Bolaffi "conquista" Garzanti

Alberto Bolaffi, presidente onorario dell'omonima Casa torinese ultracentenaria leader nel campo del collezionismo, questa volta manifesta la sua soddisfazione e il suo orgoglio non per un nuovo successo nel settore nel quale opera l'impresa fondata, nel 1890, da suo nonno, allora sedicenne, che decise di dedicarsi al collezionismo di francobolli invece che continuare l'attività di famiglia - il commercio di pietre preziose e di piume di struzzo - ma per l'ultima opera del suo secondogenito. Nicola Bolaffi, infatti, ha appena avuto l'onore di vedere pubblicato da Garzanti il suo libro intitolato "La sottile armonia degli opposti", che l'editore presenta con le seguenti parole: "Un romanzo che insegna come solo remando controcorrente si può sconfiggere la tempesta. Una penna intensa e carica di emozioni. Un esordio che è un piccolo gioiello".
Nicola Bolaffi, torinese del 1975, vive tra la campagna di Sciolze e New York. Dopo la laurea ha deciso di dedicarsi alla pittura e alla scrittura, invece che lavorare nell'azienda familiare, molto sviluppata, in particolare dal padre Alberto, anche con la diversificazione, affiancando al core business della filatelia, prima la numismatica, poi tutti gli ambiti del collezionismo, compresi quelli più curiosi e di nicchia. Tanto che oggi Bolaffi ha punti vendita in quattro città (Milano, Roma e Verona, oltre naturalmente il capoluogo piemontese), più di cento collaboratori e una rete di agenti estesa in tutt'Italia.
Da qualche tempo, capo operativo della Bolaffi, le cui aste fanno registrare record clamorosi, è Giulio Filippo Bolaffi, amministratore delegato, esponente della quarta generazione e fratello di Nicola, il quale è, fra l'altro, maestro nazionale della Federazione Italiana Tennis e giocatore di seconda categoria. "Pittore da sempre", Nicola Bolaffi ha esposto anche a Roma, Londra, Ginevra e Tel Aviv, qui in una mostra organizzata appositamente da Ermanno Tedeschi, imprenditore nei campi immobiliare, vinicolo e artistico, con gallerie a Torino e Roma.

La mappa del patrimonio residenziale

6.227,5 miliardi di euro: è il valore del patrimonio residenziale italiano (abitazioni e pertinenze), a fine 2014, stimato dall'Agenzia delle Entrate e dal ministero dell'Economia e delle Finanze. Una cifra pari a 3,8 volte il Pil nazionale di quell'anno, che è stato di 1.620,4 miliardi di euro. Una ricchezza del Paese, che ha oltre 56 milioni di unità immobiliari, 20 dei quali rappresentati da abitazioni principali e oltre 13 dalle loro pertinenze. Gli italiani proprietari di un appartamento sono più di 25,7 milioni, mentre sono 4,7 milioni i locatari. Quasi 20 milioni di famiglie (il 77,4% del totale) sono proprietarie della casa in cui abitano.
Altri dati emersi dal rapporto pubblico: nella Penisola, l'abitazione media ha una superficie di 117 metri quadrati e un valore medio di 170.000 euro, cioè di 1.450 euro a metro quadrato (-2,4% rispetto al 31 dicembre 2013; ma in alcune aree il calo è stato maggiore, come, per esempio, a Torino, dove la diminuzione è risultata dell'11,4%, la più forte fra le 12 metropoli italiane; mentre, in altre, si è avuto un aumento del valore medio, a partire dal 4,5% di Milano).
Proprio Milano, insieme con il resto della Lombardia, può vantare un valore del patrimonio immobiliare complessivo di 1.010, 9 miliardi di euro, pari al 16,2% del totale nazionale. Nessun'altra regione ha una ricchezza simile. Persino il Lazio, con Roma, non arriva a 821 miliardi, che comunque lo pongono in seconda posizione, davanti al Veneto (545,1 miliardi) e alla Toscana (526), favorite dai valori medi delle abitazioni di Venezia (325.618 euro) e di Firenze (332.686), non lontani da quello di Roma, il più elevato (351.290) e superiori anche a quello di Milano (269.243).
Quanto al Nord Ovest, il valore patrimoniale residenziale complessivo è di 423,5 miliardi per il Piemonte, 286,8 miliardi per la Liguria e 28,6 miliardi per la Valle d'Aosta. Quest'ultima, però, è la regione italiana con il più elevato rapporto tra il valore patrimoniale residenziale e il Pil locale: 6,5, record nazionale (il Pil 2014 della Valle d'Aosta è stato di 4,4 miliardi). Anche la Liguria, però, presenta un rapporto alto il secondo maggiore a livello italiano - dato che il suo patrimonio immobiliare residenziale equivale a sei volte il Pil regionale (47,6 miliardi nel 2014).
Invece, è risultato inferiore alla media nazionale, il rapporto del Piemonte (3,4), il cui Pil 2014 è stato di 125,6 miliardi. Qui, fra l'altro, il valore medio delle abitazioni principali, allora, era di 164.800 euro, a fronte dei 249.300 euro in Liguria e i 226.600 in Valle d'Aosta (la media italiana era di 186.700 euro). A metro quadrato, il valore era di 2.423 euro in Liguria, 2.134 euro in Valle d'Aosta e 1.208 euro in Piemonte.
Nelle due metropoli del Nord Ovest, Torino e Genova, il valore medio delle abitazioni al 31 dicembre 2014 ammontava, rispettivamente, a 179.406 euro (1.985 a metro quadrato nella città della Mole) e a 230.701 euro, 2.330 a metro quadrato nel capoluogo con la Lanterna.

Chi compra meno auto

Il mercato automobilistico più povero del Nord Ovest è la provincia di Imperia. Qui, nel maggio appena passato, sono state appena 407 le vetture nuove comprate, 60 meno che nella provincia di Vercelli e 80 meno di quelle acquistate ella provincia di Verbania. Complessivamente, nelle tre regioni dell'area - Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta - sono risultate 36.513 le nuove immatricolazioni registrate al Pra, delle quali 3.520 in Liguria, 5.833 in Valle d'Aosta e le restanti 27.160 in Piemonte.
In particolare, le altre tre province liguri hanno fatto registrare, nel mese scorso: Genova 1.850 vendite, Savona 698 e La Spezia 565. Quanto al Piemonte, la provincia di Torino ha contato 20.876 acquisti di vetture nuove, la quantità più elevata in Italia dopo quella della provincia di Bolzano (25.163), che offre condizioni fiscali più favorevoli per le immatricolazioni, come Trento e Aosta. Dopo Torino, è la provincia di Cuneo ad avere evidenziato il maggior numero di nuove immatricolazioni in maggio (1.890), seguita, nell'ordine, da quelle di Alessandria (1.272), Novara (1.058), Asti (575) e, appunto, Vercelli e Verbania.
Per l'acquisto di vetture nuove, in maggio, nel Nord Ovest, che vale circa il 18% del mercato italiano (204,113  le nuove immatricolazioni in tutto il Paese) sono stati spesi quasi 750 milioni di euro, dei quali meno del 10% in Liguria. Specificatamente, nella provincia di Imperia, la spesa è stata di poco superiore agli 8 milioni.  

