Fondi comuni, ecco dove investono

Più ricchi di oltre otto miliardi di euro in un mese. Il portafoglio dei fondi comuni d'investimento di diritto italiano in ottobre è aumentato di 8,148 miliardi, così che è risultato di 317,331 miliardi, 56,655 dei quali rappresentati da titoli emessi da Amministrazioni pubbliche del nostro Paese. Rispetto alla fine di settembre, il valore dei titoli pubblici posseduti dai fondi comuni italiani è superiore di un miliardo: per i Btp è salito a 41,129 miliardi dai 40,750 del 30 settembre, per i Cct a 4,374 miliardi dai 3,870, per i Ctz a 4,418 da 3,865; mentre quello dei Bot è sceso da 6,520 a 6,101 miliardi.
Complessivamente, i fondi comuni di diritto italiano al 31 ottobre possedevano titoli emessi da soggetti “residenti” nel nostro Paese per 73,013 miliardi (71,296 alla fine di settembre), a fronte dei 67,458 miliardi rappresentati dai titoli emessi da non residenti, compresi i 27,9 miliardi di titoli pubblici stranieri.
Inoltre, nel portafoglio dei fondi italiani si trovavano, al 31 ottobre, azioni per 37,435 miliardi (36,547 un mese prima). In particolare, avevano azioni quotate per un totale di 8,809 miliardi (8,470 al 30 settembre) e azioni emesse da soggetti non residenti per 28,400 miliardi (27,776).
Inoltre, dall'analisi dell'attivo al 31 ottobre, emerge che i fondo comuni d'investimento di diritto italiano detenevano quote di altri fondi comuni per un valore totale di 62,427 miliardi, emesse da soggetti residenti (9,528 miliardi di euro) e non residenti (52,899 miliardi).

Cosa emerge, in sintesi, da questi numeri? Che i gestori dei fondi comuni di diritto italiano mantengono la fiducia nei nostri titoli di Stato, pur diversificando il rischio con titoli emessi da non residenti; sono ancora prudenti sugli investimenti in azioni, soprattutto, sulle quotate tricolori e puntano in buona misura sulle quote di altri fondi comuni, preferendo di gran lunga quelle emesse da non residenti.  

Contro il Fisco 4.500 nuovi ricorsi

Circa 830 milioni di euro. E' il valore complessivo delle controversie sorte tra il Fisco e il contribuenti delle tre regioni del Nord Ovest nei primi nove mesi di quest'anno. Le liti sono in diminuzione; comunque, dal primo giorno di gennaio all'ultimo di settembre ne sono sorte quasi 4.500. Tanti, infatti, sono i ricorsi che i contribuenti hanno presentato alle Commissioni Tributarie Provinciali (Ctp) di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, nel periodo.
Il confronto dei dati, però, evidenzia un drastico calo sia delle nuove controversie nel terzo trimestre, rispetto ai primi due; sia degli importi contestati. I ricorsi alle Ctp sono stati 1.025, per un totale di 176,7 milioni nel periodo luglio-settembre, mentre erano stati 1.858 per 242,6 milioni nel secondo trimestre e 1.604 per 409,8 milioni nel gennaio-marzo.
In particolare, in Piemonte le Commissioni tributarie provinciali hanno ricevuto 2.560 ricorsi dall'inizio di gennaio alla fine di settembre, aventi a oggetto la somma di 474,7 milioni di euro: 948 sono stati i ricorsi presentati nel primo trimestre (per 146,8 milioni di euro), 1.050 nel secondo (per 197,7 milioni) e 562 nel terzo (per 130,2 milioni).
In Liguria, i nuovi ricorsi sono risultati 639 nel primo trimestre (per 261,6 milioni), 752 nel secondo (per 41,8 milioni) e 439 nel terzo (per 46 milioni). Infine la Valle d'Aosta: 17 nuove controversie nel periodo gennaio-marzo (per 1,4 milioni), 55 nell'aprile-giugno (per 3,1 milioni) e 24 nel luglio-settembre (per mezzo milione).
Per quanto riguarda le singole Commissioni tributarie provinciali, ecco i dati relativi ai ricorsi che hanno ricevuto da parte dei contribuenti nel solo terzo trimestre 2017: Genova 247, Imperia 55, La Spezia 59, Savona 433; Alessandria 81, Asti 21, Biella 34, Cuneo 58, Novara 47, Torino 291, Verbania 12, Vercelli 18. Aosta, appunto, 24.
A livello nazionale, sono stati 26.354 i ricorsi ricevuti dalle Commissioni tributarie provinciali nel terzo trimestre di quest'anno (-15,3% rispetto al corrispondente periodo 2016) e 34.044 quelli decisi dalle stesse Ctp. I giudizi emessi dalle Commissioni tributarie provinciali sono stati completamente favorevoli all'Ente impositore (Agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Equitalia, Enti pubblici locali …) nel 45,8% dei casi e per un valore complessivo di 1,565 miliardi di euro, mentre i giudizi completamente a favore del contribuenti sono stati il 31% per un totale di 877 milioni. La quota delle cause concluse con giudizi intermedie è risultata dell'11,7% e per la somma di 738 milioni.
Il Fisco ha avuto la meglio anche a livello di Commissioni tributarie regionali (Ctr), alle quali si può fare appello dopo il primo grado di giudizio: il 47,3% dei provvedimenti emessi dalle Ctr è risultato a favore degli Enti impositori (per circa 795 milioni di euro), mentre completa ragione è stata data al contribuente nel 37,4% dei casi (per 626 milioni). Con giudizio intermedio, infine, si è concluso l'8,4% delle controversie esaminate.
I ricorsi definiti dalle Commissioni tributarie provinciali nel terzo trimestre sono stati 806 in Liguria (per 46,4 milioni di euro), 629 in Piemonte (per 74,7 milioni) e 24 in Valle d'Aosta (per 56.237 euro). Presso le stesse commissioni, al 30 settembre 2017, erano pendenti 3.452 ricorsi in Liguria, 5.158 in Piemonte e 96 in Valle d'Aosta.

