Cig: Liguria al top, Aosta quasi indenne

Settembre nerissimo, in Liguria, per il mondo del lavoro. La regione riviera è quella che, nel mese passato, ha fatto registrare il maggior incremento nazionale di ore di cassa integrazione. Come emerge dai freschi tabulati dell'Inps, infatti, in settembre sono state 270.900 le ore autorizzate per trattamenti di integrazione salariale in Liguria, il 124,4% in più rispetto allo stesso mese dell'anno scorso. L'aumento ligure è superiore anche a quelli della Basilicata (+119,3%) e dell'Abruzzo (+103,9%) e fa ancora più effetto considerando che nell'intera Italia il totale delle ore di cassa integrazione autorizzate in settembre è diminuito del 49,8%: a 20,387 milioni di ore dai 40,614 milioni del settembre 2016.
Le ore autorizzate per trattamenti di integrazione salariale sono diminuite del 75,2% in Piemonte (da 4.858.171 a 1.202.945), mentre sono passate da 14.993 a 15.207 (+1,4%) In Valle d'Aosta, la regione che ne ha utilizzate meno di tutte le altre del nostro Paese, sia in settembre sia dall'inizio dell'anno. Infatti, dal primo giorno di gennaio all'ultimo di settembre, l'Inps ha erogato 318.921 ore di cassa integrazione (-66,8% rispetto al corrispondente periodo 2016), totale ben inferiore anche a quello del Molise (1.264.022), la seconda regione con meno cassa integrazione.
E' in Lombardia che si è fatto il maggior ricorso alla cassa integrazione nei primi nove mesi di quest'anno: 40.994.627 ore (-53,6%b rispetto al gennaio-settembre 2016). La Lombardia ha preceduto la Puglia, che ne ha fatte registrare 30.696.602 (+30,5%) e il Piemonte, che ne ha contate 26.813.961 (-57,5%). In Liguria, le ore di cig sono state 6.048.932, il 7,6% meno che nei primi nove mesi 2016, un tasso però meno positivo della media nazionale risultata del 42,1%.
Alla Liguria l'Inps ha attribuito un altro primato nazionale negativo: il maggior aumento percentuale di ore di cassa integrazione in deroga autorizzate in settembre. L'incremento ligure, infatti, è stato del 349,6% (20.853 ore a fronte delle 4.638 di settembre 2016). E' andata peggio anche della Calabria, che ha avuto 10.128 ore (+153,2%). E quasi tutte le altre regioni hanno evidenziato cali, tali da far risultare dell'80,9% la diminuzione media nazionale (1.044.450 le ore di cig in deroga, contro i 5.481.830 di settembre 2016). In Piemonte il calo è stato del 96% (da 235.000 a 9.520 ore), mentre nessun ricorso è stato fatto in Valle d'Aosta, dove sono state 3.985 le ore autorizzate dall'inizio dall'inizio dell'anno (-76,5% rispetto ai primi nove mesi 2016).
In Piemonte le ore di cig in deroga autorizzate da gennaio a settembre sono state 425.567 (-74,8% rispetto allo stesso periodo 2016) e 419.037 (+9,3%) in Liguria, ancora in controtendenza, dato che a livello nazionale è emerso un calo del 44,9%.
Ed eccoci alla categoria più significativa e conosciuta, quella della cassa integrazione straordinaria, che viene richiesta per ristrutturazione, riorganizzazione e riconversione aziendale, per crisi d'impresa di particolare rilevanza sociale, oltre che in caso di procedure concorsuali, quali fallimento e liquidazione coatta amministrativa.
In settembre, le ore di cassa integrazione straordinaria autorizzate in tutta l'Italia sono state 11.938.414 (-53,7% rispetto allo stesso mese dell'anno scorso); in particolare, in Piemonte 648.819 (- 77,9%), in Liguria 67.250 (+8%) e zero in Valle d'Aosta. Qui, nella regione alpina, sono ammontate a 3.454 nei primi nove mesi (-98,6%); in Piemonte a 16.968.218 (-64,5%) e a 4.432.082 (-6,6%) in Liguria.
Il Piemonte, che era al secondo posto nella graduatoria delle regioni con più ore di cassa integrazione straordinaria nei primi nove mesi del 2016 (47.751.291), subito dopo la Lombardia (52.176.549), ha migliorato la sua posizione scendendo al terzo, avendo davanti ancora la Lombardia (20.081.895 ore nel gennaio-settembre 2017) e la Puglia, che ha fatto registrare 23.168.499 ore, il 36,8% in più rispetto ai primi nove mesi 2016.
Insomma, il quadro che emerge dagli ultimi dati Inps appare chiaro: il mondo del lavoro ligure è in forte sofferenza, mentre in Piemonte le condizioni sono molto migliorate e la Valle d'Aosta resta l'isola con minori difficoltà.

Giornalisti: i nuovi vertici regionali

Con quello della Valle d'Aosta, appena eletto, sono stati completati i vertici degli Ordini dei Giornalisti del Nord Ovest, destinati a restare in carica nel periodo 2017-2020.
Presidente dell'Ordine valdostano è stato confermato Tiziano Trevisan, responsabile della Comunicazione del Dipartimento di emergenza dell'Usl regionale. Il nuovo Consiglio direttivo locale, inoltre, ha eletto Bruno Fracasso vice presidente, Pier Paolo Civelli segretario e Simonetta Paladino tesoriere. Il resto del Consiglio direttivo è formato da Sonia Charles, Denis Falconieri, Fabrizio Perosillo, Thierry Pronesti e Laura Zarfati.
Quanto all'Ordine della Liguria, il Consiglio direttivo ha rieletto presidente Filippo Paganini, vice Lorenza Rapini, segretaria Licia Casali e tesoriere Emanuele Rossi. Completano il direttivo: Nadia Campini, Fabrizio Cerignale, Stefano Picasso, Michela De Leo e Franco Po.

Ordine del Piemonte. Terzo mandato da presidente per l'ottimo Alberto Sinigaglia, che ha come vice nuovamente Ezio Ercole, segretario Andrea Caglieris e nuovo tesoriere Mario Bosonetto, Gli altri componenti del direttivo sono Giorgio Levi (presidente del Centro Pestelli), Franca Giusti, Franco Lenotti, Maria Teresa Martinengo e Chiara Priante.
Tiziano Trevisan, presidente giornalisti valdostani

Protagonisti sulla scena

MARIA CARAMELLI
Se la Commissione Ue ha deciso di nominare l'Istituto Zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta quale Centro di riferimento europeo per le Tse, le encefalopatie che colpiscono gli animali, non poco merito va riconosciuto alla coppia di vertice dell'ente torinese, costituita dal presidente Giorgio Gilli e dal direttore generale Maria Caramelli, scienziata manager tra i massimi esperti mondiali di sicurezza alimentare e di ricerca sul rapporto tra gli alimenti di origine animale e la salute umana (fra l'altro, nel 2013, è stata inserita fra le dieci scienziate che fanno onore all'Italia).
Nata a Mondovì (Cuneo), ma torinese d'adozione, sposata, tre figli, Maria Caramelli, dopo laurea in Medicina veterinaria nel 1984, ha poi conseguito il dottorato di ricerca in Patologia comparata, sempre all'Università subalpina, che le ha conferito anche la specializzazione in Ispezione degli alimenti di origine animale. Ulteriori titoli le sono stati attribuiti da altri soggetti di alta formazione.
Unica donna a dirigere un Istituto Zooprofilattico, tra i dieci attivi in Italia, Maria Caramelli, al vertice anche del Centro di referenza nazionale per le encefalopatie, appena promosso europeo, è, fra l'altro, socio dell'Accademia delle Scienze di Torino, membro del Comitato scientifico dell'Istituto superiore di Sanità e di quello per la Sicurezza alimentare, oltre che del Consiglio scientifico di Agrinova, del Centro interdipartimentale di Studi avanzati in Neuroscienze di Torino e del Consorzio piemontese per la repressione del doping e di altri usi illeciti dei farmaci. Autrice di più di 140 pubblicazioni scientifiche, insegna alla Scuola di specializzazione di Sanità pubblica veterinaria all'Università di Torino, ma pure in master degli atenei di Genova e Padova e all'Ilo. Ha già ricevuto numerosi premi.
Nel bilancio 2016, l'Istituto Zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, che conta oltre 400 dipendenti, ha dichiarato un valore della produzione pari a 33,6 milioni di euro e un utile netto di 1,9 milioni.
Maria Caramelli, direttore Istituto Zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta

GIORGIO FORESTI
Techdow Pharma, multinazionale farmaceutica cinese, leader mondiale nella produzione di eparine e prima big orientale del settore ad avere ottenuto l'autorizzazione alla vendita dei propri farmaci sul mercato europeo, ha designato come prossimo amministratore delegato della sua filiale italiana l'astigiano Giorgio Foresti. Il nuovo numero 1 operativo di Techdow Pharma Italy, che avrà anche il compito di studiare possibili acquisizioni nel nostro Paese e di investirvi 25 milioni nel triennio 2018-2020, è nato nella città piemontese nel dicembre del 1957 e si è laureato in Medicina a Torino. Sposato, due figli, sempre legato alla sua terra natale, Giorgio Foresti ha incominciato la sua carriera, nel 1986, nel gruppo Menarini, all'interno del quale ha avuto incarichi sempre più rilevanti, in Italia e all'estero. Oltre che per la Menarini, ha lavorato per Schering Ag, AstraZeneca, ratiopharm e il gruppo Teva, del quale, nel 2012, è diventato presidente, come è stato presidente di Assogenerici, l'associazione nazionale delle industrie produttrici di farmaci generici.
Giorgio Foresti ha poi lasciato Teva per diventare amministratore delegato di Fidia, ultimo passaggio prima di avere il timone di Techdow Pharma Italy, che si appresta a lanciare il primo biosimilare dell'enoxapirina, l'anticoagulante più usato in numerose malattie tromboemboliche. Solo nel nostro Paese il mercato di questo prodotto è stimato in 250 milioni di euro
Giorgio Foresti, amministratore delegato Techdow Pharma Italy