Melley, Guzzetti, Quaglia e Gastaldo

L'avvocato spezzino Matteo Melley, classe 1960, presidente della Fondazione Carispezia dal 2001, è appena stato nominato presidente di Cdp Immobiliare, rilevante società immobiliare della Cassa Depositi e Prestiti, gruppo finanziario controllato dallo Stato e partecipato dalle fondazioni di origine bancaria. La Cdp Immobiliare possiede stabili in diverse città italiane, a partire da Roma, Milano e Torino.
La nuova promozione di Melley, che nel 2013 è stato confermato al vertice della Fondazione Carispezia per i successivi sei anni, porta la firma di Giuseppe Guzzetti, del quale Melley è diventato, progressivamente, uno dei principali collaboratori nell'attività dell'Acri, l'influente associazione nazionale che rappresenta le fondazioni di origine bancaria e le Casse di risparmio.
Infatti, dell'Acri, Melley è non soltanto consigliere di amministrazione e coordinatore del Comitato piccole e medie fondazioni (subentrato al fossanese Antonio Miglio), ma anche componente del Comitato esecutivo e presidente della Commissione organizzazione e formazione, oltre che membro della Commissione arte e cultura. Quanto alla Cpd, dal 2010 è pure presidente del Comitato di supporto.
Gli incarichi romani targati Acri evidenziano chiaramente che Matteo Melley gode della stima e della fiducia di Giuseppe Guzzetti, per il quale è certamente riduttiva la definizione di presidente dell'Acri e della Fondazione Cariplo, numero 1 in Italia, per patrimonio netto (quasi 7 miliardi di euro) da quando esistono queste singolari creature non profit nate dalla Legge Amato.
Guzzetti è una delle persone più potenti, abili, rispettate e temute nel Paese. Lombardo di Turate, dove è nato 83 anni fa, laurea in Giurisprudenza alla Cattolica, iscrittosi alla Dc nel 1953, è stato presidente della Regione Lombardia dal 1979 al 1987, poi senatore per due legislature, membro del Consiglio d'Europa e dell'Unione europea occidentale.
Della Fondazione Cariplo, che possiede, fra l'altro, quasi il 5% di Intesa Sanpaolo, dove conta molto più del suo peso specifico, il duro e diplomatico Giuseppe Guzzetti occupa il vertice da vent'anni ed è destinato a mantenerlo fino al 2019, quando scadrà anche il suo sesto mandato all'Acri, che presiede dal 2000. Durate tali da farlo considerare "l'uomo dei record", oltre che "il boiardo delle fondazioni". Delle quali, resta il leader carismatico e indiscusso, nonostante la sponsorizzazione di Atlante, costata un sacco, e nonostante il protocollo d'intesa con il Mef, che crea grossi problemi a diverse fondazioni, le quali dovranno cedere il controllo delle loro banche.
Anche all'Acri, Guzzetti è ben saldo; però, nell'ambiente, si incomincia a parlare di chi potrebbe sedersi sulla sua poltrona, prima o poi. E uno dei nomi citati è, appunto, quello di Matteo Melley, anche se Fondazione Carispezia, diretta da Silvano Gerali, ha un patrimonio di poco inferiore ai 200 milioni, cifra che comunque vale il primato tra le liguri.
Per la futura presidenza dell'Acri, però, si parla anche di due torinesi: Giovanni Quaglia e Piero Gastaldo. Il primo è, da qualche mese, presidente della Fondazione Crt, la terza maggiore in Italia, preceduta da Cariplo e Compagnia di San Paolo, della quale Piero Gastaldo è lo storico "super Segretario generale".

Stella Licia Mattioli

Brilla sempre di più la nuova stella di Torino, Licia Mattioli. Appannando un po' le altre "grandi Signore" che occupano la scena subalpina da tempo. Licia Mattioli, 50 anni il prossimo 10 giugno, è appena stata nominata Cavaliere del Lavoro. Un coronamento che si aggiunge ad altri due rilevanti, ricevuti recentemente: la vice presidenza nazionale di Confindustria, con la delega per l'internazionalizzazione e l'attrazione degli investimenti esteri; e la vice presidenza della Compagnia di San Paolo, la seconda maggiore fondazione italiana di origine bancaria. A questi incarichi, ne affianca altri esterni all'azienda familiare; infatti, fra l'altro, è consigliere di amministrazione sia della Pininfarina sia della Sias (gruppo Gavio), entrambe quotate in Borsa, sia dell'Ice sia della Camera di commercio Italo-Cilena.
Laurea in Legge, conseguita sotto la Mole, dopo il Classico, iscritta all'Albo degli Avvocati, poi praticante notaio nello studio Rossi Pesce Mattioli dopo uno stage nel marketing della Superga (allora gruppo Pirelli, oggi Basicnet), l'intraprendente e poliedrica Licia Mattioli, nel suo percorso formativo vanta anche la frequenza al corso PF3 di formazione imprenditoriale all'Unione Industriale di Torino e un corso residenziale all'Istud, fatti tutti e due mentre già lavorava.
Nel 1995, infatti, con il padre Luciano, ingegnere manager in grandi società, ha rilevato l'Antica Ditta Marchisio, la più antica azienda torinese di produzione e commercializzazione di alta oreficeria e gioielleria (punzone n.1). Che, dopo un forte sviluppo, è stata ceduta, nel 2013, al gruppo Richemond, tra i più importanti al mondo nel settore del lusso. Dalla vendita, però, viene escluso il ramo d'azienda, origine dell'attuale Mattioli Spa, della quale Licia è amministratore delegato e il padre presidente (ha una settantina di dipendenti, 300 punti vendita nel mondo e un fatturato di oltre 25 milioni, per circa il 90% realizzato all'estero).
Licia Mattioli, sposata, una figlia e un figlio, Gea e Gregorio, di definisce "una fonte inesauribile di energia". In effetti, il suo curriculum è molto denso. E' stata presidente dell'Unione Industriale di Torino, di Federorafi, della Women Jewellery Association, componente della Giunta della Camera di commercio subalpina e, fra l'altro, presidente di Ebt - Exclusive Brands Torino, prima rete orizzontale del lusso, da lei fondata nel 2011, l'anno successivo al ricevimento della "Mela d'oro" della Fondazione Bellisario.
Con Licia Mattioli, il 2 giugno, sono stati insigniti del Cavalierato anche la novarese Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont e presidente di Terna, grande operatore di reti per la trasmissione dell'energia; Urbano Cairo e il torinese Massimo Perotti (classe 1960), numero uno e proprietario dei Cantieri Sanlorenzo, impresa tra le principali al mondo nel comparto degli yacht di lusso, costruiti a Viareggio e nello Spezzino.