A presentare il maggior numero di controversie ancora da dirimere a fine settembre, nel Nord Ovest, erano le seguenti Commissioni tributarie provinciali: Torino 1.947, Imperia 1.434, Alessandria 1.239, Genova 1.069.

In Piemonte boom di frodi creditizie

In Piemonte, boom di frodi creditizie mediante furto di identità. Nei primi sei mesi di quest'anno sono stati 566 i casi di frode creditizia rilevati dal Crif, azienda globale indipendente specializzata in sistemi di informazioni creditizie e di business information, servizi di outsourcing e processing e in soluzioni per il credito (la sua clientela è formata da 6.300 fra banche e società finanziarie, più 44.000 imprese e 240.000 consumatori).
Rispetto a quello piemontese, un numero maggiore di frodi creditizie, attuate utilizzando illecitamente i dati personali e finanziari rubati al fine di ottenere prestiti o acquisire beni con l'intenzione premeditata di non rimborsare il finanziamento e non pagare il bene, è stato registrato in Sicilia (2.021 casi), Campania (1.798), Puglia (1.261), Lombardia (1.106), Lazio (951) ed Emilia-Romagna (588).
In tutta l'Italia, sono state oltre 11.000 le frodi creditizie censite dal Crif dall'inizio di gennaio alla fine di giugno, contro una media di circa 8.000 casi, sempre nel primo semestre, dei due anni precedenti. L'importo medio delle frodi di questo tipo è risultato di 7.047 euro, per un valore complessivo superiore agli 80 milioni di euro.
In particolare, nella sola provincia di Torino le frodi creditizie attuate in seguito a furto di identità sono state 314 nel primo semestre di quest'anno, mentre erano state 273 nello stesso periodo del 2016. Questi i dati delle altre province piemontesi: 60 casi nel Cuneese, 51 nell'alessandrinoo, 45 nel Novarese, 38 nell'Astigiano, 28 nel Vercellese, 18 nel Verbano-Cusio-Ossola e 12 nel Biellese.
Il Crif ha precisato che sono soprattutto gli elettrodomestici i beni acquistati con un finanziamento ottenuto in modo fraudolento, rappresentando il 38% dei casi, tasso ben superiore al 9,1% riguardante auto e moto e l'8,4% relativo a immobili e ristrutturazioni edilizie (il 4,2% per trattamenti estetici o sanitari).

