Il capolavoro dei Rizzante

Tra i non addetti ai lavori, pochi la conoscono, persino a Torino, dove è stata costituita 21 anni fa e dove ha sede, nonostante sia un campione della Borsa italiana, abbia più di 6.200 dipendenti e sia un'eccellenza imprenditoriale nel campo delle più avanzate tecnologie informatiche. Il soggetto in questione è Reply, società a capo di un gruppo specializzato nella progettazione, implementazione e manutenzione di soluzioni basate su internet e sulle reti sociali. Un gruppo che controlla centinaia di aziende, sparse un po' in tutto il mondo e che, nel 2016, ha fatturato 780 milioni, con un utile netto di 67,5 milioni.
Reply, la cui maggioranza assoluta appartiene alla famiglia Rizzante, fondatrice, è un'impresa straordinaria, che si sviluppa a un ritmo impressionante (nel suo primo esercizio aveva fatturato meno di 6 milioni) Lo hanno confermato anche i dati del primo trimestre di quest'anno: ricavi per 208,4 milioni (186,3 nello stesso periodo 2015), margine operativo lordo di 28 milioni (25), utile di 25,3 milioni ante imposte (22,5). E, al 31 marzo, posizione finanziaria netta positiva per 80,6 milioni, a fronte dei 28,2 di fine 2016.
In Borsa, Reply sta capitalizzando oltre 1,5 miliardi. Il 7 giugno, la sua azione è stata scambiata fino a 181 euro, nuovo record storico. Cifre che diventano particolarmente significative se si considera che l'azione Reply valeva 60,9 euro ancora al 31 dicembre 2014 e 21 euro alla stessa data del 2012, quando la sua capitalizzazione era di 193,6 milioni. Indubbiamente c'è chi ha fatto una fortuna puntando su Reply, la cui crescita sembra irresistibile, come sono state finora le sue performance reddituali e borsistiche.
A proposito proprio delle performance del titolo, Mario Rizzante, presidente e amministratore delegato di Reply, ha dichiarato che  "è interessante come numerosi azionisti e investitori abbiano confermato il loro interesse in merito a un aumento della liquidità dell'azione. Al fine di recepire questa indicazione - ha aggiunto Mario Rizzante - il management e i principali azionisti saranno focalizzati su un incremento della liquidità dell'azione Reply, quale obiettivo di medio termine".
Insomma, s'intuisce l'intenzione di aumentare il numero delle azioni disponibili sul mercato, finalità che potrebbe essere raggiunta anche con una vendita parziale di titoli attualmente nel portafoglio della Alika srl (holding della famiglia Rizzante), la quale possiede il 52,78% del capitale di Reply, mentre il secondo maggior socio singolo è Goldman Sachs con il 3,6%.
Nella guida di Reply, Mario Rizzante, che ha incominciato come operaio Fiat, è affiancato dalla figlia Tatiana, anche lei amministratore delegato, e dal figlio Filippo, consigliere di amministrazione con incarichi operativi. (è Chief Technology Officer).
Tatiana Rizzante, laureata in Ingegneria informatica al Politecnico di Torino, è al vertice di Reply, di cui è stata cofondatrice insieme con altri manager, da oltre dieci anni. Sposata, una figlia, da sempre appassionata di nuove tecnologie, in azienda si è occupata subito della creazione e dello sviluppo delle competenze nei settori a elevato tasso di innovazione, promuovendo anche le numerose acquisizioni. Prima di entrare nell'impresa di famiglia, ha lavorato allo Cselt (ora Tlab). Per i suoi valori, è stata chiamata a far parte, fra l'altro, del Consiglio direttivo di Confindustria Digitale ed è stata nel cda di Ansaldo StS (ex Finmeccanica, ora Leonardo).

Finanza italiana

CREDITI DETERIORATI (NPL) - Alla fine del 2016, i crediti deteriorati delle banche italiane (finanziamenti, mutui e prestiti, che i debitori non riescono più a ripagare regolarmente o del tutto) ammontava a 173 miliardi, pari al 9,4% degli impieghi totali degli istituti. Di questa montagna di crediti concessi dalle banche, 81 miliardi erano rappresentati da "sofferenze" (crediti la cui riscossione non è certa, perché i soggetti debitori si trovano in stato di insolvenza o in una situazione equiparabile) e i restanti 92 miliardi dalle altre esposizioni deteriorate, già svalutate per circa un terzo del valore nominale.
Di crediti deteriorati o di Npl, come ormai molti li chiamano usando il termine inglese (non performing loans) nel sistema finanziario nazionale si parla, da mesi, sempre di più. Sono considerati, infatti, il cancro delle banche italiane. E quasi non passa giorno che non arrivi, da diverse parti, la sollecitazione a disfarsene, il più presto possibile. Addirittura, in qualche caso, la Bce dà ultimatum. Però, c'è un problema. Le banche puntano a vendere gli Npl senza rimetterci troppo, mentre le società specializzate nell'acquisto e nella gestione dei crediti deteriorati mirano a pagarli poco, spesso tra il 20 e il 30% del loro valore nominale.
Così, succede che le banche ci rimettono un sacco di soldi, mentre i pochi operatori acquirenti di soldi ne guadagnano un sacco, essendo capaci a riscuotere dai debitori somme ben più elevate di quelle pagate per i crediti deteriorati rilevati.
Dell'anomalia di questo nuovo, colossale business, si è reso conto lo stesso Governatore della Banca d'Italia, il quale ha riconosciuto che "La Vigilanza è consapevole della necessità di non forzare politiche generalizzate di vendita dei crediti deteriorati, che conducono, di fatto, a un trasferimento di risorse dalle banche italiane a pochi investitori specializzati". Peccato, però, che il pressing sulle banche italiane continui, a tutto vantaggio degli speculatori.

