Avanti, piemontesi!

L'economia piemontese è, da decenni, terra di conquiste. Statunitensi, francesi, tedeschi, brasiliani, inglesi, indiani, cinesi, svizzeri e, fra gli altri, turchi, hanno comprato e comprano imprese subalpine, in diversi settori. E, puntualmente, emerge un saldo negativo della bilancia dei pagamenti, perché sono molti meno i piemontesi che comprano aziende all'estero. Meno, però, non vuol dire nessuno. Recenti, per esempio, sono le acquisizioni della Ferrero (ammesso che la si voglia considerare ancora piemontese), della torinesissima Lavazza e dell'Itinera del Gruppo Gavio, alessandrina come la Guala Closures Group.

Guala Closures Group ha appena firmato l'accordo per rilevare il 100% della Axiom Propack, industria indiana che produce e commercializza chiusure di sicurezza per alcolici, attività avviata l'anno scorso ma che ha già fatturato 6 milioni di euro nel suo primo esercizio e presenta ottime prospettive. Il gruppo Guala, fondato nel 1954 a Spinetta Marengo dove è cresciuto fino a diventare una multinazionale (quartiere generale in Lussemburgo) leader a livello globale nel comparto delle chiusure in alluminio, prodotte in 26 stabilimenti e vendute in 14 miliardi di esemplari in un centinaio di Paesi, ha 5 centri di ricerca, circa 4.000 dipendenti e fattura oltre 500 milioni di euro.

A sua volta, il gruppo Gavio, giovedì 6 luglio, ha comunicato che la sua Itinera, che fa capo alla quotata Autostrada Torino Milano (Astm), ha acquisito il 50% e il controllo della statunitense Halmar International, che costruisce grandi infrastrutture di trasporto e comunicazione: strade, autostrade, metropolitane, ferrovie, aeroporti, ponti. Questa impresa è tra le cinque maggiori del settore operanti a New York. Ha un giro d'affari annuo di 250 milioni di dollari e un portafoglio ordini di oltre 500.
Itinera, già attiva in Medio Oriente, Africa, America Latina, oltre che in Europa, con l'acquisizione della Halmar entra nel mercato statunitense delle infrastrutture, che, secondo le previsioni, farà registrare investimenti per 2.000 miliardi di dollari entro il 2025.
Molto soddisfatto dell'operazione si è dichiarato Beniamino Gavio, il numero uno dell'omonimo Gruppo di Tortona. Nato ad Alessandria nell'ottobre del 1965, laurea in Economia alla Kensington University a Glendale (California), Beniamino Gavio è, fra l'altro, presidente di Aurelia, Argo Finanziaria, Primav Infraestrutura, Interstrade e Baglietto (cantieri navali), oltre che consigliere di amministrazione di Astm, Sias, Igli Pca e Ecorodovias Infraestrutura e logistica.
A proposito di Ecorodovias, società quotata alla borsa di San Paolo del Brasile e tra i principali player infrastrutturali del Paese, va ricordato che il gruppo Gavio, dopo esserne diventato co-controllore, risulta il quarto operatore autostradale al mondo con una rete in concessione di 3.320 chilometri, di cui 1.860 proprio in Brasile.

Anche Diasorin, già con diverse aziende straniere, si appresta a una nuova campagna di acquisti all'estero. Lo ha lasciato intuire l'amministratore delegato Carlo Rosa, in occasione della presentazione del piano industriale al 2019, quando i ricavi del gruppo di Saluggia, di cui è il secondo maggiore azionista, dovrebbero arrivare intorno ai 735 milioni di euro (569 nel 2016), l'utile netto tra i 155 e 160 milioni (113 nel 2016) e il free cash flow cumulato tra i 445 e i 455 milioni.
"A seguito dell'importante generazione di cassa prevista nell'arco del piano, Diasorin - è stato comunicato - conferma il proprio interesse verso opportunità di crescita per linee esterne, con particolare attenzione verso realtà che consentano al Gruppo di espandere la propria base clienti, la presenza in aree geografiche ritenute rilevanti, nonché di ampliare il menù dei propri test".
Diasorin è leader mondiale della diagnostica in vitro. Presiedente e principale azionista è il torinese Gustavo Denegri, mentre Caro Rosa possiede la seconda quota maggiore del capitale della capogruppo, quotata in Borsa, dove capitalizza oltre 3,7 miliardi.

Un'altra società piemontese quotata in Borsa ha da poco fatto un investimento importante negli Usa per l'acquisto della nuova sede della sua filiale locale, a Detroit. Si tratta della Fidia, leader nella tecnologia del controllo numerico e dei sistemi di fresatura ad alta velocità. la Fidia, guidata da Giuseppe Morfino, fondatore (nel 1974), presidente e amministratore delegato, oltre che socio di controllo con il 55,9% del capitale, al termine del primo trimestre di quest'anno aveva un portafoglio ordini pari a 20,9 milioni di euro (+43% rispetto alla stessa data 2016. Nell'esercizio passato ha fatturato 58,8 milioni e ha avuto un utile netto di 2,4 milioni.

In un nuovo mercato straniero è appena entrato anche Reale Group. L'antica compagnia assicurativa torinese, infatti, ha annunciato che nei giorni scorsi è stata inaugurata Reale Chile Seguros Generales, che segna l'esordio del Gruppo presieduto da Iti Mihalich nel mercato latino americano. Partita con 70 dipendenti, Reale Chile punta ad averne 340 entro dieci anni, quando la sua raccolta premi dovrebbe arrivare a circa 240 milioni di euro, che collocherebbero la nuova compagnia fra le prime cinque del Paese.
Il Cile è il secondo mercato estero di Reale Group. Segue quello spagnolo, dove operano già due compagnie del gruppo, che nel 2016 ha raccolto premi per 3,8 miliardi e ha conseguito un utile netto di 131 milioni. Reale Group, che ha come direttore generale Luca Filippone e condirettore Massimo Luvié, conta 3.200 dipendenti e 3,8 milioni di assicurati. Il suo patrimonio netto supera i 2,4 miliardi e il suo indice di solvibilità è del 241%, tra i più alti del sistema.

Numeri italiani 2

SPESA SANITARIA - Nel 2016, in Italia, la spesa sanitaria corrente è stata di 149,5 miliardi di euro, l'1% in più rispetto al 2015 (148 miliardi); nel 2014 era stata di 146,1 miliardi e di 143,6 nell'anno precedente. Per il 75%, la spesa sanitaria del 2016, pari all'8,9% del Pil, è stata sostenuta dal settore pubblico; mentre i privati hanno speso per la loro salute 37,3 miliardi, il 2% in più rispetto al 2015 (33,8 miliardi) e per il 90% direttamente come famiglie. Nel 2014 la spesa sanitaria dei privati era stata di 32,3 miliardi e di 31,2 nel 2013.
Questi dati sono dell'Istat, l'istituto nazionale di statistica, il quale ha anche calcolato che mediamente la spesa sanitaria 2016 pro capite è stata di 2.466 euro e che 82 miliardi sono serviti per l'assistenza sanitaria e per cure riabilitative e 31,1 miliardi per prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici. Ulteriore disaggregazione: il 45,5% della spesa totale si deve agli ospedali, principali erogatori di assistenza; mentre il 22,4% ai servizi sanitari ambulatoriali.

USCITE FAMILIARI - Ancora l'Istat ha rilevato che, l'anno scorso, in Italia, la spesa media mensile delle famiglie è stata di 2.524, 38 euro, superiore dell'1% a quella del 2015 e del 2,2% a quella del 2013. Però, è stata ancora inferiore ai 2.639,89 del 2011, a conferma della continuità della crisi economica iniziata a cavallo della fine del 2007. Per i generi alimentari, la famiglia italiana ha speso mensilmente 447,96 euro, a fronte dei 2.076 per beni e servizi non alimentari.
Naturalmente, sono emerse differenze tra regione e regione. In particolare, la spesa mensile familiare è risultata di 2.862,42 euro in Valle d'Aosta, 2.607,58 euro in Piemonte e 2.289,46 euro in Liguria.

SITUAZIONE PATRIMONIALE - Al 31 dicembre scorso, le famiglie residenti in Italia avevano depositi bancari per 1.143,7 miliardi, titoli obbligazionari per 362,3 miliardi, azioni e partecipazioni per 916,8 miliardi e assicurazioni, fondi pensione e tfr per 953 miliardi; per cui, il totale delle loro attività era pari a 4.168 miliardi.
Quanto alle loro passività, erano rappresentate per 54,2 miliardi da debiti a breve termine, di cui 53,1 nei confronti delle banche, e 643,7 miliardi da debiti a medio e lungo termine (571,1 con le banche). Aggiungendo i 230,4 miliardi costituiti da debiti commerciali, fondi di quiescenza e altre partite minori si arriva a passività totali per 928,2 miliardi.
A fine 2016, il saldo patrimoniale delle famiglie italiane è risultato positivo per 3.239,8 miliardi.

PERDE COLPI LA LOTTA ALL'EVASIONE - Nei primi cinque mesi 2017, le entrate derivanti dall'attività di accertamento e controllo, riferite solo ai ruoli dei tributi erariali, sono risultate pari a 3,491 miliardi, inferiori dello 0,9% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso. Difficile che la riduzione sia motivata dalla maggiore onestà, più facile, invece, che si debba a una minore efficacia della lotta all'evasione.
Comunque, dal primo giorno di gennaio all'ultimo di maggio, le entrate tributarie sono ammontate a 159,4 miliardi, facendo segnare un incremento dell'1,9% e quindi di poco meno di 3 miliardi sull'analogo periodo 2016. In particolare, le imposte dirette sono cresciute dell'1,4% a 80,7 miliardi e le indirette del 2,4% a 78,7 miliardi (l'Iva ha reso da sola quasi 46,8 miliardi, il 4,3% in più).
Pressoché invariate le entrate dai giochi: poco meno di 5,9 miliardi, che confermano l'inarrestabile propensione del Paese a sfidare la fortuna, illudendosi di vincere e con il risultato di arricchire lo Stato e gli operatori del settore.