Secondo il campione esaminato, l'80% delle frodi creditizie è perpetrato utilizzando carte d'identità false o rubate. Quanto alla tipologia di finanziamento fraudolento, è stato rilevato che per il 56% si tratta di prestito finalizzato (credito al consumo) mentre quasi il 30% dei casi riguarda le carte di credito, il cui uso illecito per gli acquisti è aumentato di quasi l'80% rispetto al primo semestre dell'anno scorso. Infine: quasi il 60% dei casi di frode viene scoperto entro sei mesi.  

Orsero al minimo dell'anno

L'azione Orsero al minimo dell'anno. Oggi, l'ultimo contratto di Borsa relativo al titolo della società di Albenga è stato chiuso a 9,2 euro, ancora l'1,18% in meno rispetto a ieri, così che il valore odierno è risultato il più basso dall'inizio del 2017. E la capitalizzazione è scesa a 161,5 milioni. Nonostante l'ingresso del gruppo spagnolo Fernandez nella compagine societaria, arrivato al 5,89% del capitale e nonostante gli acquisiti di azioni proprie da parte della Orsero, la quale ora possiede più del 4% del suo stesso capitale.
A controllare la Orsero è la Fif Holding con il 32,9% delle azioni, mentre gli altri due soci maggiori, oltre al Gruppo Fernandez, sono Praude Asset Management e Wilmington Capital, entrambi con poco più del 5%.
Vice presidente, amministratore delegato e direttore generale della Orsero, oltre che sua azionista rilevante, è Raffaella Orsero, nipote di Antonio Orsero che, nel 1940, ha fondato l'omonima impresa diventata uno dei principali importatori e distributori europei di prodotti ortofrutticoli (dispone di 20 stabilimenti, conta oltre mille dipendenti e nel 2016 ha fatturato 685 milioni).
Con Raffaella Orsero, sul ponte di comando del gruppo ligure, si trovano Paolo Prudenziati (presidente, amministratore delegato e responsabile commerciale) e Matteo Colombini, amministratore delegato e responsabile finanziario. Del consiglio di amminitrazione fanno parte anche Armando de Sanna, Vera Tagliaferri, Gino Lugli, Luca Giacometti, Alessandro Piccardo w Carlos Fernandez Ruiz, numero uno dell'omonimo gruppo spagnolo.

Il 10 maggio scorso, l'azione Orsero aveva toccato quota 14,26 euro, massimo dall'inizio dell'anno.

Raffaella Orsero, vice presidente e ad Orsero

Rapine in banca, indenne la Valle d'Aosta un terzo in meno in Piemonte e in Liguria

La Valle d'Aosta è una delle tre regioni dove le banche non hanno subito alcuna rapina nei primi nove mesi di quest'anno. Le altre due sono il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige. Invece, in Piemonte, di rapine in banca ne sono state denunciate 19 e in Liguria 6. Comunque, oltre un terzo in meno rispetto allo stesso periodo del 2016. Nei primi nove mesi dell'anno scorso, infatti, le rapine in banca erano state 29 in Piemonte e 9 in Liguria.
Il netto calo delle rapine in banca è risultato comune a tutta l'Italia. Dal primo giorno di gennaio all'ultimo di settembre, nel nostro Paese sono state registrati 188 colpi allo sportello, il 36,9% in meno rispetto ai 298 del corrispondente periodo 2016. Soltanto la Puglia ha accusato un aumento percentualmente considerevole di rapine, essendo passate da 11 a 31. Un'unica rapina in più rispetto ai primi nove mesi dell'anno scorso è stata denunciata in Abruzzo (6), Marche (5) e Sardegna (1). Il numero è rimasto invariato in Basilicata (una rapina) e in Umbria (3). Nel resto del Paese i colpi in banca sono diminuiti.
“Tra i motivi del positivo calo delle rapine in banca – ha spiegato l'Abi, l'associazione italiana degli istituti di credito – si segnalano i continui investimenti delle banche italiane che, ogni anno, in media destinano oltre 600 milioni di euro per rendere le proprie filiali più protette e sicure, adottando misure di protezione sempre più moderne ed efficaci e realizzando attività info-formative verso i propri dipendenti. Inoltre, è ancora più stretta la collaborazione con le Forze dell'Ordine, sancita dalla stipula di un Protocollo Anticrimine, operativo su quasi tutto il territorio nazionale”.