UGO NESPOLO
“Portare l'arte nella vita” è la missione che si è data Ugo Nespolo, straordinario artista piemontese che, da sempre, si ritiene e opera “al servizio della società”, mai chiuso in se stesso e nel suo studio torinese, costantemente attento al nuovo, siano tecnologie, materiali, forme espressive, qualsiasi campo di attività che offra la possibilità di coniugare creativamente la funzionalità e il bello. Ecco la spiegazione della sua eccezionale interdisciplinarità: autore di dipinti, ma anche di film (con gli artisti Lucio Fontana, Enrico Baj e Michelangelo Pistoletto come attori) di sculture, di scene e costumi per il teatro, di drappelloni per i palii, di manifesti pubblicitari, di tappeti, di ex libris, di oggetti d'uso comune, di cartoni animati, di lavori con matematici e persino della “ maglia rosa” per il Giro d'Italia del 2003.
Lo chiamano dappertutto e riceve committenze d'ogni genere. Non si tira mai indietro. La sua sfida è rendere bello tutto il possibile, in ogni modo, con i più diversi mezzi. Il suo grande atelier, realizzato personalmente in una fabbrica abbandonata, a Torino, è da lui definito “la bottega”, il laboratorio, dove, fra l'altro opera con una mezza dozzina di collaboratori fissi e diversi apprendisti. Insomma una piccola impresa. Definizione che certamente non spiace a Ugo Nespolo, per il quale il mercato non è - e non è mai stato - l'antitesi dell'arte e “l'artista deve sposare la vita”.
L'arte è un valore e come tale va considerato anche economicamente.
Concetti che Ugo Nespolo, nato 76 anni fa, a Mosso (Biella), ma ormai profondamente torinese, ha espresso fantasticamente nel più recente incontro del club “Dumse da fé”, dove il suo intervento, di elevato livello culturale, brillante e appassionante, è stato osannato.
Attivissimo, Ugo Nespolo, fra l'altro ha appena ricevuto l'incarico di preparare altre 52 puntate di Yo Yo, fortunata e premiata serie televisiva di cartoni animati trasmessa sull'omonima rete Rai dal 19 marzo, ed è il soggetto esclusivo della mostra “A modo mio/Nespolo tra arte, cinema e teatro”, in programma ad Aosta dal 20 di questo mese fino all'8 aprile del prossimo anno, organizzata dall'assessorato all'Istruzione e alla cultura della Regione Valle d'Aosta, curata dal critico Alberto Fiz e allestita con il filosofo Maurizio Ferraris (oltre 80 le opere esposte).
Ugo Nespolo

MARIO BARBUTO
“L'efficienza della Giustizia passa da Strasburgo”: è questo il titolo del libro, appena pubblicato e scritto da Mario Barbuto, che, dopo essere stato presidente del Tribunale e poi della Corte d'Appello di Torino (dal 2001 al 2014) ha concluso la carriera in magistratura come capo del Dipartimento Organizzazione giudiziaria, su designazione del Consiglio dei ministri. Classe 1942, Mario Barbuto, che presiede l'Iap (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria) dall'inizio del 2016 è anche presidente della sezione della Commissione tributaria regionale di Torino, dove è arrivato da Roma nel 1969, come pretore, incarico svolto per 11 anni.
Nella sua nuova opera, Mario Barbuto spiega il “programma Strasburgo”, progetto organizzativo di gestione dei processi civili ideato a Torino, così che è diventato più conosciuto come il “modello Torino”. Questo sistema, finalizzato alla riduzione delle cause al livello degli standard europei e quindi a non superare i 12-18 mesi, nel 2011 è stato adottato da tutti i Tribunali del Piemonte e della Valle Aosta e, nel 2015, è stato esteso in tutta Italia per iniziativa del ministero della Giustizia.
Autore di numerose pubblicazioni in materia penale e civile, Mario Barbuto è stato anche docente nella Scuola di Amministrazione Aziendale dell'Università di Torino e componente del Consiglio direttivo della Scuola Superiore della Magistratura.
Il nuovo libro (Aracne Editore) è stato stampato dalla Gioacchino Onorati editore e costa 20 euro.
Mario Barbuto

SAVIO CORRADINI
Il “Premio San Romolo per l'imprenditoria”, prestigioso ed ambito riconoscimento dedicato a chi, con la propria attività, ha dato lustro alla città di Sanremo, promosso dalla Famija Sanremasca di concerto con il Comune di cui è sindaco Alberto Biancheri, è stato conferito, pochi giorni fa, a Savio Corradini, il quale, nel 1971, ha fondato nel centro del Ponente ligure la Savio Laterizi, la quale ha poi originato la Biesse, costituita, nel 2022, insieme con il figlio Alberto e con sede nell'area industriale di Valle Armea.
La Biesse, che conta una quarantina di dipendenti, è leader regionale nel settore del commercio edile: annualmente, tratta circa 58.000 articoli all'anno, vende 70.000 metri quadrati di pavimenti e rivestimenti e ha poco meno di 70.000 clienti. Dispone di uno show room di 10.000 metri quadrati, dove è esposta la vastissima offerta di sanitari, rubinetterie, serramenti, idromassaggi, articoli di arredo bagno, oltre che pavimenti e rivestimenti.
La Biesse, dove dal 2014 ha incominciato a lavorare anche Fabio Corradini, esponente della terza generazione, è un punto di riferimento sicuro e affidabile per professionisti, aziende, artigiani e utilizzatori finali. 
Savio Corradini è anche molto attento al sociale ed è sostenitore di enti benefici.

Potpourri finanziario

MENO BTP, PIU' FONDI COMUNI
Riporta diverse notizie interessanti il rapporto sui conti finanziari pubblicato, il 17 ottobre, dalla Banca d'Italia, la quale, fra l'altro, ha evidenziato che, nel secondo trimestre di quest'anno, le famiglie hanno ripreso il disinvestimento dai titoli di debito a medio e lungo termine (-9,3 miliardi), mentre hanno aumentato notevolmente gli acquisti di strumenti del risparmio gestito (+24,7 miliardi, 17,6 dei quali costituiti da quote di fondi comuni) e di azioni (+2,6 miliardi).
Così, il valore delle attività finanziarie lorde possedute dalle famiglie è risultato di 4.228,8 miliardi al 30 giugno scorso, a fronte dei 4.187,8 miliardi emersi al 31 marzo e dei 4.102,3 miliardi di fine giugno 2016. In particolare, alla fine del primo semestre 2017, il portafoglio delle famiglie italiane comprendeva liquidità e depositi a vista per 873,3 miliardi, titoli a medio e lungo termine per 334,5 miliardi (399,7 miliardi al 30 giugno 2016), quote di fondi comuni per 494,1 miliardi (460,6) e, fra l'altro, azioni più altre partecipazioni per 963,3 miliardi (902,8). Però, il valore delle azioni quotate era pari soltanto a 55,4 miliardi, cinque miliardi in più rispetto a 12 mesi prima.
Le famiglie, comunque, hanno aumentato anche le loro passività finanziarie, cresciute dai 916,8 miliardi del 30 giugno 2016 ai 933,6 miliardi allo stesso giorno di quest'anno. La voce principale del loro indebitamento è rappresentata dai prestiti a medio-lungo termine, ammontanti a 648,5 miliardi (637,1 alla fine del primo semestre 2016).
Nel solo secondo trimestre 2017, la ricchezza finanziaria netta delle famiglie è aumentata di sette miliardi di euro.


ABI: TASSI AI MINIMI STORICI
A proposito ancora di attivi e passivi, l'Abi, l'associazione italiana delle banche, ha comunicato che i prestiti degli istituti creditizi alle famiglie e alle società non finanziarie sono aumentati, a fine settembre, a 1.365 miliardi, con un incremento dell'1,4% rispetto alla stessa data dell'anno precedente, In particolare, i mutui alle famiglie sono aumentati del 2,6% (dato di agosto).
Incrementi favoriti anche e, forse, soprattutto dal costo del denaro molto conveniente; infatti, il tasso medio sulle nuove operazioni per l'acquisto della casa è sceso all'1,97% e al 2,76% quello medio sul totale dei prestiti. Tassi, entrambi, che rappresentano i rispettivi minimi storici.
La voce prestiti evoca immediatamente quella delle sofferenze nette, che sono scese a 65,3 miliardi a fine agosto, mentre erano ancora a 86,6 miliardi al 31 dicembre scorso. Così, è calato al 3,83% il rapporto tra le sofferenze nette e gli impieghi totali delle banche. Le quali, al 30 settembre, contavano depositi da clientela residente per 1.418 miliardi, 70,1 miliardi in più rispetto a un anno prima. Nonostante che il tasso medio riconosciuto ai clienti sui depositi sia dello 0,39%.