"Povero" Malacalza, povera Carige

Una nuova lezione dalla martoriata Carige, la banca ligure che è stata tra le sei maggiori italiane, mentre ora, dopo scandali, inchieste, ribaltoni, liti e controliti giudiziarie, continui e pressanti interventi delle autorità di vigilanza, manovre speculative, in Borsa vale meno di 200 milioni di euro e, secondo qualcuno, è a rischio di commissariamento.
La nuova lezione è conseguente al fresco aut aut che Vittorio Malacalza, azionista di maggioranza relativa di Banca Carige, ha dato al Consiglio di amministrazione dell'istituto genovese di via Cassa di Risparmio, di cui è anche vice presidente: "o va fuori l'amministratore delegato o vado fuori io". Alternativa che, per la massima chiarezza, ha messo per iscritto, in una lettera, letta e consegnata a tutti i consiglieri, nonché ai sindaci, con le relative motivazioni.
L'iniziativa di Malacalza ha scatenato una raffica di critiche e contestazioni: "non ci si comporta così, non è questo il momento giusto per cambiare, cosa diranno quelli della Banca d'Italia e della Bce, ci sono tante operazioni delicate in corso, si mina il prossimo aumento di capitale, si danneggia la Banca, la sua reputazione e gli azionisti".
Come se Malacalza non fosse un socio, proprio lui che ha già investito in Carige quasi 265 milioni di e, ai prezzi attuali di Borsa, ne sta perdendo circa 230, almeno potenzialmente, dato che Piazza Affari valuta meno di 35 milioni la sua partecipazione, pari al 17,6% del capitale.
Dunque, che cosa insegna il nuovo, clamoroso atto della tragedia Carige? Innanzi tutto, che non basta essere il maggiore azionista per "comandare". Per casi analoghi, in passato, c'era chi diceva che le azioni si pesano e non si contano. E comandava, anche con piccole quote. Come, per la verità, succede ancora adesso, per esempio in Intesa Sanpaolo e non solo. Però, per comandare anche con partecipazioni minori, bisogna essere particolarmente abili, astuti, determinati e duri.
Tanti, fino a pochi giorni fa, hanno creduto che Vittorio Malacalza, nato nel '37 a Bobbio (Piacenza), ma genovese da tempo, avesse tutte le caratteristiche per essere il patron di  Carige. E' un imprenditore di successo, possiede aziende molto profittevoli e d'avanguardia, ha sempre fatto grandi affari, è uscito da Pirelli-Camfin alla grande, cioè con una plusvalenza ricchissima; ha tante buone relazioni e, fra l'altro, non poco potere.
Forse anche lui era convinto che il suo pacchetto di Carige dovesse essere considerato a peso e non contato numericamente. Così non lo ha aumentato, nonostante i prezzi di saldo degli ultimi tempi, con il titolo a 25 centesimi e anche meno, a fronte dei 5 euro e più di tre anni fa. Le risorse per accrescere la sua quota certamente le aveva e le ha; ma non è da escludere che, in qualche modo, gli sia stato "consigliato" di non farlo; magari, da Roma o da Francoforte.
Sta di fatto che non ha assunto la presidenza operativa della "sua" Banca, come invece avrebbe potuto e dovuto, visto quanto successo; ha lasciato troppo spazio ai manager, non ha proposto un gruppo di consiglieri più vicini a lui e meno indipendenti. Così, adesso, per imporsi è costretto a mettere in gioco la sua permanenza al vertice e, pare sottinteso, nella compagine societaria.
Forse, dato che il suo arrivo era stato sollecitato e persino invocato da tanti, che l'avevano individuato come il salvatore di Carige, l'uomo del rilancio della Banca il deus ex machina, Vittorio Malacalza, sposato con la cugina del regista Marco Bellocchio, ha anche sottovalutato che forse qualche potente, a Roma o a Francoforte o a Londra o a Milano, vuole invece che Carige perda l'autonomia e venga acquisita, piuttosto che aggregata a qualche colosso, magari straniero.
C'è chi dice che Vittorio Malacalza sia deciso a non mollare, a combattere anche contro poteri forti e speculatori internazionali; per difendere i suoi interessi, comuni agli altri azionisti, per la salvezza e la riscossa della Carige, per garantire alla Liguria, innanzi tutto, la continuità dell'attività di una banca storicamente sensibile e vicina alla sua comunità. Con lui si schierano, fra gli altri, quanti credono nell'iniziativa privata, nei diritti della maggioranza (anche se relativa) e sono contrari all'eccessiva invadenza dei regolatori e dei vigilanti, sulla cui neutralità è sempre più lecito dubitare, come sui loro vincoli e i loro obblighi.
Il dramma genovese continua. Resta da seguire, anche perché non mancherà di offrire altre lezioni.

Nell'archivio spot correlati alle date 8/5 e 12/5

Dove i rifiuti diventano oro

Quando i rifiuti diventano un affare, bello e buono. Si potrebbe sintetizzare così l'attività della Barricalla, società torinese, a capitale misto, pubblico e privato, leader in Italia e modello a livello internazionale. Barricalla gestisce, a Collegno, nella cintura del capoluogo piemontese, la maggiore discarica italiana di rifiuti speciali di origine industriale, pericolosi e non, quali amianto, scorie metallurgiche, fanghi da depurazione, ceneri da abbattimento, terreni da bonifiche, fondi di serbatoio. Nel 2016, nel suo impianto, d'avanguardia,sono state conferite 202.869 tonnellate di rifiuti, oltre 57.000 in più rispetto all'anno precedente e quanti mai da quando opera. I suoi ricavi sono così saliti a 16 milioni di euro (11,8 nel 2015) e l'utile netto ha superato i 4 milioni (per la precisione, è ammontato a 4,26 milioni).
I profitti 2016 della Barricalla sono risultati non soltanto maggiori di quelli conseguiti nell'esercizio precedente (1,77), ma anche i più alti dalla sua costituzione. Una grande soddisfazione per gli azionisti, che sono Finpiemonte Partecipazioni (30%) e due aziende private, Sereco Piemonte e Ambientethesis, che si dividono il restante 70% del capitale. Finpiemonte Partecipazioni, presieduta dall'imprenditore Luca Remmert (fra l'altro, zio di Carla Bruni, moglie di Sarkozy e, perciò ex première dame della France) fa capo alla Regione Piemonte, che ha nella Barricalla la partecipazione più redditizia, dato che la redditività (roe) di quest'ultima è stata del 61,1%.
Alla presidenza della Barricalla, che nell'anno passato ha anche prodotto poco meno di 990.000 kwn di energia elettrica grazie al suo parco fotovoltaico, si trova Alessandro Battaglino, nato 46 anni fa sotto la Mole, dove si è laureato in Scienze Politiche con indirizzo Scienza della Finanza e dove è docente al master in management delle aziende ospedaliere e delle asl, oltre che amministratore dell'Istituto Sociale, consigliere di amministrazione della Scialuppa Crt Onlus- Fondazione Antiusura e direttore della onlus Madian Orizzonti.
Proprio il presidente Battaglino, nella sua relazione di bilancio, oltre a manifestare la soddisfazione per i risultati economici e ambientali della Barricalla, costantemente certificata Emas, ha sottolineato anche "i valori che afferiscono alla difesa del Creato, al presidio di quella legalità che, in un ambito delicato come quello dei rifiuti, viene troppo spesso dimenticata; all'attenzione alla salute dei cittadini e alla gestione dei rifiuti".
In proposito, Battaglino ha ricordato che il traffico illecito dei rifiuti in Italia supera i 4 miliardi di euro all'anno e che nel 2016 sono stati 47,5 i milioni di tonnellate di rifiuti sequestrati  nel nostro Paese e in altri 34.
Sempre nel 2016, la Barricalla ha ottenuto l'autorizzazione all'avvio dei lavori per la realizzazione del Quinto Lotto e al completamento del parco fotovoltaico, due iniziative che garantiscono l'ulteriore sviluppo della società.


