Più compravendite immobiliari

Nuovo recupero del mercato immobiliare. Nel primo trimestre di quest'anno, in Italia, sono state registrate 169.527 nuove compravendite, l'1,8% in più rispetto allo stesso trimestre del 2016. Lo ha comunicato l'Istat, l'istituto nazionale di statistica, precisando che sono aumentati dell'1,6% gli atti notarili riguardanti il settore abitativo e del 4,5% quelli relativi al settore economico, che comprende i fabbricati industriali, esercizi commerciali e, fra l'altro, i laboratori artigiani.
Nell'intero 2016, le transazioni immobiliari in tutto il Paese erano state 528.865, a fronte delle 444.636 del 2015 e di quantità ancora inferiori negli anni precedenti, almeno fino al 2011.
La ripresa delle compravendite immobiliari riguarda tutto il Nord Ovest. In Piemonte, l'anno scorso, ne sono state censite 47. 525 contro le 38.712 del 2015 e le 36.914 del 2014. In Liguria sono state 19.637 nel 2016, mentre erano state 15.857 nel 2015 e 15.413 nel 2014. Infine, la Valle d'Aosta, dove sono salite a 1.652 dalle 1.326 del 2015 e le 1.339 del 2014.
Nel 2014 (ultimo dato specifico disponibile), l'abitazione media degli italiani valeva circa 170.000 euro, cioè 1.450 euro a metro quadrato e il 2,4% meno che nel 2013. Lo hanno riferito l'Agenzia delle Entrate e il Mef (ministero dell'Economia e delle Finanze), fra l'altro evidenziando che, attualmente, nel nostro Paese, sono quasi 20 milioni le famiglie proprietarie della casa in cui vivono (77,4%  del totale). I due enti hanno aggiunto che egli italiani proprietari di un appartamento sono oltre 25,7 milioni,  mentre sono circa 4,7 milioni i locatari e la superficie media di un'abitazione è di 117 metri quadrati.
Nel 2016, la tassazione sugli immobili è stata pari a 19,9 miliardi di euro. Nelle casse pubbliche sono entrati 18,8 miliardi per l'Imu e 1,1 miliardi come Tasi.

La mappa delle start up innovative

La natalità delle imprese è sempre un buon indicatore congiunturale. Più aziende vengono avviate, più si diffonde lo spirito d'iniziativa, fondamentale per una crescita economica sana. Ancora più significativo, in questo periodo, è lo sviluppo delle start up innovative, che sono costituite prevalentemente da giovani, spesso all'interno di "incubatori" universitari o scientifici, quasi sempre frutto di intuizioni o scoperte di nuove opportunità offerte in campo digitale, sociale, ma anche nei settori tradizionali, dall'industriale al commerciale, dall'artigianato ai servizi.
L'aumento delle start up innovative è un fenomeno molto positivo, in particolare per i territori che le ospitano, nonostante l'elevato tasso di mortalità dei primi anni, che le caratterizzano. Alla base di ogni start up innovativa, infatti, si trovano energie fresche, creatività, competenze specifiche, coraggio, volontà, impegno.
Proprio per il loro valore, da pochi anni, le start up innovative hanno un elenco specifico nel registro delle imprese tenuto dalle Camere di commercio. E questo elenco evidenzia, innanzi tutto, che al 30 giugno 2017, in Italia, risultavano iscritte 7.394 start up innovative, il 7,5% in più rispetto a tre mesi prima, a conferma del trend di crescita. Oltre che in termini assoluti, sono aumentate anche in termini relativi; infatti, a fine giugno rappresentavano lo 0,46% di tutte le imprese iscritte alle camere di commercio, a fronte dello 0,43% di fine marzo.
Per quanto riguarda espressamente il Nord Ovest, il bilancio è in chiaroscuro. Al 30 giugno 2017, il Piemonte conta 407 start up innovative, la Liguria 134 e la Valle d'Aosta 15. Nella graduatoria nazionale, relativa ai dati assoluti, il Piemonte è sesto, la Liguria sedicesima e la piccola Valle d'Aosta naturalmente ventesima, cioè ultima.
Ma proprio la Valle d'Aosta è la prima del Nord Ovest per densità di start up innovative, dato che queste costituiscono lo 0,70% della struttura imprenditoriale locale, un tasso che soltanto quattro regioni hanno più elevato: Trentino-Alto Adige (1,07%), Marche (0,86%), Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia (0,72%). Il Piemonte è al settimo posto con lo 0,54%. La quota della Liguria è dello 0,41%, perciò inferiore anche alla media nazionale.
Per le province, l'elenco nazionale delle start up innovative riporta solo le dieci con il maggior numero di iscritte. La lista incomincia con Milano, che, a fine aprile, ne conta 1.160 (15,69% del totale italiano). Seguono Roma con 625 (8,45%) e Torino con 285 (3,85%). Una medaglia di bronzo forse non del tutto soddisfacente per il capoluogo piemontese.
In Italia, a fine aprile le start up avevano, complessivamente 9.365 dipendenti, in media 3,6 per impresa. Sempre in media, ciascuna aveva quattro soci. Il 70,6% forniva servizi ad altre aziende, il 19,6% operava nell'industria e il 4% nel commercio.



