Più consumi e più tasse, meno risparmio

Ripresa dei consumi, nel secondo trimestre di quest'anno. Dopo la notizia diramata, pochi giorni fa, dall'Istat, l'istituto nazionale di statistica, tanti, a partire dalle associazioni dei commercianti, hanno esultato: finalmente, gli italiani tornano a spendere. Anche numerosi politici ed economisti hanno manifestato soddisfazione per la novità. E c'è chi ha aggiunto che è un effetto della maggiore fiducia da parte delle famiglie, del miglioramento della situazione occupazionale, del riavvio di un ciclo economico più favorevole.
In effetti, tra l'inizio di aprile e la fine di luglio, le famiglie consumatrici hanno speso 259,152 miliardi per consumi finali, il 2,7% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso e lo 0,4% in più rispetto al primo trimestre 2017.
Però, l'Istat ha anche rilevato che, tra l'inizio di aprile e la fine di luglio di quest'anno, il reddito disponibile lordo delle famiglie (278,571 miliardi) è aumentato solo dello 0,9 rispetto al corrispondente periodo 2016 e dello 0,2% rispetto al primo trimestre. Mentre il potere d'acquisto, pari a 256,507 miliardi, è addirittura diminuito dello 0,3% rispetto al secondo trimestre 2016 ed è rimasto invariato rispetto ai primi tre mesi di quest'anno.
L'aumento della spesa per consumi in percentuale superiore a quella del crescita del reddito disponibile, inevitabilmente, comporta il calo della propensione al risparmio. Che, infatti, nel secondo trimestre, è risultata pari al 7,5% (rapporto tra risparmio lordo e reddito lordo disponibile), quindi inferiore di 0,2 punti rispetto al trimestre precedente e di 1,5 punti rispetto al secondo trimestre del 2016. Fra l'altro, questo 7,5% è il livello più basso dalla fine del 2012.
Il calo della propensione al risparmio è passato quasi sotto silenzio, soffocato dal suono delle trombe per la ripresa dei consumi. Un aspetto sorprendente, almeno in parte, perché il risparmio, dote atavica degli italiani, è fondamentale per un'economia strutturalmente sana, solida e vitale. Naturalmente, il risparmio non fine a se stesso, altrimenti è avarizia; ma finalizzato agli investimenti, che costituiscono la base per l'aumento del patrimonio e per il miglioramento duraturo delle condizioni delle famiglie.
Sono gli investimenti che fanno progredire e sviluppare: gli investimenti nell'istruzione dei figli, per l'acquisto della casa, per l'avvio o l'ampliamento di attività, per comprare strumenti finanziari destinati ad accrescere il reddito …
Per investire, però, occorrono i risparmi. Altrimenti si fanno debiti, che rischiano di diventare insostenibili, in seguito a imprevisti sempre possibili e spesso dal costo superiore alle proprie risorse.
L'aumento dei consumi, perciò, è certamente positivo quando è correlato all'aumento del reddito netto disponibile e del potere d'acquisto, non quando va a scapito della propensione al risparmio.
Propensione sempre più difficoltosa, anche a causa dell'inarrestabile voracità del fisco. Confermata sia dalla constatazione che, nel secondo trimestre 2017, la pressione fiscale è stata pari al 41,8%, uguale allo stesso periodo del 2016, sia, fra l'altro, dagli ultimi dati del Mef, il ministero dell'Economia e delle Finanze.
Infatti, il Mef ha comunicato che dal primo giorno di gennaio all'ultimo di agosto, le entrate tributarie erariali sono ammontate a 287,045 miliardi, con un incremento di 4 miliardi e dell,1,4% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso. In particolare, sono state pari a 120,1 miliardi le entrate Irpef (imposta sui redditi da lavoro e da pensione), salite dell'1,6%; mentre l'Iva ha generato un gettito di 79,4 miliardi (+3,2%).
Consolazione forse unica per i contribuenti onesti: le entrate derivanti dall'attività di accertamento e controllo (recupero dell'evasione fiscale), riferite solo ai ruoli dei tributi erariali, hanno sfiorato i 7 miliardi, facendo segnare un incremento del 23,1% rispetto ai primi otto mesi dell'anno scorso.





