodo dell'anno passato), trasporti (-21,1%), manifatturiero (-16,9%) e commercio (-12,9%).

Imprese, dove crescono gli stranieri

Uno dei grandi mali della provincia di Imperia e di altre parti della Liguria è la debolezza dello spirito d'iniziativa indigeno. Nell'estremo ponente ligure, è scarsa la densità dei locali che diventano imprenditori, che avviano attività in proprio. Non stupisce, pertanto, che qui la quota di imprenditori stranieri sia salita al livello record del 14,8%, al 30 giugno appena passato. Come censito da Unioncamere, infatti, alla fine del primo semestre di quest'anno, sono diventate 3.822 le aziende di stranieri attive nella provincia di Imperia: 148 ogni mille.
In tutt'Italia, soltanto tre province hanno quote superiori di imprese che fanno capo a stranieri: Prato (27,7%), dominata dai cinesi; Trieste (15,9%) e Firenze (15,6%). Imperia è quarta a livello nazionale; ma prima assoluta nel Nord Ovest, dove, comunque, le imprese di stranieri hanno superato il livello di 63.000. A fine giugno, infatti, sono risultate esattamente 63.090, delle quali 42.192 in Piemonte, 20.213 in Liguria e 685 in Valle d'Aosta. Nel secondo trimestre, sono aumentate di 858, saldo tra le 1.834 nuove iscritte e le 976 cancellate dai registri camerali in seguito alla loro chiusura.
Nel Nord Ovest, dopo la provincia di Imperia, è quella di Genova a mostrare la quota più alta di imprese di stranieri: 12,8%, corrispondente a 10.965. Seguono, nell'ordine: Torino (11,2%, pari a 24.900 imprese), Novara (10,8% e 3.281), Savona (10,6% e 3.221) e Spezia (10,6% e 2.205), Asti (9,5% e 2.257), Vercelli (9,5% e 1.554), Alessandria (9,4% e 4.076), Verbania (7,8% e 1.019), Biella (5,9% e 1.079), Cuneo (5,8% e 4.035), Aosta (5,4% e 685).
E' stata proprio Aosta, però, nel Nord Ovest, a far segnare il maggior tasso di crescita di imprese appartenenti a stranieri nel secondo trimestre di quest'anno: qui sono aumentate del 2,54%, a fronte del 2,03% della provincia di Asti, dell'1,87% di quella di Imperia, dell'1,17% medio nazionale e dello 0,56% di Biella, minimo delle nostre tre regioni.
Al 30 giugno scorso, ammontavano a 580.303 le imprese di stranieri registrate alle Camere di commercio italiane, risultando così il 9,5% delle iscritte. Percentuale in progressiva crescita, da anni. Alla fine del secondo trimestre 2016, in Italia si contavano 93 imprese di stranieri ogni mille attive e 72 ogni mille cinque anni prima.
Il maggior numero di imprese di stranieri operanti nel nostro Paese fa capo a marocchini (68.482), i quali precedono i cinesi (51.546), i romeni (49.020) e gli albanesi (31.641). Il 31,8% di queste imprese sono artigiane. I loro principali settori d'attività sono il commercio (208.000 imprese), l'edilizia (122.000) e la ristorazione.


Le casalinghe del Nord Ovest

L'Istat, l'istituto nazionale di statistica, ha comunicato che, nel nostro Paese, sono 7.338.000 le donne le quali si dichiarano casalinghe (518.000 meno di dieci anni fa). Il 40,9%, pari a 3 milioni, ha più di 65 anni; l'8,5% meno di 34 anni. Poco più della metà, nel corso della sua vita, non ha mai svolto attività lavorativa retribuita. Anche se non pagate, però, le casalinghe lavorano un sacco: mediamente, in dodici mesi, dedicano 2.539 ore, oltre 7 ore al giorno, per le attività domestiche e la cura di bambini, adulti e anziani della famiglia.
Tutte insieme, annualmente, le casalinghe fanno circa 20,5 miliardi di ore di lavoro non retribuito. Una buona parte degli oltre 71 miliardi di ore di lavoro non retribuito svolto in Italia per le attività domestiche e a favore dei familiari, per il 71% a carico, appunto, delle donne.
A proposito, la Fondazione Moressa ha poi calcolato che il lavoro delle donne in Italia, dove il tasso di occupazione femminile è salito al 48,8% in giugno (record) vale 614 miliardi di euro all'anno, pari al 41,6% del Pil. E la stessa Fondazione ha stimato che se i 4,3 milioni di casalinghe che potrebbero farlo, cioè con età compresa tra i 15 e i 60 anni, entrassero nel mondo del lavoro, il tasso d'occupazione femminile arriverebbe al 70,3% e il Pil, cioè la produzione nazionale di ricchezza, aumenterebbe di 268 miliardi all'anno (+18%).
Come pubblicato dal Sole 24 ore alla vigilia di Ferragosto, la Fondazione Moressa ha anche disaggregato i dati per regioni.
Così, emerge che se tutte le 213.000 casalinghe potenziali lavoratrici del Piemonte avessero un'occupazione retribuita il tasso d'occupazione femminile regionale salirebbe dal 58,2% al 73,7%, mentre in Liguria, che ha 85.000 casalinghe in età da lavoro, passerebbe dal 54,3% al 72,3% e in Valle d'Aosta (6.000 casalinghe tra i 15 e i 60 anni) dal 61,8% al 75,6%.
I benefici economici per il Nord Ovest sarebbero enormi. Si può intuire, già ricordando l'entità del Pil 2015 (ultimo dato ufficiale disponibile) delle nostre tre regioni: 127,443 miliardi di euro per il Piemonte (28.870 euro pro capite), 48,008 miliardi per la Liguria (30.438 euro a persona) e 4,384 miliardi per la Valle d'Aosta (34.301 euro per abitante).
Naturalmente, i benefici andrebbero a tutta l'Italia, dato che il Piemonte contribuisce alla formazione del 7,8% della ricchezza nazionale annuale, la Liguria per il 2,9% e la Valle d'Aosta per lo 0,3%.
E' impossibile che tutte le casalinghe potenziali lavoratrici, sia del Nord Ovest che del resto del Paese, decidano di cercare e trovino un'occupazione retribuita; però, se lo facesse anche una parte, il risultato economico sarebbe certamente molto positivo. Comunque, il tasso d'occupazione femminile in Italia è ancora in crescita, dopo che 2016 aveva già toccato il massimo del 48,1%, a fronte del 47,2% del 2015, il 46,8% del 2014 e il 46,5% dell'anno ancora precedente.


News di Ferragosto

Qualora fossero sfuggite, ecco alcune notizie di carattere nazionale, ma che, in quanto tale, riguardano anche il Nord Ovest.

EVASIONE - Nel 2016, la Guardia di Finanza ha scoperto altri 8.343 evasori totali o paratotali, portando così a poco meno di 131.000 il totale delle sue “prede” dal 2001. Che, però, diventano circa 550.000 se si aggiungono i lavoratori in nero o irregolari scovati dalle Fiamme Gialle, da allora (19.215 nel solo anno passato).
Un'attività, quella della Guardia di Finanza, che ha fatto emergere imponibili non dichiarati per un valore superiore ai 562 miliardi: in media 96,2 milioni al giorno negli ultimi 16 anni. Lo ha riferito la Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, ricordando che una cosa è l'imponibile accertato (cioè quanto si dovrebbe pagare al Fisco) e un'altra è la riscossione effettiva, ovvero quanto viene effettivamente incassato dall'Erario dopo i vari livelli di giudizio.
Comunque, da qualche tempo, l'incidenza della riscossione sull'accertato di competenza è in costante aumento e, nel 2016, ha raggiunto il picco del 20,5%, quota corrispondente a 13,2 miliardi di euro e che non include il gettito di 4,3 miliardi derivati, l'anno scorso, dalla voluntary disclosure.
Riportando questi dati, la Cgia ha ricordato che l'Istat stima in oltre 194 miliardi all'anno il valore aggiunto annuale dell'economia sommersa nel nostro Paese, pari al 12% del Pil. Di questi 194,4 miliardi, il 50,9% (99 miliardi) è ascrivibile a forme di sottodichiarazione dei redditi da parte degli operatori economici, il 39,7% (77,2 miliardi) al lavoro irregolare e il restante 9,4% (18,2 miliardi) ad altre forme di evase, come, per esempio, gli affitti in nero.