Su e giù delle Fondazioni

Fondazioni liguri a passo di gambero, l'anno scorso.Invece, le piemontesi sono andate avanti (con l'eccezione di Alessandria). E' quanto emerge dal rapporto 2016 dell'Acri, l'associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria, pubblicato venerdì 21 luglio.
La graduatoria basata sui patrimoni contabili risultati al 31 dicembre 2016, conferma che tre dei 15 enti del Nord Ovest, generati 25 anni fa dalla Legge Amato, figurano tra i primi dieci a livello italiano: la Compagnia di San Paolo al secondo posto, con 5,880 miliardi di euro (5,809 al 31 dicembre 2015), la Fondazione Crt al terzo, per la prima volta, con poco meno di 2,170 miliardi (2,157 a fine 2015, quando era risultata quarta, preceduta da Cariverona) e Cr Cuneo ottava, come l'anno prima, con 1,304 miliardi (1,374). In testa, come sempre, Fondazione Cariplo, nonostante la diminuzione del suo patrimonio da 6,851 a 6,820 miliardi.
Per ritrovare le altre fondazioni del Nord Ovest, bisogna ripartire dalla posizione numero 28, occupata da Cr Biella (patrimonio di 223,8 milioni), che invece era trentunesima a fine 2015, con 222,8 milioni. In ordine, dopo Cr Biella, si sono piazzate le fondazioni Cr Tortona, salita dal posto numero 32 al 31, grazie all'aumento del suo patrimonio da 215,2 a 216,1 milioni, e Cr Asti, diventata trentaduesima con 212,6 milioni, da trentaquattresima, che era, un anno prima, con 211,4 milioni.
Unica piemontese a indietreggiare è stata la fondazione Cr Alessandria: da venticinquesima, a fine 2015 (patrimonio di 311,5 milioni) a trentaquattresima, con 205,8 milioni.
E' arretrata anche la fondazione Cr Spezia, sia pure di un posto soltanto: al numero 38, per i suoi 194,2 milioni, nonostante l'aumento di un milione del patrimonio. Con la spezzina, sono scese, in graduatoria, le altre due fondazioni ligure di origine bancaria: la De Mari-Cr Savona, cinquantunesima, con  112,4 milioni, mentre era quarantasettesima al 31 dicembre 2015, con 128 milioni; e la fondazione Carige, calata al posto numero 70 (patrimonio di 55,6 milioni) dal precedente 67, conseguente ai circa 70 milioni di fine 2015.
Hanno migliorato le loro collocazioni le fondazioni Cr Vercelli, cinquantesima (115,6 milioni), mentre era cinquantatreesima a fine 2015 (115,1 milioni), Cr Saluzzo, in posizione numero 67 (59,9 milioni) dal precedente 75 (42,6 milioni), Cr Fossano, da 72 a 71 (patrimonio da 52,8 a 53,2 milioni), Cr Bra da 75 a 77 (da 37,4 a 37,5 milioni) e Cr Savigliano da 78 a 77 (da 35,3 a 35,5 milioni).
Le 88 fondazioni di origine bancaria hanno presentato complessivamente, al 31 dicembre scorso, un patrimonio contabile di 39,7 miliardi di euro, inferiore di un miliardo e del 2,2% a quello di fine 2015, principalmente a causa di svalutazioni delle partecipazioni nelle loro banche d'origine. Il loro attivo totale, comunque, è risultato di 46,3 miliardi.
I loro proventi sono ammontati a 1,357 miliardi (-3,8%) e l'avanzo di gestione (non si può parlare di utile trattandosi di enti non profit), in totale, è stato di 838,3 milioni (-13,3%, a causa soprattutto della maggiore fiscalità), così che la redditività del patrimonio è risultata pari al 3,4%, come nel 2015.
Il carico fiscale ha pesato per 354,6 milioni contro i 305,8 dell'esercizio precedente, mentre sono diminuiti del 5,7%, a 838,3 milioni, gli oneri di gestione, comprensivi dei costi relativi ai componenti degli organi statutari.
Nel 2016, le 88 fondazioni hanno erogato 1,031 miliardi (936,7 milioni nel 2015), finanziando 20.286 interventi (-5,9%): circa un quarto degli stanziamenti è stato dedicato al settore Arte-attività e beni culturali (260,9 milioni di euro), il 12,4% all'assistenza sociale (127,4 milioni), il 12,1% a volontariato-filantropia-beneficenza (124,9 milioni), circa altrettanto a Ricerca e sviluppo e il 9,8%, pari a 101,4 milioni, allo sviluppo locale. Dal 2000 a fine 2016, la somma delle erogazioni è stata di 20,3 miliardi.
Delle 88 fondazioni, 34 non hanno più alcuna partecipazione nella rispettiva banca conferitaria, quella da cui hanno tratto origine; mentre 46 ne posseggono quote minoritarie e 8 hanno, invece, ancora la maggioranza, che però dovranno perdere in seguito all'applicazione del protocollo vincolante firmato con il Mef, il ministero dell'Economia e delle Finanze, loro autorità di Vigilanza.