Imprese liguri, solo il 33% paga puntuale

E' ancora aumentata, nel terzo trimestre di quest'anno, la quota delle imprese che saldano con puntualità le fatture dei fornitori. Il fenomeno è emerso dallo studio sui pagamenti commerciali aggiornato al 30 settembre e realizzato da Cribis, società del gruppo Crif specializzata nella business information.
L'analisi di Cribis, infatti, ha evidenziato che, a livello nazionale, è salita al 38,2% la quota delle aziende che pagano le fatture alla scadenza, mentre era del 36,4% nel secondo trimestre e di poco più del 35% dalla fine del 2015.
Altro dato positivo: sono risultate 513 ogni mille le imprese che, tra l'inizio di luglio e la fine di settembre, hanno pagato i fornitori con un ritardo inferiore al mese; mentre erano ancora più di 500 nei tre trimestri precedenti.
Ulteriore miglioramento sul fronte dei maggiori morosi. I pagatori con ritardi superiori al mese sono stati il 10,5%, il tasso più basso dal 2012, ma rimasto superiore del 90,9% a quello del 2010, quando la grande crisi economica non era ancora esplosa, ma soltanto agli inizi. Rispetto a sette anni fa, inoltre, è ancora inferiore dell'1,9% la quota delle imprese che pagano puntualmente.
Dati che confermano un miglioramento delle condizioni finanziarie delle imprese, ma anche la persistenza di difficoltà, che, naturalmente, si riflettono sui rapporti commerciali e che ribadiscono che l'uscita dal tunnel non è vicina, benché diversi soggetti parlino già di ripresa, nonostante l'elevata disoccupazione, l'insufficienza di nuovi posti di lavoro e degli investimenti produttivi e, fra l'altro, la mancata crescita del reddito disponibile.
Comunque, tornando, ai dati sulla regolarità o meno dei pagamenti dei fornitori, la disaggregazione regionale mostra che è la Liguria la regione del Nord Ovest messa peggio. In Liguria, infatti, le imprese puntuali nel saldo delle fatture dei fornitori sono il 33,9%, a fronte del 38,2% del Piemonte e del 39,2% (in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna la quota è di oltre il 47%).

La Liguria ha anche il primato negativo della morosità: il 10,2% delle imprese locali salda le fatture con ritardi superiori ai 30 giorni, mentre in Valle d'Aosta lo fa il 9,4% e l'8,1% in Piemonte.
Giovanni Toti, presidente Regione Liguria

Offensiva di Ubi, Credem e Crédit Agricole

Tre grandi banche all'attacco nel Nord Ovest, approfittando della crisi di Carige e non solo.

UBI BANCA – A Cuneo, nello stesso palazzo di via Roma che prima ha ospitato la sede centrale e direzionale della locale Cassa di Risparmio e poi della Bre-Banca Regionale Europea, entro fine anno si insedierà la direzione Nord Ovest di Ubi, quarto gruppo creditizio italiano per capitalizzazione, poco meno di 2.000 sportelli, oltre 22.000 dipendenti, 5% del mercato italiano, recentissimo compratore delle risanate Banca Marche, Popolare Etruria e Cassa di Risparmio di Chieti.
Nata il primo giorno di aprile di dieci anni fa, a Bergamo, Ubi Banca ha circa 150.000 azionisti, il maggiore dei quali, con il 5,9%, è la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, presieduta da Giandomenico Genta e sostenitrice della nomina del cuneesissimo Ferruccio Dardanello nel nuovo Consiglio di sorveglianza, dove ha preso il posto di Gianluigi Gola, dimessosi.
La direzione Nord Ovest di Ubi Banca ha competenza su Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria e Costa Azzurra. Responsabile di questa macro area è Marco Franco Nava, classe 1966, milanese, già direttore generale della Banca di Valle Camonica, dopo aver iniziato la carriera alla Popolare Commercio e Industria, nel 1987.
In una intervista a La Guida, Marco Franco Nava, riferendo che Cuneo avrà la responsabilità anche del coordinamento commerciale, dei crediti, delle risorse umane e della comunicazione per l'intera macro area, oltre alla direzione. Inoltre, ha anticipato che da Cuneo arriveranno anche le linee guida della quinta direzione che, dall'inizio di dicembre, si avvierà a Tortona per il Piemonte Est (Novara, Asti, Alessandria, Vercelli).
Giandomenico Genta, presidente Fondazione Cr Cuneo