CANONE RAI – Ancora a proposito di evasione, il Corriere della Sera del 13 agosto ha pubblicato
che, come riferito dall'Agenzia delle Entrate, il nuovo sistema di pagamento del canone Rai, attraverso la bolletta elettrica, nel 2016, ha fatto pagare il canone a 5,6 milioni di soggetti, i quali non l'avevano fatto prima. Così gli utenti in regola sono saliti a 22,2 milioni, il 34% in più rispetto al 2015, e la Rai ha incassato mezzo miliardo di euro in più.
In seguito alla soluzione anti-evasione della bolletta elettrica, il numero dei contribuenti che hanno versato il canone Rai è aumentato di quasi il 50% nelle Isole e addirittura del 68% in Campania, la quale ha fatto segnare il record nazionale (in un anno, si sono avuti 736.000 abbonati in più). In Calabria, l'incremento è stato del 57,3%, pari a 666.000 canoni in più.
L'evasione del canone Rai, però, era diffusa anche nell'Italia del Nord, dove, nel 2016, sono usciti fuori 2,5 milioni di nuovi abbonati, aumentati perciò del 30,5%, quota superiore a quella delle regioni del Centro (+26,8%); fra l'altro, in Lombardia e in Piemonte non pagava un utente su tre. Unica eccezione virtuosa s'è rivelata la provincia di Bolzano: qui, il canone in bolletta non ha cambiato la situazione; il numero degli abbonati 2016 è risultato quasi identico a quello dell'anno prima (2.000 canoni in più).

FISCO LOCALE – L'anno scorso, per il contribuente tipo abitante nei capoluoghi di regione, le imposte e addizionali locali sono state un po' meno pesanti rispetto al 2015. Infatti, mediamente, ha pagato 4.482 euro, a fronte dei 4.891 dell'anno prima. Però, ha versato 846 euro più che nel 2011, quando l'esborso è stato inferiore del 23,3% e, quindi, di 846 euro.
A rivelarlo è stata la Confcommercio, dopo uno studio basato su dati del ministero dell'Economia e delle Finanze e dell'Agenzia delle Entrate.
Fra l'altro, nello studio si trova che il contribuente tipo, 2016, ha pagato addizionali e imposte locali per 4.577 euro a Genova, 4.366 euro a Torino e 3.731 euro ad Aosta. Il capoluogo valdostano, tuttavia, ha evidenziato il maggior incremento percentuale tra quelli del Nord Ovest, facendo segnare un +46,5% rispetto al 2011 (2.547 euro), mentre sotto la Mole l'aumento è stato del 29,3% (3.377 euro) e del 22,1% all'ombra della Lanterna (3.750 euro).

FRODI CREDITIZIE – Sono stati 26.100 i casi di frode creditizia o emissione di cambiali e assegni a nome altrui perpetrati, nell'anno passato, mediante furto di identità. Lo ha denunciato il Crif – gruppo italiano indipendente, specializzato in sistemi di informazioni creditizie e leader europeo nel setre - aggiungendo che questo fenomeno è in crescita (23.500 i casi del 2015) e ha comportato una perdita economica di 152 milioni di euro nel solo 2016.
Nonostante questo, secondo il Crif, le frodi creditizie, effettuate utilizzando illecitamente i dati personali e finanziari rubati, al fine di ottenere credito o acquisire beni con l'intenzione premeditata di non rimborsare il finanziamento e non pagare il bene, sono generalmente considerate meno delle rapine ai danni delle banche, “crimine per il quale l'allarme sociale appare ben più elevato, malgrado una casistica ben più contenuta, oltre che in sensibile contrazione” (le rapine sono state circa 300, il 28% meno che nel 2015).
Il 64,3% delle frodi creditizie riguarda il prestito agevolato, il 18,5% le carte di credito.

LA FONTE TURISTICA – Secondo la nuova indagine specifica della Banca d'Italia, nel 2016, la spesa dei viaggiatori stranieri nel nostro Paese è stata di 36,4 miliardi di euro, con un incremento del 2,3% sul 2015, tasso leggermente superiore a quello delle entrate mondiali dal turismo e tale da migliorare leggermente la nostra quota di mercato. Le vacanze nelle città d'arte si sono confermate le più richieste dagli stranieri, i quali, come seconda meta principale hanno avuto il mare.
Quanto, ai turisti italiani hanno speso 22,5 miliardi per i loro viaggi all'estero, il 2,4% più che nel 2015. Quindi, il saldo della bilancia turistica dei pagamenti è risultata positiva per quasi 14 miliardi, pari allo 0,8% del Pil, a prezzi correnti, e il più alto degli ultimi dieci anni.
L'analisi di Banca d'Italia ha evidenziato che, a livello mondiale, i turisti stranieri sono stati 1,235 miliardi (+3,9% rispetto al 2015) e hanno fatto registrare entrate per 1.089 miliardi (+2%).
Per quantità di entrare da viaggi internazionali, l'Italia si è piazzata al sesto posto nella graduatoria mondiale, con una quota pari al 3,3% del mercato turistico globale. In testa alla classifica si sono confermati gli Usa (entrate per 186,9 miliardi e quota del 17,2%), seguiti, nell'0rdine, da Spagna (54,6 miliardi e 5%), Thailandia (45,1 miliardi e 4,1%), Cina (40,2 miliardi e 3,7%) e Francia (38,5 miliardi e 3,5%). L'Italia ha preceduto, fra gli altri, Regno Unito (35,8 miliardi e 3,3%), Germania (33,8 miliardi e 3,1%), Hong Kong (29,6 miliardi e 2,7%) e Australia (29,8 miliardi e 2,7%).
Nella top ten mondiale per numero di turisti stranieri, l'Italia figura in quinta posizione con 52,5 milioni. La medaglia d'oro è andata alla Francia con 81,1 milioni (-4% rispetto al 2015, per effetto degli attacchi terroristici), l'argento agli Usa (75,7 milioni e -2,3%) e il bronzo alla Spagna (75,6 milioni e +10,4%). Il quarto posto è stato attribuito alla Cina, per i suoi 59,3 milioni (+4,2%). Sesti, a pari merito con 35,6 milioni ciascuno, sono finiti il Regno Unito (+3,4%) e la Germania (+1,7%).



