Bim e Buzzi, 29 agosto nero

Nerissimo 29 agosto per Bim-Banca Intermobiliare in Borsa. L'azione dell'istituto torinese specializzato nel private banking e ancora posseduto da Veneto Banca, in liquidazione -  posseduto ancora per poco perché l'intera partecipazione di maggioranza assoluta (71%) sta per passare di mano - ha chiuso a 1,125 euro, segnando il 9,4% meno del giorno precedente e il nuovo minimo dall'inizio dell'anno. Rispetto agli ultimi dodici mesi la performance è negativa del 16%.
La valutazione borsistica (capitalizzazione) dell'intera Bim è scesa a 180 milioni di euro; ma le voci che i fondi interessati all'acquisto offrirebbero, ai liquidatori di Veneto Banca, circa 80 milioni ha fatto precipitare la quotazione, già in sofferenza da tempo. anche a causa delle notevoli perdite accusate negli ultimi due esercizi. E pensare che fino a poco più di due anni fa, l'azione della Banca subalpina veleggiava in Piazza Affari sopra i 3,5 euro.
La giornata è stata particolarmente negativa anche per un'altra società piemontese, Buzzi Unicem, la cui azione ordinaria ha avuto come ultimo prezzo 19,31 euro, che rappresenta il valore più basso del 2017. Il nuovo calo, comunque contenuto nello 0,8%, ha come causa principale, secondo diversi esperti, la rivalutazione dell'euro nei confronti del dollaro, moneta con la quale viene regolato circa il 40% del fatturato del gruppo, realizzato appunto in America.

Buzzi Unicem, multinazionale del cemento che fa capo all'omonima famiglia di Casale Monferrato, ha una capitalizzazione di oltre 3,2 miliardi e la sua azione ordinaria, l'8 maggio scorso, era stata scambiata a 25,22 euro.  

Strage di botteghe e il fattore estorsioni

Strage di artigiani e piccoli commercianti. Negli ultimi otto anni, dal giugno 2009 allo stesso mese 2017, in Italia, hanno cessato l'attività 145.678 imprese artigiane e 12.045 commercianti al dettaglio. Le prime sono scese a 1.322.640 da 1.468.318 che erano, mentre i piccoli negozi di vicinato sono calati da 805.147 a 802.508.
Complessivamente, il nostro Paese ha perso quasi 158.000 imprese dei due settori, che, secondo l'Ufficio studi della Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, davano lavoro a poco meno di 400.000 persone.
In particolare, per quanto riguarda le imprese artigiane, in Piemonte hanno chiuso i battenti 15.333 (negli ultimi otto anni, sono diminuite dell'11,3%), in Liguria 2.603 (-5,6%) e in Valle d'Aosta 494 (-11,7%).
La stessa Cgia ha spiegato il fenomeno con queste parole: “La crisi economica, il calo dei consumi, le tasse, la burocrazia, la mancanza di credito e l'impennata del costo degli affitti sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli imprenditori ad abbassare definitivamente la saracinesca della propria bottega. Se, inoltre, teniamo conto che, negli ultimi 15 anni, le politiche commerciali della grande distribuzione si sono fatte sempre più mirate e aggressive, per molti artigiani e piccoli negozianti non c'è stata via di scampo. L'unica soluzione è stata quella di gettare la spugna”.
Tra i mali che pervadono il mondo delle mini-imprese, dai laboratori artigianali ai piccoli negozi ed esercizi pubblici, quali i bari e i ristoranti, la Cgia di Mestre non ne ha ricordato uno, che pure ha evidenziato pochi giorni prima di diffondere i dati sulla moria delle aziende minori, cioè il forte aumento delle estorsioni, “tipico reato praticato dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso ai danni degli imprenditori”.
Nel nostro Paese, infatti, le denunce per estorsione sono cresciute dalle 5.992 del 2010 alle 9.839 del 2015 (ultimo dato disponibile finora). L'incremento è stato del 64,2%. Così che il giro d'affari collegato a questo reato è stato stimato tra i 2,7 e i 7,7 miliardi di euro all'anno (forbice larga, perché, come per l'usura, le estorsioni denunciate sono soltanto un parte di quelle praticate e subite”.
Comunque, sulla base delle denunce presentate all'Autorità giudiziaria, è risultata la Valle d'Aosta la regione che ha avuto il maggior incremento percentuale di estorsioni, a livello nazionale. Infatti, per la Valle d'Aosta, l'aumento è stato del 466,7% (dalle 3 denunce del 2010 alle 17 del 2015), a fronte del 188% del Trentino-Alto Adige, secondo in questa graduatoria e del 172,8% dell'Emila-Romagna.
In Liguria, le estorsioni denunciate sono salite dalle 154 del 2010 alle 290 del 2015 (+88,3%, che vale l'ottava posizione nella classifica italiana) e in Piemonte dalle 409 alle 667 (+63,1% e quindicesimo posto).
In termini assoluti, nel 2015 è stata la Lombardia a registrare il maggior numero di denunce per estorsione (1.336), seguita dalla Campania (1.277) e dal Lazio (916).