CREDEM – Fra le principali banche private italiane (è controllata dalla famiglia Maramotti, quella di Max Mara, fra l'altro), Credem punta a conquistare 1.500 nuovi clienti in Liguria entro la fine dell'anno, aumentando così ancora raccolta e impieghi nella regione attaccata un po' da tutti in seguito alla profonda crisi di Banca Carige.
L'obiettivo ligure di Credem è stato annunciato da Giorgio Garofalo, direttore territoriale di Credem, gruppo quotato in Borsa, dotato di oltre 6.000 dipendenti e di 600 filiali, nove delle quali in Liguria, dove ha anche un centri per le imprese e due reti di consulenti finanziari.
Giorgio Garofalo ha detto che Credem sta valutando l'apertura di altri sportelli in Liguria, dove ha in programma anche nuove assunzioni.
Alla fine del primo semestre di quest'anno, le filiali liguri del Credem avevano depositi per 1,5 miliardi e, nel periodo, hanno erogato, a imprese e famiglie, nuovi finanziamenti per 40 milioni, il 5% in più rispetto al gennaio-giugno 2016.
Giorgio Garofalo, direttore territoriale Credem 

CREDIT AGRICOLE – Una prova della crescente attenzione verso la Liguria da parte di Crédit Agricole Carispezia, l'istituto del grande gruppo francese che ha Cariparma come capofila delle attività in Italia, è appena arrivata con l'inaugurazione della nuova sede genovese, nella centralissima via XX Settembre. Sede che ospita anche la direzione territoriale di Genova e Riviere, il mercato Corporate e Imprese, oltre che il team dei consulenti finanziari.
Come ha detto Carlo Piana, direttore generale di Crédit Agricole Carispezia, la nuova iniziativa rappresenta un'ulteriore testimonianza della volontà della Banca di crescere a Genova e nel resto della Liguria, secondo il piano industriale 2016-2019, caratterizzato da un programma di notevoili investimenti per lo sviluppo. Intanto, nel primo semestre, Crédit Agricole Carispezia ha acqusiito 6.000 nuovi clienti

Carlo Piana, laurea in Economia aziendale alla Bocconi, nato nel 1967 ad Acqui Terme, è entrato nel gruppo Crédit Agricole dieci anni fa, come responsabile della direzione Corporate. Prima di diventare direttore generale della banca spezzina, è stato anche responsabile dei crediti Corporate della capogruppo francese.
Carlo Piana, direttore Crédit Agricole Carispezia

