A parte la notizia che il valore del
patrimonio netto ha superato, per la prima volta, i sei miliardi di
euro (per la precisione, è ammontato a 6,014 miliardi, con un
inremento di 133,6 milioni rispetto al 31 dicembre 2016), il bilancio
2017 della Compagnia di San Paolo, trasparente, riporta altri dati e
fatti interessanti e significativi, oltre a quelli diramati dopo la
sua approvazione da parte del Consiglio di Indirizzo.
Sfogliando il documento, infatti, si
può scoprire che il total return (somma della rivalutazione
del capitale e dell'incasso dei dividendi divisa per l'investimento
originale), cioè il rendimento complessivo della partecipazione in
Intesa Sanpaolo è stato del 21,8%, a fronte del 2,2% degli
investimenti nei fondi di Fondaco Sgr, la società che gestisce il
44,5% del portafoglio degli attivi finanziari della Compagnia di San
Paolo.
Se, dunque, è stato del 12% il
rendimento dell'intero portafoglio degli investimenti dell'ente
torinese presieduto da Francesco Profumo, lo si deve soprattutto
alla partecipazione in Intesa Sanpaolo, dalla quale è arrivato un
dividendo netto di 210 milioni (il lordo è stato di 258 milioni).
Proprio il fiume di denaro proveniente
dalla Banca guidata da Carlo Messina, sempre molto generoso con i
suoi azionisti, ai quali distribuisce quote elevatissime degli utili,
non può non far riflettere sulle conseguenze del rispetto di
quell'”indicazione” contenuta nel “Protocollo d'intesa
Acri-Mef” (accordo vincolante tra l'Associazione delle fondazioni
di origine bancaria presieduta dal lombardo Giuseppe Guzzetti e il ministero dell'Economia e delle Finanze, che
ne è l'Autorità di Vigilanza), “indicazione” che, per le
fondazioni firmatarie, comporta il seguente obbligo: “In ogni caso,
il patrimonio non può essere impiegato, direttamente o
indirettamente, in esposizioni verso un singolo soggetto per un
ammontare complessivamente superiore a un terzo del totale
dell'attivo dello stato patrimoniale della Fondazione valutando, al
fair value, esposizioni e
componenti dell'attivo patrimoniale”.
In
altre parole, la Compagnia di San Paolo, che ha in portafoglio
attività finanziarie per un valore di mercato (fair value)
di 7,3 miliardi, il 45,9% dei quali relativi all'investimento in
Intesa Sanpaolo, deve ancora ridurre notevolmente la sua
partecipazione nella Banca, nonostante l'abbia già fatta scendere al
7,22% dell'intero capitale al 31 dicembre scorso.
Insomma,
al di là di altre considerazioni, la Compagnia di San Paolo si trova
costretta a diminuire drasticamente un investimento ad alto
rendimento per investire in asset diversi dalla resa imprevedibile,
per di più con la constatazione che la diversificazione degli ultimi
anno non è stata premiante. Il tutto sull'altare rituale della
riduzione del rischio, anche se c'è chi continua a pensare che il
Protocollo d'intesa Acri-Mef sia stato e sia un grave errore, per non
dire di peggio.
Comunque,
tornando al bilancio della Compagnia, che conta 86 dipendenti, 14 dei
quali dirigenti (Segretario generale compreso), vi si può leggere,
fra l'altro, che l'acquisto dell'1% del capitale della Banca d'Italia
è costato 75 milioni, l'avanzo dell'esercizio (utile netto) è
diminuito di 14 milioni rispetto a quello del 2016 e che sono scesi a
1,053 milioni (1,169 l'anno prima) gli oneri relativi agli organi
statutari, comprensivi di Iva, contributi previdenziali e
assistenziali.
In
particolare, nel 2017 i costi sono stati di 90.147 euro per il
presidente (l'emolumento annuo è di 70.000 euro), 449.808 euro per
il Consiglio generale, 257.269 euro per il Comitato di gestione
(Consiglio di amministrazione), 218.234 euro per il Collegio dei
revisori e 37.648 euro per l'Organismo di vigilanza. Gli oneri per
tutto il personale sono ammontati a 7,638 milioni.
Foto di gruppo della Compagnia di San Paolo |