Le banche "soffrono" di più in Liguria

Nel Nord Ovest, al 31 dicembre 2016, è la Liguria che presenta la quota più elevata di crediti deteriorati sul totale degli impieghi bancari: 19,6%, a fronte del 10,4% della Valle d'Aosta, il 14,3% del Piemonte e il 17,6% medio italiano. In Liguria, dunque, di ogni mille euro prestati dagli istituti di credito 196 euro sono “non performing loans” (Npl), cioè esposizioni nei confronti di soggetti in stato di insolvenza o in situazioni equiparabili (“sofferenze”), esposizioni scadute e/o sconfinanti e probabili inadempienze.
Per le banche, sono le imprese liguri a rappresentare i peggiori debitori del Nord Ovest, dato che ben il 30,1% dei crediti da loro ottenuti sono diventati Npl, quindi a rischio di non essere onorati del tutto o in parte. Questa quota è quasi doppia a quella delle imprese della Valle d'Aosta (15,8%) ed è superiore sia a quella del Piemonte (21,8%) sia della media nazionale (29,2%).
Il primato negativo ligure vale anche per le piccole imprese, che, infatti, mostrano Npl pari al 25,1% dei finanziamenti bancari ottenuti, contro il 23,3% del Piemonte e il 16,5% della Valle d'Aosta.
Invece, è in Piemonte che si trovano le famiglie consumatrici meno affidabili per gli istituti di credito. Qui, infatti, è risultato dell'8,5% il tasso di crediti deteriorati affidati alle famiglie, mentre è dell'8,3% in Liguria e del 5,4% in Valle d'Aosta (10,4% la media nazionale).
In Liguria, a fine 2016, i prestiti delle banche alla clientela ammontavano complessivamente a 35,788 miliardi, dei quali 21,725 nella provincia di Genova, 6,114 nella provincia di Savona, 4,523 nella provincia di La Spezia e 3,427 nella provincia di Imperia.
Come precisato dalla Banca d'Italia, in Liguria, a fine 2016, le banche vantavano crediti per 19,061 miliardi nei confronti delle imprese (in particolare, 3,8 miliardi alle piccole), per 13,753 miliardi verso le famiglie consumatrici e 1,719 miliardi verso le Amministrazioni pubbliche. Alla stessa data, le sofferenze erano pari a 3,810 miliardi.
In Piemonte, al 31 dicembre 2016, i prestiti delle banche alla clientela erano pari a 112,825 miliardi, dei quali 56,470 alle imprese (12,826 alle piccole), 39,598 alle famiglie consumatrici e 9,551 alle Amministrazioni pubbliche. Per quanto riguarda le singole province, Torino evidenziava prestiti complessivi per 61,538 miliardi, Cuneo per 16,427, Alessandria per 9,911, Novara per 8,756, Asti per 4,827, Biella per 4,606, Vercelli per 3,681 e Verbania per 3,079. In totale, le sofferenze erano pari a 11,734 miliardi.

Infine, la Valle d'Aosta: la somma dei prestiti bancari a fine 2016 era di 2,831 miliardi, dei quali 1,507 alle imprese (427 milioni alle piccole), 870 milioni alle famiglie consumatrici e 99 milioni alle Amministrazioni pubbliche. Totale delle sofferenze: 193 milioni.