LA BILANCIA DELLE RIMESSE - Banca d'Italia ha rilevato che nel 2016 le rimesse dall'Italia verso l'estero, cioè le somme di denaro inviate dagli emigrati nel nostro Paese a loro connazionali, tutti o quasi parenti, sono state pari a 5,073 miliardi, la cifra più bassa degli ultimi dieci anni almeno e inferiore di oltre 2,3 miliardi al picco del 2011. Il progressivo calo delle rimesse dall'Italia verso l'estero è causato da diversi fattori, non ultimo l'abbandono del nostro Paese da parte di numerosi immigrati, per le difficoltà economiche.
Al contrario, negli ultimi due anni, sono aumentate le rimesse degli italiani dall'estero verso casa: nel 2016, sono state pari a 645,6 milioni, cifra praticamente uguale a quella del 2015 e superiore a tutte le precedenti, a partire dal 2008, quando era stata di 426,3 milioni.
Se, però, alle rimesse dall'estero verso l'Italia si aggiungono i redditi conseguiti nello stesso anno dai frontalieri italiani, il totale delle risorse trasferite in Italia dai nostri connazionali che lavorano all'estero sale a 7,2 miliardi, mentre erano state di 2,3 miliardi nel 2011.

RAPPORTI DI LAVORO - Nei primi quattro mesi del 2017, nel nostro Paese, il settore privato ha fatto registrare un saldo positivo di 550.000 posti di lavoro tra assunzioni e cessazioni, superiore ai 390.000 dello stesso periodo 2016 e ai 499.000 al primo quadrimestre 2015. Annualizzato, cioè considerando gli ultimi dodici mesi, il saldo risultato a fine aprile 2017 è positivo per 490.000 contratti di lavoro, dei quali 415.000 a tempo determinato, 29.000 a tempo indeterminato e 47.000 di apprendistato.
Sempre riferite ai soli datori di lavoro privati, le assunzioni dall'inizio di gennaio alla fine di aprile sono state 2.129.000 (+17,5% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso). In particolare, quelle a tempo indeterminato sono aumentate del 30,6%; al contrario, sono diminuite del 4,5% quelle a tempo indeterminato.
Le cessazioni del rapporto di lavoro, nel complesso, sono ammontate a 1.570.000 (+10,5% rispetto al primo quadrimestre 2016): i licenziamenti sono stati 189.000 (-0,6%) e le dimissioni sono aumentate dello 0,4%.

LE CIFRE DELL'UNRAE - L'Unrae, l'associazione delle Case automobilistiche estere operanti in Italia nella distribuzione e commercializzazione di veicoli, a fine 2016 conta 43 aziende iscritte, che insieme fatturano circa 50 miliardi e occupano circa 160.000 persone, impegnate in 3.100 concessionarie, 11.000 officine autorizzate e nelle Case madri presenti nel nostro Paese, dove le Case estere investono circa 10 miliardi per acquisti di componentistica e, attraverso le loro filiali italiane di ricerca, sviluppo e design, 10,5 miliardi per beni e servizi.
Nell'anno passato, le associate Unrae hanno immatricolato in Italia 1.291.369 vetture, pari al 70,7% dell'intero mercato nazionale.



Damiani nel mirino dei Pir

Nel prossimo novembre, Damiani compirà i suoi primi dieci anni di quotazione alla Borsa di Milano. Nonostante questo, non riceve grande attenzione da parte delle cronache finanziarie e degli investitori, anche se con l'avvento dei Pir (Piani individuali di risparmio), la situazione dovrebbe cambiare, perché i nuovi strumenti finanziari sono destinati a canalizzare i risparmi sulle piccole e medie imprese presenti sul listino di Piazza Affari, incrementandone la capitalizzazione e le possibilità di sviluppo.
Attualmente, la Damiani capitalizza in Borsa poco più di 97 milioni. Eppure è un gruppo che ha chiuso l'esercizio terminato il 31 marzo 2017 con un fatturato consolidato di 161,7 milioni di euro (+4,1% rispetto al precedente) e un patrimonio netto di 63,1 milioni. Il suo ebitda (utile prima degli interessi, delle imposte, degli ammortamenti e delle svalutazioni) è stato di 4,3 milioni, se depurato delle componenti non ricorrenti e migliore di 5,9 milioni. Il risultato netto consolidato è stato negativo per 5,5 milioni; ma la crescita della redditività, l'apporto di nuove risorse finanziarie e l'arrivo di nuovi manager fanno ritenere che l'esercizio appena incominciato sarà ben migliore.
Produttore e distributore di gioielleria e orologeria di alto livello, con marchi che sono punte di diamante del lusso made in Italy (Salvini, Bliss, Calderoni, Rocca 1974 e, naturalmente, Damiani), il gruppo fondato nel 1924 a Valenza, dove ha sede (la città alessandrina è una capitale nazionale dell'oreficeria) opera un po' in tutto il mondo con numerose società, la più recente delle quali è stata costituita a Dubai, nel gennaio di quest'anno, con la partecipazione di un operatore locale. Nel passato esercizio, inoltre, sono state inaugurate le boutique Damiani a Parigi e a Kuala Lumpur.
Recente è anche l'acquisizione del controllo di Venini, la più famosa e blasonata vetreria artistica al mondo, nata nel 1921 a Venezia. L'acquisto della Venini, nel 2016, ha segnato anche l'avvio della diversificazione della Damiani, la cui azione negli ultimi sei mesi ha comunque fatto registrare un aumento del 22% del suo valore borsistico. 
Il Gruppo, che ha oltre 60 punti vendita gestiti direttamente, conta 620 dipendenti, per il 72% donne. Capofila è la Damiani spa, le cui azioni sono possedute per il 58,8% dalla Leading Jewels sa, riconducibile ai fratelli Guido, Giorgio e Silvia Grassi Damiani, che rappresentano la terza generazione proprietaria e alla guida dell'azienda nata per iniziativa di Enrico Grassi Damiani. Gli stessi tre fratelli, entrati nell'impresa di famiglia agli inizi degli anni 90, posseggono singolarmente quote della società: il 6,1%  ciascuno, il presidente Guido (classe 1968) e il vice presidente e amministratore delegato Giorgio (1971) e il 5,3% la vice presidente Silvia, con delega alle Relazioni esterne e all'Immagine del Gruppo). Presidente onorario è la madre Gabriella.
Per le sue creazioni, Damiani ha ricevuto e continua a ricevere premi internazionali.

Paola Ferrari & la Santanchè

All'inizio di questa settimana, diversi mezzi di comunicazione hanno riportato la notizia che la nota e sinuosa conduttrice televisiva Paola Ferrari, sposata da vent'anni con Marco De Benedetti, imprenditore e manager, al quale ha dato due figli (Alessandro e Virginia),  ha comprato il 5,76% delle azioni della Lucisano Media Group, società quotata nel segmento Aim della Borsa di Milano e a capo di un gruppo di produzione e distribuzione nel settore audiovisivo e gestione multiplex. L'acquisizione, per circa 3 milioni di euro, è avvenuta attraverso la Alevi srl e comporterà, fra l'altro, l'ingresso di Paola Ferrari, nuora di Carlo De Benedetti, nel consiglio di amministrazione della Lucisano, con responsabilità anche operative.
Non è stato fatto rilevare, però, che la Alevi srl, appartenente a Paola Ferrari, figura già nella compagine societaria della Visibilia Editore Holding, con una quota del 7,2%, come riportato in un recente comunicato stampa. E Visibilia Editore Holding è controllata da Daniela Garnero Santanchè, una delle cuneesi più note: è imprenditrice, parlamentare, personaggio frequentemente in televisione e sulle pagine di mondanità.

Imperia prima per imprese straniere

Due province liguri tra le prime dieci italiane con la maggiore densità di imprese straniere. Lo rivela l'ultima indagine di Unioncamere, dalla quale risulta che, al 31 marzo scorso, il 14,6% delle aziende registrate alla Camera di commercio hanno come titolare uno straniero, a fronte del 9,5% che costituisce la media nazionale. Soltanto tre province presentano un tasso superiore a quello di Imperia e sono: Prato con il 27,6% (primato nazionale), Trieste con il 15,8% e Firenze con il 15,5%. L'altro provincia ligure nella top ten è quella di Genova, al nono posto con il 12,7%, corrispondente a 10.833 aziende, mentre sono 3.751 le straniere attive in provincia di Imperia.
Le altre province del Nord Ovest evidenziano, a fine marzo 2017, le seguenti quote di imprese con titolare straniero sul totale delle iscritte alle Camere di commercio: Torino 11,1% (24.538), Novara 10,8% (3-285), Savona 10,5% (3.172), Vercelli 9,4% (1.534), Asti 9,3% (2.208) come Alessandria (4.041), Verbania 7,6% (1.000), La Spezia 7,3% (2.179), Biella 5,9% (1.064), Cuneo 5,8% (4.001) e Aosta 5,3% (668).
Proprio Aosta è una delle poche province italiane a mostrare un saldo negativo di imprese straniere nel primo trimestre di quest'anno, avendo registrato un numero di nuove iscritte inferiore a quello delle cancellate dal registro camerale nel periodo. La differenza è negativa per 7 aziende, mentre è stata di 2 per la provincia di Biella, l'unica altra del Nord Ovest con il segno meno.
In tutt'Italia, dal primo giorno di gennaio all'ultimo di marzo, sono state 17.052 le nuove imprese estere che si sono iscritte alle Camere di commercio, a fronte delle 13.378 che sono state cancellate. Il saldo è risultato positivo per 3.674 unità, così che è salito a 574.253 il totale delle imprese con titolare straniero attive nel nostro Paese alla fine del primo trimestre di quest'anno ed è salita al 9,5% la loro quota, livello mai raggiunto prima (cinque anni fa, le imprese straniere erano ancora il 7,5% del totale nazionale).
E se è vero che il saldo del primo trimestre 2017 è inferiore a quello dello stesso periodo dell'anno scorso, quando sono state censite 5.342 imprese straniere in più; è altrettanto vero che la crescita della loro incidenza è dovuta anche al fatto che sono diminuite notevolmente le imprese italiane, tanto che il saldo complessivo, cioè delle italiane più le straniere, è negativo per 19.579 unità.
Per quanto riguarda il Nord Ovest, le disaggregazioni di Unioncamere mostrano che al 31 marzo le imprese straniere registrate sono 41.671 in Piemonte (1.548 le nuove iscritte nel trimestre e 1.227 le cancellate), 19.936 in Liguria (rispettivamente 572 e 477) e 668 in Valle d'Aosta (20 e 27). In quest'ultima regione il totale delle imprese iscritte è diminuito di 299 unità, mentre la perdita trimestrale è stata di 2.619 imprese in Piemonte e di 723 in Liguria.
A livello di Paese, dove un'impresa straniera su tre è artigiana, emerge che sono nati in Marocco i titolari di 68.459 aziende attive in Italia, in Cina 51.077, in Romania 48.570, in Albania 31.329 e in Bangladesh 30.672. Queste sono le cinque comunità estere con più imprese attive nella Penisola, dove i settori le maggiori presenze straniere sono il commercio (207.000) e le costruzioni (131.000).

