Previsto un boom dello smart working riorganizzazione nuova sfida manageriale

Covid-19 ci costringerà a casa per altre settimane, forse mesi. Così aziende, studi professionali e, fra l'altro, la pubblica amministrazione, anche in seguito alle disposizioni governative, ricorrono, il più possibile, allo smart working o telelavoro. A tal fine si sono organizzati o si stanno organizzando più o meno tutti. Persino la scuola, che rischia di restare chiusa fino alla fine dell’anno scolastico, sta passando allo smart learning.
Ma che impatto stanno avendo queste formule innovative (e oggi obbligatorie) su lavoratori e imprese? Se lo è chiesto Firstonline, il giornale web di economia e finanza, che ha trovato una risposta in uno studio dell’Osservatorio 4.Manager, il quale ha subito rilevato l’impennata dello smart working, passato in brevissimo tempo da fenomeno di nicchia a fenomeno di massa.
I vantaggi dello smart working, oltre al fatto che oggi è necessario, sono molteplici e l’Osservatorio li ricorda: attrazione di talenti (secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il 76% dei lavoratori “agili” si ritiene soddisfatto del proprio lavoro rispetto al 55% di coloro che lavorano in modalità tradizionale); riduzione dei costi fissi, in particolare legati al dimensionamento e al costo degli uffici; riduzione del traffico, con benefici sulla produttività delle catene logistiche e, fra l'altro, riduzione dell’inquinamento atmosferico.
C’è un dato in particolare che rende l’idea: un milione di lavoratori in più in modalità smart working, anche solo al 50% del tempo (obiettivo del tutto raggiungibile, anche solo nel settore privato), permetterebbe di ridurre le emissioni di Co2 in atmosfera nell’ordine delle diverse centinaia di migliaia di tonnellate all’anno.
Tuttavia il nuovo scenario, quando la situazione sarà tornata normale, imporrà un cambio di paradigma, in particolare nel management: serviranno manager preparati a gestire le nuove modalità lavorative. “Quando l’emergenza sanitaria sarà superata, potremmo trovarci di fronte a uno scenario completamente nuovo – ha detto Fulvio D’Alvia, direttore generale di 4.Manager – sia in virtù dell’esperienza avviata nelle settimane del contenimento del Covid-19 da decine di migliaia di imprese e milioni di lavoratori e sia, soprattutto, sotto il profilo culturale”.
Pensiamo alle Pmi e alle filiere collegate – ha spiegato D’Alvia – dove è necessaria una maggiore cultura manageriale. La gestione di domanda e offerta di smart working diventerà per le pmi un fattore di crescita sempre più importante per la produttività e per la competitività. Occorreranno manager preparati, tanto sotto il profilo delle competenze professionali e digitali, si pensi solo al tema della cyber security legata al lavoro da remoto, quanto sotto il profilo delle soft skills necessarie alla gestione delle relazioni dei cambiamenti organizzativi. Per rendere strutturale lo smart working bisogna prima mettere al centro le persone e poi pensare alla tecnologia”.
Per l’Italia questa rivoluzione così improvvisa è una grande novità: per quanto lo smart working stia da tempo crescendo anche nel nostro Paese, soprattutto nella pubblica amministrazione, una rilevazione Eurostat al 2018 vedeva l’Italia al penultimo posto tra i primi 10 Paesi per pil, davanti alla sola Turchia, considerata Paese europeo nella specifica graduatoria.
Al top c’era la Svezia, dove quasi un lavoratore su tre lavora “occasionalmente” in modalità “working from home” e il 6% lo fa regolarmente, mentre in Olanda gli “usually workers from home” sono quasi il 15% ricorda Firstonline, sottolineando che in Italia chi lavora sempre da casa è solo il 3,7%.