Paolo Gallo a tutto gas

Giorni da orso, i finali di maggio, per Piazza Affari. La Borsa paga le manovre per le elezioni politiche anticipate, le crisi bancarie nazionali, il mancato rialzo del petrolio e, fra l'altro, il peggioramento dei rapporti tra i Grandi del mondo. L'indice scende, ma non mancano i titoli che salgono, nonostante tutto. In particolare, sul finire del mese, a fare il mattatore è stata l'Italgas, ritornata sul listino a fine 2016, dopo 13 anni di assenza. Nei giorni scorsi, infatti, l'Italgas, guidata da Paolo Gallo, ha fatto segnare nuove quotazioni record, con il valore dell'azione aumentato di circa il 40% negli ultimi sei mesi,
Proprio il 31 maggio, Paolo Gallo, amministratore delegato e direttore generale dell'antica società (è stata fondata 180 anni fa, a Torino) ha illustrato il piano industriale 2017-2023, che prevede, fra l'altro, investimenti per 5 miliardi di euro, un aumento della quota di mercato al 40% dall'attuale 30%, dividendi in crescita mediamente del 4% all'anno e riduzione dei costi di oltre il 15% entro il 2018. Quanto all'esercizio in corso, gli investimenti ammonteranno a circa 500 milioni, i ricavi a 1,1 miliardi e la redditività dovrebbe risultare pari al 7%.
Numeri che hanno fatto brindare i soci del primo operatore in Italia nel settore della distribuzione cittadina del gas naturale e il terzo a livello europeo (Italgas ha una rete di quasi 57.000 chilometri, poco meno di 1.500 concessionari eoltre 3.500 dipendenti).
Soddisfatto, naturalmente, anche Paolo Gallo, che a Torino è nato, nel 1961, e si è laureato in Ingegneria aeronautica, titolo al quale ha fatto seguire un master in business administration.  Al governo dell'Italgas, presieduta da Lorenzo Bini Smaghi, è stato chiamato mentre era amministratore delegato di Grandi Stazioni, di cui ha portato a termine la privatizzazione. Prima, dal 2011, è stato al vertice operativo di Acea, una delle principali multiutility italiane, mentre, dal 2002, aveva lavorato per il gruppo Edison, fino a diventare amministratore delegato di Edipower.
Paolo Gallo ha iniziato la carriera manageriale, nel 1988, in Fiat Avio. Nel 1997 ha incominciato a occuparsi di energia, sviluppando nuove iniziative anche in India e Brasile; poi ha raggruppato tutte le attività di generazione elettrica del gruppo torinese in Fiat Energia, la quale, nel 2001, ha acquisito Montedison. Operazione in seguito alla quale Paolo Gallo è entrato a far parte di Edison.
Italgas ha come principali azionisti la Cassa Depositi e Prestiti Reti con il 26% del capitale e la Snam con il 13,5%; mentre sfiora il 56% la quota del flottante.

Già 2.000 sulla Scialuppa Crt

In maggio sono diventati più di 2.000 i soggetti "imbarcati" dalla Scialuppa Crt Onlus, la fondazione torinese che combatte l'usura, prevenendola. Oltre duemila, tra persone e micro imprenditori , con relative famiglie, hanno ricevuto un aiuto concreto per superare le gravissime difficoltà generate dal loro sovraindebitamento, un cumulo di impegni finanziari diventati insostenibili per il loro peso totale eccessivo. Per loro, la Scialuppa Crt Onlus ha garantito finanziamenti complessivi, che, sempre in maggio, hanno superato i 35 milioni di euro, naturalmente da quando la fondazione ha iniziato a operare, nel 1998.
Da allora, fra l'altro, ha assistito più di 13.000 individui, che, dopo aver raccontato i loro problemi e aver spiegato la loro situazione economica, hanno avuto la consulenza dei volontari della Scialuppa Crt, assolutamente gratis. Come completamente gratuito è tutto l'iter del percorso di accompagnamento di chi viene preso a bordo della Scialuppa Crt, dal primo incontro all'istruzione della pratica, agli interventi diretti del volontario sui creditori per ottenere ristrutturazioni dei debiti con saldo e stralcio, fino alla concessione di un nuovo prestito, a tasso estremamente agevolato, da parte di una delle banche convenzionate con la fondazione.
A fornire i dati sui salvataggi compiuti finora dalla Scialuppa Crt Onlus, durante l'ultimo Consiglio di amministrazione, sono stati Ernesto Ramojno e Luciana Malatesta, rispettivamente presidente e consigliere delegato dell'ente non profit, costituito e continuamente sostenuto dalla Fondazione Crt, encomiabilmente. Del Cda fano parte anche Gastone Cottino, vice presidente, Franco Alunno, Alessandro Battaglino, Marcello Callari e Danilo Danielis (il Collegio dei revisori è formato da Giacomo Zunino, presidente, Piera Braja e Luciano Cagnassone).
La Scialuppa Crt Onlus è attiva in tutte le province del Piemonte e in Valle d'Aosta. Ha circa 35 volontari, molto esperti - sono stati dirigenti e funzionari di banca - ma anche molto disponibili, sensibili, riservati e di cuore: fanno tutto il possibile, con grande impegno e senso di responsabilità, per risolvere il maggior numero dei casi, spesso drammatici, dei quali vengono investiti.
Per legge, la Fondazione non può aiutare chi è già vittima dell'usura; mentre non lesina sforzi per evitare che finisca nelle grinfie dei tanti "cravattari", magari componenti della criminalità organizzata, chi si è indebitato eccessivamente, inconsciamente o per cause imprevedibili e non dipendenti dalla sua volontà.