Tre neoeletti e ...tre confermate

Tra i più recenti eletti del Nord Ovest a incarichi di rilievo, un posto d'onore spetta certamente ad Alberto Dal Poz, giovane imprenditore torinese acclamato al vertice nazionale di Federmeccanica. Alberto Dal Poz, nato nel 1972 sotto la Mole, dove si è laureato in Ingegneria gestionale, sposato, tre figli, aggiunge la nuova responsabilità a diverse altre, fra le quali spicca la presidenza di Fondaco Sgr, la società subalpina che gestisce oltre 6 miliardi di euro per conto di alcune delle principali fondazioni di origine bancaria, a partire dalla Compagnia di San Paolo, che l'ha fondata e che ne è l'azionista di riferimento. Dal Poz è amministratore delegato e socio di maggioranza della Comec e della sua controllata Usa (componentistica meccanica di precisione in lamiera stampata), oltre che azionista della Electro Power System. Fra l'altro è consigliere di I3P, incubatore del Politecnico ed è stato presidente dell'Amma e vice dell'Unione Industriale di Torino.
Torinese è anche Giorgio Marsiaj, appena eletto presidente di Skillab, il laboratorio di competenze dell'Unione industriale di Torino e dell'Amma, l'associazione delle imprese metalmeccaniche locali. Skillab ha la missione di contribuire al miglioramento delle performance delle aziende, facendone crescere le competenze dei manager e degli specialisti. Giorgio Marsiaj, classe 1947, tre figli, laurea in Scienze Politiche, è un imprenditore di lungo corso e ampio raggio. Plenipotenziario italiano della statunitense Trw Automotive, gruppo industriale che in Italia ha sei stabilimenti con un paio di migliaia di dipendenti, Giorgio Marsiaj è a capo o condivide il vertice di varie società, prime fra tutte quelle di famiglia, come la M. Marsiaj & C., holding di partecipazioni fondata dal padre Michele nel 1947. Già saggio di Confindustria, Marsiaj è anche presidente dell'Amma, consigliere di amministrazione della Vittoria Assicurazioni e di Fenera Holding, di cui è socio come del fondo Charme. E' socio pure dello Yacht Club di Genova, dove lo si può vedere al timone dell'ammirato Swan 70 Flyng Dragon.
Restando nell'ambito dell'Unione Industriale di Torino, va riferito che Giovanni Fracasso, imprenditore di prima generazione, è stato eletto presidente della Piccola Industria, organo di rappresentanza delle Pmi, per il quadriennio 2017-2021. Giovanni Francasso è co-fondatore e presidente di Dooh.it, innovativa azienda operante nel campo della comunicazione digitale. Il nuovo impegno si aggiunge a quello di numero uno del Seti, il settore che rappresenta le associate attive nel settore dei servizi e del terziario innovativo, nonché a quelli nazionali in Confindustria.
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Essere confermati con lo stesso, altissimo, numero di preferenze dell'elezione precedente, è un risultato molto significativo e certo non capita a tutti quelli che si ricandidano.E' successo, però, a Annamaria Furlan, rieletta segretaria generale della Cisl nazionale con 194 voti, identico numero ottenuto la prima volta, tre anni fa, quando i votanti erano 200, mentre sabato 1 luglio erano 203. Una prova dell'apprezzamento della sua attività al vertice del sindacato di ispirazione cattolica, organizzazione alla quale si è iscritta quando aveva 23 anni e alla quale è rimasta sempre fedele, preferendola anche alla candidatura a presidente della Provincia di Genova che le avevano proposto.
Annamaria Furlan, nata nell'aprile del 1958 nella città della Lanterna, sposata, un figlio, ha incominciato a lavorare alle Poste di Sestri Levante, prendendo subito la tessera della Cisl, dove ha fatto presto a distinguersi per le sue capacità e qualità. Nel 2000 è stata eletta segretaria della Cisl ligure, prima donna ad assumere questo ruolo in regione. Fra l'altro, è stata segretaria confederale per il settore terziario e servizi, poi segretario generale aggiunto, a fianco di Bonanni, suo grande sostenitore.
Un'altra ligure confermata è Federica Maggiani, rieletta presidente della Cna de La Spezia, confederazione dell'artigianato della provincia. Imprenditrice della nautica, dove La Spezia vanta la maggior concentrazione di imprese del settore, Federica Maggiani, classe 1969, una figlia, è dirigente di Motorvela, l'azienda di famiglia. Nel 2014 era stata eletta anche vice presidente della locale Camera di commercio. L'assemblea che l'ha eletta al vertice dell'organizzazione artigiana per i prossimi quattro anni e alla quale hanno partecipato, fra gli altri, il presidente nazionale della Cna, Daniele Vaccarino, e il ministro della Giustizia, Andrea Orlano, ha chiamato a far parte del gruppo di presidenza Davide Mazzola, vice presidente vicario, più Rosalia Brancaleone, Gianluca Lombardi, Pierluca Mainoldi, Paolo Panzatis e Matteo Tiberi.
Il 29 giugno, l'assemblea di Visibilia Editore, società quotata all'Aim della Borsa di Milano, oltre ad approvare il bilancio 2016, chiuso con una perdita di 780.000 euro (1,2 milioni nel 2015), ha rieletto presidente Daniela Garnero Santanchè, imprenditrice e politica, molto nota. Con lei sono stati eletti consiglieri di amministrazione Davide Mantegazza, Dimitri d'Asburgo Lorena e Canio Giovanni Mazzaro. I soci hanno anche deliberato l'azione di responsabilità nei confronti di alcuni amministratori precedenti. Il giorno dopo l'assemblea, è stato comunicato che Visibilia Editore Holding ha ridotto la sua partecipazione in Visibilia Editore sotto la soglia di rilevanza del 75%, portandola al 74,8%. Secondo maggior azionista è la srl Alevi con il 7,2% mentre il restante 18% è frazionato sul mercato.


Dicono che ... 3

COMBINATA ROI-BUCCI - Dicono che nei palazzi genovesi del potere sia serpeggiata preoccupazione, dopo che Maurizio Roi, sovrintendente del Teatro Carlo Felice nominato nel 2014 dall'allora primo cittadino Marco Doria, ha dichiarato che metteva a disposizione il suo mandato, in seguito all'elezione di Marco Bucci a nuovo sindaco di Genova. Roi ha dichiarato che la sua decisione era motivata dal "rispetto istituzionale". Gesto encomiabile e degno di una personalità di rilievo, molto apprezzato anche dal nuovo sindaco, fra l'altro espressione del centro destra e quindi in netta discontinuità rispetto agli ultimi decenni di governo del centro sinistra.
Però, l'atto di Roi è risultato indigesto agli occupanti di diverse poltrone e poltronissime, che dipendono dall'Amministrazione cittadina. Qualcuno ha incominciato a tremare, anche perché, da buon manager, Bucci ha anticipato che valuterà l'operato di ogni designato dal Comune per poi confermarlo nell'incarico o meno. Proposito giudicato molto favorevolmente da chi non vede l'ora non tanto di cambiamenti per motivi politici, quanto della fine di un sistema finalizzato a premiare l'appartenenza o meriti partitici a scapito della meritocrazia. Sotto la Lanterna, le prime mosse di Bucci piacciono e alimentano un po' di speranza.

CAMERE DI COMMERCIO - A proposito di premi, ancora a Genova, si sente dire che alcuni consiglieri della Camera di Commercio presieduta da Paolo Cesare Odone hanno mugugnato, sommessamente e in luoghi ben sicuri per la loro discrezione, quando hanno saputo che Maurizio Caviglia, il potentissimo e temuto segretario generale, in carica dal 2007, considerato il Mazarino della Superba, nel 2016 ha avuto un emolumento ancora maggiore di quello dell'anno precedente: 218.322 euro (lordi), 38.031 dei quali come retribuzione di risultato, voce superiore di circa 5.300 euro a quella del 2015.
I critici di Caviglia, forse anche perché un po' invidiosi o comunque indispettiti dalle sue azioni, hanno fatto notare che i conti della Camera di Commercio e la sua gestione economica non sono così brillanti: l'ente ha chiuso il bilancio 2016 con una perdita di 1,3 milioni, che segue quella di 1,1 milioni denunciata per il 2015. Per di più, mentre l'ammontare degli interventi economici, cioè delle azioni a favore del sistema produttivo locale, sono calati a 2,3 milioni dai 3,2 milioni dell'esercizio precedente.
E a chi faceva notare che il segretario della Camera di Commercio di Torino, Guido Bolatto, in carica dal 2001, ha guadagnato di più (240.000 euro gli emolumenti complessivi percepiti nel 2016, come nel 2015, a carico della finanza pubblica), è stato risposto che la Camera torinese, validamente presieduta dall'imprenditore Vincenzo Ilotte, nel 2016 ha avuto un avanzo di quasi 1,3 milioni, mentre aveva perso 182.261 euro nel 2015 e 394.597 nel 2014. E i suoi interventi sono stati pari a 4,5 milioni, equivalenti all'11% degli oneri correnti, la stessa quota dell'anno precedente-