John Elkann porta Exor al record

Nuova impennata borsistica di Exor, che oggi, 5 ottobre, ha fatto segnare il suo nuovo record storico. L'azione della holding della famiglia Agnelli-Elkann-Nasi, infatti, ha chiuso le contrattazioni a 55,85 euro, il 4,1% in più rispetto a ieri e 55 centesimi in più rispetto al massimo precedente, registrato solo due giorni fa.
La corsa del titolo è continuata: all'inizio di quest'anno, l'azione Exor in Piazza Affari quotava poco più di 38 euro. Da allora ha guadagnato il 46%. Così, fra l'altro, è salito a 13,460 miliardi di euro il valore riconosciuto dal mercato alla finanziaria che ha al suo vertice John Elkann (presidente e amministratore delegato), affiancato da Sergio Marchionne e Alessandro Nasi, vice presidenti (responsabile finanziario è il torinese Enrico Vellano).
Il nuovo primato di Exor è arrivato contestualmente all'Investor Day della holding della famiglia, incontro durante il quale il numero uno del Gruppo ha fatto dichiarazioni che, indubbiamente, sono piaciute agli investitori.
In estrema sintesi, John Elkann ha detto che: a) Sergio Marchionne, al quale ha attribuito grandi meriti, resterà in Exor e contribuirà al futuro del Gruppo anche dopo il 2019, quando l'eccezzionale pilota di Fca-Fiat Chrysler Automobiles, Ferrari e Cnh Industrial è previsto che lasci il volante (ma andrà così?); b) Exor non intende vendere la sua quota di Ferrari (anzi, potrebbe puntare ad aumentarla, dall'anno prossimo); c) Exor ridurrà ancora il suo debito netto, già sceso a 3,2 miliardi di dollari alla fine di giugno.
Inoltre, il presidente e amministratore delegato di Exor ha riferito che sono state smentite tutte le voci relative a interessi di società cinesi verso Fca, il cui valore è costantemente in crescita grazie al grande lavoro fatto e le cui prospettive sono molto favorevoli. Infine, ha manifestato piena soddisfazione per i risultati della Juventus in questi ultimi anni e la totale fiducia nell'operato di Andrea Agnelli e nella società calcistica, della quale suo cugino è presidente.
Società di diritto olandese, Exor, presenta un Nav (Net asset value, valore degli investimenti meno il debito loro) di oltre 17 miliardi di dollari. Le sue principali partecipazioni sono rappresentate dal 100% del capitale di Partner Re, colosso assicurativo; il 29,23% di Fca, dove però ha il 42,4% dei diritti di voto, il 22,9% della Ferrari (32,7% dei diritti di voto), il 26,9% di Cnh Industriale (vota per il 39,9%), il 63,77% della Juventus e il 43,4% del prestigioso The Economist, dove invece vota per il 20%. Al Gruppo fa capo anche il 15% circa della Gedi, l'editrice che pubblica, fra l'altro, la Repubblica, La Stampa, l'Espresso, il Secolo XIX e diversi quotidiani locali. Della Gedi, che ha come azionista di riferimento il gruppo Cir-De Benedetti, John Elkann è anche consigliere di amministrazione.
Exor, che ha conseguito un utile netto di 916 milioni di dollari nel primo semestre di quest'anno (431 milioni nello stesso periodo del 2016) ha come azionista di maggioranza assoluta la Giovanni Agnelli Bv, che ne possiede il 52,99% del capitale.
Dal 2009, quando è stata costituita in seguito alla fusione di Ifi e Ifil, le due finanziarie torinesi a capo del gruppo Agnelli, Exor ha distribuito dividendi per 882 milioni di dollari e ha creato un ritorno del 903%, cioè i suoi azionisti hanno visto moltiplicato di 9 volte il valore del loro investimento.
John Elkann, presidente e amministratore delegato Exor


DIASORIN E KI GROUP

Oggi, altre due quotate piemontesi hanno fatto registrare altrettanti record, positivo la Diasorin, negativo Ki Group, società quest'ultima presieduta da Daniela Santanchè. Il titolo della Ki Group ha chiuso le contrattazioni a 2,50 euro, il 4,21% in meno di ieri e il prezzo più basso dall'inizio di gennaio (la capitalizzazione è scesa intorno ai 14,5 milioni).
Al contrario, Diasorin ha ancora migliorato il suo record storico, arrivando a 79,65 euro, facendo segnare così l'ulteriore incremento del 2,25% e avvicinandosi ai 4,5 miliardi di capitalizzazione.

