Malacalza in guerra per Carige

Che fine farà la Carige, fino a qualche anno tra le prime dieci banche italiane e oggi con una misera capitalizzazione borsistica di circa 200 milioni di euro? E la Malacalza Investimenti, primo socio con il 17,58% delle azioni (secondo è Gabriele Volpi con il 6%) al prossimo aumento di capitale, previsto in 450 milioni, si limiterà a sottoscrivere pro quota o ne approfitterà per incrementare, a poco prezzo, la sua partecipazione, magari notevolmente? Domande destinate a restare senza risposta, almeno per un po', lasciando ancora in ambasce i numerosissimi piccoli azionisti, moltissimi dei quali hanno visto quasi azzerarsi il loro investimento nella banca che li aveva abituati a dividendi molto generosi.
Comunque, risulta che Vittorio Malacanza non intenda mollare. Per la Carige ha già sborsato oltre 200 milioni, che andrebbero in fumo, quasi totalmente, se abbandonasse la partita. E lui è uno che negli affari è sempre stato vincente, anche nelle uscite (vedi Camfin-Pirelli). Inoltre è un imprenditore con grandi risorse, molto legato a Genova, battagliero e tenace. Sa che poteri forti, anzi fortissimi, puntano a far perdere l'indipendenza a Carige, portandola a un'aggregazione o a una fusione. Bce e Banca d'Italia, marcano molto stretta la banca dei liguri e periodicamente avanzano richieste ponendo nuovi problemi.
Vittorio Malacalza, però, non si arrende; continua a combattere. E i piccoli azionisti non possono che essere dalla sua parte, come i dipendenti e chi crede nel valore delle banche che hanno a cuore le loro comunità di riferimento, avendone cura anche nei momenti di difficoltà. Da settimane, l'azione Carige quota su 25 centesimi, meno della metà di un anno fa e a fronte dei 6,7 euro di tre anni fa e gli 11 euro di inizio 2013, prima che scoppiasse lo scandalo.
Gli azionisti che tifano Malacalza, anche contro autorità di vigilanza, regolatori, analisti, commentatori e altri soggetti sulla cui obiettività è lecito dubitare, sono convinti che Carige e la sua azione ordinaria valgano ben di più del prezzo riconosciuto dal cosiddetto mercato, identificato nella Borsa, che - si sa - non è esente da volontà speculative né da manovre di pochi a scapito di tutti gli altri, compresa l'impresa oggetto.
Possibile che Carige valga così poco, praticamente nulla, nonostante il suo patrimonio, i suoi asset, fra i quali le partecipazioni nella Banca Cesare Ponti, in Creditis e nelle Casse di Risparmio di Savona, Carrara e Lucca? Nonostante le oltre 550 filiali in gran parte collocate in immobili di proprietà e nonostante il milione di clienti?