ELKANN - AGNELLI - Dicono che l'esteso articolo, pubblicato da Milano Finanza del 24 giugno e intitolato "Un impero con pochi Agnelli", sia stato piuttosto sgradito nella nota e grande famiglia torinese, anche per l'occhiello, che recitava: "John Elkann è il monarca assoluto del clan discendente dal fondatore della Fiat. Ma dietro di lui solo due parenti, Alessandro Nasi e Andrea Agnelli, hanno incarichi realmente operativi. Gli altri? Rentier o con attività fuori dal perimetro". Sotto la Mole, da sempre, si preferisce l'understatement, il profilo basso, la discrezione.
E' indiscutibile, però, che l'impero che fa capo alla ormai olandese Giovanni Agnelli Bv, sia guidato da John Elkann, prescelto dal nonno, l'Avvocato, dopo la prematura scomparsa di Giovanni Alberto, primogenito di Umberto Agnelli, avvenuta vent'anni fa. John Elkann è presidente non soltanto della Giovanni Agnelli Bv, ma anche della sua controllante, l'accomandita Dicembre Eredi di Giovanni Agnelli, inventata da Franzo Grande Stevens (l'Avvocato dell'Avvocato), oltre che della Fca (Fiat Chrysler Automobiles) e della Exor, holding alla quale fanno capo, fra l'altro, le partecipazioni in Cnh (26,9%), Ferrari (22,9%), Partner Re (100%), Banca Leonardo (16,5%) e Juventus (63,7%).
Comunque, anche gli altrettanto giovani Alessandro Nasi e Andrea Agnelli, hanno diversi incarichi rilevanti nel Gruppo, a partire dalla Giovanni Agnelli Bv, della quale sono consiglieri di amministrazione, come Tiberto Brandolini d'Adda, Luca Ferrero Ventimiglia ed Eduardo Teodorani-Fabbri, pure loro esponenti della famiglia.

DE AGOSTINI - La Fondazione De Agostini, costituita per volontà delle famiglie novaresi Boroli e Drago, azioniste dell'omonimo gruppo nato per la pubblicazione delle carte geografiche, quest'anno compie i suoi primi dieci anni di attività. Da allora ha sostenuto oltre 100 progetti e ha erogato circa 12 milioni di euro, a beneficio di un'ottantina di enti non profit impegnati nella solidarietà, in particolare nei confronti delle popolazioni colpite dalle calamità naturali e dei soggetti svantaggiati. Presidente della Fondazione De Agostini è Roberto Drago, il quale - dicono - è orgoglioso soprattutto del progetto "Sartoria Emmaus", realizzato insieme con la Fondazione comunitaria del Novarese (sostenuta anche dalla Fondazione Cariplo) e dalla Fondazione Banca Popolare di Novara.
Il progetto Sartoria Emmaus, avviato nel 2014, ha la finalità della formazione imprenditoriale per donne che vivono situazioni di disagio. "Il successo è stato tale - ha raccontato Roberto Drago - che la sartoria ha iniziato a lavorare anche per grandi firme della moda italiana e l'attività si espansa così tanto da richiedere l'ampliamento della struttura che la ospita".

UN SALOTTO TORINESE - Dicono che abbiano ricevuto un dividendo complessivo di 925.000 euro i soci di Fenera Holding, finanziaria subalpina guidata da Lucio Zanon di Valgiurata, che ne è anche uno degli azionisti, come le famiglie Lavazza, Marsiaj, Garosci e le emiliane Maramotti e Seragnoli. Nell'esercizio passato, Fenera Holdin ha aumentato gli investimenti in portafoglio a 63,7 milioni dai 51,2 milioni precedenti. Le attività consolidate sono salite a 67,2 milioni e il patrimonio netto è risultato di 45,9 milioni.
Fra l'altro, Fenera possiede lo 0,8% di Credemholdin, di cui Lucio Zanon di Valgiurata è vice presidente, il 18% di Tosetti Value Sim, il 12% di Alkims Sgr e lo 0,6% del gruppo dolciario Elah-Dufour-Novi, guidato brillantemente da Flavio Repetto (presidente) con il figlio Guido (amministratore delegato).



Cultura: Genova battuta pure da Aosta

Torino al terzo posto e Aosta al settimo, nella classifica nazionale 2016 delle province con la più elevata incidenza del Sistema Produttivo Culturale e Creativo (Spcc) sull'economia locale. La graduatoria, che non comprende Genova nei primi dieci piazzamenti, è stata redatta dalla Fondazione Symbola e dall'Unioncamere, enti che stimano in circa 90 miliardi di euro il valore prodotto in Italia, l'anno scorso, dalla filiera del settore Spcc, formato dai soggetti, privati e pubblici, che producono beni e servizi culturali (architettura, comunicazione, design, cinema-radio-tv, videogiochi e software, musica, stampa ed editoria, patrimonio storico-artistico, performing arts e arti visive), e da quanti utilizzano la cultura come input per accrescere la loro competitività, soggetti definitivi, nello studio, "creative-driven".
Nel rapporto 2017 di Symbola e Unioncamere, intitolato "Io sono cultura - l'Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi", si legge che l'incidenza del Sistema produttivo culturale e creativo è pari all'8,6% del valore aggiunto prodotto dalla provincia di Torino nel 2016 e al 6,9% in Valle d'Aosta. Tassi più elevati di quello torinese sono stati attributi a Milano (9,9%) e Roma (10%). Al quarto posto si trova Siena (8,2%), seguita, nell'ordine, da Arezzo (7,6%), Firenze (7,1%), appunto Aosta, poi Ancona (6,6%), Bologna e Modena, entrambe con il 6,6%, a chiusura della top ten.
Per l'incidenza del settore sull'occupazione complessiva, la provincia di Torino è quarta con l'8,2% e Aosta decima con il 7,2%, mentre in testa si trova Milano con il 10,1%. Come regione, la Valle d'Aosta è terza e il Piemonte è quarto, in tutte e due le classifiche.
"La cultura è uno dei motori trainanti dell'economia italiana, uno dei fattori che più alimentano la qualità e la competitività del made in Italy" hanno scritto gli estensori del rapporto, sottolineando che il Sistema Produttivo Culturale e Creativo dà lavoro direttamente a 1,5 milioni di persone e, attivando altri settori dell'economia, arriva a muovere un totale di 250 miliardi di euro, equivalenti al 16,7% del valore aggiunto nazionale (il turismo è il principale beneficiario di questo volano).
In particolare, le industrie culturali propriamente dette (cinema, editoria, software, videogiochi, musica e stampa) producono un valore aggiunto superiore a 33 miliardi, con 492.000 occupati;  le industrie creative (architettura, comunicazione e design) poco meno di 13 miliardi, con 253.000 addetti; mentre le performing arts e arti visive generano una ricchezza pari a 7,2 miliardi e hanno 129.000 posti di lavoro. Quanto al patrimonio-storico artistico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), il suo contributo 2016 è stato stimato in 3 miliardi come valore aggiunto e in 53.000 occupati.
Infine, le imprese "creative driven", chiamate così quelle che impiegano, in maniera strutturale, professioni culturali e e creative, quali la manifattura evoluta (dal mobile alla nautica) e l'artigianato artistico. A queste imprese sono stati attribuiti un valore aggiunto di 33,5 miliardi e un'occupazione di 568.000 persone.

Cavalieri, la squadra di Maurizio Sella

Era un saggio, ora è presidente. Il banchiere Maurizio Sella, numero uno dell'omonimo gruppo creditizio-finanziario biellese, il 28 giugno, è stato eletto al vertice del Gruppo piemontese dei Cavalieri del Lavoro, costituito nel 1918 da Teofilo Rossi di Montelera. Un sospetto di cosa stava bollendo in pentola deve averlo avuto, Maurizio Sella, quando gli è stato detto che, questa volta, non c'era bisogno che lui facesse parte della terna dei saggi incaricati di scegliere il candidato da proporre per la presidenza. Comunque, nessun dubbio per la sessantina di Cavalieri iscritti al Gruppo piemontese e valdostano. Tutti d'accordo sul suo nome, prestigioso e indiscutibile.
Maurizio Sella, 75 anni compiuti da poco, nominato Cavaliere del Lavoro quando ne aveva 49, oltre che presidente della holding di famiglia, dell'omonima, storica banca e della controllata Patrimoni Sella è, fra l'altro, consigliere di amministrazione della Buzzi Unicem e membro del comitato esecutivo dell'Abi, l'associazione nazionale delle banche, di cui è stato presidente, come lo è stato, fino al 13 giugno, dell'Assonime, influente associazione delle società italiane per azioni.
A passare il testimone della presidenza del Gruppo piemontese dei Cavalieri del Lavoro a Maurizio Sella, i cui figli sono amministratori delegati delle banche controllate, è stato Giuseppe Donato, che in passato ha guidato e presieduto la Skf italiana e, attualmente, è presidente della Sagat, la società che gestisce l'aeroporto di Caselle Torinese.
Oltre che da Maurizio Sella, il nuovo vertice del Gruppo piemontese dei Cavalieri del Lavoro, di cui sono appena entrati a far parte i neo nominati Licia Mattioli, Catia Bastioli (amministratore delegato di Novamont e presidente di Terna) e Massimo Perotti (titolare e timoniere dei Cantieri Sanlorenzo), per il triennio 2017-2020, è formato dai vicepresidenti Marco Boglione e Gianfranco Carbonato, e dai consiglieri Roberto Balma, Maria Luisa Cosso Eynard, Lorenzo Ercole, Piero Marsiaj, Amilcare Merlo, Nerio Nesi, Debora Paglieri, Mario Rizzante, Savinio Rizzo. Tesoriere: Camillo Venesio, amministratore delegato e direttore generale della Banca del Piemonte, altro istituto creditizio privato, ultracentenario, sano, solido ed efficiente.

