Il disegno di legge n.2864, riguardante
le “disposizioni in materia di reati contro il patrimonio
culturale”, approvato dalla Camera dei deputati il 22 giugno scorso
ed ora in Senato, sta preoccupando molto gli antiquari e i mercanti
d'arte, ma, sempre di più, anche comuni detentori di opere quali
dipinti, libri antichi, ceramiche d'epoca così come semplici
collezionisti di rarità o vari oggetti raccolti per passione.
Tanto che non manca chi, come il
senatore Giovanardi, si augura che “nella fase emendativa siano
apportati numerosi e significativi mutamenti al contenuto del disegno
di legge, al fine di delimitare l'ambito di applicazione
dell'intervento sanzionatorio ai comportamenti scientemente posti in
essere da soggetti dediti ad attività delittuose”.
A richiedere modifiche al disegno di
legge, che si propone di stabilire un trattamento sanzionatorio
improntato a una maggiore severità per chi commette delitti contro
il patrimonio culturale, innanzi tutti è la Fima (Federazione
italiana mercanti d'arte). Forti sono le sue osservazioni critiche e
precisi i punti che suggerisce di emendare, spiegandone le ragioni.
Ancora più chiaro e incisivo, però, è
il torinese Giulio Filippo Bolaffi, amministratore delegato
dell'omonimo e ben noto gruppo che opera nell'ambito del
collezionismo da più di 125 anni e oggi impiega circa 130 persone,
con un fatturato annuo di 42 milioni di euro. Le principali attività
del gruppo Bolaffi sono il commercio diretto di francobolli, monete e
altri oggetti da collezione, nonché la loro intermediazione
attraverso le aste.
Nella sua audizione in Senato, Giulio
Guido Bolaffi ha detto, fra l'altro, che “alcune norme del disegno
di legge, rappresentate nella forma attuale, renderebbero una
società, come la Bolaffi, di svolgere la propria attività
quotidiana; inoltre, si creerebbe un clima di terrore nei
collezionisti e si metterebbe in discussione la loro passione”.
Bolaffi ha portato esempi precisi ed
emblematici per dimostrare la validità delle sue affermazioni. Una
prova concreta: la Bolaffi ha in magazzino ancora un centinaio di AQ,
sorta di carta bollata normalmente usata nel 1700 nella Repubblica di
Venezia per la corrispondenza amministrativa interna. Li ha comprati
a una fiera del settore, pagandoli mille lire (0,52 euro) Di AQ, in
passato, ne ha venduti a migliaia, per cui il lotto ancora in
magazzino non rappresenta certo un unicum, per di più di particolare
rilievo culturale. Però questo lotto, secondo l'attuale orientamento
di diverse Soprintendenze, sarebbe di natura “demaniale” e,
perciò, un bene culturale; per cui, in quanto tale, la sua
detenzione e il suo commercio comporterebbero per i responsabili
della Bolaffi, secondo il contestato disegno di legge, una pena di
reclusione da 3 a 12 anni.
Altro esempio. Un vecchio libro,
diventato “bene culturale” in seguito alla sua notifica allo
Stato, fatta in funzione della sua vendita all'asta, torna a chi
l'aveva ereditato perché invenduto. Poco dopo, a causa di
un'infiltrazione dal tetto, il libro in questione si rovina.
Conseguenza prevista dal disegno di legge: il detentore di quel libro
può essere punti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Giulio Guido Bolaffi ha citato poi
altri casi, per arrivare a concludere che “la legge in esame
comporterebbe pene spropositate rispetto alla gravità e alla buona
fede di chi li ha commessi all'interno di una normale routine
commerciale o collezionistica”. Chiede, perciò, che, prima di
tutto, sia ben definita la distinzione della gravità dei reati
contro pezzi unici del patrimonio culturale italiano “rispetto a
quanto può accadere nello spiccio quotidiano di oggetti da
collezione che nulla hanno a che vedere con i capolavori che
costituiscono il nostro patrimonio culturale”.
“ A maggior ragione – ha concluso
Giulio Guido Bolaffi, davanti ai componenti della Commissione del
Senato – si invita a riflettere attentamente sulla vaghezza
interpretativa del termine bene culturale, che, allo stato attuale,
in mancanza di chiarimenti legislativi in materia, è totalmente
attribuile, in modo soggettivo, dai singoli funzionari delle
Soprintendenze. Per cui, si rischierebbe di infliggere pesantissime
condanne, solo per l'interpretazione soggettiva del termine bene
culturale e della sua attribuzione a un oggetto da collezione, da
parte di un singolo”.
Giulio Filippo Bolaffi |