LA STRAGE BANCARIA - Altro che deforestazione bancaria, qui è una strage. Già al 31 dicembre 2016, nel nostro Paese si sono ridotti a 70 i gruppi bancari e a 475 le banche non incluse nei gruppi. Esattamente un anno prima i gruppi erano ancora 75 e 504 le banche non incluse nei gruppi. Numeri che diventano ancora più significativi se si considerano sia i consuntivi degli anni precedenti sia il fatto che delle banche non incluse nei gruppi a fine 2016 ben 325 sono Bcc (credito cooperativo) e 82 succursali di istituti esteri. Inoltre, va considerato che dall'inizio di quest'anno a oggi, il sistema ha avuto ancora altre perdite e nei prossimi mesi il fenomeno continuerà.
Insomma, tra poco, di banche indipendenti in Italia ne resteranno un centinaio. Intanto, cala, ancora di più e rapidamente, il numero degli sportelli e dei dipendenti. Mentre, l'attività tipica si mantiene su buoni livelli. Infatti, la raccolta bancaria da clientela, in essere al 31 maggio, è risultata pari a 1.713,9 miliardi e gli impieghi in essere hanno sfiorato i 1.800 miliardi.

ASSICURAZIONI - Nel 2016, il totale dei premi pagati alle compagnie assicurative operanti in Italia è sceso a 134 miliardi, l'8,7% in meno rispetto ai 147 miliardi del 2015. Il calo si deve soprattutto al Ramo Vita, che ha incassato l'11% in meno, evidenziando così un'inversione di tendenza dopo i tre anni precedenti di crescita progressiva. Più contenuta è stata la diminuzione del valore delle polizze emesse nel comparto Auto, ridotto del 3% e in linea, negativa, con l'ultimo lustro. E' invece risalito del 3% il Ramo Danni non auto. Però, il Ramo Vita vale il 76% dei premi assicurativi pagati l'anno scorso nel nostro Paese, mentre il Ramo Danni vale il 24%, equamente diviso tra Auto e non.
In merito all'Rc Auto, va rilevato che il premio medio 2016 per l'assicurazione obbligatoria di una vettura a uso privato è sceso a 420 euro (al netto di tasse e contributi), somma che però è ancora superiore di 140 euro a quella pagata da francesi, tedeschi e spagnoli. Forse può consolare, comunque, che nel 2015 il divario era di 190 euro e di oltre 260 nel 2011.
Le 111 compagnie assicurative attive in Italia, con quasi 30.000 dipendenti e oltre 5.700 broker, alla fine dell'anno scorso avevano, all'attivo, investimenti per oltre 810 miliardi (a valore di mercato), 360 dei quali rappresentati da titoli di Stato. Insieme, hanno dichiarato un utile complessivo vicino ai 6 miliardi, quanto nell'esercizio precedente.

BORSA DI MILANO - Piazza Affari in double face. L'anno scorso, l'indice Ftse Italia Mib storico è diminuito del 7,6% e la capitalizzazione totale delle società italiane quotate è calata a 525 miliardi a fine 2016 dai 573,6 di fine 2015. E' sceso anche il controvalore degli scambi di azioni delle società nazionali a 615,4 miliardi dai 792.9 precedenti. Al contrario, sono aumentate le società presenti nel listino da 356 a 387, il numero più alto degli ultimi cinque anni. Sono cresciuti, inoltre, i dividendi distribuiti dalle quotate italiane (da 15,1 a 16,7 miliardi), come i rapporti fra gli utili e la capitalizzazione e fra i dividendi e la capitalizzazione.

CONTI PUBBLICI - Il consolidato 2016 delle Amministrazioni pubbliche, riportato nella relazione annuale della Banca d'Italia, mostra entrate totali per 788,5 miliardi, ancora 2,6 miliardi in più rispetto al 2015 e quasi 41 miliardi più che nel 2011; inoltre, mostra spese totali per 829,3 miliardi, quasi un miliardi meno dell'anno prima, ma 20,7 miliardi in più rispetto al 2011. Insomma, le Amministrazioni pubbliche continuano a spendere più di quanto incassano e, come se non bastasse, la crescita delle loro spese è superiore a quella delle loro entrate. Chiaro che così il debito pubblico non può che continuare a salire.
Altrettanto grave è che le sole spese pubbliche in diminuzione sono quelle relative agli interessi pagati per i debiti (merito esclusivo della Bce di Mario Draghi e dei suoi tassi bassissimi) e quelle per gli investimenti fissi, pari a 35 miliardi nel 2016 a fronte degli oltre 45 di cinque anni prima.
Naturalmente, viene fatto osservare che però è calata l'incidenza sul Pil sia delle spese (al 49,6%), sia delle entrate (al 47,1%), sia dell'indebitamento netto (al 2,4%); tuttavia, andrebbe aggiunto, che questi risultati sono conseguenti non a comportamenti virtuosi delle Amministrazioni pubbliche, ma al miglioramento del Pil, frutto prevalentemente dei soggetti privati.  