Dove le banche sono più contestate

Una volta, delle banche ci si fidava ciecamente. Da qualche anno, invece, è cambiata molto la considerazione generale degli intermediari creditizi e finanziari, anche a causa dei diversi scandali del sistema, in Italia e all'estero. I clienti si sono messi a controllare, a discutere, a contestare. Sempre più spesso. La nuova conferma del fenomeno è appena arrivata con la relazione 2016 dell'Arbitro Bancario Finanziario (Abf), sistema stragiudiziale di risoluzione delle controversie tra clienti e intermediari bancari e finanziari.
L'anno scorso, in tutt'Italia, i ricorsi ricevuti dall'Arbitro Bancario Finanziario sono stati 21.652, quasi il 60% in più rispetto ai 13.578 del 2015. E la tendenza è ancora in crescita. Nel primo quadrimestre 2017, infatti, sono stati presentati altri 10.028 ricorsi, con un incremento del 54% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso. E delle nuove istanze, il 10% è stato avanzato al Collegio torinese dell'Abf, competente per il Piemonte-Liguria-Valle d'Aosta e istituito nel dicembre 2016, come quelli di Bologna, Bari e Palermo, aggiunti ai preesistenti a Milano, Roma e Napoli.
Nel 2016, l'Arbitro Bancario Finanziario, al quale ci si può rivolgere semplicemente con un modulo scritto, senza avvocato e con la sola spesa di 20 euro, che vengono restituiti in caso di vittoria, ha ricevuto 1.259 ricorsi dal Piemonte, 963 dalla Liguria e 22 dalla Valle d'Aosta. Totale del Nord Ovest: 2.244, pari al 10,36% nazionale.
In particolare, a livello provinciale, l'anno scorso, 686 ricorsi hanno riguardato Torino, 662 Genova, 184 Alessandria, 113 La Spezia, 109 Novara, 94 Savona e altrettanti Imperia, 90 Cuneo, 66 Biella, 60 Vercelli, 37 Asti, 27 Verbania, 22 Aosta.
Passando dai dati assoluti a quelli relativi, si può fare una graduatoria delle province con più ricorsi per milioni di abitanti: in testa si trova Genova con 775, seguita da Spezia con 511 e Imperia con 437. Podio tutto ligure, insomma, per l'insoddisfazione delle relazioni con le banche,. Poi, nell'ordine, si trovano: Alessandria con 429, Biella con 367, Savona con 335, Vercelli con 343, Novara con 294, Aosta con 173, Asti con 170, Verbania con 169, Cuneo con 152.
E' la provincia di Cuneo, pertanto, a mostrare i migliori rapporti tra le banche e i loro clienti. All'opposto Genova. Sempre nel Nord Ovest, a livello regionale, prima è la Valle d'Aosta con il minor numero di "cause" (173) ogni milione di abitanti; il secondo posto spetta al Piemonte con 286 vertenze ogni milione di abitanti e al terzo la Liguria con il rapporto di 613.
Tornando all'Italia intera, l'ultima relazione dice che dei 21.652 ricorsi ricevuti dall'Abf nell'anno appena passato, 12.896 riguardavano le banche (+70,9% rispetto al 2015) e 1.260 Poste Italiane. Quelli accolti sono stati 6.812, i respinti 3.502. Il 71% aveva come oggetto di controversia la cessione del quinto (prestiti concessi a dipendenti e pensionati a valere sul loro mensile), il 6% bancomat e altre carte di debito, il 5% i conti correnti e il 4% i mutui.
Quanto alle 13.770 sentenze emesse dall'Arbitro Bancario Finanziario nel 2016, il 75% è stato favorevole, totalmente o parzialmente, ai clienti, i quali hanno perciò ottenuto riconoscimenti per un totale di 13 milioni di euro. Contro le pronunce dell'Abf, comunque, si può ricorrere alla magistratura ordinaria.
Infine, gli istituti più contestati l'anno scorso dai loro clienti: Prestitalia (2.866 ricorsi), Barclays (2.667), Santander Consumer (2.008), Ibl (1.443), Unicredit (1.266), Poste Italiane (1.070).