Quattroruote, Liguria pecora nera

Liguria pecora nera del mercato automobilistico del Nord Ovest. Il Piemonte, invece, è la regione italiana che ha fatto registrare il maggior incremento percentuale di immatricolazioni di vetture nuove nei primi sette mesi di quest'anno. In Liguria, dall'inizio di gennaio alla fine di luglio, sono state consegnate 22.646 targhe nuove, il 2,3% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso; mentre, in Piemonte, le nuove immatricolazioni sono state 145.576, il 34,9% in più. Una crescita, quella della regione subalpina, che vale il primato nazionale. Il secondo maggior incremento (20,1%) è stato fatto segnare dalla Valle d'Aosta, grazie alle sue 39.928 nuove immatricolazioni.
L'aumento medio italiano è stato dell'8,6% (1.282.563 le auto nuove acquistate nei primi sette mesi 2017). Dato che attribuisce ai tassi delle tre regioni del Nord Ovest significati ancora maggiori, positivamente e negativamente. Anche perché le vendite di auto rappresentano un indicatore rilevante dell'andamento della domanda interna e, perciò, dell'economia nel suo complesso.
Per il Piemonte, quindi, il boom automobilistico manifesta un miglioramento congiunturale e una ripresa della fiducia; mentre lo stesso non si può certo dire per la Liguria (la Valle d'Aosta è un caso a parte, perché qui vengono a immatricolare anche da fuori regione, per via del miglior trattamento fiscale, come in Alto Adige).
Comunque, insieme, le tre regioni del Nord Ovest - Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta - ha registrato 208.150 immatricolazioni di vetture nuove nei primi sette mesi di quest'anno, 44.842 e il 27,5%  più che nel corrispondente periodo 2016.

Entro ottobre 87.500 nuove assunzioni

Unioncamere, l'unione nazionale delle Camere di commercio, ha comunicato che le imprese private dell'industria e dei servizi hanno previsto 875.570 nuove assunzioni,  nel periodo agosto-ottobre 2017, in tutta l'Italia e che il 10% di queste riguardano il Nord Ovest (precisamente 87.480). Secondo l'indagine Excelsior, nel trimestre considerato, le nuove entrate nel mondo del lavoro privato dovrebbero essere 65.130 in Piemonte (70,7% nel vasto settore dei servizi e e il 29,3% nell'industria), 19.880 in Liguria (quore rispettivamente del 73,1 e 26,9%) e 2.470 in Valle d'Aosta (80,4% nei servizi).
Che le previsioni vengano rispettate non è detto; anche perché, come precisato dalla stessa Unioncamere, vanno considerate le difficoltà di reperimento del personale ricercato. Il tasso di difficoltà è del 26,7% in Piemonte, del 25,8% in Liguria e del 19,5% in Valle d'Aosta (24,2% è la media nazionale).
Dall'analisi Excelsior, fra l'altro, emerge che, nel nostro Paese, tra agosto e la fine di ottobre, il 15,4% delle ricerche pianificate si rivolgerò prevalentemente alle donne, il 28,8% agli uomini e il 55,8% a entrambi i generi, indifferentemente; quanto all'età, per il 34,2% saranno preferiti i giovani.
Inoltre, due assunzioni su tre sono nei piani delle imprese con meno di 50 dipendenti, mentre il 22% delle ricerche di personale sarà avviato da aziende che hanno dai 50 ai 250 dipendenti.

Venchi prima cuneese in Borsa?

Il quotidiano finanziario Mf, una decina di giorni fa, ha scritto che Daniele Ferrero, il numero uno della rinata Venchi, sta pensando seriamente di quotare in Borsa la società di Castelletto Stura (Cuneo). “E' una possibilità concreta” ha dichiarato Daniele Ferrero, aggiungendo che lo sbarco a Piazza Affari potrebbe avvenire nel 2019. Molto prima di quanto pensasse fino a poco tempo fa. Cosa è cambiato da allora? L'arrivo e il boom dei Pir-Piani individuali di risparmio, i nuovi strumenti finanziari che agevolano, fiscalmente, la canalizzazione del risparmio delle famiglie verso le piccole e medie imprese italiane quotate.
La Venchi, che produce un'ampia gamma di golosità a base di cioccolato (fra l'altro, gianduiotti, praline e gelati) è in forte sviluppo. Per quest'anno, ha l'obiettivo di fatturare 80 milioni, a fronte dei 63 del 2016, i 54,3 del 2015, i 46,5 del 2014e i 30 di dieci anni fa. Inoltre, conta di avere un margine operativo lordo di 20 milioni, 4 in più rispetto al 2016, quando ha conseguito un utile netto di 6,5 milioni (4,9 nel 2015 e 4,2 nell'esercizio precedente).
E' prevista anche l'assunzione di altre cento persone, “la metà delle quali all'estero” ha riferito Daniele Ferrero a Giuseppe Bottero de La Stampa, nel marzo scorso, aggiungendo che la Venchi conta già 590 dipendenti e oltre 60 “botteghe” sparse per il mondo, secondo un modello che si ispira alla belga Godiva. Gli investimenti si aggirano sui 5 milioni all'anno.
Costituita nel 1878 da Silviano Venchi, a Torino, l'omonima azienda è stata rifondata nel 1998 da Daniele Ferrero, allora trentenne, proveniente dalla McKinsey, nella quale era entrato dotato anche di un Mba Insead e della formazione all'Università di Cambridge e della Scuola internazionale di Ginevra.
Daniele Ferrero possiede il 27% della Venchi, della quale è presidente e amministratore delegato; il 24% fa capo al vice presidente Nicolò Cangioli, il 12% a Giovanni Battista Montelli, direttore commerciale. Azionisti, con il 12% ciascuno, sono pure Pietro Boroli (gruppo De Agostini), Marcello Comoli e Luca Baffigo Filangieri.
Attualmente, il listino della Borsa di Milano non presenta alcuna società cuneese. E anche in passato è stato così. Non si ricordano quotate cuneesi. Nonostante che la Provincia Granda possa vantare imprese, grandi e medie, con tutte le caratteristiche opportune per essere trattate in Piazza Affari: adeguatezza dei volumi d'affari, di redditività, piani di sviluppo, posizioni di mercato, corporate governance, management.






Sanremo promuove "Lady Amer"

Normalmente, la Liguria è avara anche di riconoscimenti ai suoi migliori abitanti. Propensi più a invidiare che ad ambire, più a criticare che a fare, i liguri tendono a sminuire i meriti, soprattutto dei propri concittadini, piuttosto che a valorizzarli. Per questo, appaiono degne di particolare considerazione iniziative come quella tradizionale della Famija Sanremasca, che, ogni anno, attribuisce l'onorificenza di “Console del mare” a due esponenti della comunità locale che si sono particolarmente distinti. Una manifestazione che, fra l'altro, contribuisce a far conoscere, o a diffondere la conoscenza di talenti ed eccellenze.
E' il caso di Barbara Amerio, uno dei due “Consoli del mare” 2017 (l'altro è Ivo Ballestrieri). Barbara Amerio, dirige, con il fratello Rodolfo, la Permare, impresa fondata dal padre Fernando, negli anni 70, a Sanremo, dove è meno nota che a livello internazionale. Permare, infatti, produce e commercializza, un po' ovunque, super yacht con il marchio Amer (gamma da 86 a 116 piedi), molto apprezzati, come confermano anche i premi ricevuti e ognuno diverso dagli altri, perché personalizzato. 
Proprio per il valore delle “creazioni” della Permare (fra l'altro, all'ultimo Cannes Yachting Festival, l'Amer Cento Quad ha ricevuto il premio quale “Yacht più innovativo dell'anno”) e per le sue qualità personali, Barbara Amerio è stata scelta come “Ambasciatore del design italiano”, in occasione della manifestazione organizzata, in Kuwait,dal ministero dello Sviluppo economico e dall'Istituto per il commercio estero (Ice), per promuovere “il bello e ben fatto” del nostro Paese.
Diplomata alla Uk Maritime training Academy, Barbara Amerio, che alcuni chiamano “Lady Amer”, poliglotta (parla inglese, francese, tedesco e russo), è presidente del settore super yachts dell'Ucina e della sezione nautica di Confindustria Imperia, oltre che consigliere di Assonautica e della stessa Ucina.
In una intervista a “Gente di Mare”, l'anno scorso, Barbara Amerio ha riferito che sono già più di 80 le imbarcazioni varate da Permare e che il l'impresa ha un fatturato medio di otto milioni all'anno. Permare fa anche rimessaggio e manutenzione, attività svolte nel Cantiere Sanremo Ship a Portosole e nel nuovo Cantiere del Mediterraneo a Bussana.