PROSTITUZIONE, MERCATO DA 4 MILIARDI
Quattro miliardi. A tanto è ammontata, nel 2015, la spesa degli italiani per i “servizi di prostituzione”. Lo ha riferito l'Istat, l'istituto nazionale di statistica, precisando che il valore aggiunto prodotto dalla prostituzione rappresenta il 25% delle attività illegali censite, che sono soltanto tre: le altre due sono il traffico di stupefacenti (14,3 miliardi il valore del mercato 2015 stimato dall'Istat) e il contrabbando di sigarette (600 milioni di euro).
Secondo l'Istat, la spesa totale delle famiglie in Italia per i consumi finali delle attività illegali censite è stata di 19 miliardi nel 2015, 300 milioni in più rispetto all'anno precedente.
Questi dati sono stati forniti insieme con l'indicazione del valore complessivo dell'economia nazionale non osservata, la quale “include quelle attività economiche che, per motivi differenti, sfuggono all'osservazione statistica diretta” ha specificato l'Istat, precisando che l'aggregato è formato dalle sottodichiarazioni e dal lavoro irregolare, oltre che, appunto, dalle attività illegali.
Il totale 2015 dell'economia non osservata è stato di 207,573 miliardi, pari al 12,6 del Pil, cioè della produzione nazionale di ricchezza, risultata di 1.652,153 miliardi.


LA STANGATA CHE CI ASPETTA
Una stangata fiscale e contributiva da 81 miliardi. E' quella che ci aspetta, secondo Unimpresa, l'unione nazionale delle piccole imprese che ha fatto i calcoli basandosi sulla Nota di aggiornamento del Def-Documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei ministri il 23 settembre.
Unimpresa ha scritto che dai 786 miliardi del 2016, la somma delle tasse e dei contributi sociali (previdenziali e assistenziali) salirà a 803 miliardi nel 2017 e, poi, progressivamente, fino agli 867 miliardi del 2020, con un incremento del 10,3%. Questo anche perché la spesa pubblica continuerà a crescere, tanto che, nel 2020, risulterà di 860,4 miliardi, superiore di oltre 30 miliardi e del 3,6% rispetto all'anno scorso.
Secondo Unimpresa, il totale 2017 delle entrate tributarie risulterà di 504,5 miliardi, mentre ammonterà a 521,7 miliardi nel 2018, a 534,3 miliardi nel 2019 e a 544,3 miliardi nel 2020. Quanto ai contributi sociali, si passerà dai 226,1 miliardi di quest'anno ai 233,7 miliardi del prossimo, ai 238,8 miliardi del 2019 e, infine, ai 249 miliardi del 2020.

Già più di 5 miliardi per l'auto nuova

Oltre cinque miliardi di euro. E' il valore di mercato (prezzo) delle 248.947 auto nuove comprate in Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, nei primi nove mesi di quest'anno. Rispetto allo stesso periodo del 2016, nelle tre regioni del Nord Ovest sono state vendute 49.126 vetture nuove in più (+24,6%) e l'impegno finanziario degli acquirenti è risultato superiore di oltre un miliardo.
In particolare, in Piemonte, dall'inizio di gennaio alla fine di settembre, sono state comprate 176.646 auto nuove, per circa 3,6 miliardi. Rispetto agli stessi mesi dell'anno scorso, il numero delle nuove immatricolazioni è aumentato del 31,6%; allora, infatti, erano state 134.216. Nessun'altra regione ha avuto un incremento percentuale maggiore (il secondo più alto è stato il 15,8% della Valle d'Aosta ed è stato del 9% quello medio nazionale).
In Valle d'Aosta, appunto, di nuove immatricolazioni ne sono state registrate 45.104 nei primi nove mesi 2017 (circa 927 milioni di euro il valore di mercato delle vetture consegnate), 6.141 e il 15,8% più che nel periodo gennaio-settembre dell'anno passato.
Nettamente inferiore alla media nazionale è risultato il tasso di crescita delle vendite di auto nuove in Liguria, essendo stato del 2,1%: 27.197 le nuove immatricolazioni registrate nei primi tre trimestri 2017, a fronte delle 26.642 del corrispondente periodo 2016. Un aumento di poco più di mezzo migliaio. E il giro d'affari è stato inferiore ai 560 milioni di euro.
Finora, la Liguria rappresenta l'1,8% del mercato automobilistico italiano 2017 (1.553.891 le nuove immatricolazioni nell'intero Paese dal primi giorno di gennaio all'ultimo di settembre), mentre è del 2,9% l'incidenza della Valle d'Aosta. Quanto al Piemonte, la sua quota è salita all'11,5% dal 9,5% dei primi nove mesi dell'anno scorso.
Sergio Marchionne, amministratore delegato Fca

Prima Industrie: +213% in 12 mesi

Chi, esattamente un anno fa, il 16 ottobre 2016, ha comprato azioni di Prima Industrie, oggi si ritrova con una somma superiore del 212% a quella investita allora. Il titolo della società torinese, infatti, è salito dai 14,01 euro di dodici mesi or sono ai 43,89 euro di oggi. Prezzo, quest'ultimo, che non soltanto è superiore del 7,31% a quello della chiusura di venerdì ma è anche il nuovo record storico. Il precedente prima era rappresentato dai 41,48 euro registrati da Piazza Affari proprio l'ultimo giorno dell'agosto passato.
In seguito all'impennata odierna, la capitalizzazione di Prima Industrie ha sfondato il muro dei 450 milioni di euro, arrivando a 460,1 milioni.
Prima Industrie è la società a capo dell'omonimo gruppo leader nel settore dei laser per applicazioni industriali e delle macchine per la lavorazione della lamiera, oltre che nell'elettronica e nelle tecnologie laser. Ha stabilimenti anche in Cina, Usa e Finlandia. Conta circa 1.700 dipendenti e vanta l'installazione di sue macchine in più di 80 Paesi. Nel primo semestre di quest'anno ha fatturato 202,4 milioni (+10,4%) e ha conseguito un utile netto di 7,5 milioni (+159%); ha acquisito nuovi ordini per 240,7 milioni (+24,9%), portando così a 177,8 milioni (+40,9%) il suo portafoglio di commesse al 30 giugno.
Azionista di riferimento di Prima Industrie, con il 29,1%, è il Rashanima Trust, che fa capo alla famiglia Mansour (Emirati Arabi), tra le più ricche al mondo. Secondo maggior socio è il cinese è Yunfeng Gao con circa il 13,4%, a fronte 7,17% di Lee Joseph, del 5,15% di Lazard Freres e dell'8,17% posseduto dal management ( il resto del capitale è frazionato sul mercato).
Il vertice operativo di Prima Industrie è formato da Gianfranco Carbonato (presidente esecutivo) e dai due amministratori delegati, che sono Ezio Basso e Domenico Peiretti. Classe 1945, laureato in Ingegneria al Politecnico di Torino, sposato, un figlio, Gianfranco Carbonato ha fondato Prima Industrie, con un gruppo di manager, nel 1977, dopo aver lasciato la Dea di Moncalieri, dove aveva incominciato a lavorare.

A fine settembre, il Consiglio di amministrazione di Prima Industrie ha approvato l'acquisizione dell'intero capitale della Finn Power Italia e della sua incorporazione.
Gianfranco Carbonato, presidente Prima Industrie

Imprese in cronaca

DAMIANI, FCA, FERRARI E PININFARINA
Fanno capo a gruppi piemontesi quattro delle 22 società quotate selezionate dalla Borsa Italiana per far parte dell'”Italian Listed Brands”, nuovo indice ideato dal gestore di Piazza Affari a favore degli investitori che puntano sulle aziende italiane che si distinguono per creatività, eccellenza, innovazione e vocazione internazionale.
Le quattro prescelte sono: la valenzana Damiani (leader nel settore dell'oreficeria e del gioiello), Fca (Fiat Chrysler Automobiles) e Ferrari, entrambe facenti capo al gruppo Exor delle famiglie Agnelli-Elkann-Nasi, oltre alla Pininfarina, che mantiene anche il vertice sabaudo (presidente è Paolo Pininfarina, amministratore delegato e direttore generale Silvio Pietro Angori), nonostante il suo controllo sia passato al gruppo indiano Mahindra.
Guido Grassi Damiani, presidente Damiani

ALESSI
Andrea Montanari, bravo giornalista di Mf, ha scritto sul quotidiano economico-finanziario, che la famiglia Alessi, che controlla il 100% dell'omonimo gruppo di Omegna (Vco) fondato nel 1921 da Giovanni Alessi, ha deciso di aprire la sua compagine azionaria e ha affidato a Mediobanca l'incarico di trovare un nuovo socio, possibilmente un partner industriale che possa favorire lo sviluppo internazionale dell'impresa, attiva e ben nota nel settore del design industriale e d'arredo (fra l'altro, ha vinto il prestigioso premio Compasso d'Oro per cinque volte).
L'azienda di Omegna, eccellenza italiana del design, nel 2016 ha fatturato poco meno di 70 milioni e ha chiuso l'esercizio ancora con un piccolo utile, a fronte di risultati migliori negli anni precedenti. Ha peggiorato anche la sua posizione finanziaria netta. Evoluzione che ha contribuito alla decisione di rafforzarsi con energie nuove e tali da consentire di cogliere le opportunità offerte da mercati, quali gli Usa, il Giappone, la Germania e il Regno Unito, dove, da tempo, Alessi è molto apprezzata ma non altrettanto diffusa.

