L’Osservatorio
ha analizzato un campione di circa 84.000 piccole e medie imprese,
con fatturato compreso tra 2 e 50 milioni e ha calcolato
il possibile allungamento dei tempi di incasso e pagamento dovuto
alle ripercussioni economiche dell’emergenza Covid-19.
Crif
Ratings, agenzia di rating del gruppo Crif, esaminando lo stesso
campione di aziende ha stimato che il fabbisogno finanziario
complessivo per tutto il 2020, inclusi i rimborsi del debito
finanziario in scadenza e gli investimenti, potrebbe arrivare a 45
miliardi. E quasi
il 50% di questa cifra riguarderà le imprese di Lombardia (27%
del campione), Veneto
(12%)
ed Emilia-Romagna
(10%),
anche perché sono le regioni più colpite dall’emergenza
sanitaria.
Il
calcolo del fabbisogno complessivo è stato fatto su un fatturato
aggregato di 716 miliardi di euro, dove i crediti verso i clienti
ammontano a 190 miliardi e pesano per il 19% del totale
dell’attivo.
Le simulazioni effettuate sul campione di pmi hanno valutato l’effetto di un allungamento fino a 20 giorni dei tempi di incasso su 190 miliardi di euro di crediti commerciali e di 10 giorni su 152 miliardi di euro di debiti verso fornitori. L’impatto stimato indica un aumento dei crediti compreso tra 30 e 41 miliardi e tra 10 e 19 miliardi per il capitale circolante netto.
Ipotizzando un aumento fino a 20 giorni nei tempi di incasso, l’Osservatorio ha riscontrato una crescita dei crediti verso i clienti di circa 41 miliardi di euro, pari al 22% del monte crediti in essere. Parallelamente, l'aumento dei giorni di pagamento ai fornitori determinerebbe una crescita dei debiti commerciali di 22,6 miliardi, pari al 15%. A parità di valori delle rimanenze, il peggioramento nelle abitudini di pagamento sulle 84 mila aziende prese in esame corrisponde a 18,6 miliardi di euro (+11% del Net Working Capital iniziale).
Ipotizzando un calo importante e generalizzato del 70/80% del fatturato nei prossimi tre mesi (pari a un 20% su base annua) secondo l’Osservatorio Cribis Workinvoice, l’aumento del capitale circolante netto da finanziare scenderebbe a 14,7 miliardi, assumendo che un calo così drammatico sia accompagnato da ulteriori ritardi nei tempi di incasso e pagamento. Entrambi i possibili scenari vedono aumentare, a causa dell’emergenza Covid-19, l’esigenza di liquidità delle aziende, schiacciate dall’aumento dei tempi di incasso, insieme a una non proporzionale compensazione dei tempi di pagamento verso i fornitori e una probabile riduzione del fatturato.
Il 55% del campione di pmi oggetto dello studio presenta livelli minimi o nulli di indebitamento finanziario o, in alternativa, disponibilità di cassa pari o superiori al debito finanziario in scadenza nel corso dei successivi 12 mesi. Queste aziende sarebbero quindi in grado di far fronte all’emergenza dovuta alla diffusione globale del Coronavirus, sempre che quest’ultima non allunghi i propri effetti negativi sul tessuto economico italiano e internazionale anche nell’ultima parte del 2020 se non addirittura nel 2021.
Sul versante opposto, ci sono circa 31.000 aziende (pari al 37% del campione) che affrontano l’attuale emergenza partendo da situazioni di liquidità già delicate, mentre 6.000 aziende (7% del campione) la fronteggiano senza molti margini di manovra. Entrambe, secondo le stime di Crif Ratings, mostreranno nel corso dell’anno esigenze di liquidità per circa 60 miliardi di euro, di cui solo una parte minoritaria, stimata in circa 15 miliardi, potrà essere coperta dai flussi di cassa generati durante il 2020.
La principale leva di azione per generare cassa nel breve termine, specie per le aziende operanti in settori ad elevata intensità di capitale, sarà legata al contenimento degli investimenti. Quest’azione, tuttavia, non potrà essere sufficiente a coprire per intero il fabbisogno di circa 45 miliardi di euro di liquidità che avrà il 44% del campione, cioè delle 37.000 imprese identificate.