Erg da record in Borsa

Erg da record in Borsa. Dopo la diffusione dei risultati conseguiti nel primo semestre di quest'anno e delle buone previsioni relative all'intero esercizio, Erg ha chiuso la settimana da star di Piazza Affari. L'ultimo contratto di venerdì 11 ha fissato a 12,79 euro il prezzo dell'azione del gruppo genovese dei Garrone-Mondini, con un incremento dell'1,9% sul giorno precedente. Ma il titolo è stato scambiato anche a 12,82 euro, solo un paio di centesimi in meno rispetto al record storico di due anni fa e, comunque, ben superiore a 9,95 euro dei primi di gennaio.
Così, ora, la capitalizzazione della Erg, che può vantare una performance annuale del 25%, al listino milanese supera quota 1,9 miliardi.
Certamente le ultime quotazioni sono conseguenti alla conferma che il bilancio 2017 dovrebbe riportare un margine operativo lordo di circa 430 milioni (258 nel primo semestre) e un indebitamento netto di 1,450 miliardi, perciò inferiore di un centinaio di milioni a quello di fine 2016, pur tenendo conto dei 140 milioni destinati agli investimenti, prevalentemente per l'ulteriore crescita nell'eolico. Intanto, al 30 giugno, l'indebitamento netto consolidato è già calato di 43 milioni a 1,514 miliardi.
E l'utile netto ottenuto dall'inizio di gennaio alla fine di giugno, quando sono stati registrati ricavi totali per 543 milioni, è stato di 87 milioni, il 17% in più rispetto ai 74 milioni del corrispondente periodo dell'anno scorso.
Proprio il 2016, comunque, è storico per la grande impresa genovese. Infatti, l'anno scorso, è giunto a termine il profondo processo di trasformazione del gruppo Erg, passato da primario operatore petrolifero privato italiano a primario attore indipendente nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sia programmabili (termoelettrica e idroelettrica) sia non programmabili (eolica), espandendosi anche all'estero.
Oggi, il gruppo Erg ha la leadership nazionale e un posizionamento di primo piano in Europa, nel mercato eolico; è tra i maggiori produttori di energia idroelettrica nel Paese e, fra l'altro, è un attore nella produzione termoelettrica a basso impatto ambientale. Il suo sviluppo è in accelerazione, tendenza che il vertice dell'impresa intende mantenere, come lasciano intuire anche la recente nomina di Sergio Chieroni a nuovo responsabile dello sviluppo business del Gruppo e il debutto nel mercato obbligazionario con l'emissione da 100 milioni di euro per gli investitori istituzionali, iniziative entrambe di luglio.
Presidente della Erg è Edoardo Garrone, 56 anni il prossimo 30 dicembre, 5 figli, numero uno anche degli Consiglio di sorveglianza della San Quirico, la holding finanziaria delle famiglie Garrone e Mondini, che possiede il 55,6% della Erg (Unicredit ha il 4%). Erg nel cui portafoglio si trova anche il 51% della TotalErg. Numerosi i suoi incarichi attuali e in passato. Fra l'altro, è stato presidente della Sampdoria, dei Giovani Imprenditori di Confindustria, vice dell'Associazione Industriali di Genova, membro del di consiglio di amministrazione di diverse società, tra le quali Il Sole 24 Ore e la Pininfarina, e di enti quali il Gaslini.
Vice presidente esecutivo della Erg e presidente del comitato strategico della stessa, è il fratello Alessandro, classe 1963, tre figli. Oltre a varie responsabilità nel Gruppo, Alessandro Garrone è membro di Giunta dell'Unione Petrolifera, del Consiglio generale di Confindustria Emergia, consigliere della Banca Passadore, console onorario del Messico a Genova e, fra l'altro, presidente della Fondazione Edoardo Garrone.
Il vertice della Erg è formato anche dal vice presidente Giovanni Mondini e dall'amministratore delegato Luca Bettonte.




Alimenti estivi, bronzo a Torino

La provincia di Torino al terzo posto, in Italia, per il maggior numero di imprese artigiane produttrici di cibi di qualità, genuini e“salva linea”, destinati prevalentemente al consumo estivo: gelati, pizza, street food e da asporto, olio d'oliva, birra. Per il Nord Ovest, è l'unica notizia positiva che se trova nel comunicato della Confartigianato nazionale relativo a una ricerca specifica, dalla quale, fra l'altro, è emerso che per questi alimenti si spendono, nel nostro Paese, 9,7 miliardi all'anno e che sono 46.566 le relative aziende artigiane produttrici, dotate di 90.900 addetti.
Alla provincia di Torino sono state attribuite 1.892 aziende produttrici in questo particolare comparto del settore alimentare, a fronte delle 2.053 della provincia di Milano, al secondo posto, e le 2.982 di Roma, in testa. Torino, però, precede anche Napoli (1.766) e Bari (1.013).
Ancora meno positiva, per il Nord Ovest, la classifica su base regionale: Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta non figurano nelle prime sette posizioni, occupate, invece, da Lombardia (6.837 imprese artigiane produttrici di cibi estivi all'italiana), Emilia-Romagna (4.455), Sicilia (4.255), Lazio (4.096), Veneto (3.895) e Campania (3.863).
Secondo lo studio della Confartigianato, il mercato degli alimenti di qualità, destinati soprattutto al consumo estivo, è formato innanzi tutto dall'olio d'oliva, per il quale è stata stimata una spesa nazionale di 3,048 miliardi (118 euro per famiglia), mentre per la pizza si sborsano 2,983 miliardi (115 euro a famiglia), oltre un miliardo più che per i gelati (1,849 miliardi, con una media familiare di 72 euro). Quanto alla birra, se ne beve per 1,828 miliardi (71 euro a famiglia).
Grazie anche a questi prodotti, l'Italia è il Paese che presenta la minore quota di obesi (9,8% della popolazione adulta) tra quelli che si affacciano sul Mediterraneo e si piazza al terzo posto tra gli Stati dell'Ocse, la cui media è invece del 19,5%. Il record della popolazione più snella è stato assegnato al Giappone e la medaglia d'argento alla Corea del Sud.


Under 35: prima Imperia, ultima Biella

In aumento i giovani che provano a diventare imprenditori. Sarà perché non trovano un lavoro soddisfacente, o perché la paga proposta è indecente, o perché non hanno alternative valide, o perché sperano che un'attività in proprio sia più proficua e gratificante, o, magari, perché c'è un risveglio dello spirito d'iniziativa personale; sta di fatto che, nel primo semestre di quest'anno, il Nord Ovest ha registrato la crescita di 3.546 aziende di under 35 a fronte delle 36.965 censite da Unioncamere nell'intera Italia.
Al 30 giugno, pertanto, sono risultate 53.492 le imprese di giovani con meno di 35 anni iscritte alle Camere di commercio dell'area formata da Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta e 566.268 in tutto il Paese, dove sono arrivate a rappresentare il 9,3% del sistema.
Nella prima parte di quest'anno, quando il 30,4% delle nuove imprese entrate nei registri camerali era di aziende di under 35 (quasi una su tre), il tasso di crescita di è stato del 6,1% a livello nazionale. In particolare, la media piemontese è stata sostanzialmente identica, mentre in Liguria è stata del 6,5% e addirittura del 7,3% in Valle d'Aosta.
In Piemonte, nel semestre, le imprese giovanili sono aumentate di 2.555 unità, diventando, a fine giugno, 39.268 (9% delle aziende iscritte alle Camere di commercio); in Liguria la crescita è stata di 905, portando il totale a 13.110 (8,1%) e in Valle d'Aosta il saldo tra nuove iscritte e cancellate è risultato positivo per 86, così che al 30 giugno sono ammontate a 1.114, pari all'8,8% dell'insieme delle attive.
Aosta, con il suo 7,2%, è finita seconda nella graduatoria delle province del Nord Ovest che hanno evidenziato i maggiori tassi di crescita delle imprese giovanili dall'inizio di gennaio alla fine di giugno. A fare meglio è stata soltanto la provincia di Imperia, in testa grazie al suo 7,7% (2.153 le aziende under 35 iscritte e saldo positivo per 175). Terza la Spezia con il 6,9% (1.898 iscritte al 30 giugno e + 139 di saldo).
Seguono, nell'ordine: Asti con il 6,9% (2.075 iscritte e + 131), Savona con il 6,6% (2.557 e +182), Torino con il 6,4% (20.759 e +1.430), Verbania con il 6,3% (1.119 e +76), Vercelli con il 6,2% (1.491 e +99), Genova con il 5,9% (6.502 e+409), Alessandria con il 5,8% (3.313 e+208), Cuneo con il 5,6% (6.260 e +378), Novara con il 4,8% (2.999 e +156) e, ultima, Biella con il 4% (1.312 e +57).
Inferiori alla media nazionale, pertanto, sono stati i tassi di crescita delle province di Genova, Alessandria, Cuneo, Novara e Biella.