Elkann-Agnelli a quota 65 miliardi

Di nuovo al vertice della Borsa italiana. Le cinque società quotate a Piazza Affari, che fanno capo alla famiglia Elkann-Agnelli-Nasi, cioè Fiat Chrysler Automobiles (Fca), Ferrari, Exor, Cnh Industrial e Juventus, alla chiusura del 25 agosto 2017, hanno evidenziato una capitalizzazione complessiva di 64,95 miliardi di euro (valore che si ottiene moltiplicando il prezzo dell' azione per il numero delle azioni costituenti il capitale della società).
Capitalizzazione quasi raddoppiata rispetto a quella di fine luglio 2016. Allora, infatti, la Borsa valutava le cinque società, tutte insieme, 32,663 miliardi, il 98,86% in meno rispetto a oggi.
E' vero che il 24 agosto 2017 le azioni di tre delle cinque quotate controllate dalla grande famiglia torinese hanno fatto segnare il massimo storico (12,9 euro Fca, 98,75 euro Ferrari e 55,2 euro Exor); ma, indubbiamente, tutte evidenziano grandi performances annuali, a partire dal 134,4% della Juventus e il 123% della Ferrari.
Comunque, grazie all'impennata degli ultimi mesi, Fca, della quale Exor ha il 29,4% delle azioni ma il 42,6% dei diritti di voto, ha chiuso la settimana con una capitalizzazione di 19,362 miliardi, tornata superiore a quella della Ferrari (18,961 miliardi), della quale Exor possiede il 22,91% delle azioni e il 32,75% dei diritti di voto. 
Terza per capitalizzazione, con i suoi 13,1 miliardi, è la stessa Exor, il cui 52,99% del capitale è della Giovanni Agnelli, la finanziaria della Famiglia al vertice dell'omonimo Gruppo.
Segue, per capitalizzazione, Cnh Industrial (12,8 miliardi al 25 agosto 2017), controllata da Exor con il 26,9% delle azioni e il 42,6% dei diritti di voto. Chiude la serie, la Juventus, che capitalizza 714 milioni ed è posseduta per il 63,7% da Exor, della quale John Elkann è presidente e amministratore delegato, mentre vice presidenti sono Sergio Marchionne e Alessandro Nasi e responsabile della finanza Enrico Vellano.

Exor, l'ex Ifint, ha in portafoglio anche il 100% di Partner Re, colosso assicurativo. Il valore netto degli asset di Exor al 31 dicembre 2016 ammontava a 14,6 miliardi.

Brevetti: Alessandria lepre

Alessandria è l'unica provincia del Nord Ovest a figurare tra le prime dieci italiane che hanno fatto registrare il maggior aumento di brevetti registrati all'Epo (European Patent Office) tra il 2006 e il 2015, periodo dello studio di Unioncamere appena reso noto. Alessandria è passata dai 33 brevetti registrati all'Ufficio europeo di Monaco di Baviera ai 44 del 2015, con un incremento del 35%.
A questa performance certamente hanno contribuito il gruppo Mossi Ghisolfi e il gruppo Guala.
Leader nell'innovazione applicata al settore del Pet, dell'ingegneria e dei prodotti chimici rinnovabili derivati da biomasse non alimentari, il gruppo Mossi Ghisolfi, sede a Tortona, attivo nelle Americhe e in Asia, oltre che in Europa, nel 2016 ha fatturato oltre 1,9 miliardi di dollari, realizzati con più di 1.700 dipendenti. E' controllato dalla M&G Finanziaria, di proprietà della famiglia Ghisolfi.
Quanto al Guala Closures Group, sede a Spinetta Marengo, è leader di mercato nella produzione di chiusure in alluminio e non “non refillable”, con una vasta gamma di soluzioni tecnologiche innovative per proteggere la qualità del prodotto contenuto: liquore, vino, olio, aceto, farmaci, acqua e altre bevande. Guidato da Marco Giovannini, presidente e amministratore delegato, il gruppo Guala, produce annualmente oltre 14 miliardi di chiusure di sicurezza, vendute in più di 100 Paesi. Ha 26 stabilimenti, 5 centri di ricerca e circa 4.000 dipendenti. L'anno scorso ha fatturato oltre 500 milioni di euro.
Tornando all'Epo, Unioncamere, dopo aver attribuito ad Alessandria la decima posizione tra le province che hanno maggiormente aumentato il numero dei loro brevetti registrati allo specifico Ufficio europeo nel 2015 rispetto a dieci anni prima, ha assegnato il quindicesimo posto alla seconda provincia del Nord Ovest più performante, quella di Novara, i cui brevetti sono saliti dai 31 del 2006 ai 39 di due anni fa (+26%).
Unioncamere ha redatto anche la graduatoria delle 15 province che, al contrario, sono regredite nella loro capacità brevettuale. E in questa classifica si trovano tre province del Nord Ovest: Torino, Genova e Asti.
Dai 305 brevetti registrati all'Epo nel 2006, Torino è scesa ai 217 del 2015. Peggio, a livello italiano, hanno fatto soltanto Monza-Brianza (meno 194 brevetti) e Milano (meno 126, differenza tra i 641 del 2006 e i 515 di dieci anni dopo). La provincia di Genova è passata da 42 a 32 brevetti e quella di Asti, quindicesima, da 14 a 5.