Come va il mercato auto

In passato, nel mondo dell'automobile, l'Italia è stata il punto di riferimento anche per il lusso, l'eleganza, la tecnologia più avanzata, la sportività. Lasciando stare la Ferrari, che resta un'icona, un mito globale, un caso unico, in particolare, due marche hanno segnato epoche: Lancia e Alfa Romeo. La Casa con il Biscione faceva alzare il cappello persino  a Henry Ford e suoi modelli, per il loro fascino, sono stati pure protagonisti di film straordinari; quanto alla Lancia, ha creato vetture che, fra l'altro, sono state preferite da capi di Stato, dalla Regina d'Inghilterra, da Papa Giovanni XXIII, da emiri e magnati.
Quei periodi sono lontani; ma, ora, l'industria automobilistica italiana sta riconquistando posizioni d'onore nel comparto del lusso e in quello della sportività stradale, combinazione di prestazioni elevate, confort, grande stile. Ci sta riuscendo, intanto in casa, cioè nel nostro Paese, con la Maserati, rigenerata a Torino, e con l'Alfa Romeo targata Fca, quella che sta partendo con la nuova Giulia e la Stelvio. Grazie, Sergio Marchionne.
In Italia, la Maserati è la marca che ha fatto registrare il maggior incremento percentuale delle proprie immatricolazioni, dal primo giorno di gennaio all'ultimo di giugno: 1.661, il 110,2% in più rispetto al corrispondente periodo del 2016 (790). Nessun'altra Casa è riuscita a fare meglio. La sua Levante è risultata il sesto modello con più clienti (1.138)  nel segmento E, quello del lusso appunto (in testa, si sono piazzate ancora tre tedesche: Mercedes Classe E, Bmw Serie5 e Audi A6) e la sua Ghibli al secondo posto nella classifica delle sportive (segmento F) con 442 preferenze, a fronte delle 531 dell'intramontabile Porsche 911.
Nel solo mese di giugno, di Maserati nuove ne sono state vendute 233 (+91% sullo stesso mese 2016), di cui 83 nel Nord Ovest: 51 nella provincia di Torino, 21 in Valle d'Aosta, 4 nel Cuneese, 3 nell'Alessandrino, 2 nell'Astigiano, 1 rispettivamente nel Novarese e nello Spezzino.
Quanto all'Alfa Romeo, nel primo semestre di quest'anno ha contato in Italia 25.204 acquirenti, il 32,5% in più rispetto al primo semestre 2016 (19.022), mentre l'intero mercato nazionale è cresciuto dell'8,9%. La sua quota, pertanto, è salita al 2,2% dall'1,8% precedente. Non solo: la Giulia è stata immatricolata in 5.927 esemplari (1.058 nel primo semestre 2016), che valgono il quinto posto nella graduatoria del segmento D (modelli medio-superiori) e la Stelvio si è piazzata sesta tra i fuoristrada grazie alle sue 2.789 immatricolazioni.
In particolare, in giugno, sono state 4.700 le Alfa Romeo immatricolate, equivalenti alla quota del 2,5% del mercato, la sua più alta degli ultimi cinque anni: 595 in provincia di Torino, 587 in Valle d'Aosta, 22 nella provincia di Cuneo, 20 in quella di Alessandria e, a scalare, fino alle 2 della provincia di Imperia.
A proposito di Imperia, nel mese passato, è risultata la provincia del Nord Ovest che ha avuto meno nuove immatricolazioni: 337, mentre sono state 330 a Vercelli, 443 a Verbania, 482 a Biella, 500 ad Asti, 559 a La Spezia, 636 a Savona, 1.162 a Novara, 1.220 ad Alessandria, 1726 a Cuneo, 1.787 a Genova, 4.119 ad Aosta (fiscalità meno onerosa) e 17.383 a Torino.
Dall'inizio di gennaio alla fine di giugno, in tutto il Piemonte sono state immatricolate 125.817 auto nuove (+38,4% sul primo semestre 2016), in Liguria 19.907 (+12,2%) e In Valle d'Aosta 37.019 (+19,5%).
Ultimo dato: a livello nazionale, nei primi sei mesi di quest'anno, le vendite di auto hanno generato un fatturato di 23,4 miliardi di euro, consentendo allo Stato di incassare la relativa Iva per 4,2 miliardi (+11,7%).


Balocco, Biraghi, Noberasco

In questi giorni, sono emerse diverse notizie aziendali che, finalmente, ridanno un po' di fiducia e fanno sperare in un miglioramento dell'economia locale e italiana. Principalmente tre gli elementi in comune, a prescindere dalle dimensioni dell'impresa e del settore di attività: buon aumento del fatturato nella prima parte di quest'anno, rilevanti investimenti (per ampliamenti, sviluppo tecnologico, espansione all'estero), bilanci in attivo.
Come esempio, vengono riportati i casi di tre industrie alimentari, indicativi di fenomeni e tendenze.