Entrate dai giochi, primo calo

Primo calo dell'incasso erariale dai giochi. La notizia, sorprendente, è contenuta nel freschissimo comunicato del ministero dell'Economia e delle Finanze. Nella nota diramata il 7 agosto, relativa alle entrate tributarie di gennaio-giugno 2017, il Mef ha riportato che le entrate derivanti dai giochi sono state pari a 7 miliardi,80 milioni in meno rispetto al primo semestre del 2016. Non si ricorda un precedente del genere. Questa fonte fiscale è sempre stata copiosa e crescente, nonostante le promesse di contenimento e la marea di proteste per i danni, non soltanto economici, che i vari giochi d'azzardo legalizzati – lotterie, gratta e vinci, slot machines, video poker e così via - provocano a individui, famiglie e alla società. Un male con milioni di vittime.
Tornando ai tributi. Dal primo giorno di gennaio all'ultimo di giugno 2017, le entrate erariali sono ammontate a 205,168 miliardi, con l'ennesimo incremento, che questa volta è dell'1,5% rispetto al corrispondente periodo 2016.
Le imposte dirette sono state pari a 110,6 miliardi, dei quali 88,7 dovuti all'Irpef, il cui gettito è aumentato del 2,7% “per effetto dell'andamento positivo delle ritenute da lavoro dipendente e da pensioni” (+1,2 miliardi). Le imposte indirette sono state di 94,5 miliardi (+3%), somma alla quale l'Iva ha contribuito per 56,1 miliardi (+4,6%).

Da segnalare, inoltre, che sono cresciute del 7% le imposte sulle transazioni immobiliari, mentre sono diminuite dell'1,1%, a 4,2 miliardi, le entrate da accertamenti e controlli (la lotta all'evasione continua a vedere il fisco in difficoltà).

Cedacri punta su Salza e Chevallard

A Enrico Salza, “leone” torinese con il pelo bianco, ma ancora ruggente, la presidenza di Tecnoinvestimenti sta dando soddisfazioni forse superiori alle sue aspettative. A lui, come agli azionisti, che stanno registrando una performance annuale del titolo del 50%.
Fra l'altro, la semestrale, appena approvata, riporta un utile netto di 8 milioni, a fronte dei 5 conseguiti nel gennaio-giugno 2016. Rispetto a quel periodo, i ricavi consolidati di Tecnoinvestimenti aumentati del 22,2% a 85,4 milioni e il mol del 39,5% a 18,4%, per cui la marginalità è salita al 21,5% dei ricavi, dal precedente 18,9%. E l'indebitamento netto del gruppo è calato a 67 milioni, uno in meno che al 31 dicembre scorso.
Tra i principali operatori in Italia nelle sue tre aree di business – digital trust, credit information, sales % marketing solutions – il gruppo Tecnoinvestimenti ha otto sedi, diverse controllate e 900 dipendenti. Il quartiere generale è a Torino. In Borsa capitalizza circa 250 milioni. Amministratore delegato è Pier Andrea Chevallard.
La maggioranza assoluta del capitale di Tecnoinvestimenti, il 56,9%, appartiene a Tecnoholding (Camere di commercio); mentre secondo maggiore azionista, con il 10%, è Quaestio Capital Management Sgr.
l terzo posto, nella compagine societaria, si trova Cedacri, azienda leader nei servici di outsourcing per il settore bancario, istituzioni finanziarie e concessionarie esattoriali. Già detentrice del 4,95% delle azioni di Tecnoinvestimenti, Cedacri supererà presto il 5%, avendo esercitato la prima tranche di uno specifico warrant ed è destinata a salire ancora di quota.
Un'iniziativa che conferma la fiducia degli azionisti in Tecnoinvestimenti, il cui vertice prevede un ulteriore sviluppo.


Sotto quota 6 milioni

Se non è appena successo, succederà presto. Questione di poco e l'intero Nord Ovest scenderà sotto i 6 milioni di abitanti. La previsione si basa sui dati più recenti dell'Istat. Secondo l'Istituto nazionale di statistica, infatti, al 31 marzo 2017, Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, insieme, contavano 6.073.893 residenti, mentre erano ancora 6.084.716 al 31 dicembre e 6.102.642 alla stessa data del 2015. In 15 mesi siamo diventati 28.749 in meno.
In particolare, il Piemonte, già sceso sotto i 4,4 milioni di abitanti nel 2016 dai 4.404.246 del 31 dicembre 2015, alla fine del marzo di quest'anno ne conta 4.385.279. Ne ha persi altri 7.247 nel primo trimestre.
D'altra parte, continuano a diminuire le nascite (31.732 nel 2016, mentre erano state 32.908 nel 2015 e 34.683 nel 2014), a aumentare i decessi (50.984 l'anno scorso e 49.412 nel 2014, dopo il picco dei 54.079 del 2015) e a calare il saldo positivo migratorio.
Situazione e tendenze demografiche ancora peggiori in Liguria, dove gli abitanti al 31 marzo sono risultati 1.561.987 a fronte dei 1.565.307 di fine 2016 e 1.571.057 del 31 dicembre 2015. Qui, i nati sono stati 9.901 nel 2016 e 10.155 nel 2015, quando sono stati registrati 22.468 decessi (20.853 l' anno scorso).
Valle d'Aosta: 126.627 gli abitanti a fine marzo 2017, mentre erano 127.329 al 31 dicembre 2015 e 128.298 dodici mesi prima. Nel 2016 i nati sono stati 962 e i morti 1.385, l'anno precedente, rispettivamente, 987 e 1.505.
Al primo gennaio 2017, secondo le stime dell' Istat, l'italia aveva 60.579.000 residenti, 86.000 meno che all'inizio del 2016. Anno in cui le nascite sono state 474.000, ancora meno del minimo di 486.000 toccato nel 2015. Allora si erano registrati 648.000 decessi, dopo il picco di 648.000 del 2015.
Il saldo migratorio estero nel 2016 è stato positivo per 135.000 persone, livello analogo a quello 2015; ma determinato da un maggior numero di ingressi (293.000) e da un nuovo massimo di uscite (157.000). Gli stranieri residenti all'inizio di gennaio 2017 sono 5.029.000 (8,3% della popolazione).
La Valle d'Aosta è la regione che, nel 2016, ha avuto il maggior tasso  di diminuzione della popolazione (5,7 per mille, come la Basilicata); in Liguria il calo è stato del 4,4 per mille e del 2,5 per mille in Piemonte, a fronte della media nazionale dell' 1,4. Le sole regioni con tassi attivi, sia pure limitati, sono state il Trentino-Alto Adige, il Lazio, la Lombardia e l'Emilia-Romagna.
Al primo gennaio 2017, i residenti in Italia hanno una età media di 44,9 anni; ma oltre il 30% della popolazione ha più di 65 anni (gli ultraottantenni sono più di 4,1 milioni e gli ultranovantenni 727.000, gli ultracentenari 17.000).