GUALA CLOSURES
Il Sole 24 Ore ha rivelato che Edizione (famiglia Benetton), in cordata con Goldman Sachs, grande banca d'affari statunitense, avrebbe fatto un'offerta per rilevare il controllo del gruppo Guala Closures di Spinetta Marengo (Alessandria), leader mondiale nel mercato delle chiusure in alluminio e “non-refillable”, cioè anti-adulterazione, in particolare per superalcolici, vini, oli e aceti, acqua e bevande, ma anche per contenitori di medicinali.
Guala Closures ha come principale azionista attuale Apriori Capital Partners, investitore istituzionale. Fino al 2008, la società alessandrina era quotata in Borsa e Piazza Affari è una delle due opzioni strategiche prese in considerazione dopo la decisione di vendere presa dai fondi detentori di circa l'80% del capitale, al fine di incassare i frutti del loro investimento.
Presieduto e pilotato dal dinamico Marco Giovannini, il gruppo Guala opera in oltre 100 Paesi, dispone di 26 stabilimenti e di cinque centri di ricerca; conta circa 4.000 dipendenti e nel 2016 ha fatturato mezzo miliardo di euro, vendendo 14 miliardi di chiusure.
Marco Giovannini, n.1 Guala Closures

BANCA REALE
Posseduta interamente dalla Reale Mutua, antica compagnia torinese di assicurazioni, Banca Reale si appresta ad aprire la sua decima filiale. Massimo Luviè, direttore generale dell'istituto presieduto da Iti Mihalich, ha preannunciato, a L'Economia del Corriere della Sera, che il nuovo sportello, a Udine, sarà inaugurato a cavallo dell'anno nuovo. Si aggiungerà ai tre di Torino e a quelli di Milano, Verona, Bologna, Legnano, Parma e Borgosesia. Luviè, che è anche condirettore generale di Reale Mutua, ha detto inoltre che prevede di disporre di 25 “Spazi banca” (punti finanziari all'interno delle maggiori agenzie assicurative) entro il 2020, a fronte dei 16 attuali.
Banca Reale, fondata nel 2000, ha 55.000 clienti, 140 dipendenti, una raccolta globale di 11,6 miliardi a fine luglio scorso, un patrimonio netto di 58 milioni e un Cet1 del 25,6%. Gli impieghi netti ammontano a 280 milioni, per il 46% a persone fisiche, con sofferenze pari solo all'1,27%.
Pochi giorni fa, Banca Reale ha presentato la sua nuova gamma di conti correnti, caratterizzati da soluzioni di alto valore e distintivi, consentendo, fra l'altro, l'accesso a convenzioni con strutture finanziarie, la protezione dei dati personali e il finanziamento, a tasso zero, delle polizze assicurative sottoscritte con le compagnie di Reale Group.
Iti Mihalich, presidente Banca Reale e Reale Group

DE AGOSTINI
Costantemente in manovra, il grande e diversificato gruppo De Agostini, che fa capo alla holding B&D di Marco Drago e C., accomandita delle famiglie novaresi Boroli e Drago, nei giorni scorsi, è stato oggetto di interesse anche per due novità, riguardanti entrambe Dea Capital, controllata quotata in Borsa, il cui amministratore delegato è Paolo Ceretti. Idea Capital Funds sgr, tra i principali asset manager taliani indipendenti, assumerà la nuova denominazione di Dea Capital Alternative Funds sgr e Idea Fimit, la più grande sgr immobiliare nazionale, si chiamerà Dea Capital Real Estate. Operazioni, tutte e due, non formali, ma finalizzate allo sviluppo del business e dell'internazionalizzazione.
E' trapelato, inoltre, che Idea Taste of Italy, fondo di Idea Capital specializzato negli investimenti in aziende agroalimentari, ha deciso di vendere La Piadineria, catena food con circa 150 punti e 600 addetti, che producono 12 milioni di piadine all'anno e realizzano un fatturato che per il 2017 dovrebbe risultare vicino ai 60 milioni di euro, a fronte deo 40 milioni del 2016 e i 27 del 2015. La cessione potrebbe avvenire intorno ai 200 milioni.
Marco Drago (Gruppo De Agostini)
TECNOCAD PROGETTI
Società torinese di engineering, specializzata nella progettazione di veicoli, Tecnocad Progetti ha recentemente inaugurato il suo nuovo quartier generale nel capoluogo piemontese, a Mirafiori, nell'area che ospitava il Centro Stile Fiat. Il nuovo complesso, battezzato Manta22 e oggetto di un investimento di circa otto milioni di euro, occupa già 130 dipendenti, prevalentemente ingegneri e tecnici di undici nazionalità diverse, destinati a diventare circa 300 entro pochi anni.
Il gruppo Tecnocad, fondato nel 1986 da Germano Cini, che continua a guidarlo saldamente, ha sedi anche in Brasile, Usa e Cina, conta globalmente 250 dipendenti e fattura 25 milioni di euro. A Shanghai ha costituito, insieme con la Cecomp di Torino, la Icona Design & Engineering, che ha l'obiettivo di valorizzare in Oriente lo stile e le capacità progettuali del miglior made in Italy. Nei piani di Germano Cini c'è, fra l'altro, l'apertura di altre sedi all'estero, a partire probabilmente dall'India.

Investimenti Pa, crollo record in Piemonte

Gran frenata degli investimenti pubblici in Piemonte, la regione che ne ha subito la maggior contrazione in termini assoluti e la seconda per il più alto decremento percentuale. Il crollo piemontese emerge dalla tabella elaborata dalla Cgia di Mestre, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese locali sulla base dei dati Cpt, l'Agenzia per la coesione territoriali.
In Piemonte, infatti, gli investimenti del settore pubblico allargato (amministrazioni centrali, regionali e locali più le imprese pubbliche nazionali e quelle territoriali, come le municipalizzate) nel 2015 (ultimo anno disponibile) sono ammontati a circa 2,588 miliardi di euro, mentre erano stati pari a 4,695 miliardi nel 2005. Il calo è di 2,107 miliardi e del 44,9%.
Nessun altra regione ha avuto una diminuzione così consistente (seconda è la Lombardia, con 2,064 miliardi) e soltanto il Friuli-Venezia Giulia ha denunciato un tasso di contrazione (51,1%) superiore a quello del Piemonte.
Anche il resto del Nord Ovest, comunque, ha frenato. Gli investimenti del settore pubblici allargato, nel 2015, in Liguria sono stati pari a circa 1,209 miliardi (poco meno di 1,835 miliardi nel 2005, nei confronti del quale, quindi, sono diminuiti di oltre 625 milioni e del 34,1%) e in Valle d'Aosta a poco più di 403 milioni, a fronte dei degli oltre 579 del 2005 (calo di quasi 176 milioni e del 30,4%).
Insieme, le tre regioni del Nord Ovest, nel 2015, hanno registrato investimenti del settore pubblico allargato pari a 4,201 miliardi, mentre ne avevano avuti per 7,109 miliardi dieci anni prima. La riduzione è risultata di 2,908 miliardi e del 40,9%. Cifre che assumono un valore ancora più rilevate se si considera che in tutta l''Italia il calo è stato di 13,347 miliardi (dai 58,032 miliardi del 2005 ai 44,685 del 2015) e del 23% (il Mezzogiorno è l'unica area che ha avuto un aumento, per la precisione del 2,7%).
Sempre a livello nazionale, gli investimenti della sola Pubblica Amministrazione, cioè delle Amministrazioni centrali, regionali e locali (escluse quindi le imprese pubbliche nazionali e territoriali), nel 2016 sono ammontati a 35,394 miliardi, cifra progressivamente inferiore a quelle di tutti gli anni precedenti a partire dal 2009, quando invece furono pari a 54,163 miliardi. E l'anno in corso dovrebbe concludersi con investimenti della Pa pari a 35,541 miliardi, secondo l'ultimo aggiornamento del Def, il documento di programmazione economica e finanziaria del Governo.
Il crollo degli investimenti pubblici è stato commentato molto negativamente dalla Cgia di Mestre, la quale ha ricordato che “gli investimenti pubblici sono una componente fondamentale per la creazione di ricchezza: se non miglioriamo la qualità e la quantità delle nostre infrastrutture materiali, immateriali e dei servizi pubblici, questo Paese è destinato al declino. Senza investimenti non si creano posti di lavoro stabili e duraturi, in grado di migliorare la produttività del sistema e, conseguentemente, di far crescere il livello delle retribuzioni medie”.

E' stato aggiunto che “il crollo avvenuto in questi ultimi anni è dovuto alla crisi, ma anche ai vincoli dell'indebitamento netto che ci sono stati imposti da Bruxelles, che, comunque, possiamo superare se, come prevedono i trattati europei, ricorriamo alla golden rule, ovvero alla possibilità che gli investimenti pubblici in conto capitale siano scorporati dal computo del deficit ai fini del rispetto del patto di stabilità fra gli Stati membri”.
Sergio Chiamparino, presidente Regione Piemonte