Il capolavoro dei Rizzante

Tra i non addetti ai lavori, pochi la conoscono, persino a Torino, dove è stata costituita 21 anni fa e dove ha sede, nonostante sia un campione della Borsa italiana, abbia più di 6.200 dipendenti e sia un'eccellenza imprenditoriale nel campo delle più avanzate tecnologie informatiche. Il soggetto in questione è Reply, società a capo di un gruppo specializzato nella progettazione, implementazione e manutenzione di soluzioni basate su internet e sulle reti sociali. Un gruppo che controlla centinaia di aziende, sparse un po' in tutto il mondo e che, nel 2016, ha fatturato 780 milioni, con un utile netto di 67,5 milioni.
Reply, la cui maggioranza assoluta appartiene alla famiglia Rizzante, fondatrice, è un'impresa straordinaria, che si sviluppa a un ritmo impressionante (nel suo primo esercizio aveva fatturato meno di 6 milioni) Lo hanno confermato anche i dati del primo trimestre di quest'anno: ricavi per 208,4 milioni (186,3 nello stesso periodo 2015), margine operativo lordo di 28 milioni (25), utile di 25,3 milioni ante imposte (22,5). E, al 31 marzo, posizione finanziaria netta positiva per 80,6 milioni, a fronte dei 28,2 di fine 2016.
In Borsa, Reply sta capitalizzando oltre 1,5 miliardi. Il 7 giugno, la sua azione è stata scambiata fino a 181 euro, nuovo record storico. Cifre che diventano particolarmente significative se si considera che l'azione Reply valeva 60,9 euro ancora al 31 dicembre 2014 e 21 euro alla stessa data del 2012, quando la sua capitalizzazione era di 193,6 milioni. Indubbiamente c'è chi ha fatto una fortuna puntando su Reply, la cui crescita sembra irresistibile, come sono state finora le sue performance reddituali e borsistiche.
A proposito proprio delle performance del titolo, Mario Rizzante, presidente e amministratore delegato di Reply, ha dichiarato che  "è interessante come numerosi azionisti e investitori abbiano confermato il loro interesse in merito a un aumento della liquidità dell'azione. Al fine di recepire questa indicazione - ha aggiunto Mario Rizzante - il management e i principali azionisti saranno focalizzati su un incremento della liquidità dell'azione Reply, quale obiettivo di medio termine".
Insomma, s'intuisce l'intenzione di aumentare il numero delle azioni disponibili sul mercato, finalità che potrebbe essere raggiunta anche con una vendita parziale di titoli attualmente nel portafoglio della Alika srl (holding della famiglia Rizzante), la quale possiede il 52,78% del capitale di Reply, mentre il secondo maggior socio singolo è Goldman Sachs con il 3,6%.
Nella guida di Reply, Mario Rizzante, che ha incominciato come operaio Fiat, è affiancato dalla figlia Tatiana, anche lei amministratore delegato, e dal figlio Filippo, consigliere di amministrazione con incarichi operativi. (è Chief Technology Officer).
Tatiana Rizzante, laureata in Ingegneria informatica al Politecnico di Torino, è al vertice di Reply, di cui è stata cofondatrice insieme con altri manager, da oltre dieci anni. Sposata, una figlia, da sempre appassionata di nuove tecnologie, in azienda si è occupata subito della creazione e dello sviluppo delle competenze nei settori a elevato tasso di innovazione, promuovendo anche le numerose acquisizioni. Prima di entrare nell'impresa di famiglia, ha lavorato allo Cselt (ora Tlab). Per i suoi valori, è stata chiamata a far parte, fra l'altro, del Consiglio direttivo di Confindustria Digitale ed è stata nel cda di Ansaldo StS (ex Finmeccanica, ora Leonardo).

Finanza italiana

CREDITI DETERIORATI (NPL) - Alla fine del 2016, i crediti deteriorati delle banche italiane (finanziamenti, mutui e prestiti, che i debitori non riescono più a ripagare regolarmente o del tutto) ammontava a 173 miliardi, pari al 9,4% degli impieghi totali degli istituti. Di questa montagna di crediti concessi dalle banche, 81 miliardi erano rappresentati da "sofferenze" (crediti la cui riscossione non è certa, perché i soggetti debitori si trovano in stato di insolvenza o in una situazione equiparabile) e i restanti 92 miliardi dalle altre esposizioni deteriorate, già svalutate per circa un terzo del valore nominale.
Di crediti deteriorati o di Npl, come ormai molti li chiamano usando il termine inglese (non performing loans) nel sistema finanziario nazionale si parla, da mesi, sempre di più. Sono considerati, infatti, il cancro delle banche italiane. E quasi non passa giorno che non arrivi, da diverse parti, la sollecitazione a disfarsene, il più presto possibile. Addirittura, in qualche caso, la Bce dà ultimatum. Però, c'è un problema. Le banche puntano a vendere gli Npl senza rimetterci troppo, mentre le società specializzate nell'acquisto e nella gestione dei crediti deteriorati mirano a pagarli poco, spesso tra il 20 e il 30% del loro valore nominale.
Così, succede che le banche ci rimettono un sacco di soldi, mentre i pochi operatori acquirenti di soldi ne guadagnano un sacco, essendo capaci a riscuotere dai debitori somme ben più elevate di quelle pagate per i crediti deteriorati rilevati.
Dell'anomalia di questo nuovo, colossale business, si è reso conto lo stesso Governatore della Banca d'Italia, il quale ha riconosciuto che "La Vigilanza è consapevole della necessità di non forzare politiche generalizzate di vendita dei crediti deteriorati, che conducono, di fatto, a un trasferimento di risorse dalle banche italiane a pochi investitori specializzati". Peccato, però, che il pressing sulle banche italiane continui, a tutto vantaggio degli speculatori.

LA STRAGE BANCARIA - Altro che deforestazione bancaria, qui è una strage. Già al 31 dicembre 2016, nel nostro Paese si sono ridotti a 70 i gruppi bancari e a 475 le banche non incluse nei gruppi. Esattamente un anno prima i gruppi erano ancora 75 e 504 le banche non incluse nei gruppi. Numeri che diventano ancora più significativi se si considerano sia i consuntivi degli anni precedenti sia il fatto che delle banche non incluse nei gruppi a fine 2016 ben 325 sono Bcc (credito cooperativo) e 82 succursali di istituti esteri. Inoltre, va considerato che dall'inizio di quest'anno a oggi, il sistema ha avuto ancora altre perdite e nei prossimi mesi il fenomeno continuerà.
Insomma, tra poco, di banche indipendenti in Italia ne resteranno un centinaio. Intanto, cala, ancora di più e rapidamente, il numero degli sportelli e dei dipendenti. Mentre, l'attività tipica si mantiene su buoni livelli. Infatti, la raccolta bancaria da clientela, in essere al 31 maggio, è risultata pari a 1.713,9 miliardi e gli impieghi in essere hanno sfiorato i 1.800 miliardi.

ASSICURAZIONI - Nel 2016, il totale dei premi pagati alle compagnie assicurative operanti in Italia è sceso a 134 miliardi, l'8,7% in meno rispetto ai 147 miliardi del 2015. Il calo si deve soprattutto al Ramo Vita, che ha incassato l'11% in meno, evidenziando così un'inversione di tendenza dopo i tre anni precedenti di crescita progressiva. Più contenuta è stata la diminuzione del valore delle polizze emesse nel comparto Auto, ridotto del 3% e in linea, negativa, con l'ultimo lustro. E' invece risalito del 3% il Ramo Danni non auto. Però, il Ramo Vita vale il 76% dei premi assicurativi pagati l'anno scorso nel nostro Paese, mentre il Ramo Danni vale il 24%, equamente diviso tra Auto e non.
In merito all'Rc Auto, va rilevato che il premio medio 2016 per l'assicurazione obbligatoria di una vettura a uso privato è sceso a 420 euro (al netto di tasse e contributi), somma che però è ancora superiore di 140 euro a quella pagata da francesi, tedeschi e spagnoli. Forse può consolare, comunque, che nel 2015 il divario era di 190 euro e di oltre 260 nel 2011.
Le 111 compagnie assicurative attive in Italia, con quasi 30.000 dipendenti e oltre 5.700 broker, alla fine dell'anno scorso avevano, all'attivo, investimenti per oltre 810 miliardi (a valore di mercato), 360 dei quali rappresentati da titoli di Stato. Insieme, hanno dichiarato un utile complessivo vicino ai 6 miliardi, quanto nell'esercizio precedente.

BORSA DI MILANO - Piazza Affari in double face. L'anno scorso, l'indice Ftse Italia Mib storico è diminuito del 7,6% e la capitalizzazione totale delle società italiane quotate è calata a 525 miliardi a fine 2016 dai 573,6 di fine 2015. E' sceso anche il controvalore degli scambi di azioni delle società nazionali a 615,4 miliardi dai 792.9 precedenti. Al contrario, sono aumentate le società presenti nel listino da 356 a 387, il numero più alto degli ultimi cinque anni. Sono cresciuti, inoltre, i dividendi distribuiti dalle quotate italiane (da 15,1 a 16,7 miliardi), come i rapporti fra gli utili e la capitalizzazione e fra i dividendi e la capitalizzazione.

CONTI PUBBLICI - Il consolidato 2016 delle Amministrazioni pubbliche, riportato nella relazione annuale della Banca d'Italia, mostra entrate totali per 788,5 miliardi, ancora 2,6 miliardi in più rispetto al 2015 e quasi 41 miliardi più che nel 2011; inoltre, mostra spese totali per 829,3 miliardi, quasi un miliardi meno dell'anno prima, ma 20,7 miliardi in più rispetto al 2011. Insomma, le Amministrazioni pubbliche continuano a spendere più di quanto incassano e, come se non bastasse, la crescita delle loro spese è superiore a quella delle loro entrate. Chiaro che così il debito pubblico non può che continuare a salire.
Altrettanto grave è che le sole spese pubbliche in diminuzione sono quelle relative agli interessi pagati per i debiti (merito esclusivo della Bce di Mario Draghi e dei suoi tassi bassissimi) e quelle per gli investimenti fissi, pari a 35 miliardi nel 2016 a fronte degli oltre 45 di cinque anni prima.
Naturalmente, viene fatto osservare che però è calata l'incidenza sul Pil sia delle spese (al 49,6%), sia delle entrate (al 47,1%), sia dell'indebitamento netto (al 2,4%); tuttavia, andrebbe aggiunto, che questi risultati sono conseguenti non a comportamenti virtuosi delle Amministrazioni pubbliche, ma al miglioramento del Pil, frutto prevalentemente dei soggetti privati.  