I mantra di Urbano Cairo

Se non d'oro, è almeno d'argento, questo momento, per Urbano Cairo, l'imprenditore piemontese-lombardo, al quale fanno capo, fra l'altro, la Rcs MediaGroup (Rizzoli-Corriere della Sera), La 7 (tv), il Torino Calcio e, naturalmente, la Cairo Communication, gruppo editoriale di primo livello. Le sue aziende vanno bene, il Toro ha fatto una buona stagione e sta dando soddisfazioni economiche, scala la classifica nazionale della notorietà e della considerazione generale, riceve manifestazioni di stima persino da avversari ostici e pepati come Diego della Valle e Andrea Bonomi, che ne avevano avversato, con Mediobanca, la conquista di via Solferino e, infine, ha appena ricevuto la gratificazione di un'intera pagina de La Stampa (Primo Piano di domenica 28 maggio), quotidiano che, straordinariamente, non ha lesinato lodi nei suoi confronti.
Insomma, una raffica di riconoscimenti, urbi et orbi. Certamente graditi, forse quanto i risultati delle sue aziende, a partire da quelle quotate in Borsa: Rcs MediaGroup, già riportata a generare cassa invece che assorbirne, dopo neppure un anno di cura (ne ha preso il controllo il 15 luglio scorso); e Cairo Communication, che nel primo trimestre di quest'anno ha registrato ricavi consolidati per 270,9 milioni di euro (631,7 milioni nell'intero 2016), ha ridotto l'indebitamento netto a 345,4 milioni dai 366 emersi alla fine dell'esercizio passato, chiuso con un utile netto di 84,4 milioni.
Così, il 21 maggio, Urbano Cairo ha potuto festeggiare, con particolare piacere, il suo sessantesimo compleanno. Origini alessandrine - suo nonno e suo zio facevano gli agricoltori a Masio - si è laureato alla Bocconi di Milano, dove ha conosciuto Berlusconi, di cui è stato uno dei principali collaboratori fino alla rottura e alla conseguente decisione di mettersi in proprio, nel 1995. "Quando è nata Cairo Pubblicità - ha ricordato - non avevo neanche l'ufficio: c'ero solo io, il telefonino e un'idea". Che lo ha portato a crearsi un impero. E' diventato il più grande venditore di settimanali popolari in Italia. "Non è vero che con i giornali non si possono fare soldi. Io li faccio" . Lo ha detto e lo dimostra. Alla carta stampata crede, come ai buoni giornalisti, a prescindere dalla loro età. Infatti, è contrario ai prepensionamenti: "Uno lo mandi via perché non lavora o perché lavora male, non perché ha sessant'anni" ha spiegato, aggiungendo che se i giovani hanno più energie, gli anziani hanno l'esperienza e il mestiere "e i giornali si fanno con il mestiere".
Lui riesce a far soldi anche con la televisione. Ha preso La 7, quasi regalatagli, quando perdeva 100 milioni all'anno. L'ha resa profittevole. Innanzi tutto, tagliando i costi ed eliminando gli sprechi. Raccontano che si è quasi sentito male, quando ha visto che, nel 2012, quelli de La 7 avevano speso mezzo milione di euro in taxi. Proprio lui, che controlla tutti i conti, le fatture e le note spese, verificando ogni euro che esce e perché esce, sostenendo che le persone si conoscono a fondo da come spendono. Risparmio e ottimizzazione di ogni risorsa sono i suoi mantra.
Che sia anche un po' spilorcio è lecito sospettarlo. Certo che compra se pensa che sia un investimento. E' successo anche per la società granata, la cui presidenza gli ha dato una popolarità assoluta. Tutti sanno chi è per il Toro e Bellotti, pochi sanno che ha rilevato il "Corrierone", diventandone il numero uno, con tutti i benefici che ne conseguono, compreso il potere rilevante.
Una combinazione che, accompagnata, com'è, da ambizione, simpatia, giovialità e altre doti, lo rendono molto ambito. Non per nulla gli hanno offerto anche la candidatura a sindaco, prima di Torino e poi di Milano. Ha ringraziato, ma, gentilmente, ha declinato. "Per la politica ho una grande passione, ma non ne ho il tempo; almeno per ora" ha riferito ad Andrea Malaguti della Stampa. Sente di più la responsabilità nei confronti dei suoi 4.500 dipendenti diretti e per gli altrettanti indiretti. Impegni che, fra l'altro, lo fanno dormire per poche ore per notte, come Sergio Marchionne.
Tre matrimoni, quattro figli, Urbano Cairo, da giovane giocava a calcio, nel ruolo di ala destra. Tifava Milan, ma si ispirava a Claudio Sala, "il poeta del Toro dello scudetto 1976". Una premonizione? Comunque, ama il calco: "sport bellissimo, che regala grandi emozioni ed entusiasmo, come dovrebbe fare anche l'editoria" ha confidato.
E' stato scritto che, una volta, avrebbe risposto che gli sarebbe piaciuto rinascere Silvio Berlusconi. Può darsi. Sta di fatto che, nel 2013, ha affermato: "Sono contento di essere come sono, con pregi e difetti. E vorrei rinascere Urbano Cairo".

Altri due torinesi ai vertici nazionali

Marco Cossolo e Massimo Salvai, due torinesi che, a fine maggio, hanno conquistato due presidenze nazionali. Marco Cossolo è stato eletto al vertice di Federfarma, che rappresenta oltre 16.000 farmacie private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. Massimo Salvai è diventato il numero uno di Round Table Italia, associazione che riunisce giovani professionisti, imprenditori, dirigenti, intellettuali, tutti rigorosamente sotto i 40 anni. Round Table Italia, emanazione dell'omonimo organismo internazionale, nato 90 anni fa in Inghilterra, riunisce nel nostro Paese oltre 60 club, definiti "Tavole".
Massimo Salvai, laurea in Economia e master in marketing e comunicazione, è di Pinerolo, dove fa il commercialista nello studio Percivati, Fornero, Baridon e Associati, che si avvale di 35 professionisti al servizio di un paio di migliaia di clienti.
Marco Cossolo, nato sotto la Mole 52 anni fa, si è laureato in Farmacia nel 1988. La farmacia di cui è titolare si trova a Carignano, cittadina della quale è stato anche sindaco, per dieci anni, fino al 2016. Da due lustri è segretario di Federfarma Piemonte e, dal gennaio scorso, di Federfarma Torino, alla quale aderiscono 686 farmacie, attive nel capoluogo e in provincia. Inoltre, dirige le società di proprietà di Federfarma Torino dedicate alla fornitura di servizi di formazione, informazione, comunicazione, contabilità e controllo di gestione. Già amministratore delegato di Farmauniti, cooperativa che riunisce circa 1.100 farmacie dislocate in Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, nel 2013 lo diventa anche di Unifarma e, dall'anno scorso, pure di UninetFarma, da lui fondata.
Un obiettivo prioritario del programma di Marco Cossolo è "valorizzare e promuovere la farmacia come canale primario della dispensazione del farmaco sul territorio nazionale, tutelare il valore della ruralità e le farmacie più deboli". Finalità condivise diffusamente nella categoria, come riconosce, fra gli altri, Marco Rey, titolare della storica farmacia Busatti di via Monginevro, a Torino.