Celi (hi-tech) alla H-Farm

Sempre più intensa la caccia di nuove imprese torinesi ad alta tecnologia da parte degli investitori. L'ultima preda, in ordine di tempo, è la Celi, pmi innovativa leader nel campo dell'intelligenza artificiale, del machine learning e dell'analisi del linguaggio (progetta e realizza tecnologie semantiche multilingue per estrarre conoscenza e creare valore dai dati linguistici).
Il 100% della Celi è appena stato comprato dalla H-Farm, società quotata in Borsa, primo venture incubator al mondo, oltre 250 dipendenti e un fatturato superiore ai 28 milioni nel 2016. Il valore dell'operazione è di 2,3 milioni, che i soci di Celi ricevono in parte in denaro e in parte in azioni della H-Farm, fondata e guidata da Riccardo Donadon.
La Celi, che ha come presidente e amministratore delegato Vittorio Di Tomaso (secondo ad è Giampaolo Mazzini), ha tre sedi - Torino, Milano, Trento - opera in Europa, Usa e Asia; conta 25 dipendenti e vanta un'esperienza di 15 anni. Nel passato esercizio ha fatturato 1,8 milioni, realizzando un utile operativo di 360.000 euro.

Bim cambia di nuovo proprietà

Nuova svolta per la Bim - Banca intermobiliare di investimenti e gestioni. La banca torinese specializzata nella gestione di patrimoni familiari cambia proprietà, un'altra volta. La quota della Bim in portafoglio a Veneto Banca, pari al 71,4% del capitale, è destinata alla vendita. E a comprarla non sarà Intesa Sanpaolo, che ha escluso questa partecipazione dal perimetro delle attività da rilevare in seguito al contratto firmato, domenica 25 giugno, con i commissari liquidatori della Popolare di Vicenza e, appunto, di Veneto Banca, nominati dalla Banca d'Italia, dopo l'accordo con il ministro dell'Economia e delle Finanze.
La Borsa ha accolto positivamente la notizia. Nella prima giornata successiva alla decisione della liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza e dell'acquisizione di buona parte delle loro attività e passività a Intesa Sanpaolo, grazie anche al contributo dello Stato, il titolo Bim ha fatto registrare un aumento del 13,7%, chiudendo a 1,363 euro. Quotazione ancora inferiore al massimo annuale di 1,58 raggiunto il 10 gennaio, ma decisamente superiore al minimo di 1,14 euro toccato venerdì 23 del mese corrente, quando era dilagante l'incertezza sul destino della Banca, nata proprio vent'anni fa, dopo essere stata Sim e, prima ancora, Commissionaria di Borsa, dal 1981, anno a cui si possono far risalire le origini dell'istituto finanziario.
Veneto Banca era entrata in Bim nel 2009, acquisendo il 40% della Cofito, holding che possedeva il 52,3%  di Banca Intermobiliare. Nel 2011, però, Veneto Banca incorpora Cofito, per fusione, e diventa controllante della Bim. Tuttavia, nel giugno dell'anno scorso, la maggioranza di Veneto Banca passa al fondo Atlante, gestito da Quaestio Capital Management Sgr, che, perciò, sia pure indirettamente, diventa il nuovo azionista di controllo della Bim. Condizione durata un anno e finita domenica, altra data storica per banca torinese che è stata delle famiglie Segre, Scanferlin, D'Aguì, ancora titolare del 9% delle azioni.
La Bim, che dispone di 29 filiali sparse in Italia e 165 private banker e che ha in portafoglio Bim Suisse, Symphonia Sgr, Bim Fiduciaria e Bim Insurance Brokers, al 31 marzo scorso, presentava una raccolta globale - amministrato più gestito - pari a 9,2 miliardi di euro e un Cet1 dell'11,43%. Ha chiuso il primo trimestre con un risultato negativo di 2 milioni. Nell'intero 2016 ha perso 83,1 milioni, dopo averne persi 28,8 nel 2015. Attualmente è presieduta da Maurizio Auri. Direttore generale è Stefano Grassi, consigliere di amministrazione con deleghe Giorgio Girelli.