Nella graduatoria relativa ai Paesi europei per capacità brevettuale, l'Italia si piazza al quarto posto, preceduta dalla Germania, che brevetta cinque volte più di noi, dalla Francia (il doppio) e dall'Olanda, che però presenta il più alto tasso d'innovazione, con 418 brevetti ogni milione di abitanti, a fronte dei 391 della Svezia, i 307 della Germania, i 162 della Francia, i 64 dell'Italia e i 32 della Spagna.  

Chi ha ridotto le tasse locali

E' la Valle d'Aosta la regione italiana che, nel 2016, ha avuto il fisco locale meno esoso. Qui, la famiglia tipo individuata dalla Banca d'Italia, ha pagato tasse e tributi, agli enti locali, per un ammontare medio di 1.160 euro, 523 euro meno della media nazionale (1.683 euro), 640 euro meno della famiglia media piemontese (1.800 euro) e 549 euro meno di quella ligure (1.709).
A evidenziare questa situazione è stato Il Sole 24 Ore, rielaborando i dati di Banca d'Italia, grazie ai quali, fra l'altro, è emerso che rispetto al 2015, il maggior calo percentuale del prelievo locale è stato fatto segnare dalla Liguria, con il suo 22,3% (nel 2015, la famiglia tipo aveva versato 2.300 euro), mentre la diminuzione media è stata del 18,5% in Piemonte (2.210 euro il prelievo 2015, per famiglia), del 10,9% in Valle d'Aosta (1.302 euro nel 2015) e del 15,1% a livello italiano.
La riduzione della fiscalità locale nel 2016 è conseguente prevalentemente all'abolizione della Tasi sulle abitazioni principali non di pregio.
A proposito di Amministrazioni locali, dall'ultima rilevazione della Banca d'Italia è emerso che, al 30 giugno scorso, è sceso a 88,233 miliardi il totale del loro debito, dovuto dai Comuni per 40,553 miliardi, dalle Regioni per 30,385 miliardi, dalle Province per 7,440 miliardi e per 9,854 miliardi da altri enti.
Rispetto al 30 giugno 2016, a livello nazionale, il debito delle Amministrazioni locali è sceso di 3,121 miliardi e del 3,4%. In particolare, è diminuito del 3,2% il debito dei Comuni, del 3,3% quello delle Province e dell'1,4% quello delle Regioni.
Nell'anno passato, le entrate delle Amministrazioni locali sono ammontate, complessivamente, a 244,1 miliardi (246,3 miliardi nel 2015), mentre le loro spese hanno sfiorato i 240 miliardi, il livello più basso almeno dal 2011. Tuttavia, è continua la corsa delle loro spese correnti, arrivate a 211,6 miliardi, ancora oltre 3 in più rispetto all'anno prima; mentre di 3 miliardi è diminuita la loro spesa per investimenti fissi lordi.
Quanto all'insieme delle Amministrazioni pubbliche, compreso quindi lo Stato, Banca d'Italia ha comunicato che, al 30 giugno 2017, ha raggiunto il massimo storico (finora) di 2.281,4 miliardi, dai 2.256,1 miliardi di fine luglio 2016. Da allora, perciò, il debito è cresciuto di altri 25 miliardi, mediamente 2 miliardi al mese.




