Giuseppe Borsalino, mito del cappello "imprenditore sociale" d'avanguardia

Belmondo e Delon con i cappelli Borsalino
La recente proroga del periodo d'affitto del ramo d'azienda della Borsalino concessa dal Tribunale fallimentare, oltre al sequestro dello storico marchio alessandrino dei cappelli famoso in tutto il mondo, riporta l'attenzione sull'impresa dichiarata fallita alla fine dell'anno scorso, ma che ancora cerca di sopravvivere. Comunque, ecco la storia delle sue origini, raccontata da Gustavo Mola di Nomaglio.
Di Gustavo Mola di Nomaglio
Renzo Borsalino, appartenente a una vecchia famiglia di Pecetto (Alessandria), sposò nel 1813 Rosa Veglio, figlia di Giovanni Battista, maire del paese durante il regime napoleonico. La giovane coppia, che aveva quale unico reddito il magro stipendio d’inserviente comunale di Renzo, viveva abbastanza poveramente, sbarcando il lunario con crescente fatica, man mano che la famiglia cresceva, allietata dalla nascita di alcuni figli, tra i quali almeno due maschi, Lazzaro e Giuseppe. Quest’ultimo, nato il 15 settembre 1834, sarebbe ben presto divenuto uno dei piemontesi più famosi nel mondo. In un volume,pubblicato per celebrarne il centenario della nascita, si legge che la vita di Giuseppe Borsalino racchiude in sé l’”insegnamento di una volontà dura e ferma e di una laboriosità intelligente, indefessa e intenta a disegni sempre più vasti ed arditi”.
Non si tratta di una frase retorica. Sin da bambino, Giuseppe si rivelò diverso dai propri coetanei. Era uno scavezzacollo incredibile, esuberante, sempre in cerca di esperienze nuove e di avventure; il suo rapporto con lo studio era pessimo, un biografo scrive che era “ultimo a scuola, ma sempre primo in piazza se si trattava di combinare una birichinata”.
Verso i 13 anni, pare in seguito ad una punizione paterna, fuggì di casa alla volta di Alessandria, dove si fece assumere come apprendista nel cappellificio Camagna. Già in quegli anni la provincia di Alessandria era famosa per i suoi cappellifici, tanto che tanto che Luigi de Bartolomeis nelle sue notizie topografiche, pubblicate negli anni quaranta dell’Ottocento, poteva scrivere: “varie ed abbondanti sono le fabbriche di cappelli di pelo, nelle quali se ne fanno tanti da somministrare molti paesi circonvicini”.
Un bel giorno, Giuseppe non ebbe più nulla da imparare e cercò impiego, per conoscere i segreti di tutte le fasi di produzione del cappello, in altri primari cappellifici. Fu prima a Sestri Ponente, poi in Francia, a Marsiglia, Aix-en-Provence, Bordeaux e, infine, a Parigi, presso la prestigiosa casa Berteil. Nel 1857, appena ventitreenne, ma dotato già di un’eccezionale esperienza, tornò ad Alessandria, dove aprì, associandovi il fratello Lazzaro (del quale sposò la cognata, Angela Prati, che rese madre di Teresio e Mario) la sua prima follatura.
In breve l’azienda ebbe dieci operai, che producevano una quindicina di cappelli al giorno. Nel 1861, dopo aver rilevato la ditta Primo, gli operai salirono a 60 e la produzione giornaliera raggiunse i 120 capi. Impianti, dipendenti e produzione continuarono a crescere con ritmo serrato. Nel 1896, uno degli ultimi anni in cui Giuseppe diresse personalmente l’industria, mille operai producevano giornalmente 1.360 cappelli, gran parte dei quali esportati in tutto il mondo, non esclusa l’Australia, dove Borsalino, munito di un campionario, si era recato, quasi sessantenne, quando, appassionatissimo di alpinismo, era andato in Nuova Zelanda per scalare il monte Cook, insieme con la guida alpina valdostana Mattia Zurbriggen.
Giuseppe morì in Alessandria il 1° aprile 1900, considerato ormai uno dei più affermati industriali italiani, amatissimo dai suoi dipendenti, per i quali aveva, anticipando la legislazione stessa, creato una “Cassa interna malattie”, una “Cassa pensioni” (che poté entrare subito in funzione, grazie a un suo grosso versamento iniziale), una “Cassa infortuni” e un educatorio per i figli degli operai. In Pecetto è dedicata alla sua memoria una grande statua, opera dello scultore Luigi Contratti.
L’attività industriale fu continuata dal figlio Teresio (nato ad Alessandria l’1 agosto 1867), mentre del figlio Mario si ricordano soprattutto alcune imprese alpinistiche. Teresio compì, per volere del padre, un duro tirocinio. A 12 anni fu apprendista nell’azienda di famiglia, studiò in Svizzera, Belgio, Inghilterra e Germania, dove lavorò come operaio per perfezionarsi nel mestiere.
Nonostante l’amichevole concorrenza del grosso cappellificio fondato dal cugino Giovanni Battista, figlio di Lazzaro, nel 1906 (poi incorporato nella Borsalino nel 1937) sotto la gestione di Teresio la produzione giunse a superare, nel 1913, i due milioni di capi, circa tre quarti dei quali venduti all’estero.
Teresio non solo diede seguito ai successi imprenditoriali del padre, ma ne continuò l’opera sociale. Trasformò e migliorò le casse malattie, infortuni e pensioni interne, destinò fondi “a favore della natalità e dell’allattamento”, fece costruire a proprie spese un grande sanatorio, con 216 letti, nella piana di Valle San Bartolomeo, finanziò la costruzione di un nuovo acquedotto e della rete fognaria di Alessandria, costruì l’Ospizio della Divina Provvidenza, che nel 1934 poteva dare ospitalità a 400 donne inabili al lavoro per età o malattia e a 100 orfane. Morì in Alessandria il 29 marzo 1939, non avendo avuto discendenza maschile dal tardivo matrimonio con Alessandra Drudi (una celebre cantante d’operetta, nata a Cotignola nel 1878, conosciuta dai contemporanei col nome d’arte di Gea Della Garisenda). Dopo di lui, il governo dell’azienda passò a Teresio Usuelli e Giampiero Vaccarino, entrambi pronipoti di Teresio Borsalino, discendenti da due figlie delle sorelle di quest’ultimo, Rosa e Paolina Borsalino. Nonostante il declino della produzione dei cappelli, il marchio Borsalino rimane ancor oggi famoso a livello internazionale.