Alberto Bertone, re delle minerali

Il re delle acque minerali: è Alberto Bertone, il numero uno della Fonti di Vinadio, che ha Sant'Anna come marchio di punta. Nel 2016, suo ventesimo esercizio, l'impresa piemontese ha venduto un miliardo di bottiglie di acqua minerale. tutta proveniente dalla sorgente cuneese che si trova a 1.950 metri sul livello del mare, più un centinaio di milioni di bicchierini di SanThé e SanFruit. Ha fatturato 280 milioni di euro, solo per il 5% dovuti alle vendite all'estero (primo mercato la Cina).
In un'intervista, pubblicata da Cronaca Qui del 24 di questo mese, Alberto Bertone, classe 1966, torinese di Moncalieri, ha anticipato che i ricavi di quest'anno ammonteranno a 300 milioni di euro, confermando un trend di crescita elevata, nonostante che il mercato nazionale, maturo, aumenti meno di due punti percentuali all'anno.
Bertone ha anche riferito che la sua azienda, che conta 110 dipendenti e ha sempre chiuso i bilanci in attivo (con una redditività elevata), sta investendo 50 milioni all'anno, per aumentare la capacità produttiva (punta a 3 miliardi di bottiglie l'anno) e la competitività, restare all'avanguardia tecnologica, ridurre i costi, fare ricerca e innovazione, sviluppare la gamma d'offerta e la diversificazione. Fra l'altro, sta girando il mondo per trovare nuove opportunità: Paesi dove replicare il modello Sant'Anna (in testa si trovano gli Usa), oltre che acquisizioni. La liquidità c'è, senza bisogno di ricorrere alle banche, né di aprire il capitale ad altri soci né di quotarsi in Borsa.
Oltre a fare il presidente e l'amministratore delegato della Fonti di Vinadio, fondata nel 1996 con il padre Giuseppe, Alberto Bertone, laurea in Scienze Politiche e un master Corep al Politecnico di Torino, fa l'imprenditore nell'edilizia residenziale e industriale, tradizionale attività della famiglia ed è impegnato in consigli di amministrazione di diversi enti e società: dalla Fondazione Sviluppo e Crescita Crt alla Pegaso Investimenti, al Fondo Nord Ovest della Ream Sgr e alla Via Ivrea 24 Abitare Sostenibile.
Alla domanda sulla situazione e le prospettive di Torino, Alberto Bertone ha risposto: "Dal 2006, con le Olimpiadi, Torino è diventata un'altra città. Allora abbiamo saputo interpretare la crisi, cambiare vestito, riprendere a crescere. Negli ultimi anni, però, abbiamo tenuto lo stesso vestito, rivoltandolo da una parte e dall'altra. Ci siamo fermati, mentre gli altri sono andati avanti. E questo ha comportato un arretramento. Mancano le idee. Gestiamo, non creiamo. Non si fa più nulla di nuovo, anche se le possibilità non mancano".
Quanto al successo delle acque minerali, da anni in Italia, Francia e altri Paesi europei, ma presto in altre parti del mondo, Alberto Bertone ha spiegato che si spiega molto semplicemente con la differenza che c'è con l'acqua del rubinetto: l'acqua minerale è un prodotto assolutamente naturale, imbottigliata come sgorga dalla fonte; l'acqua di rubinetto è trattata chimicamente per essere potabile, provenendo prevalentemente da fiumi, spesso inquinati, e viaggiando in tubazioni normalmente obsolete, con fessure che lasciano penetrare sostanze contaminanti.



Meno imprese rosa

Perde colpi l'imprenditoria del Nord Ovest. Al 31 marzo 2017, sono risultate 135.784 le imprese femminili iscritte alle locali Camere di commercio, un migliaio in meno rispetto al 31 dicembre 2016, quando erano appunto 136.800. Il calo riguarda tutte le tre regioni. In Piemonte, le imprese con titolare donna sono scese da 97.948 a 97.159, in Liguria da 35.910 a 35.716 e in Valle d'Aosta da 2.952 a 2.909.
Nella regione alpina, però, il tasso di "femminilizzazione" imprenditoriale (rapporto tra il numero delle imprese guidate da donne e il totale delle imprese attive alla stessa data) è ancora salito un po', raggiungendo il 23,19%, che è il più elevato nel Nord Ovest. Invece, è diminuito di mezzo decimo di punto in Liguria (dal 22,1% al 22,05%) ed è rimasto invariato in Piemonte: 22,3%, indice che vale la posizione di metà classifica a livello nazionale.
Il tasso medio italiano di "femminilizzazione" imprenditoriale, infatti, è del 21,75%, corrispondente a 1.316.017 imprese rosa sul totale di 6.051.290 emerso dal censimento di Unioncamere al 31 marzo scorso (le imprese con un titolare maschio sono 4.735.273). A presentare le quote più elevate di imprese rosa sono il Molise (28,11%), la Basilicata (26,71%) e l'Abruzzo (25,78%); al contrario, le più basse sono evidenziate da Trentino-Alto Adige (17,66%), Lombardia (18,43%) e Veneto (19,72%).
Nel primo trimestre di quest'anno, l'Italia ha perso quasi 6.000 imprese femminili.