Il caso borsistico Ferrari-Fca

Ah, la Borsa italiana. Fonte di gioie e di dolori. Guru finanziario per alcuni, diavolo per altri. Miglior misuratore dei valori societari per chi crede ciecamente nel “libero” mercato; ma, per chi non ci crede, la Borsa di Milano è, invece, un efficace strumento manovrato da pochi potenti, ai fini delle loro speculazioni.
Forse, la piccola Piazza Affari non è il luogo dove si può giocare come al casinò e dove vince quasi sempre il banco, cioè la grande finanza, i gestori di enormi masse di denaro, (indiscutibile esagerazione); però, non è neppure quel mitico luogo dove la capitalizzazione di una società esprime obiettivamente il suo valore attuale e potenziale; dove le oscillazioni di un'azione non sono conseguenti a voci o indiscrezioni diffuse ad arte da chi ne ricaverà beneficio, né, fra l'altro, rappresenta l'approdo migliore per le imprese che puntano allo sviluppo.
I dubbi sulla Borsa italiana vengono anche quando si assiste al ritiro di buone società dalla quotazione (“delisting”) magari da parte di forti imprenditori; oppure, quando un gruppo, già presente in Piazza Affari, quota una o più sue controllate. E vengono pure, i dubbi, quando la crescita di un titolo attribuisce al suo emittente una capitalizzazione straordinaria, superiore a quella di un'impresa concorrente più grande, più redditizia, più solida. In proposito si ricordano casi clamorosi, non solo all'epoca della new economy, della finanza creativa, delle sturt up ipertecnologiche.
Premessa lunga; tuttavia considerata opportuna per trattare il “caso” Ferrari-Fca.
Oggi, 23 agosto 2017, l'azione Fca – Fiat Chrysler Automobiles in Borsa ha chiuso a 12,13 euro, il 5,75% in più rispetto a ieri. E' il nuovo record, che assume un significato ancora maggiore pensando che la sua performance è aumentata del 106% negli ultimi dodici mesi e che ancora ai primi di gennaio il titolo supera di poco gli 8 euro e, nel settembre del 2016, viaggiava intorno a 5,5 euro.
L'impennata dell'azione Fca ha avuto come ultima ragione l'ipotesi di uno scorporo di attività (spin-off) del Gruppo, a partire da Alfa Romeo e Maserati; mentre, nei giorni scorsi, a tirare la volata erano le voci di un interesse dei cinesi a comprare la Jeep o l'intera azienda. E prima ancora: altre manovre, risultati migliori del previsto, la vendita di Magneti Marelli e così via.
Comunque, nonostante il progressivo aumento dell'ultimo anno, Fca, guidata mirabilmente da Sergio Marchionne, capitalizza oggi 17,662 miliardi, oltre un miliardo in meno rispetto alla Ferrari, che ha la stessa società controllante: l'Exor delle famiglie Agnelli-Nasi-Elkann.
Ferrari, che prima della quotazione, apparteneva a Fiat per il 90%, oggi ha chiuso in Borsa a 97,9 euro, lo 0,15% in meno rispetto a ieri, quando, però, ha toccato il massimo dei 98,35 euro. La sua capitalizzazione è risultata di 18,749 miliardi. Negli ultimi 12 mesi il suo valore si è incrementato del 128,5%.
La Ferrari, che ha al vertice lo stesso Sergio Marchionne, presidente e amministratore delegato (vice presidenti sono John Elkann e Piero Ferrari, mentre uno dei consiglieri di amministrazione è Lapo Elkann) nel 2016 contava 3.115 dipendentti, ha venduto 8.014 auto in 62 mercati, ha avuto ricavi netti per 3,1 miliardi e un utile netto di 400 milioni.
Nei primi sei mesi di quest'anno, Ferrari ha consegnato 4.355 suoi “gioielli” a quattro ruote (+6%), ha registrato ricavi netti pari a 1,741 miliardi (+17%) e un utile netto di 260 milioni (+48%); per cui prevede, per l'intero 2017, la vendita di 8.400 “rosse”, ricavi netti superiori a quelli dell'esercizio passato e un margine operativo lordo di 500 milioni.
Fca, che ha 231.000 dipendenti, nel 2016 ha venduto 4,7 milioni di veicoli, ha avuto ricavi pari a 111 miliardi di euro e un utile netto di 1,8 miliardi.




