“E’ vero che, in questi giorni, una
parte degli oltre tre milioni di lavoratori irregolari presenti nel
nostro Paese è rimasta a casa – sostiene Zabeo - Ma è altrettanto
sicuro che molti altri hanno continuato imperterriti a lavorare
abusivamente, nelle abitazioni dei privati, approfittando della
chiusura totale imposta agli acconciatori, alle estetiste e della
difficoltà da parte dei cittadini di reperire tanti artigiani che
sono disponibili solo per le urgenze, ma non per gli interventi
ordinari. E’ il caso degli edili, dei dipintori, dei fabbri, degli
idraulici, degli elettricisti e dei manutentori di caldaie, che in
questi giorni stanno subendo una concorrenza sleale molto aggressiva
da parte di coloro che esercitano queste professioni senza averne
titolo”.
Dalla Cgia ricordano che, secondo
l’Istat, l’esercito dei lavoratori “invisibili” presenti in
Italia è costituito da 3,3 milioni di persone che, ogni giorno, si
recano nei campi, nei cantieri, nei capannoni o nelle case degli
italiani per prestare la propria attività lavorativa. Pur essendo
sconosciuti all’Inps, all’Inail e al fisco, gli effetti economici
negativi che producono questi soggetti sono pesantissimi. “Con
troppe tasse e un sistema burocratico e normativo eccessivamente
oppressivo – segnala il segretario della Cgia, Renato Mason -
l’economia irregolare ha trovato un habitat ideale per diffondersi,
soprattutto in alcune aree del Paese e ancor di più in questi giorni
di contenimento della diffusione del coronavirus. Inoltre, chi opera
completamente o parzialmente in nero fa concorrenza sleale, altera i
più elementari princìpi di democrazia economica nei confronti di
chi lavora alla luce del sole ed è costretto a pagare le imposte e i
contributi fino all’ultimo centesimo. Anche per questo è
necessario che l’esercizio abusivo delle professioni artigianali
vada contrastato e perseguito”. L’Ufficio studi della Cgia ha
stimato come si ripartiscono, a livello regionale, i 78,5 miliardi di
euro di fatturato in nero all’anno prodotto da questi lavoratori
abusivi. A livello territoriale la situazione più critica si
presenta nel Mezzogiorno. A fronte di poco più di 1.250.000 occupati
irregolari (pari al 38% del totale nazionale), nel Sud il valore
aggiunto generato dall’economia sommersa è pari a 26,8 miliardi di
euro, pari al 34% del dato nazionale. L'area meno investita dal
fenomeno è il Nord Est: il valore aggiunto prodotto dal sommerso è
pari a 14,8 miliardi di euro.
Secondo le stime dell’Istat relative
al 2017 (ultimo anno per cui i dati sono disponibili), in Calabria il
tasso di irregolarità è pari al 21,6% (136.400 irregolari), in
Campania al 19,8% (370.900 lavoratori in nero), in Sicilia al 19,4%
(296.300), in Puglia al 16,6% (229.200) e nel Lazio al 15,9 per cento
(428.100). La media nazionale è pari al 13,1%.
Le situazioni più virtuose, invece, si
registrano nel Nord Est. Se in Emilia-Romagna il tasso di
irregolarità è al 10,1% (216.200 irregolari), in Valle d’Aosta è
al 9,3% (5.700), in Veneto al 9,1% (206.500) e nella Provincia
autonoma di Bolzano si attesta al 9% (26.400).
In Piemonte, gli occupati irregolari
sono stimati in poco più di 200.000 (tasso d'irregolarià del 10,6%)
e generano un valore aggiunto superiore ai 5 miliardi di euro
all'anno. In Liguria il tasso d'irregolarità è del 12,1%,
corrispondente a quasi 82.000 lavoratori, che danno un valore
aggiunto di oltre due miliardi di euro.
I lavoratori in nero, non essendo
sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a
quelli fiscali, consentono alle imprese dove prestano servizio – o
a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi
– di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e,
conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio
molto contenuto. Condizioni, ovviamente, che chi rispetta le
disposizioni previste dalla legge non è in grado di offrire.