Nel biennio 2015-2016, in tutta Italia, le rapine in banca sono state 1.318, il 35% in meno rispetto alle 2.037 dei due anni precedenti. Per quanto riguarda gli altri settori più esposti, è stato rilevato che sono calate del 34% le rapine ai distributori di carburanti, del 25% quelle alle farmacie, del 22% agli esercizi commerciali, del 18% agli uffici postali e altrettanto nelle abitazioni; mentre la flessione è risultata del 17% per le tabaccherie e del 15% per quelle in strada.

Donne d'eccellenza


MARIA CLAUDIA TORLASCO E LE TRE FIGLIE MASTELLI

L'inaugurazione della nuova sede high-tech della Mastelli Officina Bio-Meccanica, in Valle Armea, all'ombra del campanile di Bussana, la frazione di Sanremo che ospita lo stabilimento dell'impresa biomedicale fondata nel 1952 dal farmacista Arnolfo Mastelli, ha riacceso i riflettori sul vertice tutto femminile di quest'azienda. Amministratore delegato è Laura Cattarini Mastelli e le sue due sorelle, Giulia e Silvia, sono rispettivamente direttore medico e direttore finanziario. Con loro, sulla plancia di comando, il padre Oliviero, presidente, e la madre Maria Claudia Torlasco, consigliere d'amministrazione operativa dell'impresa di famiglia e,dal maggio scorso, anche presidente nazionale dell'Aidda, l'associazione italiana delle donne imprenditrici e dirigenti d'azienda.
Cavaliere del Lavoro, nominata dal presidente Carlo Azeglio Ciampi nel 2006, Maria Claudia Torlasco, laurea in Farmacia conseguita all'Università di Pavia, poi ricercatrice del Cnr, prima di condividere la guida della Mastelli con il marito, figlio del fondatore, ha trasmesso alle figlie la passione della gestione dell'impresa di famiglia, che dà lavoro a una settantina di persone, fattura circa otto milioni e ha uno sviluppo in forte accelerazione, crescendo del 20% all'anno, lanciando un paio di nuovi prodotti all'anno ed espandendosi anche all'estero.
La Mastelli, che collabora con diverse Università e ospedali, opera in tre grandi aree: farmaci, dispositivi medici, dermocosmetici e integratori alimentari. Il suo prodotto più conosciuto è il Placentex, specifico per la guarigione di ulcere e ferite. La gamma d'offerta, però, comprende diversi dispositivi medici, la cui caratteristica peculiare è data dai polinucleotidi, materia prima prodotta dalla Mastelli con un metodo unico e originale. Nuova è la linea Plinestcare, con prodotti ad azione anti-aging.
Maria Claudia Torlasco 

ROBERTA VIGLIONE, NUMERO UNO MAUDEN

Dell'estermo Ponente Ligure è anche Roberta Viglione, presidente, amministratore delegato e azionista di maggioranza della Mauden, system integrator di livello nazionale. Di Imperia, classe 1961, Roberta Viglione, per le sue capacità imprenditoriali e manageriali, l'anno scorso ha ricevuto il Premio Aidda-Donna di eccellenza. Meritato, non soltanto per essere riuscita ad assumere il controllo e il comando dell'azienda nella quale era entrata, nel 1989, come sales account, cioè addetta alle vendite, ma facendo una rapida carriera, come dimostra il fatto che nel 1994 diventa amministratore delegato e, nel 2000, presidente. Tre anni dopo è anche socio di maggioranza.
L'avanzamento personale di Roberta Viglione è stato parallelo allo sviluppo della Mauden, nata nel 1987 come broker di hardware e oggi riconosciuta come un attore primario in Italia nel campo dell'innovazione digitale. Sedi a Milano e Roma, Mauden conta circa 130 dipendenti e fattura oltre 45 milioni. Tra i suoi clienti spiccano nomi con Intesa Sanpaolo, Unicredit, Poste Italiane, Allianz, Aon, Cedacri, Iccrea e Rai.
Studi in Architettura, Roberta Viglione ha incominciato il suo iter professionale nel settore dell'informaticam dapprima come programmatrice in Liguria, poi come sistemista alla Sandoz e alla Hoffman Laroche, a Basilea. Rientrata in Italia, nel 1988, ha lavorato in una società tedesca specializzata in leasing di centri informatici, ultima tappa prima dell'approdo alla Mauden.
Roberta Viglione 