Per le nostre quotate, 12 mesi d'oro

Dodici mesi d'oro, quelli terminati il 31 luglio 2017, per quasi tutti gli azionisti delle società quotate del Nord Ovest: nell'ultimo anno, il valore borsistico dei loro titoli è aumentato, molto, moltissimo in alcuni casi. Tre le eccezioni: Banca Carige, Banca Intermobiliare e Boero Bartolomeo.
La capitalizzazione borsistica del travagliato istituto di credito genovese, che ha come azionista di riferimento la famiglia Malacalza, alla fine del mese scorso è risultata di 208,4 milioni, a fronte dei 283,7 di un anno prima. Il valore attribuito dal mercato alla Carige è sceso di un altro 10,7% e tale, quindi, è stata la perdita “potenziale” dell'ultimo anno per i possessori di quote della banca (potenziale, perché la minusvalenza, come la plusvalenza, diventa reale soltanto quando il titolo viene venduto).
Ecco, qui sotto, i valori che Piazza Affari attribuiva alle società del Nord Ovest al 31 luglio appena passato e, tra parentesi, i rispettivi valori borsistici al 29 luglio 2016. Con la premessa che l'elenco comprende non solo le quotate con sede legale in una delle nostre tre regioni – Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta – ma anche le società che possono essere considerate del Nord Ovest, arbitrariamente, per motivi diversi, come le origini locali del soggetto controllante, quali le famiglie Agnelli-Nasi-Elkann per il gruppo Exor, l'alessandrino Urbano Cairo per la Cairo Communication e la cuneese Daniela Garnero Santanché per Ki Group e Visibilia Editore.

Intesa Sanpaolo al secondo posto nella graduatoria della Borsa per capitalizzazione: 48,917 miliardi (33,015), inferiore unicamente a quella dell'Enel, prima con 49,178 miliardi (41,614) e più alta anche di quella dell'Eni, scesa al terzo posto con 48,761 miliardi dai 49,251 di fine luglio 2016, quando ancora si trovava in testa.
Fca 15,655 miliardi (7,444), Exor 12,193 miliardi (8,360), Cnh 13,328 miliardi (8,731), Diasorin, che fa capo alla famiglia torinese Denegri, 4,143 miliardi (3,154), Buzzi, dell'omonima famiglia casalese, 4,072 miliardi (3,379), Italgas, rientrata in Borsa sul finire dell'anno scorso, 3,755 miliardi, Sias (gruppo Gavio di Alessandria) 2,633 miliardi (1,838), Iren 2,544 miliardi (1,728), Erg (famiglie genovesi Garrone e Mondini) 1,824 miliardi (1,546), Astm (gruppo Gavio) 1,821 miliardi (874 milioni), Reply (faniglia Rizzante di Torino) 1,642 miliardi (1,1999.
Cir (gruppo De Benedetti) 991 milioni (814), Vittoria Assicurazioni (famiglia Acutis, di Torino) 800 milioni (613), Juventus (Exor) 593 milioni (295), Cairo Communication 528 milioni (494), Sogefi (gruppo De Benedetti) 508 milioni (180), Cofide (holding dei De Benedetti) 406 milioni (274), Gedi (nuova editoriale dei gruppi De Benedetti-Exor) 398 milioni, Dea Capital (gruppo delle famiglie novaresi Drago e Boroli) 386 milioni (318), Prima Industrie 275 milioni (136), Basicnet (famiglia Boglione di Torino) 237 milioni (200), Tecnoinvestimenti, sede operativa a Torino e vertice subalpino formato da Enrico Salza e Pier Andrea Chevallard, 237 milioni (110).

Banca Carige 208 milioni (284), Banca Intermobiliare, sede legale e centrale sotto la Mole, 200 milioni (223), Orsero di Albenga 186 milioni, Pininfarina 111 milioni (52), Damiani (omonima famiglia di Valenza Po) 94 milioni (82), Boero dell'omonima famiglia genovese 81 milioni (83), M&C (De Benedetti) 81 milioni (76), Cover 50 (famiglia Fassino, di Torino) 50 milioni (42), Centrale del Latte d'Italia (famiglie Luzzati, Pozzoli, Artom, piemontesi e liguri) 39 milioni (28), Fidia (famiglia Morfino di Torino) 33 milioni (29), Italia Independent (Lapo Elkann) 26 milioni (15), Ki Group, presieduta da Daniela Garnero Santanché, che ne è anche azionista 17 milioni (16), Visibilia Editore (Daniela Garnero Santanchè) 4 milioni (2).

La capitalizzazione di tutte le 331 società quotate alla Borsa di Milano al 31 luglio 2017 è risultata pari a 611,578 miliardi, 142,105  miliardi e il 30,27% in più rispetto al 29 luglio 2016. 
Al 31 luglio appena passato l'indice Italia Mib storico era di 19.470 punti, il più alto degli ultimi dieci anni, ma ancora lontano dai 28.525 punti del 28 dicembre 2007 e dei 31.005 di fine dicembre 2006.

