Quelle scommesse straniere contro l'Italia

Sono passate sotto silenzio due notizie, pubblicate pochi giorni fa, entrambe da Il Sole 24 Ore, a distanza di 48 ore l'una dall'altra, relative agli attacchi di due grandi hedge fund (fondi d'investimento speculativi), che hanno scommesso cifre rilevanti sul ribasso delle quotazioni borsistiche di diverse società italiane, operanti in campi diversi.
Sono state prese di mira, fra le altre, Enel, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Generali, Saipem, Luxottica e anche l'Eni. Il solo fondo Bridgewater, il più ricco al mondo (gestisce 160 miliardi di dollari), ha puntato poco meno di 1,2 miliardi di euro sulla perdita di valore di alcune delle principali azioni di Piazza Affari, a breve termine. Una bella somma, comunque inferiore agli oltre 2,2 miliardi puntati al ribasso da parte di Aqr Capital Management, altro hedge fund statunitense.
Sono non pochi, però, i fondi avvoltoi che si sono ributtati recentemente su società italiane, tanto che è stato stimato in 8,5 miliardi di euro il valore delle loro scommesse ribassiste sulla nostra Borsa. E considerando che, normalmente, questi speculatori vincono, grazie anche alla grandi capacità di manovra, che hanno in funzione delle somme di cui dispongono e delle loro relazioni, il nuovo assalto non può non preoccupare.
Fra l'altro, la Borsa italiana è piccola, neppure lontanamente paragonabile alle maggiori d'Europa e del resto del mondo. In quanto tale, Piazza Affari e le sue azioni sono molto più influenzabili dalle manovre degli speculatori, che, perciò vi sguazzano.
Una situazione che spiega, da una parte, la giustificata diffidenza di tanti nei confronti della Borsa e, dall'altra, le forti variazioni del prezzo di un'azione, persino nell'arco di una sola seduta, senza una motivazione valida, cioè a parità di condizioni. L'impresa è sempre la stessa, come sono invariati i suoi fondamentali; eppure, il titolo crolla. E' un effetto di speculatori, quasi sempre i fondi avvoltoi.
Uno degli strumenti più utilizzati dagli edge fund è, appunto, la vendita allo scoperto, detta anche posizione corta (short selling). In parole povere: il fondo vende, a un intermediario finanziario (banca, broker ...) azioni che non possiede, impegnandosi a consegnarle all'intermediario entro una data prestabilita (normalmente tre mesi o sei), nella convinzione che il prezzo dell'azione nel giorno della consegna delle azioni sarà inferiore al prezzo del giorno della vendita a suo tempo effettuata allo scoperto.
Un esempio. Un giorno, si vende all'intermediario un'azione che non si possiede e che allora è trattata a dieci euro, concordando, con la controparte, che la consegna dell'azione avverrà a tre mesi data (il contratto ha un costo, ma marginale). Per cui, se, come prevede il ribassista, entro il termine stabilito, il valore del titolo in Borsa scende un giorno sotto i dieci euro, supponiamo a otto euro, lo compra agli otto euro di quel giorno e lo consegna alla controparte, guadagnandone così due, cioè il 20 per cento (meno la commissione dovuta alla controparte) e rispettando l'impegno a suo tempo assunto.
Naturalmente, le cifre in ballo sono di ben altra entità. A volte, gli hedge fund guadagnano milioni e milioni su un'unica operazione. A scapito delle società prese di mira e dei loro azionisti.
A questo punto, però, per la verità, va anche aggiunto che sono moltissimi i fondi d'investimento "normali" che comprano azioni di società italiane con la convinzione che il loro valore aumenterà. Tant'è vero che supera i 278 miliardi di euro il valore dei titoli quotati alla Borsa di Milano nei portafogli degli investitori istituzionali stranieri, cifra pari al 45% della capitalizzazione di Piazza Affari e maggiore di 94 miliardi a quella di un anno fa.