Celi (hi-tech) alla H-Farm

Sempre più intensa la caccia di nuove imprese torinesi ad alta tecnologia da parte degli investitori. L'ultima preda, in ordine di tempo, è la Celi, pmi innovativa leader nel campo dell'intelligenza artificiale, del machine learning e dell'analisi del linguaggio (progetta e realizza tecnologie semantiche multilingue per estrarre conoscenza e creare valore dai dati linguistici).
Il 100% della Celi è appena stato comprato dalla H-Farm, società quotata in Borsa, primo venture incubator al mondo, oltre 250 dipendenti e un fatturato superiore ai 28 milioni nel 2016. Il valore dell'operazione è di 2,3 milioni, che i soci di Celi ricevono in parte in denaro e in parte in azioni della H-Farm, fondata e guidata da Riccardo Donadon.
La Celi, che ha come presidente e amministratore delegato Vittorio Di Tomaso (secondo ad è Giampaolo Mazzini), ha tre sedi - Torino, Milano, Trento - opera in Europa, Usa e Asia; conta 25 dipendenti e vanta un'esperienza di 15 anni. Nel passato esercizio ha fatturato 1,8 milioni, realizzando un utile operativo di 360.000 euro.

Bim cambia di nuovo proprietà

Nuova svolta per la Bim - Banca intermobiliare di investimenti e gestioni. La banca torinese specializzata nella gestione di patrimoni familiari cambia proprietà, un'altra volta. La quota della Bim in portafoglio a Veneto Banca, pari al 71,4% del capitale, è destinata alla vendita. E a comprarla non sarà Intesa Sanpaolo, che ha escluso questa partecipazione dal perimetro delle attività da rilevare in seguito al contratto firmato, domenica 25 giugno, con i commissari liquidatori della Popolare di Vicenza e, appunto, di Veneto Banca, nominati dalla Banca d'Italia, dopo l'accordo con il ministro dell'Economia e delle Finanze.
La Borsa ha accolto positivamente la notizia. Nella prima giornata successiva alla decisione della liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza e dell'acquisizione di buona parte delle loro attività e passività a Intesa Sanpaolo, grazie anche al contributo dello Stato, il titolo Bim ha fatto registrare un aumento del 13,7%, chiudendo a 1,363 euro. Quotazione ancora inferiore al massimo annuale di 1,58 raggiunto il 10 gennaio, ma decisamente superiore al minimo di 1,14 euro toccato venerdì 23 del mese corrente, quando era dilagante l'incertezza sul destino della Banca, nata proprio vent'anni fa, dopo essere stata Sim e, prima ancora, Commissionaria di Borsa, dal 1981, anno a cui si possono far risalire le origini dell'istituto finanziario.
Veneto Banca era entrata in Bim nel 2009, acquisendo il 40% della Cofito, holding che possedeva il 52,3%  di Banca Intermobiliare. Nel 2011, però, Veneto Banca incorpora Cofito, per fusione, e diventa controllante della Bim. Tuttavia, nel giugno dell'anno scorso, la maggioranza di Veneto Banca passa al fondo Atlante, gestito da Quaestio Capital Management Sgr, che, perciò, sia pure indirettamente, diventa il nuovo azionista di controllo della Bim. Condizione durata un anno e finita domenica, altra data storica per banca torinese che è stata delle famiglie Segre, Scanferlin, D'Aguì, ancora titolare del 9% delle azioni.
La Bim, che dispone di 29 filiali sparse in Italia e 165 private banker e che ha in portafoglio Bim Suisse, Symphonia Sgr, Bim Fiduciaria e Bim Insurance Brokers, al 31 marzo scorso, presentava una raccolta globale - amministrato più gestito - pari a 9,2 miliardi di euro e un Cet1 dell'11,43%. Ha chiuso il primo trimestre con un risultato negativo di 2 milioni. Nell'intero 2016 ha perso 83,1 milioni, dopo averne persi 28,8 nel 2015. Attualmente è presieduta da Maurizio Auri. Direttore generale è Stefano Grassi, consigliere di amministrazione con deleghe Giorgio Girelli.

Alberto Bertone, re delle minerali

Il re delle acque minerali: è Alberto Bertone, il numero uno della Fonti di Vinadio, che ha Sant'Anna come marchio di punta. Nel 2016, suo ventesimo esercizio, l'impresa piemontese ha venduto un miliardo di bottiglie di acqua minerale. tutta proveniente dalla sorgente cuneese che si trova a 1.950 metri sul livello del mare, più un centinaio di milioni di bicchierini di SanThé e SanFruit. Ha fatturato 280 milioni di euro, solo per il 5% dovuti alle vendite all'estero (primo mercato la Cina).
In un'intervista, pubblicata da Cronaca Qui del 24 di questo mese, Alberto Bertone, classe 1966, torinese di Moncalieri, ha anticipato che i ricavi di quest'anno ammonteranno a 300 milioni di euro, confermando un trend di crescita elevata, nonostante che il mercato nazionale, maturo, aumenti meno di due punti percentuali all'anno.
Bertone ha anche riferito che la sua azienda, che conta 110 dipendenti e ha sempre chiuso i bilanci in attivo (con una redditività elevata), sta investendo 50 milioni all'anno, per aumentare la capacità produttiva (punta a 3 miliardi di bottiglie l'anno) e la competitività, restare all'avanguardia tecnologica, ridurre i costi, fare ricerca e innovazione, sviluppare la gamma d'offerta e la diversificazione. Fra l'altro, sta girando il mondo per trovare nuove opportunità: Paesi dove replicare il modello Sant'Anna (in testa si trovano gli Usa), oltre che acquisizioni. La liquidità c'è, senza bisogno di ricorrere alle banche, né di aprire il capitale ad altri soci né di quotarsi in Borsa.
Oltre a fare il presidente e l'amministratore delegato della Fonti di Vinadio, fondata nel 1996 con il padre Giuseppe, Alberto Bertone, laurea in Scienze Politiche e un master Corep al Politecnico di Torino, fa l'imprenditore nell'edilizia residenziale e industriale, tradizionale attività della famiglia ed è impegnato in consigli di amministrazione di diversi enti e società: dalla Fondazione Sviluppo e Crescita Crt alla Pegaso Investimenti, al Fondo Nord Ovest della Ream Sgr e alla Via Ivrea 24 Abitare Sostenibile.
Alla domanda sulla situazione e le prospettive di Torino, Alberto Bertone ha risposto: "Dal 2006, con le Olimpiadi, Torino è diventata un'altra città. Allora abbiamo saputo interpretare la crisi, cambiare vestito, riprendere a crescere. Negli ultimi anni, però, abbiamo tenuto lo stesso vestito, rivoltandolo da una parte e dall'altra. Ci siamo fermati, mentre gli altri sono andati avanti. E questo ha comportato un arretramento. Mancano le idee. Gestiamo, non creiamo. Non si fa più nulla di nuovo, anche se le possibilità non mancano".
Quanto al successo delle acque minerali, da anni in Italia, Francia e altri Paesi europei, ma presto in altre parti del mondo, Alberto Bertone ha spiegato che si spiega molto semplicemente con la differenza che c'è con l'acqua del rubinetto: l'acqua minerale è un prodotto assolutamente naturale, imbottigliata come sgorga dalla fonte; l'acqua di rubinetto è trattata chimicamente per essere potabile, provenendo prevalentemente da fiumi, spesso inquinati, e viaggiando in tubazioni normalmente obsolete, con fessure che lasciano penetrare sostanze contaminanti.



Meno imprese rosa

Perde colpi l'imprenditoria del Nord Ovest. Al 31 marzo 2017, sono risultate 135.784 le imprese femminili iscritte alle locali Camere di commercio, un migliaio in meno rispetto al 31 dicembre 2016, quando erano appunto 136.800. Il calo riguarda tutte le tre regioni. In Piemonte, le imprese con titolare donna sono scese da 97.948 a 97.159, in Liguria da 35.910 a 35.716 e in Valle d'Aosta da 2.952 a 2.909.
Nella regione alpina, però, il tasso di "femminilizzazione" imprenditoriale (rapporto tra il numero delle imprese guidate da donne e il totale delle imprese attive alla stessa data) è ancora salito un po', raggiungendo il 23,19%, che è il più elevato nel Nord Ovest. Invece, è diminuito di mezzo decimo di punto in Liguria (dal 22,1% al 22,05%) ed è rimasto invariato in Piemonte: 22,3%, indice che vale la posizione di metà classifica a livello nazionale.
Il tasso medio italiano di "femminilizzazione" imprenditoriale, infatti, è del 21,75%, corrispondente a 1.316.017 imprese rosa sul totale di 6.051.290 emerso dal censimento di Unioncamere al 31 marzo scorso (le imprese con un titolare maschio sono 4.735.273). A presentare le quote più elevate di imprese rosa sono il Molise (28,11%), la Basilicata (26,71%) e l'Abruzzo (25,78%); al contrario, le più basse sono evidenziate da Trentino-Alto Adige (17,66%), Lombardia (18,43%) e Veneto (19,72%).
Nel primo trimestre di quest'anno, l'Italia ha perso quasi 6.000 imprese femminili.