Tre protagonisti in evidenza

LAURENT VIERIN – Dal 13 ottobre, Laurent Viérin è il nuovo presidente della Regione Valle d'Aosta, della quale era già vice, oltre che assessore all'agricoltura e alla risorse naturali nella giunta precedente e assessore alla sanità, alla salute e alle politiche sociali in quella ancora prima, nata il 7 giugno 2016. Un ente, quindi, ben conosciuto e molto frequentato da Laurent Viérin, che vi entrato, per la prima volta, nel 2003, come consigliere segretario, carica mantenuta fino al 2006, anno del primo incarico da assessore, all'Istruzione e alla cultura.
Laurent Viérin ha da poco compiuto i 42 anni (è nato ad Aosta il 7 agosto 1975) e fa politica da quando ne aveva 15, in seguito alla sua decisione di militare nella Jeunesse Valdotaine, movimento dell'ominima Union. A vent'anni diventa consigliere comunale di Jovencan, dove risiede e dove inizia la sua straordinaria carriera nell'amministrazione pubblica.
Laureato in Politiche amministrative, il neo presidente della Valle d'Aosta è stato insegnante. Il suo curriculum riporta anche che “è autore di commedie di teatro popolare in patois, appassionato e conoscitore di cultura valdostana e particolarmente sensibile al tema dei giovani, amante degli sport della montagna ...”. Fra l'altro, per il suo impegno in favore della francofonia, ha ricevuto l'onorificenza di “Chevalier des Arts et des Lettres” da parte del Governo francese.
Esponente dell'Uvp (Union valdotaine progressiste), Laurent Viérin è sostenuto anche da Union Valdotaine, Pd ed Epav. La sua giunta è formata da: Emily Rini (vice presidenza, Istruzione e cultura), Luigi Bertschy (Sanità), Alessandro Nogara (Agricoltura), Mauro Baccega (Opere pubbliche), Jean-Pierre Guichardaz (Attività produttive), Ego Perron (Bilancio e finanze), Aurelio Marguerettaz (Turismo, sport e trasporti).
Laurent Viérin, neo presidente Valle d'Aosta

ALFREDO ALTAVILLA - “Credere nei giovani e partecipare alla loro educazione fa parte della nostra storia” parole di Alfredo Altavilla, responsabile Fca (Fiat Chrysler Automobiles) per l'Emea e uno dei principali collaboratori di Sergio Marchionne, raccolte da Maria Teresa Martinengo de La Stampa, in occasione dell'inaugurazione di “MeccaniCotto”, officina-training center che ha la missione di formare diversamente abili in abilissimi meccanici che lavorano, in team, alla manutenzione delle auto (non pochi saranno saranno impiegati in officine autorizzate della Fca).
Alla presentazione di MeccaniCotto, iniziativa torinese delle Cooperative Cottolengo e la Scuola Cottolengo, in collaborazione con la Mopar, società del gruppo Fca, hanno partecipato anche Maria Elena Boschi, sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, e don Carmine Arice, nuovo Padre generale della Piccola Casa della Divina Provvidenza, storica istituzione benefica di Torino.
Nato a Taranto nel 1963, ma torinese da tempo ( è anche socio del “Subalpino”, esclusivo circolo cittadino), Alfredo Altavilla, laurea in Economia e commercio alla Cattolica di Milano, dove è anche stato assistente universitario condividendo con il docente Walter Scott la scrittura del libro su “Il caso Uno”, oggetto della sua tesi, ha sempre amato le auto (suo padre commerciava Lancia e Autobianchi) e ha coronato un suo sogno quando, nel 1990, è stato assunto in Fiat Auto, dove ha incominciato la sua carriera.
Già nel 1995 era responsabile dell'ufficio di Pechino e, quattro anni dopo, delle attività in Asia. Poi, ha avuto il coordinamento dell'alleanza con General Motors e, nel 2004, la presidenza della joint-venture Powertrain. E' stato, fra l'altro, Ceo della turca Tofas, che produce la nuova famiglia della Tipo, modello di successo, fortemente voluto da Altavilla, al quale vengono attribuiti notevoli meriti anche per la nuova Giulia Alfa Romeo, la Fiat 124 Spyder e la Maserati Levante.
Oltre che principale responsabile delle attività di Fca nell'area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa), Alfredo Altavilla è uno dei pilastri del Gec-Group Executiove Council, il ristretto organo tecnico di Fca capitanato da Sergio Marchionne.
Alfredo Altavilla, responsabile Fca per l'Emea

ROBERTO CINGOLANI – Pluripremiato, “Alfiere del lavoro” e, fra l'altro, “Commendatore della Repubblica”, Roberto Cingolani, fisico italiano e grande direttore scientifico dell'IIT, l'Istituto Italiano di Tecnologia, straordinaria eccellenza nazionale, è appena stato insignito dell'onorificenza e dell'incarico di Ambasciatore di Genova nel mondo. La nomina, da parte di Marco Bucci, dinamico neo sindaco della Superba, è stata commentata molto, molto favorevolmente, sia per i valori scientifici e manageriali di Roberto Cingolani (“è uno dei campioni dell'innovazione tecnologica”) sia per quanto ha già fatto per Genova, rendendola un centro di ricerca e di trasferimento tecnologico conosciuto a livello globale (occupa studiosi che arrivano da oltre 55 Paesi), sia per quanto si appresta a fare.
Infatti, Roberto Cingolani ha preannunciato che, nei prossimi sei anni, l'IIT realizzerà due progetti straordinari a Genova, uno agli Erzelli e l'altro a San Quirico, con un investimento di duecento milioni di euro. “Il risultato finale sarà qualcosa di davvero importante” ha anticipato a Massimo Minella di Repubblica, confidando anche che non ha alcuna intenzione di proporsi per un nuovo mandato dopo l'attuale, che scade alla fine dell'anno prossimo. “Io posso restare, se necessario, ma con un altro incarico, per dare ancora il mio contributo, ma non più come direttore scientifico” ha detto a Minella.
Classe 1961, laurea in Fisica all'Università di Bari, poi diploma di perfezionamento in Fisica alla Normale di Pisa, Roberto Cingolani, nato a Milano, tra il 1989 e il 1981 è stato ricercatore al Max Plank di Stoccarda. Nel 2000 è diventato professore di Fisica Generale alla Facoltà di Ingegneria dell'Università del Salento, dove, l'anno dopo, ha fondato il National Nanotecnhnology Laboratory. Fra l'altro, è stato visiting professor all'Institute of industrial sciences della Tokyo University.

Dell'IIT, presieduto dal piemontese Gabriele Galateri, è direttore scientifico dal dicembre 2005 e, da allora, potentissimo propulsore. Roberto Cingolani è autore o co-autore di circa 750 pubblicazioni corrispondenti a quasi 20.000 citazioni. Inoltre, ha al suo attivo 46 famiglie di brevetti.  
Roberto Cingolani, direttore scientifico IIT

Regioni e Province, il debito risale

Nell'agosto appena passato, per la prima volta dal dicembre 2016, il debito pubblico italiano è diminuito rispetto al mese precedente. Banca d'Italia, infatti, oggi ha comunicato che al 31 agosto il debito pubblico nazionale è risultato di 2.279,2 miliardi di euro, mentre ammontava a 2.300,5 miliardi al 31 luglio, a 2.282 miliardi al 30 giugno e a cifre progressivamente inferiori fino al 30 dicembre dell'anno scorso, quando era pari a 2.218,5 miliardi, quindi inferiore ai 2.231,6 miliardi di fine novembre 2016. Da gennaio, il debito ha continuato a crescere, ininterrottamente, appunto fino all'agosto appena passato.
Naturalmente, la rilevazione della Banca d'Italia ha fatto piacere ed è stata commentata positivamente. Proprio la diffusa soddisfazione, però, non ha fatto considerare un fatto negativo, che emerge dalla disaggregazione dei dati della stessa Banca d'Italia.
Infatti, il nuovo rapporto dell'Istituto di via XX settembre guidato dal governatore Ignazio Visco evidenzia che l'insieme delle Regioni e anche delle Province hanno aumentato i loro debiti, interrompendo la tendenza di riduzione che durava da anni.
Alla fine di agosto, il debito delle Regioni e delle Province autonome è risultato di 30,269 miliardi, a fronte dei 30,157 miliardi di fine luglio, dei 30,385 di giugno e di somme sempre superiori alla fine dei mesi precedenti, da oltre il 2015. Quanto, alle Province e alle Città Metropolitane, il debito al 31 agosto è ammontato a 7,388 miliardi, 2 milioni in più rispetto al mese precedente, l'ultimo di una lunga serie a segnare un calo rispetto al mese precedente.
Al contrario di Regioni, Province autonome, Province a statuto ordinario e Città Metropolitane, hanno invece continuato a far scendere il loro indebitamento i Comuni, così come i restanti Enti locali. Il debito complessivo dei Comuni è sceso a 40,202 miliardi (40,256 miliardi alla fine di luglio e cifre progressivamente superiori nei mesi prima) e a 10,430 miliardi quello degli alti Enti locali, diversi da Regioni, Province e Città Metropolitane.
Grazie a queste due categorie di Amministrazioni pubbliche locali, comunque, anche alla fine di agosto il debito complessivo degli Enti locali, pari a 88,289 miliardi è risultato inferiore a quello dei mesi antecedenti (al 31 dicembre 2016 era ancora di di 89,885 miliardi e di 93,4 miliardi alla stessa data del 2015).

A questo punto, in attesa di dati più recenti, va ricordato che al 31 dicembre scorso, il debito consolidato delle Amministrazioni pubbliche locali ammontava a 12,576 miliardi in Piemonte, a 2,434 miliardi in Liguria e a 266 milioni in Valle d'Aosta.