ROBERTA RUDA' PRIMA DONNA PRESIDENTE AINO

Prima donna a essere eletta presidente dell'Associazione italiana di Neuro-Oncologia (Aino). E' successo alla torinese Roberta Rudà, classe 1964, maturità classica al Gioberti con 60/60, laurea in Medicina sotto la Mole, nel 1990 con 110, lode e dignità di stampa, specializzatasi poi anche in un prestigioso istituto di New York. A nominarla al vertice dell'Associazione, maschile da quando è stata costituita, vent'anni fa, è stato il Congresso nazionale di Trento. Dell'Aino era, precedentemente, tesoriera.
Membro di diverse società scientifiche e del Brain Tumor Group Eortc, Robertà Rudà è responsabile del Gruppo interdisciplinare Cure neuro-oncologia interaziendale degli ospedali Molinette, Cto e Sant'Anna della sua città natale. Fra l'altro, è coordinatrice della task force europea che ha redatto le linee guida sui tumori ependimali, pubblicate sulla rivista scientifica americana Neuro-Oncology, la principale del settore.
Roberta Rudà

SILVIA ROVERE “REGINA” DELL'IMMOBILIARE

Sono state pubblicate, recentemente, dal Sole 24 Ore, le varie iniziative che la cuneese Silvia Rovere, neo presidente di Assoimmobiliare, sta attuando per contribuire al rilancio del settore immobiliare: dall'introduzione dei Pir (Piani individuali di risparmio) per il real estate, alla riqualificazione delle periferie, la proroga delle agevolazioni fiscali per gli acquisti in asta e, fra l'altro, a una maggiore tutela della proprietà, per fare in modo che il costo della morosità sociale incolpevole non sia a carico del proprietario, ma di soggetti pubblici.
Silvia Rovere, di Caraglio, laureata in Economia all'Università di Torino con lode e menzione, sposata, due figli, ha iniziato la sua carriera una ventina d'anni fa, dopo esperienze come ricercatrice, mentori Franco Reviglio e Mario Deaglio. La sua prima tappa importante è stato l'incarico di responsabile finanziario (cfo) della società pubblica Patrimonio dello Stato; poi, a Londra, si è occupata di business development per Aedes. E' stata anche direttore generale della Ream Sgr, società controllata dalla Fondazione Crt. Dal 2013 è amministratore delegato di Morgan Stanley Agr, società di gestione dei fondi immobiliari dell'omonimo gruppo internazionale.
Socia fondatrice di Arel (Associazione Real Estate Ladies), Silvia Rovere è anche una grande sportiva, praticando sci, vela, immesrsioni, tennis. Una curiosità: è anche “assaggiatore Onav”, quindi esperta di vini, non sorprendendo date le sue origini piemontesi.
Silvia Rovere

La Famiglia torinese "perde" in Borsa

La famiglia Agnelli-Elkann-Nasi e gli altri azionisti delle società quotate alla Borsa di Milano che fanno capo al Gruppo torinese, nel mese scorso, hanno “perso” quasi 3,4 miliardi di euro. Di tanto, infatti, in novembre, è sceso il valore attribuito dal mercato all'insieme delle azioni delle cinque imprese trattate in Piazza Affari e con la “targa” della grande famiglia torinese. Al 30 novembre valevano, complessivamente, 67,813 miliardi, a fronte dei 71,192 miliardi dell'ultimo giorno di ottobre.
La capitalizzazione di Exor, la holding quotata della famiglia Agnelli-Elkann-Nasi, è calata dai 13,176 miliardi del 31 ottobre ai 12,339 miliardi del 30 novembre; quella di Fca-Fiat Chrysler Automobiles da 22,824 a 22,219 miliardi e quella della Ferrari da 19,734 a 17,753 miliardi. E' diminuito il valore anche della Juventus, passato da 745,5 milioni a 707,8; mentre Cnh Industrial ha evidenziato un aumento, sia pure di alcune decine di milioni: il mercato di fine novembre l'ha valutata 14,793 miliardi, 81 milioni in più rispetto al 31 ottobre.
Naturalmente, la “perdita” della Famiglia torinese e dei suoi soci è soltanto virtuale, almeno per chi ha tenuto le azioni, come hanno fatto gli Agnelli, gli Elkann, i Nasi e Sergio Marchionne. A rimetterci realmente è stato soltanto chi ha venduto i titoli del Gruppo torinese a un prezzo inferiore a quello in carico.
Comunque, il calo del 4,7% della capitalizzazione complessiva di Exor e delle sue controllate è inferiore a quello dell'insieme delle cinque società quotate che fanno capo ai De Benedetti (-6,8%) e a quello delle due di Urbano Cairo (-5,7%).
La capitalizzazione totale delle società dei De Benedetti è scesa dai 2,416 miliardi del 31 ottobre ai 2,250 del 30 novembre. Ecco i rispettivi valori delle cinque quotate, alla fine del mese scorso: 898,5 milioni per la Cir (dal miliardo tondo dell'ultimo giorno di ottobre), 413 milioni per Cofide (da 438,8 milioni), 350,9 milioni per Gedi-Gruppo Editoriale (da 391,3), 64,9 per M&C (da 79,3), 523,1 milioni per Sogefi, l'unica del Gruppo a far registrare un aumento, dato che era valutata 506,2 milioni al 31 ottobre.
Tutte e due in rosso, invece, le quotate di Urbano Cairo, la cui capitalizzazione complessiva è calata da 1,249 a 1,177,9 miliardi; in particolare, da 582,3 milioni a 534,7 la Cairo Comunications e da 666,9 a 643,2 milioni Rcs MediaGroup.