Nell'impero dei Boroli-Drago

Alla vigilia di Ferragosto, Dea Capital, uno dei quattro pilastri dell'attività del gruppo De Agostini, facente capo alle famiglie novaresi Drago e Boroli, ha comunicato che era vicinissimo a 50 milioni il numero di azioni proprie in portafoglio, pari al 16,2% del capitale della società guidata dal torinese Paolo Ceretti. E gli acquisti continuano. D'altra parte, l'ultima assemblea di Dea Capital ha approvato il piano che autorizza il Consiglio di amministrazione a comprare azioni, entro l'aprile prossimo, fino ad arrivare alla soglia di 61,3 milioni di azioni, pari al 20% del capitale, il massimo consentito dalle norme.
L'operazione, destinata alla costituzione del “Magazzino Titoli”, consentirà operazioni straordinarie, “anche di scambio di partecipazioni”, oltre che l'incentivazione azionaria a favore del management. Ma è proprio la sottolineatura dell'eventuale impiego delle azioni proprie per uno “scambio di partecipazioni” che fa crescere l'attenzione sull'iniziativa di Dea Capital, che ha chiuso il bilancio 2016 con utile netto di 7,6 milioni (12,4 a livello consolidato).
Dea Capital, quotata in Borsa, è la subholding del gruppo De Agosti per le attività nel settore della gestione di fondi di private equity e altri alternative assets, principalmente attraverso le sue controllate Idea Fimit (fondi immobiliari), della quale ha il 64,3% e Idea Capital Funds. Gestisce asset del valore di 11,4 miliardi. Alla fine del primo trimestre 2017, durante il quale ha conseguito un utile netto di 6,8 milioni a livello di gruppo, aveva un portafoglio investimenti di 472,8 milioni. In Borsa, capitalizza oltre 390 milioni.
Amministratore delegato, da dieci anni, è, appunto, Paolo Ceretti, nato a Torino nel 1955, lauera in Economia e commercio a Pavia, che ha fatto la prima parte della sua brillante carriera in imprese del gruppo Agnelli, dalla Fiat a Exor. Oltre a essere il numero uno operativo di Dea Capital (presidente è Lorenzo Pelliccioli, responsabile finanziario Manolo Santilli e neo direttore Strategie e sviluppo Pier Luigi Rossi), Paolo Ceretti è anche direttore generale della De Agostini, holding dell'omonimo gruppo, amministratore delegato della De Agostini Editore e consigliere di diverse controllate.
Il gruppo De Agostini ha chiuso il bilancio consolidato 2016 con ricavi per poco meno di 5,2 miliardi di euro, un margine operativo lordo di 1,584 miliardi, entrambi superiori del 6% al 2015, e un patrimonio netto di 4,463 miliardi.
La capogruppo, presieduta da Marco Drago (vice presidenti sono Marco Boroli, vicario, Pietro Boroli e Roberto Drago), è controllata dalla B&D Holding, accomandita delle famiglie Drago e Boroli. Nel 2016, il suo utile netto è stato di 33,6 milioni e ha consentito la distribuzione di dividendi per complessivi 27 milioni.
La De Agostini possiede il 58,3% di Dea Capital, il 100% delle subholding De Agostini Editore e De Agostini Communications più il 50,8% della Igt. Quest'ultima è quotata alla Borsa di New York ed è il più grande player mondiale nel mercato delle lotterie, dei giochi e dei relativi servizi. Fra l'altro, è sua Lottomatica, a capo del consorzio che ha riottenuto la concessione del gioco del Lotto in Italia, in esclusiva fino al 2025.
Nel 2016, Igt ha conseguito ricavi per 4,675 miliardi di euro e un margine operativo lordi di 1,6 miliardi, entrambi aumentati del 9% rispetto al 2015.