Più giovani nell'agroalimentare

Che la provincia di Cuneo sia quella del Nord Ovest con il maggior numero di imprese agricole e dell'industria alimentare guidate da giovani di età inferiore a 35 anni (“under 35”) e al quinto posto a livello italiano, era forse scontato, anche prima della conferma ufficiale fornita da Unioncamere con il suo censimento al 30 giugno 2017. Sorprende, invece, che sia la provincia di Verbania, tra quelle di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, a evidenziare non soltanto il più alto tasso di crescita di queste imprese nel primo semestre di quest'anno (+21,8% rispetto al corrispondente periodo 2016), ma anche la più elevata densità di imprese di under 35 nel settore agroalimentare (11,9%).
Al 30 giugno scorso, in tutta l'Italia erano 56.518 le imprese agroalimentari di giovani iscritte alle Camere di commercio, il 6,8% in più rispetto alla stessa data del 2016. Le regioni che ne contavano di più erano la Sicilia, in testa con 7.100, la Campania, seconda con 5.720 e la Puglia, terza con 5.544. Al quarto posto figura la Sardegna con 4.238, che precede il Piemonte, quinto con 4.086. Alla Liguria ne sono state attribuite 857 e alla Valle d'Aosta 168.
In Liguria, però, le imprese agroalimentari gestite da under 35 sono aumentate del 10,4%, quindi più della media nazionale; mentre la crescita piemontese è stata del 4,6% e quella valdostana dello 0,6%. Nonostante questo, però, la Valle d'Aosta presenta la maggiore densità di imprese giovanili attive nel settore agroalimentare: 10,5%, a fronte del 7% medio italiano e del Piemonte e al 7,2% della Liguria.
La mappa provinciale delle aziende agroalimentari del Nord Ovest in mano a giovani sotto i 35 anni mostra che al 30 giugno 2017 Alessandria ne aveva 420 (+1% rispetto al 30 giugno 2016), Aosta appunto 168(+0,6%), Asti 456 (+12%), Biella 155 (+6,2%), Cuneo 1.433 (-1,1%), Genova 190 (+4,4%), Imperia 290 (+13,7%), La Spezia 138 (+11,3%), Novara 205 (+4,1%). Savona 239 (+11,2%), Torino 1.143 (+6,4%), Verbania 95 (+21,8%) e Vercelli 179 (+5,3%).
Dopo Verbania, a far registrare i più elevati tassi di crescita delle imprese agroalimentari dei giovani nel primo semestre, sono state le province di Imperia, Asti, La Spezia e Savona.
L'aumento delle imprese giovanili nel settore agroalimentare è in controtendenza, perché, invece, il totale delle aziende con questa attività in Italia al 30 giugno scorso è sceso a 812.834, evidenziando un'ulteriore perdita di 2.482 unità rispetto a 12 mesi prima.
Pertanto, i dati e i loro confronti sembrano indicare un ritorno dei giovani alla terra; fenomeno positivo anche perché questi giovani sono preparati, competitivi, portatori di innovazioni, qualità e creatività.
Stefano e Alberto Girola, gestori della Poderi Girola (Calliano)