C'è ancora una famiglia del Nord Ovest che ha almeno due società nel listino di Piazza Affari: è quella dei Gavio di Tortona, che controlla sia Astm-Autostrada Torino Milano sia la Sias, capogruppo di diverse società autostradali. Entrambe le quotate dei Gavio hanno incrementato la loro capitalizzazione nel mese di novembre: Astm a 2,354 miliardi dai 2,349 di fine ottobre e Sias da 3,317 a 3,353 miliardi. Il valore totale di fine novembre ammonta a 5,707 miliardi, lo 0,7% in più rispetto a 30 giorni prima. 
John Elkann, presidente Exor e Fca
Andrea Agnelli, presidente Juventus

Imu-Tasi: dal Nord Ovest 1,3 miliardi

Circa 780 milioni di euro dal Piemonte, 458 dalla Liguria e 43 dalla Valle Aosta. Totale: 1,281 miliardi di euro. E' la somma che il Nord Ovest porta nelle casse pubbliche pagando la seconda rata dell'Imu e della Tasi, odiatissime imposte sugli immobili. Il tributo del Nord Ovest è pari a poco meno del 13% (per la precisione, il 12,93%) dell'incasso previsto per l'intero Paese, ammontante a 9,9 miliardi.
A fare i conti è stato l'Ufficio studi della Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, precisando che i proprietari di abitazioni signorili (A1), ville, castelli, palazzi di eminenti pregi artistici e storici, sono stati chiamati a versare, entro il 18 dicembre, 36,8 milioni; mentre a 4,533 miliardi ammonta la seconda rata dell'Imu per i proprietari di immobili strumentali (negozi, botteghe, laboratori, capannoni, uffici, magazzini) e a 5,330 miliardi l'Imu a carico dei proprietari di seconde e terze case.
Quanto al gettito della Tasi, è previsto l'incasso di 288 milioni dai proprietari di immobili strumentali e 265 milioni da quelli di seconde e terze case.
La Cgia di Mestre, inoltre, ha comunicato che il maggior gettito fiscale derivante dal pagamento della seconda rata di Imu e Tasi è atteso dalla Lombardia (1,801 miliardi), seguita dal Lazio (1,225 miliardi) e dall'Emilia-Romagna (855 milioni).

Il Piemonte risulterà il quarto maggior contribuente nazionale, precedendo anche il Veneto (767 milioni) e la Toscana (750). La Liguria figura al decimo posto e la Valle d'Aosta al diciannovesimo. Ultimo è il Molise con 39 milioni. 
Aldo Reschigna, assessore Finanze Regione Piemonte