Mercato auto: record di Torino in luglio

Un record nazionale dei torinesi. In luglio, il maggior numero di auto nuove è stato acquistato da residenti nella provincia con il capoluogo piemonte. Dalle disaggregazioni dell'Unrae, l'unione delle Case estere operanti nel nostro Paese, infatti, è emerso che sono state 14.794 le vetture immatricolate da soggetti torinesi, nel mese appena passato. Nessun'altra provincia italiana ha fatto registrare più acquisti di automobili nuove, neppure quella di Bolzano, da tempo prima, in seguito alla sua minore tassazione specifica Il mese scorso, Bolzano ha contato 7.156 immatricolazioni, meno anche di Roma (10.210) e di Milano (8.471).
Le nuove immatricolazioni della provincia di Torino sono state pari al 10,1% delle 145.363 registrate in tutto il Paese. Di queste sono 25.248 quelle che si devono al Nord Ovest. In ordine decrescente, ecco le nuove immatricolazioni di luglio per provincia, dopo Torino: Aosta 2.904, Genova 1.404, Cuneo 1.326, Alessandria 978, Novara 922, La Spezia 515, Savona 485, Asti 436, Biella, Vercelli 389, Verbania 358, Imperia 316.
Nell'intero 2016, le nuove auto immatricolate sono state 178.456 in Piemonte (il numero più alto degli ultimi sei anni), 35.088 in Liguria (39.924 nel 2011 e ancora più negli anni precedenti) e, in Valle d'Aosta, 49.799, quante mai prima.

Quotate al giro di boa

Ecco alcune notizie relative a società del Nord Ovest quotate in Borsa.

IREN - Commentando i risultati del primo semestre, i vertici di Iren hanno evidenziato, fra l'altro, che l'indebitamento netto del gruppo è stato ridotto di 54 milioni nel periodo. Però, forse, non andrebbe sottovalutato che, al 30 giugno, l'indebitamento netto del grande gruppo guidato da Paolo Peveraro e Massimiliano Bianco, ammonta ancora a 2,4 miliardi, che restano un macigno.  Anche in rapporto ai ricavi, che dall'inizio di gennaio alla fine di giugno, sono stati pari a 1,813 miliardi (+16,6%). Il margine operativo lordo è stato di 442,3 milioni (+6%) e l'utile netto di 145,1 milioni (+19,5%), dopo investimenti per 103 milioni e il pagamento di dividendi per 89 (+14%).
  
DIASORIN - Viaggia con il turbo l'impresa vercellese leader globale nella produzione di test diagnostici. Dall'inizio di gennaio alla fine di giugno ha registrato ricavi netti per 319,3 milioni (+19,9%), ha incrementato il margine operativo lordo del 23,4% a 126,2 milioni e ha ottenuto un utile netto di 33,6 milioni, superiore del 14,4% a quello del primo semestre 2016 e pari al 20,7% del fatturato. Inoltre, ha ancora migliorato la sua posizione finanziaria netta, risultata positiva per 89,2 milioni a fronte dei 71,2 di fine dicembre 2016.
Il vertice della società - presidente è Gustavo Denegri e amministratore delegato Carlo Rosa - ritiene che il bilancio 2017 presenterà ricavi superiori dell'11% a quelli del 2016 e una redditività maggiore del 13% a quella dell'esercizio passato. A prescindere dall'acquisizione del business "Elisa" da Siemens, il cui closing è programmato entro la fine dell'anno.

BUZZI UNICEM - Primo semestre molto positivo per il gruppo cementiero di Casale Monferrato, controllato dalla famiglia Buzzi. L'utile netto è aumentato del 30,4%, a 119,3 milioni di euro dai 91,5 milioni conseguiti nel periodo gennaio-giugno 2016 e il margine operativo lordo è salito a 241,1 milioni dai 222,5 precedenti (+8,4%). Il fatturato netto è cresciuto a 1,354 miliardi (+7,3%), grazie all'incremento del 6% delle vendite di calcestruzzo e del 2,3% del cemento. Anche sulla base di questi risultati, a Casale prevedono che il 2017 potrebbe essere chiuso con una crescita del margine operativo più vicina al 10% che al 5%, rispetto al 2016. Fra l'altro, l'indebitamento netto consolidato è sceso a 909,2 milioni dai 941,6 milioni del 31 dicembre scorso.

CENTRALE LATTE D'ITALIA -  Terzo polo italiano del latte fresco - la sua quota è salita al 7,7% del mercato - Centrale latte d'Italia, a capo dell'omonimo gruppo con sede a Torino e presieduto da Luigi Luzzati, a livello consolidato ha registrato ricavi netti per 90,5 milioni (+85% rispetto al primo semestre 2016) e un mol di 2,5 milioni, ma il risultato operativo è stato negativo per 723.000 euro (275.000 nel corrispondete periodo dell'anno scorso) e la perdita netta è stata di un milione, quasi doppia di quella accusata nel gennaio-giungo 2016. L'indebitamento netto al 30 giugno è di 64,3 milioni, 3 più che al 31 dicembre,
La società torinese, con grandi azionisti liguri e toscani, ha comunicato che ha avviato un piano triennale di investimenti del valore di 14,9 milioni per lo stabilimento nel capoluogo piemontese; mentre, nel mese passato, ha ceduto sia l'impianto ormai dismesso di Carmagnola sia il 50% di Odilla Chocolat, boutique subalpina del cioccolato, "essendo venute meno le condizioni strategiche e operative che ne avevano motivato l'acquisizione".

PRIMA INDUSTRIE - "Siamo orgogliosi di annunciare i buoni risultati dei primi sei mesi dell'anno, realizzati grazie a una domanda costante e sostenuta dai primi ritorni dei forti investimenti effettuati sulla gamma di prodotti e sul mercato. Sulla base del portafoglio ordini e della situazione dei mercati di riferimento, ci attendiamo per i prossimi trimestri dell'anno, un'ulteriore accelerazione del trend di crescita". E' il commento di Gianfranco Carbonato, presidente operativo di Prima Industrie, alla presentazione della nuova semestrale, in effetti rilevante.
Prima Industrie, impresa torinese leader nel settore ad alta tecnologia dei sistemi laser e di lavorazione della lamiera, oltre che dei componenti elettronici per applicazioni industriali, fra l'altro, ha conseguito un utile netto di 7,5 milioni, superiore del 159% al 2,9 milioni del primo semestre 2016. Non solo: al 30 giugno, il portafoglio ordini è di 177,8 milioni (+40,9%), dopo averne acquisiti per 240,7 milioni (+24,9%). Il fatturato netto è stato di 202,4 milioni (+10,4%) e di 19,2 il mol (+29,7%). L'indebitamento netto è calato a 95,5 milioni dai 104,1 precedenti.
Dall'inizio di gennaio alla fine di giugno, Prima Industrie, i cui dipendenti sono diventati 1.718, quindi 54 in più, ha investito in ricerca e sviluppo 11,5 milioni, pari al 5,7% dei ricavi.

