Università italiane tra le più competitive

La ricerca “L’Italia e la sua reputazione: l’università”, realizzata da Italiadecide, in collaborazione con Intesa Sanpaolo e presentata con il supporto della Luiss Guido Carli, è stata condotta dal Comitato scientifico guidato dal professor Domenico Asprone con i professori Pietro Maffettone, Massimo Rubechi e Vincenzo Alfano. Il lavoro si è avvalso dei risultati di una consultazione molto ampia realizzata attraverso appositi questionari sottoposti a stakeholder nazionali e internazionali.
Prendendo come riferimento i ranking Qs e The, tra i principali per prestigio e per risonanza, la ricerca è stata aggiornata a fine 2020, con tutti i dati relativi alle classifiche internazionali e integrata con un’analisi dell’impatto della pandemia sul sistema accademico e la capacità di reazione del sistema italiano nel confronto internazionale. Analizzando con un approccio sistemico il numero di università presenti nelle prime 100, 200, 500 e 1.000 posizioni a livello globale - si tratta di percentuali molto alte, considerando che una stima affidabile individuerebbe in oltre 20.000 gli atenei nel mondo - l’Italia continua a non avere università tra le prime 100 in entrambi i ranking, ma anche nel 2020 posiziona nelle prime 500 e, ancor di più, nelle prime 1.000 un numero di università confrontabile almeno con Francia, Germania e Cina.
Tuttavia, normalizzando i dati dei ranking sul totale di università presenti in ogni Paese, l’Italia supera tutti per numero di istituzioni universitarie tra le prime 1.000, ovvero nel migliore 5% dell’intero sistema universitario mondiale. Il sistema italiano nel suo complesso vede, infatti, nel caso di The, addirittura oltre il 40% delle proprie istituzioni tra le top 1.000, dove invece Francia, Cina e Stati Uniti posizionano meno del 10% dei loro atenei.
I dati ribadiscono, però, una situazione di scarsa competitività dell'Italia a causa di risorse economiche nettamente inferiori agli altri principali Paesi di riferimento. Pur avendo un tasso di istruzione terziaria più basso degli altri, dato di per sé negativo, si riscontrano meno addetti alla formazione, con numeri ben lontani dai principali Paesi di riferimento culturale nello scenario internazionale. L’Italia, inoltre, destina alla ricerca una quota di risorse, rispetto alla spesa pubblica, decisamente inferiore rispetto alle principali controparte europee. Questo non permette di migliorare le modalità di reclutamento dei professori e il ricambio generazionale. Inoltre, la scarsità di risorse porta spesso a politiche della ricerca poco meritocratiche e più concentrate sulla distribuzione a pioggia di finanziamenti pubblici, che a stento riescono a garantire l’ordinario svolgersi delle attività.
La ricerca riporta, inoltre, alcune indicazioni per rafforzare la qualità delle università italiane e la loro percezione all’estero, come: politiche di reclutamento di docenti e studenti competitive, maggiore efficienza della macchina amministrativa per liberare risorse da destinare alla ricerca e alla didattica, implementazione della didattica a distanza nell’offerta formativa per rendere l’istruzione più inclusiva, internazionalizzazione, collaborazione con imprese private, anche al fine di far incontrare domanda e offerta di lavoro, reti tra atenei. Occorre, inoltre, saper comunicare in modo migliore i punti di forza del sistema universitario italiano, offrendo una lettura positiva del sistema di alta formazione italiano, sia per trattenere i nostri studenti sia per renderlo più competitivo verso gli studenti (e i docenti) stranieri.
La ricerca si focalizza, infine, su come il sistema universitario italiano abbia affrontato la pandemia e quali effetti siano stati prodotti con le policy messe in campo dal Governo e il ministero per l’Università e la Ricerca, come: la no tax area, gli investimenti per assunzioni e borse di studio, misure efficaci per la tenuta del sistema. L’Università italiana ha sostanzialmente continuato nel 2020 a erogare lo stesso numero di ore di lezione, tenere gli stessi esami e produrre lo stesso numero di laureati del 2019. Si registra addirittura un incremento di oltre il 9% delle immatricolazioni per il totale degli studenti nelle università pubbliche e del 7.1 % negli atenei privati, a differenza di quanto accaduto nel 2009 quando la crisi economica fu pagata pesantemente anche in termini di mancate iscrizioni. Il Sud registra l’incremento maggiore, superiore al 6% (+8.000 immatricolazioni).