Testate Netweek al rilancio

Buona nuova per i giornalisti, i dipendenti e i lettori delle 17 testate locali che Dmail Group (presto Netweek) edita nel Nord Ovest. L'impresa lombarda, quotata in Borsa e controllata dalla famiglia Farina con poco meno del 90% del capitale, ha praticamente azzerato l'indebitamento finanziario, che sfiorava i 37 milioni a fine dicembre 2015; ha conseguito un utile netto di 32,9 milioni nel 2016 e, nei primi cinque mesi di quest'anno, ha concluso il pagamento sia dei creditori in prededuzione e privilegiati sia quelli chirografari, per cui i suoi amministratori prevedono "che la formale chiusura della procedura di concordato in continuità possa avvenire nelle prossime settimane".
Oltre ad approvare il bilancio 2016, che riporta ricavi per 27,3 milioni e un patrimonio netto di 5,5, l'assemblea del 30 maggio ha deliberato il cambio della denominazione sociale in Netweek spa, anche in seguito alla "necessità di una nuova identità aziendale" e alla volontà di manifestare l'apertura di un nuovo percorso di crescita, avendo "la maturità per avviare un ambizioso progetto di espansione nel settore dell'editoria locale, attraverso un approccio multicanale che abbraccia sia la carta stampata sia i nuovi media digitali". Un nuovo piano industriale di sviluppo è in via di definizione.
Dopo aver acquisito, recentemente, L'Eco di Biella e Il Corriere di Novara, la società presieduta da Vittorio Farina ha in programma di aprire cinque nuove testate in Veneto, entro la fine del 2017. Che si aggiungeranno alle 14 piemontesi, alle due liguri (La Riviera e Il Nuovo Levante) e a quella valdostana (La Vallée Notizie).

Quanto vale "Unipolito"

"Unipolito", Università e Politecnico di Torino. Insieme, hanno 102.000 iscritti e circa 5.800 dipendenti, 3.000 dei quali dediti all'insegnamento o alla ricerca. Quest'anno, i loro costi operativi sono previsti in poco più di 654 milioni di euro, di cui oltre 400 per il personale e, specificatamente, 277 per il corpo docente. Quanto ai proventi operativi, il budget aggregato 2017 dei due atenei ne indica per 693 milioni: 412 milioni hanno come fonte il ministero dell'Università e della Ricerca (Miur) più le altre amministrazioni centrali; mentre ammontano a 175 milioni i contributi propri, costituiti dalle tasse d'iscrizione, i ricavi dalle ricerche commissionate e, fra l'altro, i trasferimenti tecnologici.
Questi dati sono appena stati pubblicati dal quotidiano torinese Cronaca Qui, che ha aggregato numerose cifre contenute nei bilanci preventivi dell'Università e del Politecnico relativi all'esercizio in corso. Ne sono emerse diverse curiosità. Una è che, quest'anno, "Unipolito" pagherà imposte per circa 27 milioni di euro. Un'altra è che è previsto una chiusura del 2017 con un avanzo di poco superiore ai 6,5 milioni (non si può parlare di utile, perché si tratta di enti non profit). Al risultato economico i due atenei torinesi dovrebbero contribuire in misura pressoché identica: l'Università con 3,2 milioni e il Politecnico con 3,4. Prima del consuntivo, perciò, si potrebbe parlare di un pareggio fra i due magnifici rettori, rispettivamente Gianmaria Ajani e Marco Gilli.
Decisamente più grande, l'Università (70.500 iscritti, 20% residenti fuori Piemonte; proventi operativi totali per oltre 442 milioni e costi operativi per 418), nel passato anno accademico ha consegnato 12.300 lauree, mentre sono stati 6.500 i laureati del Politecnico, che conta 31.500 iscritti, dei quali il 58% residenti fuori regione.
Anche i numeri, dunque, dicono chiaramente quanto Unipolito, cioè la struttura accademica pubblica, sia importante per Torino, che presenta i titoli per definirsi città universitaria.

Gli affari della "Pitonessa"

Per la cuneese Daniela Garnero Santanchè, definita da molti "la Pitonessa", il 2016 è stato un anno certamente non buono, a livello imprenditoriale. Infatti, delle tre società quotate in Borsa che presiede, soltanto una ha chiuso il bilancio in attivo. A fare profitti, nell'esercizio passato, è stata unicamente la torinese Ki Group, a capo di alcune aziende operanti nel settore dei prodotti biologi e naturali, commercializzati principalmente attraverso i canali specializzati, quali le erboristerie e le farmacie. Una società del gruppo è Almaverde Bio.
Ki Group ha dichiarato un utile netto di circa 400.000 euro e il suo fatturato è stato di 48,2 milioni. Hanno denunciato perdite, invece, Visibilia Editore e Bioera, entrambe milanesi, presenti nel listino di Piazza Affari e con Daniela Santanchè al loro vertice. Visibila Editore, proprietaria dei giornali Ville e Giardini, Ciak e Pc professional, una quindicina di dipendenti, ricavi 2016 per 3,8 milioni, ha perso circa 800.000 euro. Bioera, holding di partecipazioni, che possiede la maggioranza assoluta della Ki Group, e, fra l'altro, il 40% della controllante di Visibilia Editore, ha chiuso il bilancio consolidato con un rosso di 2,7 milioni (3,7 nel 2015) e ricavi per 54,4 milioni (-7% rispetto all'esercizio precedente).
Della Bioera è amministratore delegato e direttore generale Canio Giovanni Mazzaro, numero uno della Pierrel, oltre che vice presidente della Ki Group e socio della Santanchè anche in Visibilia, creatura della "Pitonessa", attiva pure come concessionaria pubblicitaria di diverse testate.
Daniela Santanchè, nata a Cuneo nell'aprile del '61, figlia di un imprenditore spedizioniere, laurea in Scienze Politiche all'Università di Torino, ha costituito la sua prima azienda nel 1983, nel settore del marketing. Parlamentare, invece, è stata eletta, per la prima volta, nel 2001, nelle liste di Alleanza Nazionale. Fra l'altro, è stata sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio nel governo Berlusconi IV. Nel 2013 ha aderito al Popolo della Libertà, quindi a Forza Italia, all'interno della quale, recentemente, ha fondato l'associazione Noi Repubblicani.
Personaggio molto noto, presenza non rara sui rotocalchi e in televisione, dove evidenzia la sua "verve" e il suo spirito battagliero, Daniela Santanchè nel 1998 è stata co-fondatrice del mitico "Billionaire" con Flavio Briatore - altra star cuneese - del quale è socia nel Twiga di Forte dei Marmi.

