Quelle Pastiglie Leone al "Martini Rosso" che evocano le origini della famiglia Rossi


Singolare partnership produttiva tra due marchi storici torinesi. Pastiglie Leone (dal 1857) e Martini&Rossi (gruppo Bacardi) hanno dato vita alle “Pastiglie Leone al Martini Rosso”, caramelline con il gusto dell'iconico aperitivo conosciuto in tutto il mondo, frutto di una miscela segreta di erbe. Le nuove Pastiglie Leone al Martini Rosso “hanno un'equilibrata nota amaricante – spiega una nota congiunta delle due imprese – che ricorda gli antichi gusti digestivi e stimola piacevolmente i sensi senza contenere alcol”.
La nota aggiunge che si tratta di una “sinergia tutta piemontese, quella tra Pastiglie Leone e Martini, due aziende uniche e con una storia appassionante che, dalla loro nascita fino ai giorni nostri, si sono distinte per la loro innata capacità di portare avanti la tradizione e la qualità dei propri territori. I loro prodotti sono in grado di evocare ricordi del passato, ma anche di stare al passo con i tempi e le esigenze dei nuovi consumatori”.
A proposito di storia appassionante, qui sotto si può leggere quella della Martini&Rossi descritta da Gustavo Mola di Nomaglio.
Di Gustavo Mola di Nomaglio
Luigi Rossi nacque a Val della Torre (piccolo comune del Torinese), il 19 giugno 1828, da un’antica famiglia che, pur essendo al tempo della sua nascita in condizioni economiche modeste, poteva essere considerata tra quelle che avevano contato nelle vicende locali. Il teologo Pietro Prato, autore di una storia di Val della Torre, pubblicata nel 1913, ricorda, “nella lunga trafila degli antenati” Michele e Martino Rosso, il primo sindaco nel 1565 e il secondo, quasi ininterrottamente, dal 1577 al 1600.
Poco più che ventenne, Luigi lasciò Val della Torre, in cerca di fortuna. Dopo alcuni anni di gavetta. lo troviamo nel Chierese, a Pessione, alle dipendenze della Ditta Martini e Sola, produttrice di Vermouth, si vuole dapprima in qualità di “brindor” (brentatore), ma presto, con tappe serrate, quale direttore tecnico, socio, unico proprietario.
Nel 1863, dopo l’uscita di Sola, l’azienda prese il nome di Martini e Rossi, che mantenne anche più tardi, quando Luigi liquidò Alessandro Martini e suo genero Felice Govean (coi quali i Rossi restarono comproprietari di immobili nelle centrali vie torinesi Bogino, Carlo Alberto, Doria e Mazzini).
Luigi possedeva un’intelligenza fuori dal comune. Quasi esclusivamente da autodidatta, divenne esperto di contabilità e imparò a parlare e scrivere correttamente in francese, inglese, tedesco e spagnolo. La padronanza delle lingue straniere fu una delle chiavi che gli consentì di muovere i primi passi dell’espansione nei mercati mondiali, estesa poi straordinariamente dal figlio Teofilo.
Luigi sposò Marianna Barberis, dalla quale ebbe sei figli, quattro maschi (ciascuno originò nuove linee della famiglia) e due femmine. Morì a Torino il 12 maggio 1892 e fu sepolto in Valdellatorre, nel grandioso sepolcreto dei Rossi, presso la parrocchiale di S. Donato. Ai discendenti lasciò, scrive ancora il teologo Prato, “insieme ad una invidiabile posizione sociale, una nobilissima tradizione di rettitudine e di laboriosità”.
Con la seconda generazione “da imprenditori”, i Rossi entrarono a far parte dei vertici della classe dirigente subalpina, certo grazie all’enorme ricchezza accumulata con sempre più ambiziose e articolate imprese industriali e commerciali, ma ancor più in virtù d’altri fattori, tra i quali possono essere menzionati l’impegno politico e intellettuale, le alleanze matrimoniali che, in breve tempo, portò la famiglia a imparentarsi con esponenti di spicco del mondo industriale torinese (Leumann, Bosso) e con molte famiglie della nobiltà piemontese e italiana (Galateri di Genola, Morra di Lavriano, Spinola, Litta Modignani, d’Harcourt di Fiano, Guidobono Cavalchini Roero San Severino…).
La concessione di un titolo nobiliare sembrò, così, la logica conseguenza di uno modo di vivere. Tre dei figli di Luigi, furono parlamentari. Cesare, ingegnere, consigliere provinciale, sindaco di Chieri e deputato per quattro legislature, entrò nel Gabinetto Boselli come sottosegretario alle Poste e Telegrafi, conservando la delega nel Gabinetto Orlando, sino al gennaio 1919. Nel governo Giolitti fu sottosegretario alla Pubblica Istruzione.
Enrico, avvocato, fu deputato nelle legislature XX-XXII, nelle file dei “ministeriali”. Tra tutti gli esponenti della famiglia nei secoli XIX e XX, si distinse in modo particolare il primogenito di Luigi, Teofilo, nato a Chieri nel 1865.
Dotato di una prodigiosa memoria, Teofilo Rossi, si fece notare, già all’età di 17 anni, aggiudicandosi la medaglia d’oro per la letteratura italiana nel concorso tra tutti i “licenziati d’onore” dei Licei d’Italia. In seguito, conciliò –con eccezionale capacità di lavoro- gli interessi che una personalità poliedrica suscitava in lui. Insieme coi fratelli, fu industriale di successo (ebbe la nomina a cavaliere del lavoro nel 1907, nello stesso giorno di Giovanni Agnelli); ma merita di essere ricordato quale cultore delle lettere greche e latine, poliglotta, studioso di Dante raffinato e costitutore di una grande biblioteca dantesca, di cui lasciò erede la Biblioteca Civica torinese. Storico e promotore di studi storici, fu autore di vari saggi e scrisse, in collaborazione con Gabotto, una pregevole seppur incompiuta storia di Torino.
A lungo presidente della Camera di Commercio, Teofilo fu deputato per quattro legislature (poi senatore). Nel Gabinetto Giolitti, fu sottosegretario ai Lavori pubblici e nei successivi governi Facta e Mussolini, ministro dell’Agricoltura, Industria e Lavoro. Quale sindaco di Torino ebbe parte fondamentale nel successo dell’Esposizione Internazionale che portò nel 1911 milioni di visitatori nella città da tutto il mondo.
n quello stesso anno fu creato conte, titolo poi esteso ai fratelli, con successiva concessione del predicato di Montelera, che tuttora distingue i discendenti della famiglia.