BASICNET - Nello stesso giorno della diffusione dei suoi risultati semestrali, BasicNet, il gruppo torinese di Marco Boglione i cui marchi sono noti un po' in tutto il mondo - Kappa, Robe di Kappa, Jesus Jeans, Superga, K-Way - ha annunciato di essere diventato il nuovo proprietario del marchio Sebago, "icona di stile, soprattutto per i famosi mocassini e per le scarpe da barca Docksides". L'acquisizione dall'americana Wolverine World Wide, avvenuta con l'esborso di circa 12 milioni di euro, segue di poco quella di Brico.
Il gruppo BasicNet nel primo semestre ha avuto ricavi aggregati per 372,9 milioni (+3,5% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso e un margine operativo lordo di 8,5 milioni contro i 10 precedenti.L'utile netto è sceso da 5,1 a 3,5 milioni, mentre l'indebitamento finanziario è salito a 50,5 milioni, solo uno più che al 31 dicembre 2016. Però, sono aumentati a 12,4 i milioni investiti in sponsorizzazioni e comunicazione e, negli ultimi 12 mesi, gli occupati, in seguito a 49 assunzioni.

PININFARINA - Peccato per il risultato netto, negativo per 0,6 milioni; perché gli altri principali indicatori evidenziano che, nel primo semestre, Pininfarina ha fatto registrare miglioramenti. Il valore della produzione è salito a 39,6 milioni dai 34 dello stesso periodo 2016, il margine operativo lordo è stato di 2,2 milioni mentre era stato negativo per 0,9 e il risultato operativo è torinato poitivo per 0,7 milioni a fronte della perdita di 2,4 nel primo semestre 2016. Ancora più rilevanti i miglioramenti patrimoniali: al 30 giugno, la posizione finanziaria netta è positiva per 8,3 milioni, mentre era negativa per 29,9 e il patrimonio netto è cresciuto da 31,4 a 56,5 milioni.
La Pininfarina, che conta poco meno di 600 dipendenti, è presieduta da Paolo Pininfarina e ha come amministratore delegato e direttore generale Silvio Pietro Angori. Del Consiglio di amministrazione fa parte anche Licia Mattioli, imprenditrice a capo dell'omonima azienda familiare di gioielli,vice presidente sia di Confindustria per l'internazionalizzazione sia della Compagnia di San Paolo.

BIM - Primo grande passo avanti della Bim-Banca Intermobiliare. Il 31 luglio, l'istituto torinese specializzato nel private banking e la cui quota di maggioranza assoluta, ancora in  portafoglio della disastrata Veneto Banca ma in vendita (è è stata aperta la data room, "a seguito delle manifestazioni di interesse di importanti bidders internazionali")  ha comunicato di avere ceduto, alla svizzera Banca Zarattini, il 100% di Bim Suisse, banca di Lugano con una ventina di dipendenti e una raccolta di circa 350 milioni di franchi svizzeri.
Nello stesso giorno, la Bim, presieduta da Maurizio Lauri e guidata da Giorgio Girelli, 28 filiali, 580 tra dipendenti e collaboratori, oltre 150 private bankers, ha fornito i risultati del primo semestre: al 30 giugno, la raccolta complessiva ammonta a 8,7 miliardi (-7,1% rispetto al 31 dicembre 2016), la gestione operativa è stata positiva per 3,7 milioni, 2,4 in più rispetto al primo semestre dell'anno scorso, ma la perdita netta è stata di 24,9 milioni (14,7 nel corrispondente periodo precedente), in seguito a rettifiche di valore sui crediti per 24 milioni, circa il doppio in più. Il Cet! è del 10,74%.

BIANCAMANO - Dopo un lungo silenzio, è riuscita quale notizia sul gruppo Biancamano, che si è presentato come il primo operatore privato italiano nel waste management (gestione dei rifiuti) e leader nei servizi integrati di igiene urbana, con circa 2.200 addetti e 3.000 automezzi. Una notizia è che è stato raggiunto un accordo con le banche nell'ambito della procedura concordataria della controllata Aimeri Ambiente e un'altra è che il progetto di bilancio 2016 riporta ricavi per 92,1 milioni (-19% rispetto al 2015), un risultato negativo per 18,7 milioni (86 milioni nell'esercizio precedente) e un indebitamento netto di 113,3 milioni. La capitalizzazione borsistica della Biancamano - presidente Giovanni Battista Pizzimbone, amministratore delegato Massimo Delbecchi -  è di poco superiore ai 5 milioni.





Cambi al vertice

BOERO - Dal 15 agosto, Giorgio Rupnik non sarà più l'amministratore delegato della Boero Bartolomeo, holding industriale quotata in Borsa dal 1982 e a capo dell'omonimo gruppo genovese leader nel settore delle vernici per edilizia, yachting e comparto navale. Rupnik ha comunicato le sue dimissioni, il 24 luglio, per motivi personali. Le deleghe che aveva, non in esclusiva, restano in capo alla presidente Andreina Boero, alla quale risponderà direttamente il direttore generale Giampaolo Iacone, già presente in Consiglio di amministrazione.
Giorgio Rupnik, romano, 57 anni, genero di Andreina Boero, avendone sposato la figlia Cristina, era stato nominato amministratore delegato nel 2004, l'anno dopo che "la regina italiana dei colori", esponente della quinta generazione al vertice dell'azienda di famiglia, aveva ricevuto l'onorificenza di Cavaliere del lavoro, insieme con l'armatore Paolo Clerici, altro figlio d'arte. Cristina Cavalleroni Boero, figlia di Andreina, è vice presidente della capogruppo dal 2010, carica che condivide con Giuseppe Carcassi.
A livello consolidato, il gruppo Boero, che conta tre centinaia di dipendenti, nel 2016 ha fatturato 85,4 milioni (93,3 nell'esercizio precedente), ha avuto un utile operativo di 1,9 milioni e un utile netto di 159.000 euro, inferiore agli 833.000 del 2015, ma tale da consentire la distribuzione di 0,13 euro per azioni, come l'anno scorso (a Piazza Affari, la Boero capitalizza 81,5 milioni e il titolo, quest'anno, ha fatto segnare, finora, un massimo di 20,5 euro e un minimo di 18).
Sede legale, direzionale e commerciale a Genova, dove ha anche un importante centro di ricerca che collabora con l'Iit (l'Istituto italiano di tecnologie, guidato dal validissimo Roberto Cingolani), il gruppo Boero produce, dal 2009, a Rivalta Scrivia.

KI GROUP - Nuovo colpo di scena alla Ki Group, la società torinese presieduta da Daniela Garnero Santanché e presente sul listino Aim della Borsa milanese: nel mese scorso, il Consiglio di amministrazione ha deliberato il ritiro delle deleghe gestorie all'amministratore delegato Bernardino Camillo Poggio, al quale ha anche ratificato la sospensione cautelare dal ruolo dirigenziale.
Inoltre, nella stessa riunione, il Consiglio di amministrazione ha recepito le dimissioni irrevocabili del consigliere Michele Mazzaro, cooptando al suo posto Giuseppe Dossena, subito nominato nuovo amministratore delegato della società, la quale opera, anche attraverso le proprie controllate, nella distribuzione capillare di prodotti biologici, biodinamici e naturali nei canali del retail specializzato (alimentari biologici, erboristerie e farmacie).
Giuseppe Dossena ha ricoperto posizioni di rilievo in Heinz Italia e Pepsico e, più recentemente, è stato presidente e amministratore delegato di Balconi industria dolciari, "portando, in quattro anni, il fatturato da 111 a circa 160 milioni di euro" è stato precisato nel comunicato della Ki Group, che vanta una gamma di circa 2.500 referenze delle migliori marche.