Passadore alla carica

Un record dopo l'altro, per la Banca Passadore. Che, però, non si accontenta, così che il 2017 potrebbe far segnare il sesto miglior bilancio consecutivo dell'istituto genovese controllato dall'omonima famiglia, che ne è anche al comando, con Agostino Passadore presidente e il fratello Francesco amministratore delegato (vice presidente è il torinese Carlo Acutis, socio della banca e azionista di controllo della Vittoria Assicurazioni).
Nei primi tre mesi di quest'anno, infatti, la Passadore ha aumentato la raccolta del 6,9% e dell'8,2% i titoli della clientela in deposito, oltre ad avere incrementato del 7,4% gli impieghi a famiglie e imprese. E nel periodo ha conseguito un utile di 4,467 milioni, superiore al preventivato. Nell'intero 2016, la raccolta totale è ammontata a 4,4 miliardi, di cui 2,4 miliardi diretta; mentre i finanziamenti alla clientela sono saliti a 1,6 miliardi e l'utile netto a 15,1 milioni. Il roe è risultato del 9% e il Cet1 del 13,51% (il patrimonio netto ha superato i 176 milioni).
Indubbiamente, la crisi di Carige ha portato benefici alla Passadore, una delle banche private storiche, essendo stata costituita nel 1888 e ancora in portafoglio agli eredi del fondatore, i quali hanno aperto il capitale ad alcuni selezionati investitori, compresa la piemontese Banca Azzoglio, a sua volta, familiare e partecipata dalla Passadore per circa il 10%.
La Passadore ha acquisito non pochi clienti, che prima lo erano della Cassa di Risparmio di Genova e Imperia. Comunque, gran parte del suo successo è conseguente a meriti propri, alle sue capacità di sviluppo. Fra l'altro, ha da poco aperto una filiale anche ad Alba, portando così a 23 i suoi punti operativi, dislocati in sette regioni e 16 città: Torino, Alessandria, Novi Ligure, Aosta, Milano, Roma, Brescia, Firenze, Parma, La spezia, Chiavari, Albenga, Imperia, Bordighera, oltre, appunto, Alba e il capoluogo ligure. Una prossima tappa dovrebbe riguardare il Nord Est.
Da tempo, la Passadore è molto attiva nella città della Mole, verso la quale mantiene un forte interesse come conferma anche la recente adesione alla Consulta di Torino per la valorizzazione dei Beni artistici e culturali, prestigioso ente che ha fra i suoi nuovi soci anche la Banca del Piemonte della famiglia Venesio.

  

Una norma bislacca

I vertici di diverse fondazioni di origine bancaria sono stati, sono e saranno accusati di avere gestito male le partecipazioni nelle rispettive banche conferitarie, cioè quelle dalle quali sono nate, agli inizi del Duemila, in seguito alla Legge Amato, che ha riformato radicalmente il sistema creditizio italiano. Tra i capi d'imputazione, oltre alla concentrazione degli investimenti finanziari sulla banca d'origine e all'insufficiente diversificazione del patrimonio, spicca il mancato controllo dell'attività degli amministratori della "loro" banca.
Contestazione, quest'ultima, fatta da molti, ma decisamente degna di chi non conosce adeguatamente il contesto in cui devono operare le fondazioni di origine bancaria. I critici, infatti, non sanno, o fanno finta di non sapere, che la legge specifica vieta a tutti i responsabili delle fondazioni di far parte degli organi della "loro" banca. La norma recita, testualmente: "I  soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la fondazione non possono ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria o sue controllate o partecipate". E lo stesso vale per i consiglieri di indirizzo o generali.
In sostanza: la fondazione non può avere alcun suo rappresentante nella banca d'origine, a prescindere dall'entità della sua partecipazione, cioè che la controlli o meno. Una corbelleria, un'assurdità. A tutti i componenti degli organi del soggetto che possiede una quota rilevante, o addirittura di maggioranza, di una società, è vietato partecipare direttamente all'attività della stessa società. E' come se, per esempio, a John Elkann, socio di controllo della Fca - Fiat Chrysler Automobiles fosse proibito di far parte del consiglio di amministrazione del suo gruppo autoveicolistico.
La legge che regola le fondazioni di origine bancaria consente, invece, che le stesse nominino, nei consigli di amministrazione delle rispettive banche, persone scelte al loro esterno. Le quali, però, non hanno vincolo di mandato, cioè, una volta elette, devono agire con assoluta libertà, nell'interesse esclusivo della banca e senza rispondere minimamente ai designatori. A loro la fondazione non può chiedere nulla e nulla loro possono riferire alla fondazione: sarebbe illegale.
Perciò, come potevano e possono gli amministratori di una fondazione essere considerati responsabili dell'operato della banca conferitaria? Non hanno il diritto di avere informazioni di prima mano (sarebbe insider trading) e neppure di intervenire, direttamente, sulle scelte strategiche. Incredibile.
Come se non bastasse, il protocollo Acri-Mef  (associazione delle fondazioni e ministero dell'Economia e delle Finanze) vincola tutti gli enti sottoscrittori a inserire nei rispettivi statuti la norma secondo la quale le persone che hanno ricoperto incarichi apicali nella fondazione non possono far parte degli organi della banca conferitaria se non dopo almeno un anno dalla cessazione della carica, così come chi è stato ai vertici della banca non può entrare in fondazione se non dopo aver lasciato l'incarico in banca da un anno almeno.
Questo, comunque, non è l'unico vincolo discutibile del protocollo Acri-Mef, che, fra l'altro, obbliga le fondazioni a non avere più di un terzo del proprio attivo investito in un unico bene. Per cui, varie fondazioni saranno costrette a perdere le "loro" banche.
    

Baravalle turbo Lavazza

Posto d'onore per il manager torinese Antonio Baravalle, amministratore delegato della Lavazza dal giugno 2011. Inseritosi bene nell'impresa subalpina, interamente controllata dall'omonima famiglia, che ha sei suoi esponenti nel consiglio di amministrazione (il presidente Alberto, i vice presidenti Giuseppe e Marco, le consigliere Antonella, Francesca e Manuela), Alberto Baravalle continua a tenere il piede schiacciato sull'acceleratore della crescita. Lo conferma non soltanto la crescita del fatturato del numero 1 italiano del caffè, aumentato di 630 milioni di euro negli ultimi cinque anni e arrivato a 1,9 miliardi di euro nel 2016; ma anche la sua campagna acquisti: dalla francese Carte Noir alla danese Merrild, leader nei Paesi baltici, fino alla canadese Kicking Horse, ufficializzata il 24 maggio. Acquisti mirati, destinati a rafforzare il gruppo e a sviluppare le vendite all'estero, già superiore al 50% dei ricavi totali.
L'obiettivo di un fatturato di 2,2 miliardi entro il 2020 è quanto mai credibile. Tra l'altro, sono ipotizzabili altre acquisizioni. Le risorse ci sono. Lavazza presenta una posizione finanziaria netta positiva per 687,5 milioni e continua a fare utili (82,2 milioni l'anno scorso, dopo il risultato straordinario di 802 milioni del 2015, conseguenti alla vendita della partecipazione nella Keurig Green Mountain).  Insomma, un'impresa forte, dinamica, dotata di grande liquidità e di altrettanta volontà di espandersi, sempre più attiva fuori dai confini nazionali (nel 2015 ha anche aperto una consociata in Australia), non accontentandosi della presenza in oltre 90 Paesi stranieri (in Italia ha la quota del 44% del mercato retail). I 20 miliardi di tazzine di caffè Lavazza consumate in un anno, a livello mondiale, saranno presto superati.
Antonio Baravalle, nato nel 1964 sotto la Mole, dove si è laureato in Biologia, ha incominciato la sua carriera nella multinazionale inglese Diageo, dopo un master in business administration. Nel 1999 è entrato in Fiat, dove ha assunto incarichi di sempre maggiore responsabilità, fino a diventare amministratore delegato prima della Lancia e poi dell'Alfa Romeo. Nel 2008 ha lasciato il colosso automobilistico guidato da Sergio Marchionne ed è diventato amministratore delegato della Giulio Einaudi Editore (gruppo Mondadori). Da qui è stato chiamato dai Lavazza al vertice operativo della loro storica azienda, fondata nel 1885 a Torino, che ne è giustamente orgogliosa.