BALOCCO - Al bravo Pier Paolo Luciano, responsabile della Repubblica di Torino e curatore delle pagine settimanali dedicate all'economia piemontese, Alberto Balocco, numero uno dell'omonima industria dolciaria di Fossano, ha anticipato che, nella prima parte dell'esercizio in corso, il fatturato è aumentato del 12% e le prospettive sono favorevoli, per cui i ricavi 2017 dovrebbero risultare ancora superiori ai 170 milioni del 2016, quando sono stati venduti oltre 25 milioni di pezzi, fra panettoni, pandori e colombe e  l'export ha inciso per il 12%.
Fra l'altro, Alberto Balocco ha preannunciato il prossimo avvio della prima, particolare unità produttiva fuori Fossano (a Bologna, nell'ambito Fico-Fabbrica italiana contadina, promossa da Eataly), destinata alla pasticceria tradizionale piemontese secondo un modello replicabile soprattutto all'estero, dove l'impresa cuneese (circa 360 dipendenti) certamente crescerà. Intanto, continua a investire molto, soprattutto in automazione: 55 milioni di euro negli ultimi dieci anni.

BIRAGHI - Un'altra azienda cuneese, forte, dinamica e in sviluppo, è la Biraghi, industria casearia di Cavallermaggiore, che nel 2016 ha fatturato 118 milioni di euro. Guidata dai figli del fondatore, Bruno e Anna, è nota soprattutto per il suo Gran Biraghi, formaggio a grana tipo Parmigiano, e per il Gorgonzola, prodotti esclusivamente con latte locale (150-160 milioni d litri all'anno). La sua confezione di grattugiato da un etto è la più venduta in Italia e aumentano progressivamente le tipologie d'offerta. Come riferito a La Stampa, da Claudio Testa, direttore marketing e strategie commerciali, la Biraghi (250 dipendenti) ha un piano d'investimenti da 15 milioni di euro, finalizzati a nuovi macchinari e alla realizzazione di nuovi magazzini di stagionatura.

NOBERASCO - A proposito di impianti, non si può non ricordare che l'ultracentenaria Noberasco, che vanta la leadership nazionale nella frutta secca e morbida, ha appena inaugurato lo stabilimento di Carcare, dove si è trasferita da Albenga, località entrambe nella provincia di Savona. La nuova struttura della Noberasco, all'avanguardia anche tecnologicamente, ha comportato l'investimento di 45 milioni di euro. Cifra rilevante e che assume un valore ancora maggiore in considerazione del fatturato dell'azienda guidata da Gabriele e Mattia Noberasco, rispettivamente presidente e amministratore delegato, nonché zio e nipote.
Nel 2016, la Noberasco ha fatturato 122 milioni (+20%, in seguito alla vendita di 14 tonnellate di prodotti, e ha come obiettivo 2017 ricavi superiori ai 130 milioni

Restando al settore alimentare, comprensivo delle bevande, va ricordato che nel 2016 ha fatto registrare esportazioni per 4,517 miliardi di euro da parte di aziende piemontesi, 408 milioni dalle liguri e 52 milioni dalle valdostane.
Come censito dall'Istat, l'istituto nazionale di statistica, nel passato esercizio, per il Piemonte sono state le imprese attive nel settore computer, apparecchi e macchinari a evidenziare il maggior valore delle esportazioni (11,228 miliardi sul totale di 44,424), come per la Liguria (1,583 miliardi sui complessivi 7,332), mentre l'export più rilevante per la Valle d'Aosta è stato quello dei metalli e relativi prodotti: 319 milioni su 571.
Seconda principale fonte di esportazioni è risultata quella dei mezzi di trasporto per il Piemonte (11,207 miliardi) e per la Valle d'Aosta (65 milioni) mentre è stato il settore formato da chimica, farmaceutica, gomma, plastica e minerali non metalliferi per la Liguria (1,565 miliardi).
Le esportazioni 2016 di tutta l'Italia sono ammontate a 417,1 miliardi.

