Ecco il nostro patrimonio residenziale

Poco meno di 740 miliardi di euro. E' il valore del patrimonio residenziale complessivo del Nord Ovest. Lo ha calcolato l'Agenzia delle Entrate, che cura uno scrupoloso Osservatorio immobiliare. Nel suo ultimo rapporto, relativo al 2014, l'Agenzia delle Entrate ha indicato in 423,5 miliardi il valore del patrimonio residenziale complessivo del Piemonte, comprensivo delle pertinenze; in 286,8 miliardi quello della Liguria e in 28,6 miliardi quello della Valle d'Aosta.
Il Nord Ovest, perciò, con i suoi 738,9 miliardi rappresenta il 12,3% del valore del patrimonio residenziale di tutta l'Italia, pari a 6.227,5 miliardi e al 3,8% del Pil, la ricchezza prodotta dal Paese nel 2014.
A proposito di rapporto tra patrimonio residenziale complessivo e Pil, l'Osservatorio immobiliare ha rilevato che è la Valle d'Aosta a presentarlo più elevato di tutte le altre regioni: 6,5%, record nazionale. E al secondo posto, con il 6%, si trova la Liguria, la quale precede anche il Trentino-Alto Adige, al terzo posto. Un podio non casuale, considerando che tutte e tre sono regioni turistiche, ricche di belle abitazioni e di seconde case.
In Trentino-Alto Adige, il valore medio delle abitazioni – principali, locate, a disposizione, a uso gratuito e residue - nel 2014 era di 285.336 euro (primato nazionale), cifra superiore anche a quelle della Liguria (232.413) e della Valle d'Aosta (198.911), per non parlare della media italiana, risultata di 168.932 euro. Media sotto la quale si trova il Piemonte, con i suoi 142.282 euro.
In Piemonte, allora, il valore medio unitario delle abitazioni a metro quadrato era di 1.208 euro, meno della metà di quello della Liguria (2.423 euro, il più alto a livello nazionale) e di quasi altrettanto di quello della Valle d'Aosta (2.134). Naturalmente, anche in questo caso, il valore piemontese è risultato più basso di quello medio italiano, che era di 1.449 euro a metro quadrato.
Ancora in merito al valore medio unitario delle abitazioni a metro quadrato, per quanto riguarda specificatamente le città con più di 250.000 abitanti, l'Agenzia delle Entrate ha rilevato che a Genova era di 2.330 euro e di 1.985 euro a Torino. Qui, fra l'altro, la superficie media delle abitazioni è di 90 metri quadrati, mentre è di nove metri quadrati in più a Genova.
Disaggregando ulteriormente i dati, per utilizzo delle abitazioni, emerge che il valore medio delle residenze principali era di 249.300 in Liguria, 226.600 in Valle d'Aosta e 164.800 in Piemonte, dove il valore medio delle case locate era di 119.600 euro, a fronte dei 216.000 euro della Liguria e dei 182.000 euro della Valle d'Aosta.
Infine, una rilevazione che sfata un luogo comune, cioè che gli italiani siano in testa per la maggiore quota di proprietari dell'immobile in cui abitano. Non è così. Nelle prime cinque posizioni della graduatoria dei 28 Paesi dell'Unione Europea, si trovano, rispettivamente: Romania (96,4%), Croazia (90,5%), Lituania (89,4%), Slovacchia (89,3%) e Ungheria (86,3%). La quota dell'Italia è 72,9%, comunque più alta di quella media della Ue 28 che è 69,5%.