Nelle banche 132 miliardi

Quasi 132 miliardi di euro. E' la somma che risultata depositata, da parte delle famiglie e delle imprese nelle banche attive nel Nord Ovest, al 31 dicembre scorso. In particolare: 94,3 miliardi costituiscono i depositi bancari in Piemonte, 34 miliardi in Liguria e 3,3 miliardi in Valle d'Aosta. In queste ultime due regioni, i depositi sono aumentati rispetto al 2015, sia pure di pochissimo; invece, in Piemonte sono diminuiti di 1,3 miliardi. A dimostrazione che la crisi economica è continuata, erodendo ancora la capacità di risparmiare.
Quanto ai prestiti delle banche a famiglie e imprese del Nord Ovest, i resoconti della Banca d'Italia dicono che sono rimasti sullo stesso livello dell'anno precedente. Infatti, il loro totale è stato di 151,4 miliardi, inferiore di circa 260 milioni a quello emerso al 31 dicembre 2015. In Piemonte, i prestiti bancari in essere a fine 2016 ammontavano a 112,8 miliardi (112,3 miliardi dodici mesi prima), in Liguria a 35,8 miliardi scarsi (36,6) e in Valle d'Aosta a 2,8 miliardi, pochi milioni più che alla stessa data 2015.
Anche l'evoluzione degli impieghi conferma che, l'anno scorso, nel Nord Ovest, gli investimenti non sono ripartiti. Come si dice, gergalmente, nel mondo creditizio: il cavallo ha continuato a non bere. come negli esercizi immediatamente precedenti. Lo spirito imprenditoriale ha stentato ancora. Scarse le nuove iniziative, comunque insufficienti ad alimentare una riscossa. Un problema in più per le banche, che, normalmente, guadagnano sui prestiti, erogando denaro a un prezzo superiore a quanto lo pagano.
L'industria bancaria è in difficoltà da tempo, per diverse ragioni (naturalmente, se è vero che il settore è in sofferenza è altrettanto vero che, nel Nord Ovest come altrove, si trovano banche, delle diverse dimensioni, che vanno bene e continuano a presentare bilanci con buoni utili, adeguata redditività e solidità tranquillizzante).
In ogni caso, anche nel Nord Ovest, le banche hanno ridotto il numero dei dipendenti e degli sportelli. Complessivamente, al 31 dicembre scorso, i dipendenti sono risultati 38.830, dei quali 30.589 in Piemonte, 7.747 in Liguria e 494 in Valle d'Aosta. Quanto agli sportelli, sono passati dai 3.338 di fine 2015 ai 3.281 di fine 2016, quando ne sono stati censiti 2.364 in Piemonte (2.451 un anno prima), 822 in Liguria (841) e 95 in Valle d'Aosta (96).

Novarese il leader della moda italiana

Riunisce oltre 37.000 imprese del Made in Italy, che danno lavoro a 580.000 persone e generano un fatturato annuo superiore ai 90 miliardi, per il 62%  derivante dalle vendite all'estero. Il soggetto che rappresenta questo sistema produttivo ed economico è Confindustria Moda, federazione confindustriale nata pochi mesi fa, grazie anche all'impegno e alla volontà di un novarese, Claudio Marenzi, che ne è stato subito eletto presidente.
Claudio Marenzi, 55 anni, recentemente eletto anche presidente di Pitti Immagine, è il numero uno della Herno di Lesa, un'azienda eccellente del settore abbigliamento con un marchio ambasciatore del prodotto italiano di lusso nel mondo. Fondata nel 1948, a Lesa (Novara), da Giuseppe Marenzi e dalla moglie Alessandra Diana, la Herno incomincia come fabbricante di impermeabili.
A dare la svolta strategica, è proprio l'ultimo dei tre figli della coppia, Claudio, il quale sta facendo raddoppiare il fatturato della Herno ogni due anni (76 milioni di euro nel 2016, per il 60% dovuti alle esportazioni), conquistando progressivamente nuovi mercati, puntando sulla creatività, l'innovazione, le tecnologie avanzate, il gusto.
Claudio Marenzi, che conosce ogni aspetto del prodotto e del processo, è entrato nella Herno, della quale è ora presidente e amministratore delegato, quando aveva poco più di vent'anni.

