Raccontano che Enrico Cuccia, il mitico
“imperatore” della Mediobanca dominatrice delle grandi imprese
italiane, quando era necessario diceva che “le azioni si pesano,
non si contano”. E, naturalmente, la bilancia era lui. Insomma, per
il vero potere non basta avere più soldi.
La frase di Cuccia, una delle tante
emblematiche dell'eccezionale banchiere, viene in mente quando si
pensa al “caso” Carige-Malacalza-Banca d'Italia-Bce (Banca
Centrale Europea)
I Malacalza hanno investito sulla Banca
Carige forse più di 360 milioni di euro, arrivando a possederne meno
del 21%, quota che la Borsa di venerdì 2 febbraio ha valutato circa
97 milioni. Vittorio Malacalza, il capo famiglia e il protagonista
dell'operazione, è il vice presidente dell'istituto genovese di via
Cassa di Risparmio, che da anni sta vivendo un travaglio
interminabile.
Nessuno ha più azioni della Malacalza
Investimenti srl (secondo maggiore socio è Gabriele Volpi, con il
9,1%); ma le azioni dei Malacalza “pesano” poco, pochissimo, come
frequentemente si può constatare. Per qualsiasi cosa deve chiedere
preventivamente l'autorizzazione alle Autorità di Vigilanza, che
dicono anche cosa bisogna fare, quando e come.
E' vice presidente, ma non può
esercitare le funzioni che gli spettano. E' l'azionista di
riferimento, ma non può dire la sua neppure sulle strategie,
figuriamoci sul resto. Che non provi a influenzare il “suo”
amministratore delegato e i consiglieri, parte dei quali nominati da
lui, perché altrimenti gli mandano subito i controllori da Roma o da
Bruxelles e magari gli precludono la partecipazione alle riunioni di
vertice. Le critiche, legittime, perché abbiano ascolto deve
metterle per iscritto e chiedere che vengano inserite nell'ordine del
giorno del Consiglio d'amministrazione.
Insomma, il potere, vero, non l'ha
Malacalza; ma l'hanno la Bce e la Banca d'Italia. E a chi si chiede
come sia possibile che dirigenti della Banca d'Italia e della Bce
“pesino” più non solo del vice presidente e maggiore azionista
di Carige, ma anche del presidente, dell'amministratore delegato, di
consiglieri di grande calibro, preparati ed esperti, una risposta
potrebbe essere questa: non fare quello che “suggerisce” la Banca
d'Italia o, peggio, mettersi contro, comporta il rischio di multe
salatissime, da pagare personalmente, rigorosamente e senza eccezioni
(neppure le Assicurazioni possono intervenire). Può comportare,
inoltre, forme d'interdizione, perché la Banca d'Italia ha il potere
di approvare o meno le nomine degli amministratori.
A questo punto, restano in sospeso
alcune domande: Vittorio Malacalza, quando ha deciso di prendere il
timone di Carige era consapevole della sfida, non imprenditoriale
(sulle sue capacità è difficile dubitare, visti i suoi successi
precedenti) ma contro Poteri di cui certamente non conosceva né,
forse, immaginava la forza? E' pentito? Continuerà a battagliare,
nonostante tutto?
Vittorio Malacalza, vice presidente e primo azionista di Carige |
Ps: primo, non ho mai incontrato
Vittorio Malacalza né i suoi figli; però “tifo” per lui, a
ragione di quello che rappresenta, cioè un imprenditore vero, che
rischia soldi suoi e che vuole che le sue azioni vengano contate e
non pesate; secondo, non mi mancano i dubbi sull'operato e sui
comportamenti di Banca d'Italia, Bce, Consob e affini, naturalmente
non soltanto per il clamoroso “caso” genovese.