Oltre 381.000 gli extracomunitari regolari

Sono un po' più di 381.000 i cittadini non comunitari presenti nelle tre regioni del Nord Ovest, regolarmente, cioè in regola (il numero, quindi, non comprende gli irregolari, immigrati illegalmente, privi del permesso di soggiorno e clandestini). Insieme, gli extracomunitari regolari rappresentano il 6,3% della popolazione di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta.
In particolare, all'inizio di quest'anno, il Piemonte ne ospitava 258.456, la Liguria 117.396 e la Valle d'Aosta 5.468. Tutta l'Italia, invece, 3.714.137, come ha censito l'Istat, l'istituto nazionale di statistica.
In Piemonte, la componente più numerosa di extracomunitari regolari è costituita dai marocchini (59.796 al primo giorno di gennaio 2017). Seguono gli albanesi (40.051), i cinesi (21.292), i peruviani (11.890), gli ucraini (10.392), i moldavi (9.408), i nigeriani (9.142), gli egiziani (8.355), i senegalesi (7.008) e i filippini (6.123). Gli indiani sono 4.856, qualche centinaia più degli ecuadoregni (4.160) e dei brasiliani (4.066), che precedono i pachistani (3.943).
Dei cittadini non comunitari regolari presenti in Piemonte, 75.165 sono nati nell'Europa Centro-Orientale, 107.440 in Africa, 45.821 in Asia, 29.823 in America e 126 in Oceania (gli apolidi sono 81).
Anche in Liguria, è da Paesi dell'Europa Centro-Orientale che proviene la maggioranza relativa degli extracomunitari regolari, formata da 34.815 individui, 22.341 dei quali nati in Albania, 5.289 in Ucraina e 1.862 in Moldavia. Qui, però, la seconda comunità più popolosa è quella ecuadoregna, con 19.726 immigrati, tanti da far attribuire all'America il secondo posto tra i continenti che più hanno contribuito all'arrivo di extracomunitari regolari in Liguria; infatti, sono risultati 32.902 gli americani, a fronte dei 31.352 africani e i 18.220 asiatici.
In Liguria, dopo gli albanesi e gli ecuadoregni, gli immigrati regolari più numerosi sono i marocchini (15.551), i cinesi (5.532) e i peruviani (4.396), seguiti dai senegalesi (3.057).
Invece, in Valle d'Aosta sono gli africani gli immigrati regolari più numerosi: 2.793, dei quali 1.847 marocchini, più di tutti gli europei centro-orientali (1.460), dei quali 788 sono albanesi. Gli asiatici sono 611 (in particolare, 303 cinesi) e gli americani 598, dei quali 103 peruviani e 100 brasiliani.
A livello nazionale, dove le prime dieci cittadinanze rappresentano il 61,16% delle presenze di extracomunitari regolari, le comunità più numerose sono la marocchina (454.817 persone), l'albanese (441.838), la cinese (318.975), l'ucraina (234.066) e la filippina (162.489).
Durante il 2016, l'Italia ha rilasciato 226.934 nuovi permessi di ingresso, il 5% in meno rispetto all'anno precedente. Il 34% dei nuovi permessi, pari a 77.927, è stato rilasciato per motivi di asilo e protezione umanitaria, mentre solo il 5,7% (12.873), ha riguardato le migrazioni per lavoro, diminuite del 41% rispetto al 2015.
Fra l'altro, l'Istat ha rilevato che i nuovi flussi di immigrazione non sempre danno luogo a una presenza destinata a radicarsi in Italia, come dimostra il fatto che solo il 53,4% degli extracomunitari regolari giunti nel 2012 è risultato ancora presente nel nostro Paese all'inizio di quest'anno. Tra il 2012 e il 2016, inoltre, sono stati oltre 541.000 i cittadini non comunitari che hanno acquisito la cittadinanza italiana. Di questi, però, più di 24.000 si sono successivamente trasferiti all'estero.
Sergio Chiamparino, governatore del Piemonte

Gran poker di Gavio, Garrone e Denegri

Gran Toro, oggi in Borsa, per quattro società del Nord Ovest: le due del gruppo Gavio (Astm e Sias), la Erg dei Garrone e la Diasorin dei Denegri e Rosa. Tutte quattro non soltanto hanno chiuso con rialzi superiori al 2%, mentre l'indice generale di Piazza Affari ha denunciato un calo dello 0,68%, ma hanno anche fatto segnare i loro nuovi record storici.
La Astm (Autostrada Torino Milano) ha chiuso le contrattazioni a 22,83 euro (+2,01% rispetto all'ultimo prezzo di ieri), migliorando di 4 centesimi il primato precedente del 12 settembre scorso e facendo salire a 2,260 miliardi il valore della società riconosciuto dal mercato. La quotazione odierna è risultata superiore al target price indicato da Mediobanca, un mese fa, quando l'aveva alzato da 19,5 a 21,8 euro, così come aveva aumentato da 13,1 a 15,2 il target price di Sias, l'altra quotata del gruppo Gavio.
L'ultimo prezzo dell'azione Sias è stato di 14,41 euro, superiore del 2,78% a quello di ieri e di 33 centesimi rispetto al precedente massimo (14,08 euro, ancora il 12 settembre scorso). La capitalizzazione della Sias, che si appresta ad acquisire il controllo esclusivo di Tem (Tangenziali esterne di Milano) ora sfiora i 3,279 miliardi.
Erg. Il titolo del gruppo genovese controllato dalla famiglia Garrone ha sondato il tetto dei 14 euro, arrivando a 14,04. con un incremento del 2,78% rispetto a ieri, giornata del record precedente. Il nuovo balzo può avere due cause, correlate fra loro: l'imminente vendita delle 2.600 stazioni di servizio Total-Erg, la joint venture tra i due gruppi omonimi, alla Api della famiglia Brachetti Peretti e l'extra dividendo che ne potrebbe derivare, secondo alcuni analisti.
Comunque, la capitalizzazione della Erg ammonta ora a 2,110 miliardi. 
A proposito di capitalizzazione, quella di Diasorin oggi ha superato, per la prima volta, la soglia dei 4,5 miliardi. Risultato conseguente alla nuova impennata del titolo della società di Saluggia, leader nelle biotecnologie e presieduta da Gustavo Denegri, che ne è il principale azionista. Oggi, infatti, il titolo Diasorin è andato oltre gli 80 euro (chiusura a 80,55), facendo registrare un aumento del 2,29% rispetto al prezzo finale di ieri.
Beniamino Gavio, n.1 del Gruppo omonimo
Alessandro Garrone, vice presidente Erg
Gustavo Denegri, presidente Diasorin

Alpitel, una cuneese a pieni giri

Alpitel a pieni giri. L'impresa cuneese di Nucetto, specializzata in progettazione, sviluppo e realizzazione di di reti e impianti di telecomunicazione utilizzando tecnologie avanzate e di ultima generazione, ha appena firmato un accordo quadro con Rete Ferroviaria Italiana, intesa che consolida i rapporti tra le due società e che segue di poco sia il riconoscimento di Cisco Gold Partner, per l'undicesimo anno consecutivo, sia l'avvio di una partnership tra Alpitel ed Ennova per la trasformazione digitale delle aziende italiane.
La nuova partnership prevede l'offerta congiunta di “Digital One Solution”, soluzione consistente nella fornitura di tutti gli elementi che servono alle aziende per la trasformazione digitale: dalla progettazione alla realizzazione e gestione delle reti di telecomunicazione alla fornitura e gestione degli apparati e dei servizi digitali.
Fondata nel 1950 da Giovanni Bellino, Alpitel ha oggi 571 dipendenti e 18 sedi, fra le quali Roma, Genova e Imperia. Nel 2016 ha fatturato 118,5 milioni, a fronte dei 105,5 del 2015, chiuso con un utile netto superiore a 0,5 milioni e un patrimonio netto di 14 milioni. Nel 2014 il suo giro d'affari era stato di 88,4 milioni. Presidente e amministratore delegato è Giancarlo Bellino, che ha come vice, da luglio, Gianni Moretto, con la responsabilità delle strategie e dell'innovazione. Direttore generale è Carlo Carlotto.
Quanto a Ennova, è nata nel 2010, nell'incubatore I3P del Politecnico di Torino, dove mantiene la sede. E' specializzata nello sviluppo di servizi e soluzioni digitali per il mercato Smart, attraverso la realizzazione di piattaforme tecnologiche per l'accesso da remoto su dispositivi smartphon, tablet e personal computer per aziende di telecomunicazioni, finanza e multiutility. Occupa oltre 400 dipendenti. Nell'aprile del 2015 ha ricevuto, dal presidente Sergio Mattarella, il premio Leonardo Start-Up, mentre l'anno prima aveva avuto il riconoscimento di “Start-up italiana dell'anno 2014”. Presidente di Ennova è Fiorenzo Codognotto.
Giancarlo Bellino, presidente e ad Alpitel

Ansaldo Energia corre verso la Borsa

A Genova, in particolare, ma anche altrove, è stata accolta con soddisfazione la notizia, pubblicata da Mf, che la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), braccio finanziario del Governo, ha deciso di accelerare il processo finalizzato alla quotazione di Ansaldo Energia in Borsa. Da mesi, Piazza Affari è in crescita e il vertice della Cdp, partecipata da numerose fondazioni bancarie, vuole approfittarne, per valorizzare al meglio la quota di Ansaldo Energia destinata a finire sul mercato, mantenendo, però, il controllo della società genovese.
Attualmente, la Cdp, guidata dal duo Claudio Costamagna e Fabio Gallia (rispettivamente presidente e amministratore delegato), possiede il 60% di Ansaldo Energia, avendone rilevato da poco il 15% da Leonardo, l'ex Finmeccanica, pagandolo 117 milioni. Il restante 40% fa capo al colosso cinese Shanghai Electric, che ha comprato questa quota per 400 milioni nel 2014 e, a sua volta, venderebbe una parte delle sue azioni.
Ansaldo Energia è un motivo d'orgoglio di Genova e dell'Italia. Attiva nel settore energetico, è tra i principali produttori di centrali elettriche al mondo: fa centrali termiche, geotermiche, combinate e nucleari; turbine a gas e a vapore, oltre che termogeneratori. Suoi impianti si trovano in un'ottantina di Paesi. Conta circa 2.700 dipendenti. Nel 2016 ha fatturato 1,25 miliardi e ha conseguito un utile netto di oltre 60 milioni. A fine anno mostrava un patrimonio netto di poco inferiore ai 600 milioni e aveva un portafoglio ordini di 5,34 miliardi.
Pochi giorni fa, Ansaldo Energia ha rilevato il 10% di Ac Boilers, società controllata da Sofinter. Con questa operazione, Ansaldo Energia sbarca nel mercato delle caldaie di grande taglia per impianti di produzione di vapore ed energia.