FONDAZIONE CR VERCELLI - Pochi giorni prima della fine di luglio, Fernando Lombardi si è insediato alla presidenza della Fondazione Cr Vercelli, che a fine 2016 aveva un patrimonio netto contabile di 115,6 milioni di euro, cifra che vale il cinquantesimo posto nella graduatoria nazionale delle fondazioni di origine bancaria.
Fernando Lombardi, nato a Vercelli 67 anni fa, laurea in Scienze Politiche all'Università di Torino, è stato direttore dell'associazione locale dei commercianti dal 1978 al 2014 e, dal 2003 al 2011, consigliere di amministrazione di Biverbanca, istituto del quale la Fondazione possiede ancora il 6,14% del capitale, valutato 15,2 milioni (la partecipazione ha reso, nel 2016, un dividendo di 375.000 euro). Dal 2013, Fernando Lombardi è consigliere di amministrazione del Fondo di previdenza Mario Negri (Confcommercio).
Oltre che da Fernando Lombardi, il nuovo Consiglio di amministrazione della Fondazione Cr Vercelli è composto dal vice presidente Paolo Garbarino (ex rettore dell'Università del Piemonte Orientale) e da Isabella Rosatra, Alessandro Scheda, Andrea Barasolo, Paoletta Picca e Attilio Reggiani. Segretario generale è Roberto Cerreia Vioglio.
La Fondazione vercellese ha presentato nel bilancio 2016, chiuso con proventi per 3,85 milioni e un avanzo (utile netto) di 2,12 milioni, partecipazioni anche in Banca d'Italia, Banca Sella e Ream Sgr, oltre a quella in Biverbanca, controllata dalla Banca di Asti - Cassa di Risparmio. Nell'anno passato, la Fondazione Cr Vercelli ha deliberato erogazioni per 2,5 milioni.

FINPIEMONTE - Salvo imprevisti, non esclusi, Finpiemonte, finanziaria della Regione Piemonte che ha ottenuto recentemente da Banca d'Italia l'iscrizione all'albo degli intermediari finanziari e vanta una liquidità di circa 600 milioni, avrà presto un nuovo presidente e due nuovi consiglieri di amministrazione. Il 27 luglio, infatti, il vice governatore regionale, Aldo Reschigna, ha firmato il decreto di nomina di Stefano Ambrosini, designato presidente; Giuseppe Benedetto, Annalisa Genta, entrambi confermati, Paola Bosso e Federico Merola.
Stefano Ambrosini, torinese, classe 1969, avvocato civilista dal 1995, giurista, professore ordinario di Diritto commerciale all'Università del Piemonte Orientale, oltre che docente du Diritto della crisi d'impresa alla Luiss di Roma, ha un curriculum impressionante: fra l'altro, ha gestito oltre trenta amministrazioni straordinarie e liquidazioni coatte più una cinquantina di concordati preventivi. E' stato commissario straordinario anche dell'Alitalia, della Bertone, del consorzio Asa, della Tirrenia e commissario giudiziale anche della Fondazione Maugeri, della Porto di Imperia e della Fashion (Burani). Ha fatto parte di comitati tecnici della Camera dei Deputati e del Consiglio generale della Compagnia di San Paolo. Tra i suoi ultimi incarichi (2016) si ricordano almeno quelli di presidente di Veneto Banca e Bim-Banca Intermobiliare, entrambi però di brevissima durata.
Autore di diverse monografie e di oltre cento saggi giuridici, Stefano Ambrosini, che in Finpiemonte è destinato a subentrare a Fabrizio Gatti,  è anche direttore della collana della Zanichelli dedicata al Diritto fallimentare.

Meno vittime sulle nostre strade

Meno morti sulle strade del Nord Ovest. E meno incidenti con lesioni a persone. L'anno scorso, sono state 306 le persone che hanno perso la vita a causa di incidenti stradali nelle nostre regioni: 36 in meno rispetto al 2015. Il calo è del 10,5%, più che doppio della media nazionale, pari al 4,2%. A comunicarlo è l'Istat, l'istituto centrale di statistica, precisando che i morti per incidente stradale, nel 2016, sono stati 247 in Piemonte (246 nel 2015), 58 in Liguria (89) e 3 in Valle d'Aosta (7). 
Altra notizia positiva: rispetto al 2010, le vittime della strada sono state il 72,7% in meno in Valle d'Aosta (allora 11), il 35% in meno in Liguria (84) e il 24,5% in meno in Piemonte (327). Complessivamente, il Nord Ovest, ha avuto 116 morti in incidenti stradali meno che sei anni prima. A conferma di una tendenza positiva, comune al resto dell'Italia. Il calo nazionale, infatti, è stato del 20,2%: 3.283 le vittime stradali dell'anno scorso contro le 4.114 del 2010.
Un miglioramento che ha rilevanti benefici anche di carattere economico, perché ogni persona ha anche un valore economico, sempre e comunque. Ha un valore la vita di un grande imprenditore, di un top manager, di un professionista d'eccellenza, così come hanno un loro valore, logicamente diverso, le vite di un bambino, uno studente, un impiegato semplice, un artigiano, un piccolo commerciante, una casalinga... 
Tutti hanno un valore economico, per sé, per le loro famiglie, per le aziende o gli enti che li occupano, per lo Stato. Hanno un valore per quello che producono o potrebbero produrre, per i redditi che generano, per i contributi e le tasse che versano, per quanto è costata la loro formazione, per le spese relative alla loro salute e, fra l'altro, per la pensione che ricevono o riceveranno. 
Ecco, perché, appare corretto considerare anche l'aspetto economico quando si tratta di incidenti stradali "con lesioni a persone", come specifica l'Istat per le sue rilevazioni. Ogni riduzione del numero di morti e feriti in incidenti stradali, comporta non soltanto una riduzione di dolori, traumi e tragedie, ma anche una riduzione delle perdite finanziarie della società, perché ogni vita umana è un attivo patrimoniale.
Tornando alle cifre dell'Istat. Nel 2016, in tutta l'Italia, si sono verificati 175.791 incidenti stradali con lesioni a persone, 1.252 più dell'anno precedente: i morti sono stati, appunto, 3.283 (decesso entro il mese dal fatto) e i feriti 249.175. Rispetto al 2015, le vittime sono state 145 in meno, mentre si sono avuti 4.255 feriti in più. Per la prima volta dal 2001, il numero degli incidenti e dei feriti è aumentato. In particolare, è cresciuto del 9% il numero dei feriti gravi, risultati così oltre 17.000. Sono aumentati, però, anche il parco circolante (+1,4%) e le percorrenze autostradali (oltre 82 miliardi di chilometri, il 3,3% in più).
Per quanto riguarda i decessi, sempre conseguenti a incidenti stradali, sono aumentati del 9,6% quelli dei ciclisti (275) e del 10,5% quelli dei ciclomotoristi (116); al contrario, sono calati del 15% quelli dei motociclisti (657) e del 5,3% quelli dei pedoni (570). Gli automobilisti morti sono stai 1.470, numero sostanzialmente uguale a quello del 2015.
L'Istat riporta, fra l'altro, le cause principali degli incidenti con lesioni a persone. Le prime tre, che rappresentano il 41,5% dei casi, sono: Guida distratta (36.119 incidenti), mancato rispetto della precedenza o del semaforo (32.879), eccesso di velocità (23.397). Tra le altre cause spiccano: mancanza della distanza di sicurezza (21.780 incidenti), manovre irregolari (15.934), Comportamento scorretto del pedone (7.417).
Infine, l'evoluzione nelle due città metropolitane del Nord Ovest: nel 2016, Torino ha registrato 5.734 incidenti stradali con lesioni a persone contro i 5.920 del 2015; Genova 5.101 contro 5.214. I morti sono stati 95 nell'area metropolitana torinese (96 nel 2015) e 21 in quella genovese, 23 meno dell'anno precedente.