Banca Passadore campione d'Italia

Banca Passadore campione d'Italia 2017. Ad attribuire il primo posto all'istituto genovese controllato dalla famiglia Passadore per la maggiore creazione di valore è stato il giornale finanziario Mf, che ha pubblicato la relativa classifica ne “L'atlante delle banche leader 2017”, sua tradizionale pubblicazione di fine anno.
Spiegando che la graduatoria dei “creatori di valore” si basa sulla media ponderata dei punteggi dati per la variazione dei mezzi amministrati, il margine di intermediazione, il risultato di gestione, l'utile netto, il roa (rendimento dell'attivo) e roe (rapporto tra utile e patrimonio netto), nel 2016 rispetto al 2015 e come media dell'ultimo triennio, Mf ha incoronato la Passadore, ricordando che l'anno scorso la banca genovese era settima.
Il successo ligure è rafforzato dal secondo posto conquistato dalla Cassa di Risparmio La Spezia (gruppo Cariparma-Crédit Agricole).
Nelle prime trenta posizioni per creazione di valore, si trovano anche altre sette banche del Nord Ovest: la Cassa di Risparmio di Fossano al sesto posto, Banca Sella al decimo, la Cassa di Risparmio di Asti al dodicesimo, Intesa Sanpaolo al sedicesimo, la Banca del Piemonte (famiglia Venesio) al ventunesimo, Biverbanca (Gruppo Cassa di Risparmio di Asti) ventiquattresima e Banca d'Alba, la seconda maggiore Bcc d'Italia, al ventinovesimo.
L'atlante delle banche leader 2017, riporta diverse graduatorie, redatte secondo altrettanti indicatori. Per esempio, per l'utile netto assoluto conseguito nel 2016, vincitrice è risultata Intesa Sanpaolo con 3,111 miliardi e la soddisfazione della conquista della medaglia d'argento da parte della controllata Banca Fideuram (786 milioni) e del bronzo a Banca Imi (741,7 milioni), sempre del gruppo guidato da Carlo Messina e presieduto dal torinese Gian Maria Gros-Pietro. Da notare il settimo posto di Fca Bank, istituto creditizio di Fiat Chrysler Automobiles, con l'utile netto di 309 milioni.
Intesa Sanpaolo è finita prima anche per mezzi amministrati (457 miliardi), precedendo Unicredit (437,6) e la Cdp-Cassa Depositi e Prestiti (339,5).
Tornando alla Banca Passadore, che l'anno prossimo compie 130 anni, è stata fondata da Luigi Passadore, i cui eredi ne mantengono il controllo e ne esprimono il vertice. Presidente è Augusto Passadore, mentre il figlio Francesco ne è l'amministratore delegato Francesco (del Consiglio di amministrazione fanno parte, fra gli altri, i torinesi Carlo Acutis, vice presidente, e Alberto Brignone); direttore generale Edoardo Fantino.
Presente in sette regioni con una rete di 23 sportelli, la Banca Passadore, quasi 400 dipendenti, al 30 giugno di quest'anno evidenziava una raccolta di 2,439 miliardi (+9,8% rispetto alla stessa data 2016), impieghi per 1,660 miliardi (+5,7%) e titoli in deposito per 4,560 miliardi (+8%). Cet1 al 12,6%.
Francesco Passadore, ad Banca Passadore

Buoni e "cattivi" del debito pubblico

Province. Non solo resistono, ma tornano anche ad aumentare i loro debiti; mentre le altre Amministrazioni pubbliche locali li riducono. Quindi, Province come le Amministrazioni centrali, ministeri in testa. Così il debito pubblico dell'Italia sale ancora e, al 31 ottobre, risulta pari a poco meno di 2.290 miliardi di euro, oltre 6 miliardi più del mese prima. Il record storico, però, resta al luglio scorso, quando il debito pubblico del nostro Paese è ammontato a 2.301,6 miliardi. Comunque, il dato di ottobre è il secondo maggiore di sempre. Insomma, nonostante tutte le buone intenzioni, le promesse, i solleciti e gli ammonimenti degli organismi internazionali e dei grandi investitori esteri, il debito pubblico italiano non dà prove né di contenimento né, tanto meno, di arretramento. Va avanti, più o meno velocemente. E non consola la riduzione del suo rapporto con il Pil, perché questa diminuzione, limitata, è dovuta esclusivamente alla crescita del Pil, cioè all'aumento della produzione nazionale di ricchezza.
Tornando alle Province, imbattibili come il Cnel, più forti di ogni tentativo di abbattimento o cancellazione, alla fine di ottobre hanno mostrato un indebitamento di 7,373 miliardi, mentre era di 7,364 miliardi al 30 settembre, comprendendo le Città metropolitane. E' vero che si tratta di pochi milioni in più, però l'aumento rappresenta una controtendenza rispetto alle altre categorie di Amministrazioni locali.
Il debito delle Regioni e delle Province autonome, infatti, si è ridotto a 30,396 miliardi dai 30,445 di fine settembre e quello dei Comuni a 40,194 miliardi dai 40,277 precedenti. Stesso andamento è stato riscontrato per gli altri enti pubblici locali, con un indebitamento calato in un mese da 10,142 a 9,856 miliardi.
Così, nonostante il mancato contributo delle Province e Città metropolitane, il debito complessivo delle Amministrazioni pubbliche locali è sceso a 87,819 miliardi, il livello più basso degli ultimi anni. Come ha appena certificato la Banca d'Italia.
Chiara Appendino, sindaca di Torino