E'
un quadro "desolante" quello che emerge dall'analisi
dell'Ufficio
Studi Confcommercio sulla
"Demografia
d'impresa delle città italiane": tra
il 2012 e il 2020 è proseguito il processo di desertificazione
commerciale: dalle città italiane sono sparite, complessivamente,
oltre
77mila attività di commercio al dettaglio (-14%) e quasi 14mila
imprese di commercio ambulante (-14,8%). Fra l'altro, sono
aumentate le imprese straniere e diminuite quelle a titolarità
italiana.
Nei comuni capoluogo di provincia delle tre regioni del Nord Ovest il commercio al dettaglio attivo nei centri storici ha perso complessivamente 1.242 imprese (-14,65%): in particolare, 708 negli otto capoluoghi provinciali del Piemonte (-14%), 483 nei quattro della Liguria (-15,2%) e 51 ad Aosta. Nel centro storico di Torino le imprese di commercio al dettaglio sono scese a 1.619 dalle 1.838 del 2012 e in quello di Genova da 1.673 a 1.403.
La pandemia ha acuito certe tendenze e ne ha modificate "drammaticamente" altre: nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre a un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà, per la prima volta nella storia economica degli ultimi due decenni, anche la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%).
Quindi, città con meno negozi, meno attività ricettive e di ristorazione e solo farmacie e informatica e comunicazioni in controtendenza col segno più. Il rischio di non “riavere” i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è, dunque, molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico.
Tra il 2012 e il 2020 – secondo l’analisi di Confcommercip - si è verificato un cambiamento del tessuto commerciale all’interno dei centri storici che la pandemia tenderà a enfatizzare. Per il commercio in sede fissa, tiene in una qualche misura la numerosità dei negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che, oltre a soddisfare bisogni primari, svolgono nuove funzioni, come le tabaccherie (-2,3%); significativi sono invece i cambiamenti legati alle modificazioni dei consumi, come tecnologia e comunicazioni (+18,9%) e farmacie (+19,7%), queste ultime diventate ormai luoghi per sviluppare la cura del sé e non solo quindi tradizionali punti di approvvigionamento dei medicinali.
Il resto dei settori merceologici è, invece, in rapida discesa: si tratta dei negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici che registrano riduzioni che vanno dal 17% per l’abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina.
Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), il futuro è molto incerto per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%. “Ma occorre reagire – scrive Confcommercio - per dare una prospettiva diversa alle nostre città che rappresentano un patrimonio da preservare e valorizzare. Le direttrici sono tre: un progetto di rigenerazione urbana, l’innovazione delle piccole superfici di vendita e una giusta ed equa web tax per ripristinare parità di regole di mercato tra tutte le imprese”.
Nei comuni capoluogo di provincia delle tre regioni del Nord Ovest il commercio al dettaglio attivo nei centri storici ha perso complessivamente 1.242 imprese (-14,65%): in particolare, 708 negli otto capoluoghi provinciali del Piemonte (-14%), 483 nei quattro della Liguria (-15,2%) e 51 ad Aosta. Nel centro storico di Torino le imprese di commercio al dettaglio sono scese a 1.619 dalle 1.838 del 2012 e in quello di Genova da 1.673 a 1.403.
La pandemia ha acuito certe tendenze e ne ha modificate "drammaticamente" altre: nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre a un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà, per la prima volta nella storia economica degli ultimi due decenni, anche la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%).
Quindi, città con meno negozi, meno attività ricettive e di ristorazione e solo farmacie e informatica e comunicazioni in controtendenza col segno più. Il rischio di non “riavere” i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è, dunque, molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico.
Tra il 2012 e il 2020 – secondo l’analisi di Confcommercip - si è verificato un cambiamento del tessuto commerciale all’interno dei centri storici che la pandemia tenderà a enfatizzare. Per il commercio in sede fissa, tiene in una qualche misura la numerosità dei negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che, oltre a soddisfare bisogni primari, svolgono nuove funzioni, come le tabaccherie (-2,3%); significativi sono invece i cambiamenti legati alle modificazioni dei consumi, come tecnologia e comunicazioni (+18,9%) e farmacie (+19,7%), queste ultime diventate ormai luoghi per sviluppare la cura del sé e non solo quindi tradizionali punti di approvvigionamento dei medicinali.
Il resto dei settori merceologici è, invece, in rapida discesa: si tratta dei negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici che registrano riduzioni che vanno dal 17% per l’abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina.
Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), il futuro è molto incerto per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%. “Ma occorre reagire – scrive Confcommercio - per dare una prospettiva diversa alle nostre città che rappresentano un patrimonio da preservare e valorizzare. Le direttrici sono tre: un progetto di rigenerazione urbana, l’innovazione delle piccole superfici di vendita e una giusta ed equa web tax per ripristinare parità di regole di mercato tra tutte le imprese”.