Credit crunch? L'eccezione Biella

Credit crunch? Non nella provincia di Biella, la quale non soltanto è una delle otto italiane che hanno visto un aumento dei crediti concessi dalle banche alle imprese locali negli ultimi tre anni; ma è anche quella che, addirittura, ha fatto registrare l'incremento percentuale maggiore in tutto il Paese. Al 30 aprile 2017, infatti, era pari a 2,340 miliardi la somma dei prestiti bancari alle aziende biellesi, a fronte dei 2,101 miliardi in essere al 30 aprile 2014. L'incremento è dell'11,4%, come nessun'altra delle 110 province italiane ha avuto.
Merito degli istituti locali, a partire dalla Banca Sella? Effetto della ripresa dello spirito d'iniziativa dei biellesi? Conseguenza dell'affidabilità delle società operanti in quest'area? Forse un po' di tutto questo. In ogni caso, il primato biellese appare ancora più significativo alla luce dei dati relativi al resto del Piemonte e all'Italia.
Come evidenziato dalla Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, da sempre molto attenta ai fattori che condizionano l'andamento dell'economia, alla fine dell'aprile di quest'anno, i crediti bancari alle imprese attive in Italia ammontavano a 855,8 miliardi di euro, a fronte dei 918,3 miliardi emersi alla stessa data di 36 mesi prima. Il calo è del 6,8%, tasso nazionale del credit crunch, o, per dirla non in gergo, della stretta dei cordoni della borsa da parte delle banche.
Nell'intero Piemonte, la riduzione è stata del 6,1%, da quasi 60 miliardi a 56,3 di fine aprile 2017; mentre è stata del 5,9% in Liguria, da 20,253 miliardi a 19,062, e del 7,3% in Valle d'Aosta, scesa da 1,655 a 1,533 miliardi.
A livello provinciale, nel Nord Ovest, a patire meno il credit crunch, nel periodo considerato, sono state le imprese del Vercellese (2,1 miliardi al 30 aprile scorso, i crediti in essere concessi dalle banche alle imprese, l'1,1% in meno rispetto a tre anni prima), del Torinese (26,887 miliardi, il 4,6% in meno) e di Genova (11,767 miliardi, il 4,9% in meno). Invece, la provincia del Nord Ovest che ha subito la stretta creditizia maggiore è quella di Novara, dove i prestiti bancari alle aziende locali sono scesi del 13,8% a 4,772 miliardi.
Parlando di prestiti bancari, non si può non parlare di sofferenze, cioè di quei crediti la cui riscossione totale non è certa, perché i soggetti debitori si trovano in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili.
A fine aprile 2017, le sofferenze ammontavano a 9,2 miliardi in Piemonte (pari al 16,4% dei crediti bancari alla imprese della regione), a 3 miliardi in Liguria (15,8% degli impieghi in essere) e a 166 milioni in Valle d'Aosta (10,8%). In tutta l'Italia, la somma delle sofferenze a quella data era di 161 miliardi, pari al 18,8% dei crediti bancari alle imprese.
Per quanto riguarda le province del Nord Ovest, le quote di sofferenze più basse sono state rilevate ad Aosta (10,8%, pari a 166 milioni di euro), Cuneo (11,6%, pari a 1,197 miliardi), Genova (12,9%, pari a 1,521 miliardi), Vercelli (13,9%, pari a 294 milioni) e a Torino (14,8%, pari a 3,981 miliardi). al contrario, le sofferenze percentualmente maggiori sono state denunciate dalle province di Verbania (32,6%, pari a 481 milioni), Alessandria (26%, pari a 1,532 miliardi) e La Spezia (24,5%, pari a 573 milioni).

A proposito di svalutazioni

Il Sole 24 Ore ha riportato che la Malacalza Investimenti, holding della famiglia che ha in portafoglio il 17,58% di Banca Carige (quota di riferimento), ha deciso di non svalutare la sua partecipazione nell'istituto genovese, nonostante l'abbia in carico per 263,4 milioni, corrispondenti a 1,804 euro per azione e nonostante la constatazione che al 30 dicembre 2016 il titolo Carige abbia chiuso in Borsa a 0,318 euro (adesso, la quotazione è ancora inferiore e Piazza Affari valuta il 100% della Banca intorno ai 200 milioni).
Vittorio Malacalza, il numero uno dell'omonimo gruppo, ha spiegato che non ha svalutato, nonostante tutto, perché l'investimento fatto è di lunga durata e lui crede che Carige si riprenderà, si sta lavorando per questo obiettivo e il suo valore tornerà a crescere.
Tanto di cappello: per lo spirito imprenditoriale, la coerenza, la volontà, la determinazione, la chiarezza, la tenacia, il coraggio, la resistenza. Già, perché è difficile non pensare che, nella partita per Carige, Malacalza abbia molti soggetti contro, alcuni dei quali particolarmente forti e occulti. E' difficile non pensare che qualcuno volesse e forse voglia, per Carige, una fine diversa da quella alla quale punta l'imprenditore, che ha scombussolato i piani di qualcuno.
Comunque, tornando alla decisione di Malacalza, è quantomeno doveroso fare un confronto con quello che fece il precedente azionista di riferimento di Carige, cioè l'omonima Fondazione, allora ancora in possesso di oltre il 46% del capitale della Banca. Nel maggio 2014, Fondazione Carige, presieduta da Paolo Momigliano dal 3 dicembre dell'anno prima, approva il bilancio 2013 svalutando del 92% la sua partecipazione nella banca conferitaria, riducendo il valore dell'azione da 1,35 a 0,43 euro.
Con questa scelta, suggerita da consulenti tecnici e finanziari, il principale azionista ha sostanzialmente sostenuto sia che il valore della banca era precipitato e si era quasi azzerato sia che non credeva in una ripresa della stessa.
A parte le prevedibili e inevitabili conseguenze, quella decisione della Fondazione provoca varie considerazioni e ingenera nuovi dubbi, quando non sospetti. Una considerazione è sulle differenze di mentalità e comportamenti degli amministratori di enti o società, a seconda che al vertice si trovi un imprenditore o meno. Un'altra riguarda l'utilizzo e, a volte, l'abuso di consulenti, advisor, periti. E, a questo punto, possono partire dubbi e sospetti, che vanno dalle responsabilità, alle reali capacità, fino alla correttezza, ai conflitti d'interesse, alla buona fede.
Chi assume una guida, deve essere consapevole della sua adeguatezza, dei suoi compiti e delle sue responsabilità, a prescindere dal fatto che sia profit o non profit l'oggetto della sua gestione e che il bene amministrato sia. o meno, di proprietà personale, totale o parziale, com'è la partecipazione di Malacalza in Banca Carige. Un "caso" tutto da seguire.