Le famiglie più indebitate

Indovinello: qual è la regione italiana che ha la quota più alta di famiglie indebitate? Per chi non legge i rapporti della Banca d'Italia, la risposta è: la Valle d'Aosta. Forse sorprendentemente, la quota delle famiglie indebitate abitanti nella regione alpina è salita al 37,6% (dato 2015, ultimo disponibile), mentre era ancora al 35,2% nel 2010 e al 30,3% nel 2005. In seguito a questo balzo, la Valle d'Aosta è risultata al primo posto nella classifica nazionale, precedentemente occupato dalla Sardegna, la cui quota 2015 è del 36,4%, mentre era del 36,6% nel 2010 e del 33,5% nel 2005.
La quota media italiana delle famiglie indebitate è del 23,5% (25,7% nel 2010 e 25,5% cinque anni prima). In Piemonte, la quota è scesa al 21,4% dal 24,1% dei due periodi precedenti indicati dalla Banca d'Italia); in Liguria, invece, è aumentata al 24,5%, dal 17% del 2010 e il 18,6% del 2005.
La Valle d'Aosta è prima in Italia anche per il tasso di famiglie con mutuo: 23,2% (sempre nel 2015, quando il secondo posto è stato attribuito al Friuli-Venezia Giulia, con il suo 19,6%), a fronte del 14,3% medio nazionale, il 13,6% del Piemonte e il 15,4% della Liguria. Ancora la Valle d'Aosta figura ai vertici per la quota di famiglie indebitate sia per mutuo sia per crediti al consumo; però, evidenziando l'8,6%, è preceduta dalla Sardegna, per il suo 9,5%.
A sua volta, Unimpresa, associazione che raggruppa imprese micro, piccole e medie, recentemente ha comunicato che, nel nostro Paese, le famiglie sono indebitate per un totale di 928 miliardi di euro, per oltre il 60% con le banche. Ha aggiunto che nel 2016 i debiti delle famiglie sono cresciti di 13,1 miliardi rispetto all'anno precedente.
Unimpresa ha precisato che oltre 624 miliardi delle passività delle famiglie, pari al 67,2%, sono con gli istituti di credito e questa somma è costituita per 571,1 miliardi da debiti a medio-lungo termine (principalmente mutui per la casa) e per 230,3 miliardi da debiti commerciali e prestiti personali.
Comunque, per evitare che queste cifre possono incutere qualche preoccupazione, va subito riferito che innanzi tutto i debiti a medio-lungo termine corrispondono sostanzialmente a investimenti e a una forma sana di risparmio; poi, che le famiglie italiane, nel loro insieme, hanno attività, finanziarie e non, di gran lunga superiori alle passività. Il saldo è nettamente positivo. 
Il valore delle sole attività finanziarie delle famiglie (depositi bancari, titoli di stato, obbligazioni, azioni, partecipazioni societarie, quote di fondi comuni e altri strumenti) a fine 2016 ammonta a 4.168 miliardi, ancora 33,2 miliardi in più rispetto al 31 dicembre 2015.
Aggiungendo ai beni finanziari quelli immobiliari, emerge un patrimonio netto vicino ai 9.000 miliardi di euro. Cifra che spiega tante cose e, fra l'altro, spiega perché l'Italia continua ad avere la fiducia degli investitori internazionali, nonostante il colossale indebitamento pubblico (2.281 miliardi al 30 giugno 2017, nuovo record storico) e tutti gli altri problemi del Bel Paese.



Meno fallimenti, ma non in Valle d'Aosta

Fallimenti in calo. Nel Nord Ovest, dal primo giorno di aprile all'ultimo di giugno, sono state 267 le imprese che hanno portato i libri in tribunale, il 13,6% in meno rispetto alle 309 del corrispondente periodo dell'anno scorso. Il calo del Nord Ovest, però, è risultato inferiore a quello medio nazionale, che è stato del 15%, dato che le procedure avviate in tutta l'Italia sono ammontate a 3.008 contro le 3.537 del secondo trimestre 2016.
Di procedure fallimentari, tra l'inizio di aprile e la fine di giugno, ne sono state aperte 196 in Piemonte (232 negli stessi mesi 2016), 62 in Liguria (73) e 9 in Valle d'Aosta, dove sono, invece, state 5 in più, così che il tasso di fallimenti di questa regione è salito allo 0,71 per mille, a fronte dello 0,38 della Liguria e dello 0,45 del Piemonte.

A livello nazionale, i maggiori cali di fallimenti nel secondo trimestre 2017 sono emersi dai settori costruzioni (-24,8% rispetto al corrispondente periodo dell'anno passato), trasporti (-21,1%), manifatturiero (-16,9%) e commercio (-12,9%).