Nelle banche 132 miliardi

Quasi 132 miliardi di euro. E' la somma che risultata depositata, da parte delle famiglie e delle imprese nelle banche attive nel Nord Ovest, al 31 dicembre scorso. In particolare: 94,3 miliardi costituiscono i depositi bancari in Piemonte, 34 miliardi in Liguria e 3,3 miliardi in Valle d'Aosta. In queste ultime due regioni, i depositi sono aumentati rispetto al 2015, sia pure di pochissimo; invece, in Piemonte sono diminuiti di 1,3 miliardi. A dimostrazione che la crisi economica è continuata, erodendo ancora la capacità di risparmiare.
Quanto ai prestiti delle banche a famiglie e imprese del Nord Ovest, i resoconti della Banca d'Italia dicono che sono rimasti sullo stesso livello dell'anno precedente. Infatti, il loro totale è stato di 151,4 miliardi, inferiore di circa 260 milioni a quello emerso al 31 dicembre 2015. In Piemonte, i prestiti bancari in essere a fine 2016 ammontavano a 112,8 miliardi (112,3 miliardi dodici mesi prima), in Liguria a 35,8 miliardi scarsi (36,6) e in Valle d'Aosta a 2,8 miliardi, pochi milioni più che alla stessa data 2015.
Anche l'evoluzione degli impieghi conferma che, l'anno scorso, nel Nord Ovest, gli investimenti non sono ripartiti. Come si dice, gergalmente, nel mondo creditizio: il cavallo ha continuato a non bere. come negli esercizi immediatamente precedenti. Lo spirito imprenditoriale ha stentato ancora. Scarse le nuove iniziative, comunque insufficienti ad alimentare una riscossa. Un problema in più per le banche, che, normalmente, guadagnano sui prestiti, erogando denaro a un prezzo superiore a quanto lo pagano.
L'industria bancaria è in difficoltà da tempo, per diverse ragioni (naturalmente, se è vero che il settore è in sofferenza è altrettanto vero che, nel Nord Ovest come altrove, si trovano banche, delle diverse dimensioni, che vanno bene e continuano a presentare bilanci con buoni utili, adeguata redditività e solidità tranquillizzante).
In ogni caso, anche nel Nord Ovest, le banche hanno ridotto il numero dei dipendenti e degli sportelli. Complessivamente, al 31 dicembre scorso, i dipendenti sono risultati 38.830, dei quali 30.589 in Piemonte, 7.747 in Liguria e 494 in Valle d'Aosta. Quanto agli sportelli, sono passati dai 3.338 di fine 2015 ai 3.281 di fine 2016, quando ne sono stati censiti 2.364 in Piemonte (2.451 un anno prima), 822 in Liguria (841) e 95 in Valle d'Aosta (96).

Novarese il leader della moda italiana

Riunisce oltre 37.000 imprese del Made in Italy, che danno lavoro a 580.000 persone e generano un fatturato annuo superiore ai 90 miliardi, per il 62%  derivante dalle vendite all'estero. Il soggetto che rappresenta questo sistema produttivo ed economico è Confindustria Moda, federazione confindustriale nata pochi mesi fa, grazie anche all'impegno e alla volontà di un novarese, Claudio Marenzi, che ne è stato subito eletto presidente.
Claudio Marenzi, 55 anni, recentemente eletto anche presidente di Pitti Immagine, è il numero uno della Herno di Lesa, un'azienda eccellente del settore abbigliamento con un marchio ambasciatore del prodotto italiano di lusso nel mondo. Fondata nel 1948, a Lesa (Novara), da Giuseppe Marenzi e dalla moglie Alessandra Diana, la Herno incomincia come fabbricante di impermeabili.
A dare la svolta strategica, è proprio l'ultimo dei tre figli della coppia, Claudio, il quale sta facendo raddoppiare il fatturato della Herno ogni due anni (76 milioni di euro nel 2016, per il 60% dovuti alle esportazioni), conquistando progressivamente nuovi mercati, puntando sulla creatività, l'innovazione, le tecnologie avanzate, il gusto.
Claudio Marenzi, che conosce ogni aspetto del prodotto e del processo, è entrato nella Herno, della quale è ora presidente e amministratore delegato, quando aveva poco più di vent'anni.

L'Ucid di Ghidella

"Ucid, nel prossimo triennio, si pone l'obiettivo di essere un nuovo riferimento degli imprenditori, dirigenti e professionisti, che desiderino offrire ai propri stakeholder soluzioni operative e formative per la gestione dell'impresa e della pubblica amministrazione, che coniughi competitività e centralità della persona... Vorremmo contribuire alla creazione di una nuova classe dirigente, con soluzioni innovative d'impresa e di amministrazione pubblica basate sui valori cristiani. Intendiamo essere l'hub culturale e di azione, fra il mondo economico e del lavoro, le istituzioni e la società civile, per offrire cambiamento, speranza e costruzione del bene comune".
E' questo, in sintesi, il programma di Riccardo Ghidella per l'Ucid nazionale, del quale è stato eletto, il giugno, all'unanimità, presidente per il triennio 2017-2020. L'Ucid , fondata nel 1947 come unione di imprenditori e dirigenti di ispirazione cristiana, è un'associazione apartitica, che richiama i suoi soci all'impegno per la realizzazione del bene comune. La sua struttura è di tipo federale, composta attualmente da 17 gruppi regionali, a loro volta divisi in un centinaio di sezioni provinciali. Tra i predecessori di Riccardo Ghidella spiccano i nomi di Giuseppe De Rita, Francesco Merloni, Angelo Ferro e, ultimo, Giancarlo Abete.
Riccardo Ghidella, torinese, classe 1958, sposato, un figlio, è un alto dirigente di Edf - Fenice, società subalpina interamente posseduta da Edf (Electricité de France) colosso transalpino dell'energia. Edf - Fenice, che progetta, finanzia, costruisce e gestisce impianti per la produzione e la distribuzione di energia riducendone i costi, ha circa 1.850 dipendenti e fattura oltre 400 milioni di euro. Sede a Rivoli, nella cintura torinese, ha come amministratore delegato Paolo Quaini.
Prima di diventare il numero uno nazionale, Riccardo Ghidella è stato presidente dell'Ucid Torino dal 2009 al 2014 e poi dell'Ucid Piemonte e Valle d'Aosta. Il nuovo incarico si aggiunge a quelli di vice presidente Assistal Confindustria Servizi, consigliere del Direttivo Amma (imprese metalmeccaniche), membri della Giunta dell'Unione Industriale di Torino e vice presidente della Fondazione Teatro Stabile, membro del Consiglio pastorale dell'Arcidiocesi di Torino e della Commissione regionale per i problemi sociali e del lavoro della Cei del Piemonte.
Oltre a Riccardo Ghidella, sono stati eletti i liguri Davide Viziano (vice presidente vicario) e Michele Thea (coordinatore del Gruppo Giovani).

Dicono che ... 2

LUSSEMBURGO - Dicono che fossero circa 500 le personalità subalpine che hanno partecipato, mercoledì 21 giugno, alla festa torinese del Granducato del Lussemburgo, organizzata sontuosamente e magistralmente, come negli anni passati, dal console onorario Ettore Morone, ben noto e stimato titolare dell'omonimo studio notarile cittadino, dove fa il notaio anche il figlio Remo. Nel parco dell'Unione Industriale, l'ambasciatrice del Lussemburgo in Italia, Janine Finck ed Ettore Morone, hanno accolto e salutato, uno per uno, banchieri, imprenditori, avvocati, commercialisti, manager, accademici, consulenti, finanzieri, intellettuali, esponenti di Ordini professionali e istituzioni, insomma non pochi componenti dell'èlite di Torino e dintorni.
Dicono che Janine Finck, ambasciatrice accreditata anche presso la Repubblica di San Marino, l'Ungheria, Malta e la Fao, abbia manifestato a Ettore Morone la piena soddisfazione per il successo del ricevimento, congratulandosi per l'eccellenza degli ospiti e il loro numero, ancora superiore alle sempre folte edizioni precedenti (nuovo record di presenze).
Il Granducato del Lussemburgo è uno dei maggiori investitori esteri in Piemonte e, a sua volta, è sede di numerose società piemontesi, finanziarie e industriali, alcune delle quali vi hanno anche il quartiere generale, come, per esempio, la Ferrero e Guala Closures.
Ettore Morone è uno dei sette consoli onorari del Granducato del Lussemburgo in Italia e il suo tradizionale appuntamento annuale è il più ambito.

CARIGE - Dicono che, a Genova, non pochi piccoli azionisti della travagliata Banca Carige, prossima a un nuovo aumento di capitale (maxi rispetto all'attuale, misera, capitalizzazione di Borsa), abbiano giudicato molto favorevolmente la cooptazione di Francesca Balzani nel Consiglio di amministrazione dell'Istituto, insieme con la docente universitaria Ilaria Queirolo e il commercialista Stefano Lunardi. Francesca Balzani, l'allieva prediletta di Victor Uckmar, il noto tributarista che l'aveva voluta nel suo prestigioso studio, è considerata un'eccellenza genovese, molto apprezzata anche fuori dalla Superba. Fra l'altro, è stata vice sindaco di Milano con Pisapia e, poi, candidata a sindaco, battuta da Sala. E' stata anche parlamentare europea, dopo la prima esperienza politica come assessore al Bilancio del Comune di Genova.
Pure la città con la Lanterna l'avrebbe voluta sindaco, ma lei ha sempre declinato le offerte, mantenendo comunque un legame forte con la sua comunità d'origine, che ne apprezza considerevolmente pure le capacità professionali, al di là dell'appartenenza partitica. Francesca Balzani, però, non ha risposto negativamente alla chiamata di Vittorio Malacalza, in seguito alla quale rientra nel sistema Carige, che l'aveva già vista, dieci anni fa, consigliere della Fondazione, allora maggiore azionista della Banca dei Liguri, come è ancora ricordata la Cassa di Risparmio di Genova e Imperia.
Malacalza ha scelto, inoltre, il nuovo amministratore delegato e direttore generale della Banca:  Paolo Fiorentino (ex Unicredit). Tuttavia, nelle ore seguenti la nomina, il titolo Carige ha continuato a perdere valore in Borsa, facendo registrare il nuovo record negativo. Certamente non per l'arrivo di Fiorentino (né dei nuovi Consiglieri), anche se qualcuno sperava che la responsabilità operativa della banca venisse affidata, finalmente, al genovese Giuseppe Cuccurese, il quale, dal 2012, guida il Banco di Sardegna, che lui ha rilanciato e portato a fare utili quanto mai prima. Cuccurese, classe 1955, prima che del Banco di Sardegna è stato direttore generale della Cassa di Risparmio della Spezia, allora del San Paolo di Torino, gruppo dove ha fatto gran parte della sua intensa e brillante carriera, con incarichi sempre più rilevanti, anche all'estero. Un banchiere molto esperto e affidabile, Giuseppe Cuccurese. Peccato che, come spesso accade, "nemo propheta in patria".