Tre avvocati speciali

Avvocato da settant'anni. Un traguardo da medaglia, per il torinese Bruno Segre, che, in effetti, l'ha appena ricevuta dal presidente dell'Ordine subalpino, Mario Napoli, durante l'apposita cerimonia. Nato nel settembre del 1918, Bruno Segre, figura poliedrica e ben nota, non soltanto nella città della Mole, ultimo allievo di Luigi Einaudi, si è laureato in legge il 15 giugno del 1940. Di famiglia ebrea, non ha però potuto esercitare subito la professione di avvocato e ha incominciato a guadagnarsi da vivere dando lezioni private e scrivendo tesi di laurea.
Arrestato per disfattismo politico nel 1942, fa due mesi di carcere, poi entra in clandestinità. Nel settembre del '44, il portasigarette di metallo, che teneva nella giacca, lo salva da un proiettile sparatogli dalla Guardia nazionale repubblica; ma viene nuovamente arrestato e finisce dietro le sbarre, alle Nuove di Torino. Riesce a uscire e si arruola nella Resistenza armata. Dopo la Liberazione, si dedica all'attività giornalistica e alla politica (fra l'altro, è stato capogruppo del Psi nel consiglio comunale di Torino dal 1975 al 1980), comunque continuando sempre a fare l'avvocato.
Una professione che tempra, come confermano i casi di almeno altri due illustri avvocati torinesi: Paolo Emilio Ferreri e Franzo Grande Stevens. Chiamato confidenzialmente "Pef", Paolo Emilio Ferreri, 94 anni il prossimo 5 dicembre, lo stesso giorno in cui compirà i 70 anni di iscrizione all'Albo (n.583). Numerosissimi e rilevanti gli incarichi, in enti e società, ricoperti contestualmente all'impegno forense. Fra l'altro, Paolo Emilio Ferreri è stato, per 27 anni, membro del Consiglio superiore della Banca d'Italia, della quale è stato anche decano e presidente del Consiglio di Reggenza della sede di Torino.
Un po' più giovane è Franzo Grande Stevens, l'Avvocato dell'Avvocato (Agnelli): compirà 89 anni il 13 settembre. E' iscritto all'Albo dal 1954, ha già ricevuto la medaglia dei 60 anni di attività e continua a lavorare intensamente, tutti i giorni, nel grande studio che ha le sue radici in quello di Manlio Brosio e poi di Dante Livio Bianco, Paolo Greco e Carlo Galante Garrone. Studio nel quale Franzo Grande Stevens è entrato nel 1953 e che, da tempo, porta giustamente il suo nome, perché l'Avvocato l'ha rifondato, sviluppato e fatto diventare uno dei più prestigiosi non soltanto a livello nazionale .
Avvocato di fiducia di grandi famiglie italiane, ma anche di stranieri come l'Aga Khan, Franzo Grande Stevens è stato, fra l'altro, presidente del Consiglio nazionale forense e al vertice di centinaia di società, compresa la Juventus, oltre che di istituzioni come la Compagnia di San Paolo e il Museo del Risorgimento. Uomo straordinario, si è raccontato personalmente in "Una vita d'avvocato", libro che è stato da poco ristampato.

