Il debito pubblico italiano ha
raggiunto i 2.300 miliardi di euro (2.299,968 al 31 luglio, come ha
precisato Banca d'Italia, pochi giorni fa). Se n'è parlato poco,
nonostante la cifra tonda facesse notizia, come il nuovo record.
Forse perché ci abbiamo fatto l'abitudine. Ogni mese, il debito è
sempre più alto. Ma lo spread non cambia, la Borsa non sembra
neppure accorgersene, i giornali, neanche tutti, dedicano qualche
riga e sono sempre meno gli interventi, in merito, da parte di
economisti, editorialisti, esponenti del sistema produttivo e
finanziario, politici.
Qualche ragione c'è. In fondo, il
debito pubblico, pur a 2.300 miliardi, è sostenibile. E sostenuto.
Gli interessi vengono pagati puntualmente e senza affanno. Inoltre,
se è vero che la somma pare esorbitante è altrettanto vero che
rappresenta poco più del 130% del Pil, cioè del valore della
ricchezza prodotta annualmente dall'Italia.
Questo rapporto diventa più
significativo se si relaziona con quello di una famiglia media o di
un'azienda. Sono centinaia di migliaia le famiglie che, per comprare
la casa, hanno fatto un mutuo di importo superiore al loro reddito
annuale e versano regolarmente le rate dovute. Lo stesso vale per una
miriade di imprese, che hanno un indebitamento maggiore ai ricavi che
ottengono nell'esercizio dalla svolgimento della loro attività.
E' pure vero che, a fronte dei debiti
delle famiglie e delle imprese, c'è un patrimonio, cioè ci sono
beni come la casa e impianti produttivi. Altrettanto vero, però, è
che, anche a fronte del debito pubblico, si trova un patrimonio,
grande, senza dubbio, di valore molto superiore ai 2.300 miliardi e a
cifre ancora più elevate.
Quindi, le questioni meritevoli di
attenzione, relativamente al debito pubblico, sono altre. Una è
quella degli interessi. Famiglie e imprese pagano le rate dei
prestiti con i soldi ricavati dalle loro attività, perciò non si
indebitano più di quanto sono in grado di restituire, almeno quelle
che hanno una gestione da buon padre di famiglia, responsabile e
coscienziosa. Invece, le Amministrazioni pubbliche non si comportano
così, nonostante che, per legge, tutte le spese dovrebbero avere una
copertura prima di essere fatte.
Non solo, l'indebitamento pubblico,
alla pari di quello privato, dovrebbe essere conseguente a
investimenti, fatti per l'aumento del reddito o del patrimonio, non a
spese improduttive e sprechi, come purtroppo accade nel nostro Paese.
E questo pare già un ottimo motivo di discussione, di meditazione e
di provvedimenti.
Altro punto degno di attenzione. Di
fronte a un debito aumentato o diventato insostenibile, chi gestisce
con il principio del buon padre di famiglia rimedia, per non essere
inadempiente, alienando parte del suo patrimonio, magari i gioielli,
oppure riducendo le spese o, ancora, aumentando i ricavi.
Qui compare l'altra grande differenza,
tra pubblico e privato. Le Amministrazioni pubbliche, infatti,
normalmente, non riducono le spese – anzi, continuano ad
aumentarle, come confermano i dati mensili del ministero
dell'Economia e delle Finanze – non vendono i gioielli e non
ricavano abbastanza dai loro investimenti.
E allora, per far quadrare i conti, per
continuare a pagare gli interessi del loro debito, sia pure
cresciuto, aumentano le tasse, in ogni modo possibile. Ecco a cosa si
dovrebbe pensare ogni volta che il debito pubblico aumenta: i
contribuenti, che non sono tutti gli italiani, si preparino a vedersi
sottrarre altri soldi dai loro portafogli.