Presidente di Ansaldo Energia è Giuseppe Zampini, che, recentemente, ha lasciato a Filippo Abbà il timone operativo dell'impresa della quale è stato straordinario motore di sviluppo, fin dal 2001 quando aveva assunto l'incarico di amministratore delegato. Nato a Belluno nel 1946, laurea in Ingegneria nucleare all'Università di Pisa, Giuseppe Zampini ha iniziato la sua carriera alla Nira di Genova (gruppo Ansaldo). Dal poco più di due anni è anche presidente di Confindustria Liguria, dopo essere stato al vertice dell'associazione degli industriali genovesi. Fra l'altro, è presidente dell'Ospedale Galliera ed è stato consigliere di amministrazione di Banca Carige.
Giuseppe Zampini, presidente Ansaldo Energia

Fondazioni&banche, due casi emblematici

Che il protocollo d'intesa tra ministero dell'Economia e delle Finanze (Mef) da una parte e l'Acri, l'associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria e delle Casse di risparmio, dall'altra, avrebbe creato un grosso problema, lo avevano detto, subito, pochissimi osservatori del sistema creditizio e finanziario. Stranamente.
Il testo, firmato dal ministro Pier Carlo Padoan e dal presidentissimo Giuseppe Guzzetti, conteneva, infatti, una bomba a orologeria con fortissimo potenziale, che, i più non hanno considerato, forse per non urtare la suscettibilità di Guzzetti e di qualche alto direttore ministeriale, forse per evitare di avere prevedibili difficoltà interne, forse per superficialità o, forse, pensando che, essendo in Italia, il tempo avrebbe provveduto a disinnescare la bomba, automaticamente.
La bomba consiste nell'impegno di tutte le fondazioni firmatarie del protocollo a ridurre il valore della loro partecipazione nella banca conferitaria, cioè nell'istituto creditizio dal quale hanno avuto origine, 25 anni fa, entro il 33% del valore complessivo del loro attivo patrimoniale. Limite da raggiungere entro tre anni dalla firma, quindi entro il 22 aprile del 2018, se la banca conferitaria è quotata in Borsa ed entro il 22 aprile del 2020 se, invece, non lo è.
In ogni caso, il risultato è identico: numerose fondazioni sono costrette a perdere il controllo della “loro” banca o a non esserne più l'azionista di riferimento. Fra queste spicca la Compagnia di San Paolo, la seconda maggiore fondazione italiana per patrimonio. L'ente torinese di corso Vittorio Emanuele II, proprio ieri, ha comunicato di aver ceduto 150 milioni di azioni di Intesa Sanpaolo, pari allo 0,95% del capitale del colosso finanziario, riducendone così all'8,2% la sua quota, destinata però a calare ancora di quale punto.
E' prevedibile, perciò, che nella primavera prossima, la Compagnia di San Paolo non sarà più il singolo maggior azionista di Intesa San Paolo. Infatti, già ora il fondo americano BlackRock ha un po' più del 5% e la Fondazione Cariplo il 4,836%. Non solo: questi due soci possono aumentare la loro quota, a piacimento, non avendo alcun vincolo contrario.
Naturalmente, il mercato non l'ha presa bene: l'azione è scesa, immediatamente. E ancora meno bene l'ha presa Carlo Messina, l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo. Messina ha fortemente criticato la norma del protocollo d'intesa Mef-Acri, con le stesse motivazioni espresse dai rari e ignorati critici della prima ora: dal ruolo fondamentale delle buone fondazioni, quelle gestite bene, per lo sviluppo delle banche conferitarie, all'obbligo irragionevole di cedere, a sconto, partecipazioni molto redditizie, consolidate e ben conosciuto, per investire in altri strumenti finanziari dal risultato più ignoto.
Il tutto in nome della diversificazione, come se questa fosse la panacea di ogni male, piuttosto che dell'influenza politica sulle nomine degli amministratori (dimenticando il divieto legale del vincolo di mandato e, fra l'altro, di interferenze degli azionisti sugli Organi della Banca); oltre che per evitare il ripetersi di casi come quelli di Monte dei Paschi, Carige e altre banche. Non tendendo presente che questi casi sono conseguenti alla mala gestione dei vertici delle banche disastrate, non delle loro fondazioni, se non quando queste erano complici, corree, come però può essere qualsiasi altro azionista di controllo o di riferimento.
All'inizio della loro vita travagliata, le fondazioni avevano l'obbligo di mantenere la maggioranza delle loro banche, poi, le maggiori, sono state obbligate a cederne il controllo. Comunque, le fondazioni, sempre, hanno sostenuto le loro conferitarie, anche sottoscrivendo onerosi aumenti di capitale, tanto da meritarsi i ripetuti elogi da parte dell'allora governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che ha riconosciuto il merito dei salvataggi, della creazione di campioni nazionali e di freno alle invasioni straniere.
Ed eccoci al secondo caso emblematico, quello di Fossano. La Fondazione Cr Fossano, che è ancora azionista di maggioranza assoluta della locale Cassa di Risparmio, legalmente, perché è partita con un capitale inferiore ai 200 milioni, non ha firmato il protocollo Mef-Acri, nonostante il suo presidente di allora, Antonio Miglio, fosse addirittura vice presidente dell'Acri e uno dei principali cooperatori di Guzzetti.
La Fondazione Cr Fossano vuole continuare ad assicurarne l'indipendenza della sua banca, ritenuta strategica per l'economia del territorio originario e la sua comunità. Lo ha ribadito, l'altro giorno, il nuovo presidente della Fondazione, Gianfranco Mondino, respingendo anche l'ipotesi di un'aggregazione della Fondazione con altre cuneesi.
Però, quella di Fossano resta una questione aperta. Non avendo firmato il famigerato Protocollo, rischia “soltanto” l'espulsione dall'Acri o, essendo comunque sottoposta alla Vigilanza del Mef, potrebbe trovarsi commissariata, se non adempirà alla norma del calo del valore della partecipazione nella Cassa di Risparmio  presieduta da Giuseppe Ghisolfi entro il 33% dell'attivo totale, prima del 22 aprile 2020? O riuscirà a rispettare il limite, mantenendo almeno la condizione di azionista di riferimento, facendo in modo che nessuno possa avere una quota superiore alla sua, magari diluendo al massimo il capitale e impedendo patti di sindacato? (ma Banca d'Italia e Mef autorizzerebbero una soluzione simile?).
La vicenda Fossano è molto interessante e significativa, anche perché – come ha ricordato Gianfranco Mondino – la Cassa di Risparmio e la sua fondazione hanno sempre chiuso il bilancio in attivo e hanno raddoppiato il patrimonio. A ulteriore conferma che non sono le dimensioni a garantire redditività, competitività, solidità e sviluppo; ma la buona amministrazione.
Infine, la Fondazione Carige, della quale se ne erano perse le tracce. A farla riemergere dall'oblio è Vittorio Malacalza, azionista di riferimento della travagliata Banca Carige, il quale ha preannunciato che non rinnoverà il patto parasociale con l'ente genovese di via Chiossone. Alla scadenza dell'intesa, l'8 maggio prossimo, ognuno per sé. E la Fondazione, che pare abbia ormai solo più lo zero virgola di Carige, perderà anche il diritto di nominare un suo designato nel Consiglio di amministrazione di quella che è stata la “sua” banca.
Da oltre un paio d'anni, della Fondazione Carige non si sentiva più parlare. C'è chi si ricorda di un accordo con la Compagnia di San Paolo, venuta generosamente in soccorso. Nient'altro. Attività?Presentazioni? Comunicati? Boh. Però, ora, grazie a Malacalza, sappiamo che Fondazione Carige è viva. Non si sa, invece, cosa faccia. Ma questo è un altro discorso. 
Francesco Profumo, presidente Compagnia di San Paolo

Giuseppe Ghisolfi, presidente CR Fossano

Bim sotto l'euro, nuovo minimo storico

Chi credeva che l'azione della Banca Intermobiliare (Bim) avesse toccato il fondo, l'ultimo giorno di agosto, quando Piazza Affari l'ha valutata 1 euro tondo tondo, deve ricredersi. Oggi, 10 ottobre, il titolo Bim è precipitato a 0,98 centesimi (-7,11% rispetto a ieri), facendo segnare così il nuovo minimo storico. La capitalizzazione è scesa a poco più di 153 milioni, cifra inferiore al capitale sociale che è di 156,2 milioni.
La nuova caduta, comunque, ha sorpreso. Anche perché viene data in dirittura d'arrivo la vendita del 71,41% del capitale dell'istituto attualmente in possesso dei commissari liquidatori di Veneto Banca (il 9,04% appartiene ancora a Pietro D'Aguì, che faceva parte del gruppo di controllo e che è stato ai vertici della Bim per lungo tempo).
I liquidatori di Veneto Banca, infatti, hanno accordato ad Attestor Capital la negoziazione della transazione, in esclusiva, fino al 20 di questo mese. Attestor Capital, fondo d'investimento che ha già fatto operazioni analoghe con altre banche, all'estero, è stato preferito a Brm Barents, l'altro contendente che era rimasto in gara, dopo una prima selezione.
La Banca Intermobiliare, sede e direzione a Torino, specializzata nel settore private, dopo alcuni ribaltamenti, ha al suo vertice Maurizio Lauri (presidente), Giorgio Girelli, consigliere con incarichi e Stefano Grassi, direttore generale. Opera da oltre trent'anni. Nel 2009 è entrata nell'orbita di Veneto Banca, che, due anni dopo, ne ha acquisito il controllo.