Borsa: ascese e discese di settembre

Sembra incredibile, ma nel mese di settembre, delle società quotate in Borsa che, per diverse ragioni, si possono considerare del Nord Ovest (per la sede, o perché il soggetto di riferimento è riconducibile al Piemonte piuttosto che alla Liguria o alla Valle d'Aosta), l'azione che avuto il maggior incremento di valore (performance) è stata quella di Visibilia, controllata e presieduta dalla cuneese Daniela Garnero Santanchè.
La performance di Visibilia è stata del 96,88% nel mese scorso. Primato nettissimo e rimasto anche oggi, quando il titolo ha perso il 7,37%, scendendo così 0,248 euro. Cifra che porta a 6,3 milioni il valore attribuito da Piazza Affari (capitalizzazione) all'impresa editoriale della Santanchè.
Al secondo posto, per maggiore performance borsistica in settembre, si trova la Centrale del Latte d'Italia, per il suo 24,76%. Tra l'altro, proprio oggi, il terzo principale gruppo italiano del latte ha annunciato l'accordo con Alibaba, leader mondiale nel commercio on line e su mobile, per la vendita di latte a lunga conservazione sul mercato cinese, attraverso appunto l'e-commerce.
Accordo che Piazza Affari ha premiato facendo balzare del 19,68% il prezzo dell'azione della Centrale del Latte d'Italia, arrivato così a 4,342 euro, nuovo record dall'inizio dell'anno, che ha bruciato quello fatto segnare dalla società controllata da azionisti piemontesi, liguri e toscani, solo ieri (3,65 euro).
Sul podio di settembre è salita anche Sogefi, gruppo di componentistica automotive che fa capo alla Cir della famiglia De Benedetti. L'incremento mensile di valore dell'azione Sogefi è stato del 21,74%.
Le altre sette quotate del Nord Ovest con le maggiori performance di settembre sono, nell'ordine: Cofide (gruppo De Benedetti), 16,05%; Fca-Fiat Chrysler Automobiles 14,62%, Boero (omonima famiglia genovese) 12,72%, Buzzi (omonima famiglia di Casale Monferrato) 12,23%, Dea Capital (gruppo Boroli-Drago di Novara) 9,35%, Reply (famiglia Rizzante di Torino) 9,33%, Cairo Communication (Urbano Cairo, alessandrino e, fra l'altro, patron del Torino Calcio) 8,82%.
A proposito di Reply, si è subito concluso il collocamento del 7,7% del capitale a investitori istituzionali da parte di Alika, la finanziaria della famiglia Rizzante che controlla Reply. Alika ha ceduto 718.065 azioni a 190 euro ciascuna, per un totale di 136 milioni; ora la sua quota è pari al 45,1% di Reply.
Quanto alle maggiori perdite di valore delle azioni di quotate del Nord Ovest nel mese appena passato, sono state attribuite dalla Borsa alle seguenti società: Orsero (-27,23%), Bim-Banca Intermobiliare (-11,43%), Ki-Group (-5,29%), Fidia (-1,92%), Prima Industrie (-1,91%), Iren (-1,90%), Italia Independent (-1,76%), Cover50 (-1,64%), Ferrari (-1,34%), Gedi (-1,12%).
Daniela Garnero Santanchè, presidente Visibilia 

Piemontesi in accelerazione

Piemontesi alla carica. Il mercato è ancora difficile, ma sono numerose le imprese che, nonostante la crisi, si sono rafforzate e stanno crescendo. Eccone qualche esempio.

ALPITOUR – Neos, compagnia aerea di lungo raggio che fa parte del gruppo Alpitour, è entrata a far parte di Wordwide by easyJet, nuova iniziativa della Compagnia leader in Europa. In seguito all'accordo, Neos, che ha trasportato 1,3 milioni di passeggeri nel 2016, metterà a disposizione del nuovo network voli dall'Italia verso ambite destinazioni in Africa, Asia, Caraibi e Medio Oriente. Alpitour, nata 70 anni fa a Cuneo come piccola agenzia di viaggi, l'anno scorso ha fatturato 1,141 miliardi e conta di arrivare a 2,5 miliardi entro cinque anni. Ha oltre 2.000 dipendenti, sede a Torino ed è oggi il principale operatore italiano del settore.
La sua attività è articolata in cinque divisioni. Fra i suoi marchi più noti: Francorosso, Viaggidea, Bravo Club, Jumbo Tours, Welcome e Geo Travel, Karambola. Alpitour, che ha anche sponsorizzato l'ultima edizione di Miss Italia, è pilotata da Gabriele Burgio, presidente e amministratore delegato dal 2012, quando, con un management by out fatto con altri manager e due fondi di private equity, ha rilevato la società dal gruppo Agnelli-Elkann-Nasi.
Nella compagnie azionaria, da poco, è entrata la Tip del finanziere Giovanni Tamburi, che, in seguito all'investimento di 120 milioni, possiede circa il 33% del capitale di Alpitour, della quale comunque Burgio detiene ancora oltre il 3% e azionisti sono anche i due fondi.
 Alpitour è una candidata naturale alla quotazione in Borsa.
Gabriele Burgio, presidente e amministratore delegato Alpitour