L'Ucid di Ghidella

"Ucid, nel prossimo triennio, si pone l'obiettivo di essere un nuovo riferimento degli imprenditori, dirigenti e professionisti, che desiderino offrire ai propri stakeholder soluzioni operative e formative per la gestione dell'impresa e della pubblica amministrazione, che coniughi competitività e centralità della persona... Vorremmo contribuire alla creazione di una nuova classe dirigente, con soluzioni innovative d'impresa e di amministrazione pubblica basate sui valori cristiani. Intendiamo essere l'hub culturale e di azione, fra il mondo economico e del lavoro, le istituzioni e la società civile, per offrire cambiamento, speranza e costruzione del bene comune".
E' questo, in sintesi, il programma di Riccardo Ghidella per l'Ucid nazionale, del quale è stato eletto, il giugno, all'unanimità, presidente per il triennio 2017-2020. L'Ucid , fondata nel 1947 come unione di imprenditori e dirigenti di ispirazione cristiana, è un'associazione apartitica, che richiama i suoi soci all'impegno per la realizzazione del bene comune. La sua struttura è di tipo federale, composta attualmente da 17 gruppi regionali, a loro volta divisi in un centinaio di sezioni provinciali. Tra i predecessori di Riccardo Ghidella spiccano i nomi di Giuseppe De Rita, Francesco Merloni, Angelo Ferro e, ultimo, Giancarlo Abete.
Riccardo Ghidella, torinese, classe 1958, sposato, un figlio, è un alto dirigente di Edf - Fenice, società subalpina interamente posseduta da Edf (Electricité de France) colosso transalpino dell'energia. Edf - Fenice, che progetta, finanzia, costruisce e gestisce impianti per la produzione e la distribuzione di energia riducendone i costi, ha circa 1.850 dipendenti e fattura oltre 400 milioni di euro. Sede a Rivoli, nella cintura torinese, ha come amministratore delegato Paolo Quaini.
Prima di diventare il numero uno nazionale, Riccardo Ghidella è stato presidente dell'Ucid Torino dal 2009 al 2014 e poi dell'Ucid Piemonte e Valle d'Aosta. Il nuovo incarico si aggiunge a quelli di vice presidente Assistal Confindustria Servizi, consigliere del Direttivo Amma (imprese metalmeccaniche), membri della Giunta dell'Unione Industriale di Torino e vice presidente della Fondazione Teatro Stabile, membro del Consiglio pastorale dell'Arcidiocesi di Torino e della Commissione regionale per i problemi sociali e del lavoro della Cei del Piemonte.
Oltre a Riccardo Ghidella, sono stati eletti i liguri Davide Viziano (vice presidente vicario) e Michele Thea (coordinatore del Gruppo Giovani).

Dicono che ... 2

LUSSEMBURGO - Dicono che fossero circa 500 le personalità subalpine che hanno partecipato, mercoledì 21 giugno, alla festa torinese del Granducato del Lussemburgo, organizzata sontuosamente e magistralmente, come negli anni passati, dal console onorario Ettore Morone, ben noto e stimato titolare dell'omonimo studio notarile cittadino, dove fa il notaio anche il figlio Remo. Nel parco dell'Unione Industriale, l'ambasciatrice del Lussemburgo in Italia, Janine Finck ed Ettore Morone, hanno accolto e salutato, uno per uno, banchieri, imprenditori, avvocati, commercialisti, manager, accademici, consulenti, finanzieri, intellettuali, esponenti di Ordini professionali e istituzioni, insomma non pochi componenti dell'èlite di Torino e dintorni.
Dicono che Janine Finck, ambasciatrice accreditata anche presso la Repubblica di San Marino, l'Ungheria, Malta e la Fao, abbia manifestato a Ettore Morone la piena soddisfazione per il successo del ricevimento, congratulandosi per l'eccellenza degli ospiti e il loro numero, ancora superiore alle sempre folte edizioni precedenti (nuovo record di presenze).
Il Granducato del Lussemburgo è uno dei maggiori investitori esteri in Piemonte e, a sua volta, è sede di numerose società piemontesi, finanziarie e industriali, alcune delle quali vi hanno anche il quartiere generale, come, per esempio, la Ferrero e Guala Closures.
Ettore Morone è uno dei sette consoli onorari del Granducato del Lussemburgo in Italia e il suo tradizionale appuntamento annuale è il più ambito.

CARIGE - Dicono che, a Genova, non pochi piccoli azionisti della travagliata Banca Carige, prossima a un nuovo aumento di capitale (maxi rispetto all'attuale, misera, capitalizzazione di Borsa), abbiano giudicato molto favorevolmente la cooptazione di Francesca Balzani nel Consiglio di amministrazione dell'Istituto, insieme con la docente universitaria Ilaria Queirolo e il commercialista Stefano Lunardi. Francesca Balzani, l'allieva prediletta di Victor Uckmar, il noto tributarista che l'aveva voluta nel suo prestigioso studio, è considerata un'eccellenza genovese, molto apprezzata anche fuori dalla Superba. Fra l'altro, è stata vice sindaco di Milano con Pisapia e, poi, candidata a sindaco, battuta da Sala. E' stata anche parlamentare europea, dopo la prima esperienza politica come assessore al Bilancio del Comune di Genova.
Pure la città con la Lanterna l'avrebbe voluta sindaco, ma lei ha sempre declinato le offerte, mantenendo comunque un legame forte con la sua comunità d'origine, che ne apprezza considerevolmente pure le capacità professionali, al di là dell'appartenenza partitica. Francesca Balzani, però, non ha risposto negativamente alla chiamata di Vittorio Malacalza, in seguito alla quale rientra nel sistema Carige, che l'aveva già vista, dieci anni fa, consigliere della Fondazione, allora maggiore azionista della Banca dei Liguri, come è ancora ricordata la Cassa di Risparmio di Genova e Imperia.
Malacalza ha scelto, inoltre, il nuovo amministratore delegato e direttore generale della Banca:  Paolo Fiorentino (ex Unicredit). Tuttavia, nelle ore seguenti la nomina, il titolo Carige ha continuato a perdere valore in Borsa, facendo registrare il nuovo record negativo. Certamente non per l'arrivo di Fiorentino (né dei nuovi Consiglieri), anche se qualcuno sperava che la responsabilità operativa della banca venisse affidata, finalmente, al genovese Giuseppe Cuccurese, il quale, dal 2012, guida il Banco di Sardegna, che lui ha rilanciato e portato a fare utili quanto mai prima. Cuccurese, classe 1955, prima che del Banco di Sardegna è stato direttore generale della Cassa di Risparmio della Spezia, allora del San Paolo di Torino, gruppo dove ha fatto gran parte della sua intensa e brillante carriera, con incarichi sempre più rilevanti, anche all'estero. Un banchiere molto esperto e affidabile, Giuseppe Cuccurese. Peccato che, come spesso accade, "nemo propheta in patria".

