Il caso borsistico Ferrari-Fca

Ah, la Borsa italiana. Fonte di gioie e di dolori. Guru finanziario per alcuni, diavolo per altri. Miglior misuratore dei valori societari per chi crede ciecamente nel “libero” mercato; ma, per chi non ci crede, la Borsa di Milano è, invece, un efficace strumento manovrato da pochi potenti, ai fini delle loro speculazioni.
Forse, la piccola Piazza Affari non è il luogo dove si può giocare come al casinò e dove vince quasi sempre il banco, cioè la grande finanza, i gestori di enormi masse di denaro, (indiscutibile esagerazione); però, non è neppure quel mitico luogo dove la capitalizzazione di una società esprime obiettivamente il suo valore attuale e potenziale; dove le oscillazioni di un'azione non sono conseguenti a voci o indiscrezioni diffuse ad arte da chi ne ricaverà beneficio, né, fra l'altro, rappresenta l'approdo migliore per le imprese che puntano allo sviluppo.
I dubbi sulla Borsa italiana vengono anche quando si assiste al ritiro di buone società dalla quotazione (“delisting”) magari da parte di forti imprenditori; oppure, quando un gruppo, già presente in Piazza Affari, quota una o più sue controllate. E vengono pure, i dubbi, quando la crescita di un titolo attribuisce al suo emittente una capitalizzazione straordinaria, superiore a quella di un'impresa concorrente più grande, più redditizia, più solida. In proposito si ricordano casi clamorosi, non solo all'epoca della new economy, della finanza creativa, delle sturt up ipertecnologiche.
Premessa lunga; tuttavia considerata opportuna per trattare il “caso” Ferrari-Fca.
Oggi, 23 agosto 2017, l'azione Fca – Fiat Chrysler Automobiles in Borsa ha chiuso a 12,13 euro, il 5,75% in più rispetto a ieri. E' il nuovo record, che assume un significato ancora maggiore pensando che la sua performance è aumentata del 106% negli ultimi dodici mesi e che ancora ai primi di gennaio il titolo supera di poco gli 8 euro e, nel settembre del 2016, viaggiava intorno a 5,5 euro.
L'impennata dell'azione Fca ha avuto come ultima ragione l'ipotesi di uno scorporo di attività (spin-off) del Gruppo, a partire da Alfa Romeo e Maserati; mentre, nei giorni scorsi, a tirare la volata erano le voci di un interesse dei cinesi a comprare la Jeep o l'intera azienda. E prima ancora: altre manovre, risultati migliori del previsto, la vendita di Magneti Marelli e così via.
Comunque, nonostante il progressivo aumento dell'ultimo anno, Fca, guidata mirabilmente da Sergio Marchionne, capitalizza oggi 17,662 miliardi, oltre un miliardo in meno rispetto alla Ferrari, che ha la stessa società controllante: l'Exor delle famiglie Agnelli-Nasi-Elkann.
Ferrari, che prima della quotazione, apparteneva a Fiat per il 90%, oggi ha chiuso in Borsa a 97,9 euro, lo 0,15% in meno rispetto a ieri, quando, però, ha toccato il massimo dei 98,35 euro. La sua capitalizzazione è risultata di 18,749 miliardi. Negli ultimi 12 mesi il suo valore si è incrementato del 128,5%.
La Ferrari, che ha al vertice lo stesso Sergio Marchionne, presidente e amministratore delegato (vice presidenti sono John Elkann e Piero Ferrari, mentre uno dei consiglieri di amministrazione è Lapo Elkann) nel 2016 contava 3.115 dipendentti, ha venduto 8.014 auto in 62 mercati, ha avuto ricavi netti per 3,1 miliardi e un utile netto di 400 milioni.
Nei primi sei mesi di quest'anno, Ferrari ha consegnato 4.355 suoi “gioielli” a quattro ruote (+6%), ha registrato ricavi netti pari a 1,741 miliardi (+17%) e un utile netto di 260 milioni (+48%); per cui prevede, per l'intero 2017, la vendita di 8.400 “rosse”, ricavi netti superiori a quelli dell'esercizio passato e un margine operativo lordo di 500 milioni.
Fca, che ha 231.000 dipendenti, nel 2016 ha venduto 4,7 milioni di veicoli, ha avuto ricavi pari a 111 miliardi di euro e un utile netto di 1,8 miliardi.