AVVOCATI TORINESI - Dicono che si svolgeranno nell'ottobre prossimo le elezioni "speciali" destinate a dare un nuovo presidente all'Ordine torinese degli avvocati. E dicono che il nuovo presidente potrebbe essere Michela Malerba, attualmente segretario del Consiglio dell'Ordine subalpino che, al 31 dicembre 2015 contava 5.891 iscritti e 1.540 praticanti. Per Michela Malerba certamente voterà, stimandola molto, Mario Napoli, presidente dell'Ordine torinese dal 2010 e in prorogatio dal febbraio 2015, a causa della sospensione provocata, a livello nazionale, da provvedimenti cautelari del Consiglio di Stato, ancora non risolti.
Mario Napoli, classe 1953, iscritto all'Ordine dal 1979, è "equity partner" dello studio Pedersoli e Associati, del quale è entrato a far parte nel 2011, dopo aver lavorato per decenni a fianco di Franzo Grande Stevens, l'avvocato dell'Avvocato. Curriculum ricco e prestigioso, grandissimo impegno anche nei vari organismi dell'Ordine e per le sue funzioni istituzionali, Mario Napoli ha confidato che non vede l'ora di passare il testimone: la presidenza dell'Ordine è decisamente faticosa, anche se molto gratificante.

UNIVERSITARI CINESI - Dicono che diversi professori del Politecnico di Torino, durante colloqui confidenziali, ammettano di comprendere sempre meno perché vengono favorite, in vari modi, l'iscrizione e la frequenza di tanti studenti stranieri, in particolare cinesi e indiani, ai loro corsi. Dicono: " A Torino ci vantiamo tanto dell'elevata quota di stranieri al Poli, ma non consideriamo che il costo della loro partecipazione è elevatissimo per le casse pubbliche, cioè per i contribuenti italiani, dato che le tasse universitarie coprono una minima parte dei costi dell'insegnamento; inoltre, non consideriamo che questi giovani orientali, formati perfettamente dal nostro Poli, domani andranno a rafforzare e a far progredire le aziende che fanno e faranno concorrenza a quelle italiane. Insomma, noi regaliamo, o quasi, ingegneri, giovani e motivati, ai Paesi che già ci attaccano, spesso slealmente, accrescendone ulteriormente la competitività".
I docenti critici, aggiungono che questo danno, volontario, non è l'unico: " fra l'altro, infatti, a causa del numero chiuso, molti ragazzi italiani non possono aspirare a laurearsi al Poli, perché il posto che avrebbero potuto avere è stato occupato dagli stranieri".

PROGETTO ESSICA  - Dicono che abbia suscitato diffuso interesse e grandi aspettative, in particolare nel Cuneese, il nuovo progetto europeo, battezzato Essica, che mira a introdurre tecnologie innovative nel trattamento delle erbe aromatiche, con l'impiego di ultrasuoni, ozonizzazione, microonde, essicazione a freddo, accrescendo, nello stesso tempo, la tutela del consumatore e salvaguardando sia la naturalezza di questi prodotti sia i territori del Piemonte e della Francia che maggiormente ospitano le coltivazioni delle erbe aromatiche.
Il progetto, che ha come capofila l'Associazione Terre dei Savoia, ha anche l'obiettivo di aumentare la competitività delle aziende agricole del comparto, che sono  quasi 3.000 e operano su oltre 7.000 ettari, una superficie dedicata più che triplicata nell'ultimo decennio. In Italia, il 70% delle erbe officinali e aromatiche usate in erboristeria, per alimenti e profumi, è importato dall'estero, per un valore annuo che supera il miliardo di euro, mentre ammonta a circa la metà il valore delle esportazioni nazionali.  
Essica è stato lanciato, intorno a metà giugno, nella sede l'Accademia europea delle essenze, al Mùses di Savigliano, gestito dall'Associazione Terre dei Savoia, alla quale aderiscono oltre 50 Comuni sparsi nelle province di Cuneo, Asti e Torino e che ha come partner principali il ministero dei Beni e delle attività culturali, la Regione Piemonte, la Fondazione Crt, la Compagnia di San Paolo e la Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano. Ad affiancare l'Associazione Terre dei Savoia nel Progetto Essica sono il dipartimento di Scienze agrarie dell'Università di Torino, France Agrimer e il centro Crieppam di Manosque per la sperimentazione di piante e profumi.



 



Donne al vertice 1

CRISTINA BALBO - "L'importante è credere in sé. Le donne devono avere la consapevolezza che possono fare qualsiasi cosa, ma senza imitare atteggiamenti maschili. Restare sé stesse, sempre. E bisogna pretendere di essere apprezzate, pretendere che vengano riconosciute le proprie competenze, rivendicare qualifiche e retribuzioni eque. A volte le donne neanche ci provano; invece, bisogna farsi valere senza timore". A esprimere queste concezioni, in una lunga intervista pubblicata, recentemente, dal Corriere Imprese Nordest, è Cristina Balbo, la top manager di Intesa Sanpaolo a capo della direzione regionale Piemonte-Liguria-Valle d'Aosta, prima donna a ottenere un incarico di questo livello, per di più a soli 48 anni, all'interno del grande Gruppo.
Alla direzione della rete Nord Ovest di Intesa Sanpaolo, dotata di circa 500 sportelli  e oltre 5.000 dipendenti che gestiscono più di 1,5 milioni di clienti, Cristina Balbo si è insediata nel novembre del 2014, voluta da Stefano Barrese, numero uno della Banca dei Territori, consapevole dei valori della padovana (è nata ad Abano Terme) ormai torinese: grande preparazione e grande impegno, massima disponibilità, modestia e affabilità, passione e entusiasmo, straordinaria capacità di coinvolgimento e di motivazione delle persone, Qualità che spiegano la sua carriera e che le sono valse, fra l'altro, il premio Mela d'Oro 2015 della Fondazione Marisa Bellisario, nella categoria management.
Subito dopo la laurea in Economia e commercio, Cristina Balbo, che da studente dava una mano ai genitori titolari di una gelateria, è entrata in banca, a seguito di un concorso e iniziando allo sportello. Posto preferito al dottorato di ricerca che le era stato offert dalla sua Università. Una buona scelta, la sua, anche per le donne che lavorato in Intesa Sanpaolo, le quali la considerano una paladina delle pari opportunità nel mondo del lavoro e della meritocrazia senza distinzioni di genere. In proposito, lei ha ribadito che "La vera parità si realizza quando a tutte le persone vengono offerte le stesse opportunità e si applica la meritocrazia".

CARLA FERRARI - La fresca acquisizione di una quota di Tages Helios, primo fondo di investimento alternativo interamente destinato al settore fotovoltaico in Italia, ha riportato l'attenzione su Equiter e sulla sua presidente operativa, che è Carla Patrizia Ferrari. "Equiter è investitore e advisor nel settore delle infrastrutture. In particolare, Equiter seleziona, realizza e gestisce mission related investment, investimenti in capitale di rischio allo scopo di promuovere lo sviluppo socio-economico del territorio, con un impatto a lungo termine", Così, modestamente, si presenta questa società torinese che, fra l'altro, è un campione di redditività: nel 2016 ha dichiarato un utile netto di 6,4 milioni di euro, a fronte di ricavi per 10 milioni, oltre 7 dei quali derivanti dagli investimenti in partecipazioni e quote di Oicr.
Tra le partecipazioni di Equiter, che ha un organico di 14 persone, spiccano quelle in Iren, Sagat (Aeroporto di Torino), Fondo F2i, Fondo PPP Italia, Fondo J Village (Villaggio Juventus), Fondo Nord Ovest e Fondo Innogest Capital II, Il totale delle attività al 31 dicembre 2016 sfiora i 254 milioni e il patrimonio netto supera i 253 milioni.
A capo di Equiter si trova, appunto, Carla Ferrari, nata a Genova, dove si è laureata in Economia e Commercio, ma da tempo sotto la Mole e dal 1988 in quello che è oggi il gruppo Intesa Sanpaolo e allora era ancora lo storico e glorioso "Sanpaolo" di Torino. Nel colosso bancario ha avuto diverse e sempre più rilevanti incarichi: è stata responsabile dell'Ufficio Studi economici, della Segreteria di Direzione generale, della Direzione Enti e Aziende pubbliche; direttore generale e amministratore di Banca Opi, ad di Finopi. E, dal 2013 al 2015, ha fatto parte del Consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo, incarico lasciato quando è stata nominata consigliere di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), della quale è anche presidente del Comitato Remunerazioni e membro del Comitato rischi.
Oltre a questi incarichi, attualmente, Carla Ferrari, sposata con Giorgio Spriano, capo del risk management di Banca Fideuram (gruppo Intesa Sanpaolo), ricopre quelli di cfo, cioè di responsabile finanziario, della Compagnia di San Paolo e della società consortile Compagnia di San Paolo Sistema Torino, che fornisce servizi in campo contabile, amministrativo e tecnologico e di consulenza gestionale. In passato, invece, è stata ai vertici di Iren, Sinloc, Transdev, Finpiemonte, Filse e, fra l'altro, Finaosta. Carla Ferrari viene considerata "una delle più potenti e determinate manager della finanza in Italia".