Giornata nera, quella odierna, per il
titolo Orsero, uno dei quattro liguri (gli altri sono: Erg, Banca
Carige e Boero Bartolomeo, che però ha già avviato le procedure per
uscire dal listino di Piazza Affari). L'azione Orsero, infatti, ha
chiuso a 10,51 euro, il 15,65% in meno rispetto alla quotazione
precedente. L'”orso” ha portato Orsero vicino al minimo del 2017,
che è stato di 9,36 euro, segnato il 9 gennaio. Nonostante la caduta
di oggi, però, l'azione dell'impresa di Albenga, guidata da
Raffaella Orsero (vice presidente e amministratore delegato) mostra
un valore ancora superiore del 17,7% a un anno fa.
Il tonfo è sopraggiunto il giorno dopo
la comunicazione dei risultati conseguiti nel primo semestre 2017.
Dati non tutti positivi. Se, infatti, i ricavi netti sono ammontati a
473 milioni (336,6 nel corrispondente periodo precedente), l'utile
netto è stato di 20 milioni (11,4 nel gennaio-giugno dell'anno
scorso) e il patrimonio netto è salito a 149,2 milioni dai 116,5 di
fine 2016; il margine lordo è sceso da 43,8 a 38,1 milioni e
l'indebitamento netto è cresciuto dai 49,1 milioni del 31 dicembre
2016 ai 76,8 milioni del 30 giugno, comprensivi però dei 20,4
milioni spesati per le acquisizioni.
Anche per l'azione ordinaria di Banca
Carige le contrattazioni odierne di Borsa si sono chiuse in rosso,
dato che l'ultimo prezzo è stato di 0,23 euro (-1,24%). Un risultato
che molti hanno ritenuto non negativo in considerazione della
notizia, pubblicata con grande evidenza, che la continuità aziendale
dell'istituto creditizio genovese potrebbe essere a rischio se il
piano di rafforzamento patrimoniale non raggiungerà tutti gli
obiettivi.
In risposta alla richiesta di
chiarimenti da parte della Consob, infatti, la stessa Banca Carige ha
scritto che “qualora anche una sola” delle operazioni di
rafforzamento – l'aumento di capitale, la conversione di
individuati bond subordinati e vendita di assest - “non si
realizzasse in tutto o in parte, i requisiti patrimoniali della Banca
potrebbero risultare inferiori a quelli indicati dalla Bce,
richiedendo ulteriori misure di rafforzamento patrimoniale, ovvero
determinando altri interventi da parte dell'Autorità di Vigilanza”.
In parole povere, è stato paventato il
rischio di una fine come quella di Veneto Banca e Popolare di
Vicenza. Ipotesi che, tuttavia, giudica non realistica chi conosce a
fondo Vittorio Malacalza, diventato il nuovo azionista di riferimento
dopo le dismissioni della Fondazione Carige. Per il suo 17,5% di
Banca Carige, fino a qualche anno fa sesto gruppo bancario in Italia,
Vittorio Malacalza ha investito oltre 230 milioni, che certamente non
intende perdere, come succederebbe in caso di liquidazione.
Malacalza è un imprenditore tosto,
come ha dimostrato e continua a dimostrare. Volontà e tenacia sono
sue caratteristiche. Ha battezzato “Mai domo” la sua barca a
vela, tanto per essere chiaro. E soltanto uno così poteva affrontare
la sfida Carige, banca certamente non amata da regolatori e vigilanti
e banca che, altrettanto certamente, qualcuno voleva finisse in altre
mani. E soltanto uno come Malacalza ha potuto resistere e reagire,
finora, a tutti gli attacchi, visibili e non.
A questo punto, Malacalza è anche
l'ultima speranza per i piccoli azionisti e i detentori delle
obbligazioni meno rischiose. Se perderà lui, avranno perso tutti.
Vittorio Malacalza, azionista di riferimento di Banca Carige |