Lavoro, più speranze che certezze

Sarà anche vero che l'economia sta migliorando, pure in Italia; però, finora, il fenomeno non ha portato i tanto attesi benefici occupazionali. Si sa che il mondo del lavoro ha tempi di reazione più lunghi: le imprese aspettano un consolidamento della ripresa e hanno bisogno di prospettive favorevoli prima di assumere. Quindi, per ora, più che certezze si hanno speranze e un po' di fiducia. D'altra parte, i consuntivi sono ancora negativi.
L'Istat, l'istituto centrale di statistica, ha rilevato che, l'anno scorso, nell'intero Nord Ovest, le assunzioni nette sono state 34.290, ancora 13.542 meno che nel 2015. In particolare, in Piemonte ne sono state registrate 23.501 (36.311 nel 2015), in Liguria 9.602 (10.913) e in Valle d'Aosta 1.187 (608). Il dato relativo alle assunzioni nette è più significato del numero complessivo delle assunzioni, ai fini della valutazione dell'andamento del mercato del lavoro, perché tiene conto delle cessazioni dei contratti e delle trasformazioni degli stessi.
Comunque, anche il totale dei nuovi contratti di lavoro nel 2016 è diminuito rispetto all'anno precedente, con l'eccezione della Valle d'Aosta. Nella regione alpina ne sono stati contati 21.125 contro i 19.958 del 2015; mentre in Piemonte sono stati 359.515 (378.751) e in Liguria 155.171, a fronte dei 160.024 dell'anno precedente.
Confronti peggiori emergono, poi, specificatamente, per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato; in questo caso, anche per la Valle d'Aosta, dove ne sono state censite 2.063 (3.646 nel 2015). In Piemonte le assunzioni con contratto a tempo indeterminato sono risultate 69.187 (115.225) e in Liguria 25.207 (41.030). Naturalmente, molte meno sono state le assunzioni nette con contratto a tempo indeterminato: 7.698 in Piemonte (65.745 nel 2015), 1.183 in Liguria (19.100), mentre in Valle d'Aosta il dato è stato addirittura negativo.
L'Istat, inoltre, ha riferito che, nel 2016, si contavano 1,811 milioni di occupati in Piemonte (+0,7% rispetto all'anno prima, 610.000 in Liguria (-0,4%)  e 54.000 in Valle d'Aosta (-0,7%); quanto alle persone in cerca di occupazione, erano 187.000 in Piemonte (-8,8%), 66 mila in Liguria (+6,2%)  e 5.000 in Valle d'Aosta (-3,3%).
Infine il tasso di disoccupazione: in Piemonte è sceso al 9,3% dal 10,2% del 2015 e in Valle d'Aosta all'8,7% dall'8,9%; mentre in Liguria è salito dal 9,2% del 2015 al 9,7% del 2016.

Titoli di Stato e debito pubblico

Sempre meno titoli di stato italiani nei forzieri delle banche operanti nel Nord Ovest. Al 31 dicembre scorso, ammontavano a 25,5 miliardi di euro i titoli di stato italiani affidati alle banche, in custodia semplice e amministrata. In particolare, appartenevano alle famiglie consumatrici titoli pubblici (Bot, Btp, Cct, Ctz) per un valore complessivo di 24,364 miliardi (al fair value) e alle imprese per 1,143 miliardi.
A fine 2016, nelle banche attive in Piemonte, si trovavano titoli di stato italiani per 17,866 miliardi affidati dalle famiglie (-13,8% rispetto a 12 mesi prima) e per 759 milioni (-16,5%) dalla imprese. E cali ancora percentualmente superiori sono emersi dalla rilevazione sulle banche in Valle d'Aosta, dove il valore dei titoli pubblici dati in custodia dalle famiglie è risultato di 276 milioni (-14,7%) e di 47 milioni (-31%) quello delle imprese.
Sempre al 31 dicembre 2016, le banche presenti in Liguria custodivano titoli pubblici italiani del valore complessivo di 6,222 miliardi (-13,1% rispetto alla stessa data del 2015) per conto delle famiglie e di 337 milioni (-3,8%) per conto delle imprese.
Per quanto riguarda l'intero Paese, la Banca d'Italia ha indicato in 132,037 miliardi di euro, a fine 2016, il valore dei titoli di stato italiani affidati alle banche, in custodia semplice e amministrata, da parte delle famiglie consumatrici e in 55,190 miliardi il valore dei titoli pubblici affidati dalle imprese.
Ancora a proposito di titoli di stato italiani, la stessa Banca d'Italia, che ne detiene per 317 miliardi di euro, ha appena pubblicato la disaggregazione degli importi secondo i loro detentori, al 30 aprile 2017: 400,3 miliardi fanno capo alle istituzioni finanziarie monetarie residenti (banche, fondi comuni d'investimento, Cassa Depositi e Prestiti, istituti di pagamento), 444,6 miliardi alle altre istituzioni finanziarie residenti, 104,5 miliardi agli altri soggetti residenti, non finanziari e 665,1 miliardi a soggetti non residenti, cioè stranieri.
Dunque, al 30 aprile 2017 appartenevano all'insieme dei soggetti residenti nel nostro Paese titoli di stato italiani per 1.555,6 miliardi di euro, a fronte dei 1.491,2 miliardi del 2016 e dei 1.431,8 miliardi del 2015. I soggetti stranieri, invece, detenevano titoli si stato italiani per un valore di 715 miliardi, a fronte dei 726,6 del 2016 e i 741,1 del 2015. Dati che evidenziano, un aumento del possesso da parte dei residenti e, al contrario, un calo da parte dei non residenti, che comunque hanno in portafoglio circa un terzo dei titoli di debito pubblico italiano.
A proposito di debito pubblico, resta da rilevare che al 31 maggio 2017 è salito a 2.278,855 miliardi di euro, nuovo record storico. A fine aprile era di 2.270, 276 miliardi e di 2.217,910 al 31 dicembre scorso. In cinque mesi è ancora aumentato di quasi 61 miliardi. E certo non consola la considerazione che la sua incidenza sul Pil diminuirà se il Pil aumenterà più del previsto. L'incidenza è un conto, il valore assoluto un altro.