AVVOCATI TORINESI - Dicono che si svolgeranno nell'ottobre prossimo le elezioni "speciali" destinate a dare un nuovo presidente all'Ordine torinese degli avvocati. E dicono che il nuovo presidente potrebbe essere Michela Malerba, attualmente segretario del Consiglio dell'Ordine subalpino che, al 31 dicembre 2015 contava 5.891 iscritti e 1.540 praticanti. Per Michela Malerba certamente voterà, stimandola molto, Mario Napoli, presidente dell'Ordine torinese dal 2010 e in prorogatio dal febbraio 2015, a causa della sospensione provocata, a livello nazionale, da provvedimenti cautelari del Consiglio di Stato, ancora non risolti.
Mario Napoli, classe 1953, iscritto all'Ordine dal 1979, è "equity partner" dello studio Pedersoli e Associati, del quale è entrato a far parte nel 2011, dopo aver lavorato per decenni a fianco di Franzo Grande Stevens, l'avvocato dell'Avvocato. Curriculum ricco e prestigioso, grandissimo impegno anche nei vari organismi dell'Ordine e per le sue funzioni istituzionali, Mario Napoli ha confidato che non vede l'ora di passare il testimone: la presidenza dell'Ordine è decisamente faticosa, anche se molto gratificante.

UNIVERSITARI CINESI - Dicono che diversi professori del Politecnico di Torino, durante colloqui confidenziali, ammettano di comprendere sempre meno perché vengono favorite, in vari modi, l'iscrizione e la frequenza di tanti studenti stranieri, in particolare cinesi e indiani, ai loro corsi. Dicono: " A Torino ci vantiamo tanto dell'elevata quota di stranieri al Poli, ma non consideriamo che il costo della loro partecipazione è elevatissimo per le casse pubbliche, cioè per i contribuenti italiani, dato che le tasse universitarie coprono una minima parte dei costi dell'insegnamento; inoltre, non consideriamo che questi giovani orientali, formati perfettamente dal nostro Poli, domani andranno a rafforzare e a far progredire le aziende che fanno e faranno concorrenza a quelle italiane. Insomma, noi regaliamo, o quasi, ingegneri, giovani e motivati, ai Paesi che già ci attaccano, spesso slealmente, accrescendone ulteriormente la competitività".
I docenti critici, aggiungono che questo danno, volontario, non è l'unico: " fra l'altro, infatti, a causa del numero chiuso, molti ragazzi italiani non possono aspirare a laurearsi al Poli, perché il posto che avrebbero potuto avere è stato occupato dagli stranieri".

PROGETTO ESSICA  - Dicono che abbia suscitato diffuso interesse e grandi aspettative, in particolare nel Cuneese, il nuovo progetto europeo, battezzato Essica, che mira a introdurre tecnologie innovative nel trattamento delle erbe aromatiche, con l'impiego di ultrasuoni, ozonizzazione, microonde, essicazione a freddo, accrescendo, nello stesso tempo, la tutela del consumatore e salvaguardando sia la naturalezza di questi prodotti sia i territori del Piemonte e della Francia che maggiormente ospitano le coltivazioni delle erbe aromatiche.
Il progetto, che ha come capofila l'Associazione Terre dei Savoia, ha anche l'obiettivo di aumentare la competitività delle aziende agricole del comparto, che sono  quasi 3.000 e operano su oltre 7.000 ettari, una superficie dedicata più che triplicata nell'ultimo decennio. In Italia, il 70% delle erbe officinali e aromatiche usate in erboristeria, per alimenti e profumi, è importato dall'estero, per un valore annuo che supera il miliardo di euro, mentre ammonta a circa la metà il valore delle esportazioni nazionali.  
Essica è stato lanciato, intorno a metà giugno, nella sede l'Accademia europea delle essenze, al Mùses di Savigliano, gestito dall'Associazione Terre dei Savoia, alla quale aderiscono oltre 50 Comuni sparsi nelle province di Cuneo, Asti e Torino e che ha come partner principali il ministero dei Beni e delle attività culturali, la Regione Piemonte, la Fondazione Crt, la Compagnia di San Paolo e la Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano. Ad affiancare l'Associazione Terre dei Savoia nel Progetto Essica sono il dipartimento di Scienze agrarie dell'Università di Torino, France Agrimer e il centro Crieppam di Manosque per la sperimentazione di piante e profumi.