Banche locali: 43 rapine

Nel 2016, sono state 43 le rapine nelle filiali delle banche del Nord Ovest, una in meno dell'anno precedente. L'Ossif, il Centro di ricerca dell'Abi (Associazione bancaria italiana), ne ha censite 33 in Piemonte e 10 in Liguria, mentre la Valle d'Aosta è rimasta indenne. In Piemonte i colpi in banca sono aumentati (erano stati 30 nel 2015) e questa è l'unica regione, insieme con il Molise, ad avere subito un incremento. Invece, in Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, oltre che, appunto, in Valle d'Aosta, le banche non hanno avuto alcuna rapina e in tutte le altre regioni gli attacchi alle casse degli istituti di credito sono diminuiti.
In tutto il Paese, l'anno scorso, le rapine in banca sono risultate 360, il 32% in meno rispetto al 2015 e il 90% meno che nel 2007, quando ne erano state denunciate poche meno di 3mila (2.972). In testa, nella graduatoria per numero di rapine nel 2016, si trova la Lombardia (59), seguita da Sicilia, Emilia-Romagna (41), Lazio (35) e Piemonte, che ne ha avute più della Campania e della Toscana, entrambe con 31.

Banca di Asti verso il listino

Anche le azioni della Banca di Asti saranno negoziabili fuori dal borsino interno, cioè su una piattaforma digitale regolamentata e gestita da un ente terzo. Il progetto di ammissione alla trattazione dei titoli della Banca di Asti su un sistema multilaterale (Mtf) è stato approvato dall'ultima assemblea dei soci, che potranno vendere o comprare direttamente, senza affidarsi alla banca stessa. Un bel passo avanti sulla strada della trasparenza e per la liquidità degli strumenti finanziari, come auspicato dalla Consob, che ha formalizzato l'invito alle Popolari e alle Casse di Risparmio non quotate a lasciare che siano domanda e offerta del mercato a determinare il prezzo delle azioni.
Tutti vogliono che non si ripetano casi come quelli della Popolare di Vicenza, i cui azionisti hanno poi scoperto che i loro titoli, tenuti artatamente alti dagli amministratori e non negoziabili, non valevano più nulla e sono diventati praticamente carta straccia.
Banca Sella è stata tra le prime a quotarsi sul borsino Hi-Mtf e il suo esempio è stato seguito, all'inizio del maggio di quest'anno, subito dalla Cassa di Risparmio di Ravenna, di cui possiede una partecipazione pure la Banca del Piemonte, interamente posseduta dalla famiglia Venesio. A breve, seguiranno altri istituti creditizi: i potenziali interessati sono un centinaio, con circa mezzo milione di azionisti.
La Banca di Asti conta circa 23mila soci, che, quest'anno, hanno incassato un dividendo di 17 centesimi per azione, per un totale di 10,2 milioni di euro, distribuiti in seguito all'utile netto di 19,5 milioni, che diventano 28 senza gli esborsi di contributi e oneri per il sostegno del settore.
Banca d'Asti, presieduta da Aldo Pia e guidata da Carlo Mario Demartini, è ormai un gruppo, che, fra l'altro, controlla Biver Banca e Pitagora. Dispone di 113 punti operativi e dà lavoro a quasi 1.900 persone. I suoi impieghi economici (crediti a imprese e famiglie) hanno superato i 6,9 miliardi di euro e la raccolta totale da clientela al 31 dicembre scorso è risultata pari a 13,6 miliardi.
Sportelli della banca astigiana, che conta quasi mezzo milione di clienti, si trovano in tutte le province piemontesi, oltre che in quelle di Milano, Monza-Brianza, Pavia, Aosta e Genova.
Il 37,8% del capitale della Banca d'Asti fa capo alla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, il 13,6% alla Popolare di Milano e il 48,4% a tutti gli altri soci. La quota della Fondazione è destinata a calare notevolmente, dato che il suo valore rappresenta più del terzo dell'attivo consentito dal protocollo che impegna le fondazioni di origine bancaria e che è stato articolato dalla loro associazione, l'Acri, insieme con il ministero dell'Economia e delle Finanze, l'Autorità di Vigilanza.

Quel "caso" di Fossano

I nuovi consiglieri di amministrazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano, appena nominati dal Consiglio di indirizzo - Margherita Beresio, Chiaffredo Rosso, Bruno Olivero, Giacomo Pellegrino e Stefano Viglietta, che si aggiungono ai confermati Silvana Barberis e Federica Panero - dovranno affrontare un problema decisivo per il destino la banca da cui l'ente ha tratto origine e che controlla da sempre. La Fondazione, infatti, possiede il 77% del capitale dell'omonima Cassa di Risparmio e questa partecipazione vale ben oltre il terzo del suo attivo, per cui, secondo il protocollo Acri-Mef, dovrebbe vendere circa il 40% delle azioni della banca, perdendone così il controllo e non potendone più garantire l'indipendenza.
Il protocollo, voluto dall'associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria e dal ministero dell'Economia e delle Finanze, che è l'Autorità di vigilanza degli enti non profit nati in seguito alla Legge Amato, vincola i soggetti firmatari al rispetto della norma che obbliga le fondazioni a non avere più del 33,3% del loro attivo, valutato al "fair value",  investito in un'unico bene e a scendere a questo livello entro il 22 aprile del 2018 se la partecipazione è quotata in Borsa, invece due anni dopo se non lo è.
La direttiva riguarda diverse fondazioni, di ogni dimensione: dalla grande Compagnia di San Paolo, ad alcune piccole cuneesi, come, appunto, quella di Fossano, ora presieduta da Gianfranco Mondino, subentrato ad Antonio Miglio, non più rieleggibile avendo compiuto tutti i mandati possibili. Proprio Miglio, però, è stato uno dei due o tre presidenti che non hanno sottoscritto il protocollo del Mef e dell'Acri, di cui pure è stato un esponente apicale.
Nonostante la mancata adesione, però, la Fondazione fossanese potrebbe essere sollecitata a cedere il controllo della sua Cassa di Risparmio. Ne è ben consapevole, fra gli altri, il presidente della Banca, Giuseppe Ghisolfi, vice presidente della stessa Acri e, fra l'altro, consigliere dell'Abi, l'associazione nazionale delle banche. Ghisolfi, qualche mese fa, si dichiarava fiducioso sulla soluzione del problema, senza aggiungere altro.
La Cassa di Risparmio di Fossano, diretta da Enzo Libero e partecipata al 23% da Bper, ha chiuso il 2016 con una raccolta diretta di oltre 1,5 miliardi di euro, impieghi alla clientela per un miliardo e un utile netto di 6,4 milioni. L'omonima Fondazione, che l'anno scorso ha erogato 1,466 milioni, al 31 dicembre 2015 aveva un patrimonio netto di 52,8 milioni.