L'Inps ha documentato come la pandemia ha cambiato il mercato italiano del lavoro

Nel 2020, il mercato del lavoro ha scontato l’effetto della pandemia con un calo tendenziale dell’occupazione senza precedenti (-470 mila nella media dei primi tre trimestri) che, a differenza di quanto avvenuto per la crisi economica 2009-2013, si è accompagnato a una forte riduzione della disoccupazione (-304 mila e -11,8%) e all’espansione dell’inattività (+621 mila inattivi tra 15 e 64 anni, +4,7%). Il secondo trimestre, soprattutto nel mese di aprile, ha mostrato la dinamica peggiore; mentre nel terzo trimestre, pur in presenza di un calo dell’occupazione ancora intenso, vi è stata una riattivazione dei non occupati, in particolare nel mese di agosto, con una ripresa della ricerca di lavoro. E quanto documenta lo studio dell'Inps intitolato “Il mercato del lavoro 2020”. Fra l'altro, vi si legge che gli effetti della pandemia sulla partecipazione al mercato del lavoro mostrano come le categorie più fragili (giovani, donne, stranieri), ancora una volta, siano quelle maggiormente esposte agli effetti delle crisi, con ricadute non trascurabili sull’assetto sociale. È aumentato, infatti, il gap di genere sul tasso di occupazione (da 17,8 a 18,3 punti) e quello tra generazioni, con il tasso di occupazione dei giovani under 35 circa 21 punti più basso di quello degli over50 (era 19,3 nel 2019); mentre per gli stranieri il valore dell’indicatore scende sotto a quello degli italiani. I lavoratori autonomi e, soprattutto, i dipendenti a termine hanno subìto la contrazione dell’occupazione più marcata, questi ultimi con un calo tendenziale di 677 mila unità nel secondo trimestre e di 449 mila nel terzo. I settori più colpiti sono stati i servizi domestici (-16,7% nel secondo trimestre e -6,7 nel terzo), il comparto alberghi e ristorazione (rispettivamente -16,1% e -10,8%), in particolare le attività ricettive, e il commercio (-5,8% e -4,2%); tra le professioni l’impatto è stato maggiore per quelle del commercio e dei servizi e per quelle non qualificate. Le misure restrittive adottate tra marzo e maggio hanno comportato sia la diminuzione di quanti hanno iniziato un lavoro nel corso dell’anno (-436 mila e -30,2% nel secondo trimestre 2020 rispetto all’analogo periodo del 2019) sia l’aumento di chi ha smesso di lavorare (+490 mila, +62,2%). Minori ingressi e maggiori uscite dall’occupazione nel 2020 riguardano principalmente i dipendenti a termine. Le difficoltà legate al periodo di lockdown hanno anche ridotto la propensione alla ricerca di lavoro e alla disponibilità a lavorare, le due condizioni necessarie per essere classificati come disoccupati. Il venire meno di una o di entrambe queste condizioni si è tradotto nel calo del numero di disoccupati e nell’aumento soprattutto di chi non ha né cercato lavoro né sarebbe stato disponibile a iniziarlo (+402 mila, +3,9% nella media dei primi tre trimestri 2020); tuttavia, circa la metà dell’aumento di questo aggregato è dovuto, in maniera anomala rispetto al passato, a quanti dichiarano che vorrebbero comunque lavorare. L’emergenza sanitaria ha prodotto anche un mutamento repentino e radicale della modalità di erogazione della prestazione lavorativa che è stata resa, laddove possibile, da remoto (lavoro agile, telelavoro, altre modalità). Il lavoro da casa, che nel 2019 coinvolgeva meno del 5% del totale degli occupati, nel secondo trimestre 2020 ha interessato il 19,4% dei lavoratori, per un totale di oltre quattro milioni di occupati. La digitalizzazione e il distanziamento sociale hanno concorso a produrre una nuova segmentazione nel mercato del lavoro tra chi può lavorare da casa e chi, per la natura della prestazione, è strettamente legato al luogo di lavoro; “ciò richiederà – commenta l'Inps - opportune regolazioni e nuovi criteri organizzativi, in grado di gestire istanze aziendali, individuali e familiari”.