Al 30 giugno scorso, presentava una raccolta complessiva pari a 8,7 miliardi e un Cet1 del 10,74%. Nel primo semestre di quest'anno ha avuto una perdita consolidata di 24,9 milioni, a fronte dei 14,7 milioni della prima parte del 2016.

Giornalisti, una scuola per direttori

Dicono che sarà Alberto Sinigaglia il presidente dell'Ordine dei Giornalisti del Piemonte (poco meno di 7.200 iscritti, tra professionisti e pubblicisti). La conferma della sua elezione è attesa lunedì 10 ottobre, quando, per la prima volta, si riunirà il nuovo Consiglio, appena uscito dalle urne. Per Alberto Sinigaglia, 69 anni, entrato alla Stampa di Torino 47 anni fa, chiamato dal direttore Alberto Ronchey che aveva notato le sue collaborazioni a Epoca, Panorama e Il Mondo, sarà il terzo mandato da presidente. E' destinato a mantenere la carica fino al 2020.
Nel suo ultimo triennio – ha anticipato che non accetterà un'altra candidatura – aspira a istituire a Torino la prima scuola europea per direttori e amministratori di giornali, che sono prodotti sì, ma speciali. Un obiettivo che ritiene raggiungibile e che considera importantissimo per il rilancio della professione e del settore, entrambi in crisi da anni. Crisi che, per essere superata, richiede giornalisti più preparati, più competenti,con maggiori possibilità di accrescere e coltivare la loro cultura, meglio retribuiti per i loro meriti lavorativi e per la funzione strategica che svolgono,
Alberto Sinigaglia, nel 1975, ha guidato il gruppo fondatore di Tuttolibri, supplemento settimanale di cultura pubblicato da la Stampa, della quale è poi diventato responsabile dei progetti editoriali e della quale è ancora collaboratore, oltre che presidente del Gruppo Anziani. Fra l'altro, ha scritto e condotto programmi radiofonici e televisivi per la Rai, quali Addio al Novecento, Fatti di famiglia, Quarto Potere e Vent'anni al Duemila. Attualmente, è anche presidente della Fondazione Filippo Burzio e del comitato scientifico della Fondazione Cesare Pavese, che ha sede a Santo Stefano Belbo, nel Cuneese.
Oltre che da Alberto Sinigaglia, che ha avuto il maggior numero di voti, il nuovo Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti del Piemonte è formato da Maria Teresa Martinengo, Andrea Caglieris, Giorgio Levi, Mario Bosonetto, Chiara Briante (professionisti), Ezio Ercole, Franca Giusti e Franco Leonetti (pubblicisti).
Per quanto riguarda l'Ordine dei Giornalisti della Valle d'Aosta, sono stati eletti i professionisti Tiziano Trevisan (presidente uscente), Laura Zarfati, Sonia Charles, Thierry Pronesti, Denis Falconieri, Fabrizio Perosillo e i pubblicisti Pier Paolo Civelli, Bruno Fracasso e Simonetta Padalino.
Infine l'Ordine ligure: del nuovo Consiglio fanno parte Licia Casali, Stefano Picasso, Filippo Paganini (presidente uscente), Nadia Campini, Fabrizio Cerignale ed Emanuele Rossi (professionisti), Franca Po, Michela De Leo e Loredana Papini (pubblicisti).

Quali consiglieri dell'Ordine nazionale, i giornalisti del Piemonte hanno eletto i professionisti Beppe Gandolfo e Cristina Caccia e il pubblicista Gianni Stornello. Aosta ha indicato il professionista Enrico Romagnoli e il pubblicista Moreno Vignolini; Genova il professionista Andrea Ferro e il pubblicista Dino Frambati.
Alberto Sinigaglia, Ordine del Piemonte

La moria delle partite Iva

Moria di partite Iva, nel Nord Ovest più che nel resto d'Italia. Dal 2008 al 30 giugno appena passato, lo stock dei lavoratori autonomi (piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, liberi professionisti, lavoratori in proprio, coadiuvanti, soci di cooperativa) è diminuito di quasi 62.000 unità nelle tre regioni del Nord Ovest e di 297.500 in tutto il Paese.
In particolare, il numero degli autonomi è sceso a 152.500 (dai 170.300 del 2008) in Liguria e a 415.800 (dai 459.900 del 2008) in Piemonte e Valle d'Aosta, considerate insieme. In Liguria il calo è stato del 10,4% e del 9,6% in Piemonte più Valle d'Aosta.
La riduzione del Nord Ovest è risultata del 9,8%, a fronte della media italiana del 5,5%. Nel nostro Paese, infatti, le partite Iva correlate agli autonomi si sono ridotte da poco più di 5,421 milioni del 2008 a poco meno di 5,124 milioni. E questo mentre, nello stesso periodo, il numero dei lavoratori dipendenti è salito da oltre 17,213 milioni a 17,516 milioni, circa 303.000 in più (+1,8%).
A rilevare questi fenomeni è stato l'ufficio studi della Cgia di Mestre, l'associazione locale degli artigiani e delle piccole imprese, basandosi su dati Istat.
“I dati ci dicono che la crisi ha colpito soprattutto le famiglie del cosiddetto popolo delle partire Iva, ovvero dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti, dei liberi professionisti e dei soci di cooperative” hanno commentato dalla Cgia di Mestre, fra l'altro, rilevandone la crescita del tasso dei soggetti a rischio di povertà.
“Fino a una decina d'anni fa – è stato scritto dalla Cgia veneta – aprire una partita Iva era il raggiungimento di un sogno: un vero status symbol, perché l'opinione pubblica collocava questo neo-imprenditore tra le classi socio-economiche più elevate. Oggi, invece, non è più così: per un giovane, in particolar modo, l'apertura della partita Iva è spesso vissuta come un ripiego o, peggio ancora, come un espediente, che un committente gli impone per evitare di assumerlo come dipendente”.
Al 30 giugno appena passato, le tre regioni con più autonomi erano la Lombardia (884.000), il Lazio (466.200) e il Veneto (463.000).

La nuova "lezione" di Camillo Venesio

Ormai, forse poco o nulla infastidisce le persone ragionevoli e responsabili quanto i continui moniti, gli irrefrenabili richiami a quello che è necessario, quando non doveroso, fare. Naturalmente, sempre riferito agli altri. Sono sempre altri soggetti che devono fare, intervenire, rimediare; a partire da politici, amministratori pubblici, legislatori, magistrati, enti … Tutti, o quasi, a dire cosa bisogna fare e, invece, pochissimi che dicono cosa loro hanno fatto o stanno facendo, concretamente, per risolvere il problema denunciato, per superare le difficoltà, per restare competitivi, per svilupparsi, piuttosto che per contribuire al miglioramento dell'economia e delle condizioni generali di una comunità locale e del Paese.
Per questo, è risultato particolarmente apprezzabile ed apprezzato l'intervento del banchiere Camillo Venesio, sabato 7 ottobre, alla presentazione della diciottesima edizione del Rapporto “Giorgio Rota” (indimenticabile e rimpianto economista torinese), promosso dal Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi e sostenuto, insieme, dalla Banca del Piemonte e dalla Compagnia di San Paolo. Rapporto dedicato, come i precedenti, alla situazione di Torino, ricco di dati e confronti, rigoroso, affidabile, ispiratore di riflessioni e di provvedimenti.
Venesio, infatti, ha detto che “invece di chiedere soltanto ad altri di fare qualcosa, ho analizzato la mia attività di imprenditore e l'impresa che dirigo (la Banca del Piemonte, indipendente da 105 anni, tra le più solide in Europa), chiedendomi che cosa abbiamo fatto per l'impresa e, quindi, per il tessuto economico della città”.
Ha subito risposto: “Abbiamo superato, con successo, nell'ultimo decennio, tre forti shock: crisi economica, tecnologico, normativo (uno tsunami), cambiando completamente modello di business, investendo tanto in nuove tecnologie e professionalità (assumendo statistici, matematici, ingegneri gestionali, moderni informatici, gestori di nuovi rischi, consulenti, analisti di processi, operatori di conctact center … al posto di operatori di sportello e cassieri). Inoltre, abbiamo fatto pesanti innovazioni di processo e lanciato nuovi prodotti”.
“Nel contempo – ha aggiunto – abbiamo avviato un passaggio generazionale. Il tutto con impegno, sacrificio, ricominciando quando sbagliavamo e senza alcun sostegno da Industria 4.0, che non vale per le banche, beneficiarie, come tutti, del credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo”.
Venesio, amministratore delegato e direttore generale di Banca del Piemonte, interamente posseduta dalla sua famiglia e con bilanci storicamente in attivo, ha ricordato che tanti altri imprenditori, anche a Torino, hanno fatto lo stesso, evitando di piangersi addosso e di godersi i risparmi messi da parte delle generazioni precedenti.

E questo spiega perché, nonostante tutto, Torino sopravvive. Non tutti i soggetti in causa, però, hanno fatto e fanno la loro parte. E questo spiega perché Torino ha perso colpi, si è impoverita e indebolita.
Camillo Venesio, n.1 Banca del Piemonte