Che il protocollo d'intesa tra
ministero dell'Economia e delle Finanze (Mef) da una parte e l'Acri,
l'associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria e delle
Casse di risparmio, dall'altra, avrebbe creato un grosso problema, lo
avevano detto, subito, pochissimi osservatori del sistema creditizio
e finanziario. Stranamente.
Il testo, firmato dal ministro Pier
Carlo Padoan e dal presidentissimo Giuseppe Guzzetti, conteneva,
infatti, una bomba a orologeria con fortissimo potenziale, che, i più
non hanno considerato, forse per non urtare la suscettibilità di
Guzzetti e di qualche alto direttore ministeriale, forse per evitare
di avere prevedibili difficoltà interne, forse per superficialità
o, forse, pensando che, essendo in Italia, il tempo avrebbe
provveduto a disinnescare la bomba, automaticamente.
La bomba consiste nell'impegno di tutte
le fondazioni firmatarie del protocollo a ridurre il valore della
loro partecipazione nella banca conferitaria, cioè nell'istituto
creditizio dal quale hanno avuto origine, 25 anni fa, entro il 33%
del valore complessivo del loro attivo patrimoniale. Limite da
raggiungere entro tre anni dalla firma, quindi entro il 22 aprile del
2018, se la banca conferitaria è quotata in Borsa ed entro il 22
aprile del 2020 se, invece, non lo è.
In ogni caso, il risultato è identico:
numerose fondazioni sono costrette a perdere il controllo della
“loro” banca o a non esserne più l'azionista di riferimento. Fra
queste spicca la Compagnia di San Paolo, la seconda maggiore
fondazione italiana per patrimonio. L'ente torinese di corso Vittorio
Emanuele II, proprio ieri, ha comunicato di aver ceduto 150 milioni
di azioni di Intesa Sanpaolo, pari allo 0,95% del capitale del
colosso finanziario, riducendone così all'8,2% la sua quota,
destinata però a calare ancora di quale punto.
E' prevedibile, perciò, che nella
primavera prossima, la Compagnia di San Paolo non sarà più il
singolo maggior azionista di Intesa San Paolo. Infatti, già ora il
fondo americano BlackRock ha un po' più del 5% e la Fondazione
Cariplo il 4,836%. Non solo: questi due soci possono aumentare la
loro quota, a piacimento, non avendo alcun vincolo contrario.
Naturalmente, il mercato non l'ha presa
bene: l'azione è scesa, immediatamente. E ancora meno bene l'ha
presa Carlo Messina, l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo.
Messina ha fortemente criticato la norma del protocollo d'intesa
Mef-Acri, con le stesse motivazioni espresse dai rari e ignorati
critici della prima ora: dal ruolo fondamentale delle buone
fondazioni, quelle gestite bene, per lo sviluppo delle banche
conferitarie, all'obbligo irragionevole di cedere, a sconto,
partecipazioni molto redditizie, consolidate e ben conosciuto, per
investire in altri strumenti finanziari dal risultato più ignoto.
Il tutto in nome della
diversificazione, come se questa fosse la panacea di ogni male,
piuttosto che dell'influenza politica sulle nomine degli
amministratori (dimenticando il divieto legale del vincolo di mandato
e, fra l'altro, di interferenze degli azionisti sugli Organi della
Banca); oltre che per evitare il ripetersi di casi come quelli di
Monte dei Paschi, Carige e altre banche. Non tendendo presente che
questi casi sono conseguenti alla mala gestione dei vertici delle
banche disastrate, non delle loro fondazioni, se non quando queste
erano complici, corree, come però può essere qualsiasi altro
azionista di controllo o di riferimento.
All'inizio della loro vita travagliata,
le fondazioni avevano l'obbligo di mantenere la maggioranza delle
loro banche, poi, le maggiori, sono state obbligate a cederne il
controllo. Comunque, le fondazioni, sempre, hanno sostenuto le loro
conferitarie, anche sottoscrivendo onerosi aumenti di capitale, tanto
da meritarsi i ripetuti elogi da parte dell'allora governatore della
Banca d'Italia, Mario Draghi, che ha riconosciuto il merito dei
salvataggi, della creazione di campioni nazionali e di freno alle
invasioni straniere.
Ed eccoci al secondo caso emblematico,
quello di Fossano. La Fondazione Cr Fossano, che è ancora azionista
di maggioranza assoluta della locale Cassa di Risparmio, legalmente,
perché è partita con un capitale inferiore ai 200 milioni, non ha
firmato il protocollo Mef-Acri, nonostante il suo presidente di
allora, Antonio Miglio, fosse addirittura vice presidente dell'Acri e
uno dei principali cooperatori di Guzzetti.
La Fondazione Cr Fossano vuole
continuare ad assicurarne l'indipendenza della sua banca, ritenuta
strategica per l'economia del territorio originario e la sua
comunità. Lo ha ribadito, l'altro giorno, il nuovo presidente della
Fondazione, Gianfranco Mondino, respingendo anche l'ipotesi di
un'aggregazione della Fondazione con altre cuneesi.
Però, quella di Fossano resta una
questione aperta. Non avendo firmato il famigerato Protocollo,
rischia “soltanto” l'espulsione dall'Acri o, essendo comunque
sottoposta alla Vigilanza del Mef, potrebbe trovarsi commissariata,
se non adempirà alla norma del calo del valore della partecipazione
nella Cassa di Risparmio presieduta da Giuseppe Ghisolfi entro il 33% dell'attivo totale, prima del 22
aprile 2020? O riuscirà a rispettare il limite, mantenendo almeno la
condizione di azionista di riferimento, facendo in modo che nessuno
possa avere una quota superiore alla sua, magari diluendo al massimo
il capitale e impedendo patti di sindacato? (ma Banca d'Italia e Mef
autorizzerebbero una soluzione simile?).
La vicenda Fossano è molto
interessante e significativa, anche perché – come ha ricordato
Gianfranco Mondino – la Cassa di Risparmio e la sua fondazione
hanno sempre chiuso il bilancio in attivo e hanno raddoppiato il
patrimonio. A ulteriore conferma che non sono le dimensioni a
garantire redditività, competitività, solidità e sviluppo; ma la
buona amministrazione.
Infine, la Fondazione Carige, della
quale se ne erano perse le tracce. A farla riemergere dall'oblio è
Vittorio Malacalza, azionista di riferimento della travagliata Banca
Carige, il quale ha preannunciato che non rinnoverà il patto
parasociale con l'ente genovese di via Chiossone. Alla scadenza
dell'intesa, l'8 maggio prossimo, ognuno per sé. E la Fondazione,
che pare abbia ormai solo più lo zero virgola di Carige, perderà
anche il diritto di nominare un suo designato nel Consiglio di
amministrazione di quella che è stata la “sua” banca.
Da oltre un paio d'anni, della
Fondazione Carige non si sentiva più parlare. C'è chi si ricorda di
un accordo con la Compagnia di San Paolo, venuta generosamente in
soccorso. Nient'altro. Attività?Presentazioni? Comunicati? Boh.
Però, ora, grazie a Malacalza, sappiamo che Fondazione Carige è
viva. Non si sa, invece, cosa faccia. Ma questo è un altro discorso.