 



Donne al vertice 1

CRISTINA BALBO - "L'importante è credere in sé. Le donne devono avere la consapevolezza che possono fare qualsiasi cosa, ma senza imitare atteggiamenti maschili. Restare sé stesse, sempre. E bisogna pretendere di essere apprezzate, pretendere che vengano riconosciute le proprie competenze, rivendicare qualifiche e retribuzioni eque. A volte le donne neanche ci provano; invece, bisogna farsi valere senza timore". A esprimere queste concezioni, in una lunga intervista pubblicata, recentemente, dal Corriere Imprese Nordest, è Cristina Balbo, la top manager di Intesa Sanpaolo a capo della direzione regionale Piemonte-Liguria-Valle d'Aosta, prima donna a ottenere un incarico di questo livello, per di più a soli 48 anni, all'interno del grande Gruppo.
Alla direzione della rete Nord Ovest di Intesa Sanpaolo, dotata di circa 500 sportelli  e oltre 5.000 dipendenti che gestiscono più di 1,5 milioni di clienti, Cristina Balbo si è insediata nel novembre del 2014, voluta da Stefano Barrese, numero uno della Banca dei Territori, consapevole dei valori della padovana (è nata ad Abano Terme) ormai torinese: grande preparazione e grande impegno, massima disponibilità, modestia e affabilità, passione e entusiasmo, straordinaria capacità di coinvolgimento e di motivazione delle persone, Qualità che spiegano la sua carriera e che le sono valse, fra l'altro, il premio Mela d'Oro 2015 della Fondazione Marisa Bellisario, nella categoria management.
Subito dopo la laurea in Economia e commercio, Cristina Balbo, che da studente dava una mano ai genitori titolari di una gelateria, è entrata in banca, a seguito di un concorso e iniziando allo sportello. Posto preferito al dottorato di ricerca che le era stato offert dalla sua Università. Una buona scelta, la sua, anche per le donne che lavorato in Intesa Sanpaolo, le quali la considerano una paladina delle pari opportunità nel mondo del lavoro e della meritocrazia senza distinzioni di genere. In proposito, lei ha ribadito che "La vera parità si realizza quando a tutte le persone vengono offerte le stesse opportunità e si applica la meritocrazia".

CARLA FERRARI - La fresca acquisizione di una quota di Tages Helios, primo fondo di investimento alternativo interamente destinato al settore fotovoltaico in Italia, ha riportato l'attenzione su Equiter e sulla sua presidente operativa, che è Carla Patrizia Ferrari. "Equiter è investitore e advisor nel settore delle infrastrutture. In particolare, Equiter seleziona, realizza e gestisce mission related investment, investimenti in capitale di rischio allo scopo di promuovere lo sviluppo socio-economico del territorio, con un impatto a lungo termine", Così, modestamente, si presenta questa società torinese che, fra l'altro, è un campione di redditività: nel 2016 ha dichiarato un utile netto di 6,4 milioni di euro, a fronte di ricavi per 10 milioni, oltre 7 dei quali derivanti dagli investimenti in partecipazioni e quote di Oicr.
Tra le partecipazioni di Equiter, che ha un organico di 14 persone, spiccano quelle in Iren, Sagat (Aeroporto di Torino), Fondo F2i, Fondo PPP Italia, Fondo J Village (Villaggio Juventus), Fondo Nord Ovest e Fondo Innogest Capital II, Il totale delle attività al 31 dicembre 2016 sfiora i 254 milioni e il patrimonio netto supera i 253 milioni.
A capo di Equiter si trova, appunto, Carla Ferrari, nata a Genova, dove si è laureata in Economia e Commercio, ma da tempo sotto la Mole e dal 1988 in quello che è oggi il gruppo Intesa Sanpaolo e allora era ancora lo storico e glorioso "Sanpaolo" di Torino. Nel colosso bancario ha avuto diverse e sempre più rilevanti incarichi: è stata responsabile dell'Ufficio Studi economici, della Segreteria di Direzione generale, della Direzione Enti e Aziende pubbliche; direttore generale e amministratore di Banca Opi, ad di Finopi. E, dal 2013 al 2015, ha fatto parte del Consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo, incarico lasciato quando è stata nominata consigliere di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), della quale è anche presidente del Comitato Remunerazioni e membro del Comitato rischi.
Oltre a questi incarichi, attualmente, Carla Ferrari, sposata con Giorgio Spriano, capo del risk management di Banca Fideuram (gruppo Intesa Sanpaolo), ricopre quelli di cfo, cioè di responsabile finanziario, della Compagnia di San Paolo e della società consortile Compagnia di San Paolo Sistema Torino, che fornisce servizi in campo contabile, amministrativo e tecnologico e di consulenza gestionale. In passato, invece, è stata ai vertici di Iren, Sinloc, Transdev, Finpiemonte, Filse e, fra l'altro, Finaosta. Carla Ferrari viene considerata "una delle più potenti e determinate manager della finanza in Italia".