Nuova indagine sulle aziende in Piemonte: un terzo costretto a fare ricorso alla Cig

In questo particolarissimo momento storico, l’indagine congiunturale trimestrale, realizzata da Confindustria Piemonte, non può che registrare il crollo del clima di fiducia delle imprese piemontesi, travolte dall’emergenza pandemica. Il sondaggio è stato condotto nell’arco delle quattro settimane di marzo, dunque in un periodo caratterizzato da una rapidissima e, in larga misura, inattesa, escalation dei contagi e dei conseguenti provvedimenti restrittivi.

Il peggioramento degli indicatori è eloquente e generalizzato. Nel comparto manifatturiero, quasi il 45% delle imprese prevede una riduzione della produzione, contro il 10% che si attende un aumento. Il saldo peggiora di 22 punti. Ancora più drammatiche le previsioni sugli ordinativi: il 50% sconta una contrazione (contro l’11%).

Era dal 2009, anno di picco della crisi scoppiata nel 2008, che non si registravano valori così negativi per produzione e ordini. Crollano anche export e redditività. Aumentano i ritardi nei pagamenti, un indicatore molto sensibile alle fasi di brusco deterioramento del mercato. Si impenna il ricorso alla Cig: quasi un terzo delle aziende prevede di essere obbligata a fare ricorso agli ammortizzatori sociali. Percentuali così elevate non si vedevano dal 2012-2013.

Una analisi più dettagliata mostra come gli indicatori siano progressivamente peggiorati in conseguenza dell’aggravarsi dell’epidemia.

Tutti i settori produttivi sono stati colpiti dall’emergenza, in modo abbastanza omogeneo. Unica e parziale eccezione è il comparto alimentare, ma anche in questo caso, per la prima volta da anni, gli indicatori sono negativi. Anche il comparto dei servizi è stato coinvolto in pieno dalla crisi. Gli indicatori sono appena meno sfavorevoli di quelli del comparto manifatturiero. Tuttavia molto più marcato è il cambiamento di clima: una vera e propria doccia fredda, considerando che a gennaio il terziario operava in condizioni di mercato espansive, con attese molto positive per attività, ordinativi e occupazione. Isolata eccezione è il comparto Ict, senza dubbio per effetto dell’esponenziale aumento dello smart working.

Anche a livello territoriale non emergono grandi differenze. Gli indicatori meno pessimistici sono riferibili a Cuneo, senza dubbio in conseguenza del maggior peso dell’agroalimentare. Tuttavia, anche in questo caso il saldo ottimisti-pessimisti è fortemente negativo e non trova immediati termini di paragone nel trend degli ultimi anni. Le valutazioni delle imprese torinesi sono perfettamente allineate alla media regionale.

Da alcuni anni l’indagine di marzo contiene una valutazione dell’andamento dell’anno appena concluso. Nel complesso, il 2019 è stato un anno ancora positivo quanto a crescita del fatturato e redditività, ma di netto rallentamento rispetto al 2018.

Nel comparto manifatturiero, la quota di imprese che hanno chiuso l’anno con un aumento del fatturato (34%) è identica a quelle che hanno registrato una dinamica opposta. Positiva la redditività: il 66% delle aziende ha realizzato un utile di bilancio, contro il 10% che ha chiuso in perdita. L’indebitamento è risultato sostanzialmente stabile. Debole l’andamento degli investimenti: il 27% delle aziende ha aumentato la spesa per investimenti rispetto all’anno precedente, il 19% l’ha diminuita, mentre il restante 54% l’ha mantenuta costante o non è in grado di fare valutazioni.

Migliore la performance del terziario, in linea con le indicazioni delle indagini condotte nel corso del 2019, che registravano condizioni di mercato brillanti. Il 42% delle imprese ha aumentato il fatturato; solo il 16% lo ha ridotto. Ottimi anche i risultati di bilancio: il 66% ha chiuso il 2019 in utile (contro l’8%). In riduzione l’indebitamento (9% di aumento contro 18%), nonostante il buon andamento degli investimenti: il 32% delle imprese ha aumentato la spesa rispetto al 2018 (contro il 15%).

Fabio Ravanelli, presidente di Confindustria Piemonte, ha commentato: “Viviamo una crisi molto diversa, per natura e implicazioni, dalla “grande recessione” del 2008-2009, che pure ha avuto costi altissimi. Oggi, è a rischio la tenuta economica e sociale del nostro Paese, non solo qualche punto di Pil. Dobbiamo mettere in campo, insieme alla Bce e all’Europa, tutte le risorse disponibili per sostenere la liquidità delle imprese, aiutare le famiglie, mantenere la continuità delle filiere”. E Dario Gallina, presidente dell'Unione Industriale di Torino ha aggiunto: “ Il blocco delle attività rischia di essere letale per interi settori produttivi e tipologie di aziende. Nessuna impresa, per quanto solida e ben patrimonializzata, può permettersi uno stop prolungato”.