I settori più colpiti sono quello del commercio all’ingrosso, la manifattura (in particolare prodotti metallici e non metallici) e il segmento del tessile e abbigliamento. A questi si aggiunge il settore del turismo/leisure che, nonostante goda generalmente di maggiore liquidità, è uno dei più colpiti dalla crisi determinata dall’emergenza coronavirus e avrà quindi bisogno di interventi a sostegno. Sotto il profilo geografico, tra le aziende oggetto dello studio quelle di Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia-Romagna esprimono circa il 60% del fatturato totale e dei crediti clienti (67% del Net Working Capital) e rappresentano uno snodo produttivo e commerciale fondamentale.
Le simulazioni effettuate sul campione di pmi hanno valutato l’effetto di un allungamento fino a 20 giorni dei tempi di incasso su 190 miliardi di euro di crediti commerciali e di 10 giorni su 152 miliardi di euro di debiti verso fornitori. L’impatto stimato indica un aumento dei crediti compreso tra 30 e 41 miliardi e tra 10 e 19 miliardi per il capitale circolante netto.
Ipotizzando un aumento fino a 20 giorni nei tempi di incasso, l’Osservatorio ha riscontrato una crescita dei crediti verso i clienti di circa 41 miliardi di euro, pari al 22% del monte crediti in essere. Parallelamente, l'aumento dei giorni di pagamento ai fornitori determinerebbe una crescita dei debiti commerciali di 22,6 miliardi, pari al 15%. A parità di valori delle rimanenze, il peggioramento nelle abitudini di pagamento sulle 84 mila aziende prese in esame corrisponde a 18,6 miliardi di euro (+11% del Net Working Capital iniziale).
Ipotizzando un calo importante e generalizzato del 70/80% del fatturato nei prossimi tre mesi (pari a un 20% su base annua) secondo l’Osservatorio Cribis Workinvoice, l’aumento del capitale circolante netto da finanziare scenderebbe a 14,7 miliardi, assumendo che un calo così drammatico sia accompagnato da ulteriori ritardi nei tempi di incasso e pagamento. Entrambi i possibili scenari vedono aumentare, a causa dell’emergenza Covid-19, l’esigenza di liquidità delle aziende, schiacciate dall’aumento dei tempi di incasso, insieme a una non proporzionale compensazione dei tempi di pagamento verso i fornitori e una probabile riduzione del fatturato.
Il 55% del campione di pmi oggetto dello studio presenta livelli minimi o nulli di indebitamento finanziario o, in alternativa, disponibilità di cassa pari o superiori al debito finanziario in scadenza nel corso dei successivi 12 mesi. Queste aziende sarebbero quindi in grado di far fronte all’emergenza dovuta alla diffusione globale del Coronavirus, sempre che quest’ultima non allunghi i propri effetti negativi sul tessuto economico italiano e internazionale anche nell’ultima parte del 2020 se non addirittura nel 2021.
Sul versante opposto, ci sono circa 31.000 aziende (pari al 37% del campione) che affrontano l’attuale emergenza partendo da situazioni di liquidità già delicate, mentre 6.000 aziende (7% del campione) la fronteggiano senza molti margini di manovra. Entrambe, secondo le stime di Crif Ratings, mostreranno nel corso dell’anno esigenze di liquidità per circa 60 miliardi di euro, di cui solo una parte minoritaria, stimata in circa 15 miliardi, potrà essere coperta dai flussi di cassa generati durante il 2020.
La principale leva di azione per generare cassa nel breve termine, specie per le aziende operanti in settori ad elevata intensità di capitale, sarà legata al contenimento degli investimenti. Quest’azione, tuttavia, non potrà essere sufficiente a coprire per intero il fabbisogno di circa 45 miliardi di euro di liquidità che avrà il 44% del campione, cioè delle 37.000 imprese identificate.
I settori più colpiti sono quello del commercio all’ingrosso, la manifattura (in particolare prodotti metallici e non metallici) e il segmento del tessile e abbigliamento. A questi si aggiunge il settore del turismo/leisure che, nonostante goda generalmente di maggiore liquidità, è uno dei più colpiti dalla crisi determinata dall’emergenza coronavirus e avrà quindi bisogno di interventi a sostegno. Sotto il profilo geografico, tra le aziende oggetto dello studio quelle di Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia-Romagna esprimono circa il 60% del fatturato totale e dei crediti clienti (67% del Net Working Capital) e rappresentano uno snodo produttivo e commerciale fondamentale.