MONGE – E' stato stimato che, in Italia, gli animali domestici (“pet”) siano oltre 60 milioni, fra cani, gatti, piccoli mammiferi, uccellini e pesciolini. In media, un animale per abitante. Comunque, tanti da rappresentare un mercato da rappresentare un mercato da due miliardi di euro all'anno, per i produttori di alimenti “pet”. E la Monge vanta la leadership per gli alimenti destinati a cani e gatti. Sede a Monasterolo di Savigliano, dove è stata fondata nel 1963, per iniziativa di Baldassarre Monge, l'omonima impresa è stata la prima in Italia a produrre il pet food umido (wet food), creando il relativo mercato e vanta anche altri primati: dal wet food in lattine ai bocconcini cotti al forno per i cani, all'introduzione delle buste per il gatto.
 Monge esporta già in più di 80 Paesi, dove realizza circa il 20 del suo fatturato, che è stato di 142 milioni nel 2015. Al vertice gestionale dell'impresa, totalmente familiare e a capo di un gruppo con 300 dipendenti, si trovano Domenico e Sandra Monge, figli del fondatore come la più giovane Franca, responsabile della direzione acquisti. Nella Monge lavorano già anche tre esponenti della terza generazione più altri familiari.
Baldassarre Monge

GROM – Espansione accelerata per Grom, la multinazionale torinese del gelato che il suo produttore vuole che sia “il più buono del mondo”. Già dotata di una novantina di gelaterie in diversi Paesi, Grom ha in programma di aprirne altre quattro all'inizio del 2018: due in Francia e altrettante a Doha, nel Qatar. Intanto, però, sono partiti i lavori per il flagship londinese di Piccadilly. E tutto questo dopo che, l'anno scorso, sono state aperte altre sei gelaterie in Italia e nove all'estero.
Nel 2016, la Grom, costituita nel 2003, sotto la Mole, dal giovanissimo Federico Grom con l'amico Guido Martinetti, ha registrato ricavi per poco meno di 30 milioni, ma con una perdita di 6,3 a causa dei forti investimenti e dei costi elevati per assicurare il massimo della qualità produttiva, fin dall'inizio del processo con materie prime eccellenti.
 La Grom, passata sotto il controllo dell'Unilever, uno dei colossi mondiali del food e del gelato (Algida), che però garantisce una grande autonomia gestionale ai fondatori, recentemente ha deciso di vendere il suo gelato anche in barattoli, così da poter conquistare anche i banconi frigorifero della grande distribuzione, dove andranno a sfidare pure l'americana Haagen Dazs. I barattoli della Grom, che ha circa 900 dipendenti, saranno trasparenti, così che la qualità del gelato potrà essere anche ben visibile.
Federico Grom e Guido Martinetti

GELATI PEPINO – Altro noto produttore torinese di gelati, però nato molto prima (nel 1884), è la Gelati Pepino, che sta diffondendo le sue “Pinguinerie” (il Pinguino, primo gelato ricoperto su stecco al mondo, è sempre stato il suo articolo di punta) nelle principali città del nostro Paese con qualche puntata in programma all'estero.
Il progetto Pinguinerie, perseguito direttamente dalla Gelati Pepino, oltre che in franchising e in collaborazione con partner, a partire da Caffè Vergnano, è un asse dello sviluppo dell'azienda torinese presieduta da Edoardo Cavagnino, pronipote di quel Giuseppe Cavagnino che, nel 1916, insieme con il suocero Giuseppe Feletti, rilevò da Domenico Pepino la gelateria da lui fondata.
La Gelati Pepino, una quarantina di dipendenti, stabilimento ad Avigliana, recentemente ha iniziato a collaborare anche con la Galup, azienda pinerolese nota per i suoi panettoni e in fase di grande rilancio dopo la sua acquisizione da parte del cuneese Giuseppe Bernocco (il fatturato 2017 dovrebbe essere di sette milioni e l'obiettivo di raggiungere i 12 entro quattro anni).
Edoardo Cavagnino, poco più che trentenne, è entrato nell'impresa dieci anni fa, pochi mesi prima di laurearsi in Economia. La sua famiglia mantiene la maggioranza del capitale della Gelati Pepino anche dopo l'ingresso di una cordata di professionisti torinesi, tra i quali spicca Alberto Mangiantini, diventato l'amministratore delegato.
Edoardo Cavagnino, presidente Gelati Pepino

 MANITALIDEA, SIMIC, SUCCESSORI REDA, MTC – Dopo aver analizzato i bilanci di 5.235 società italiane e averne individuato le più performanti, la Ceccarelli (consulenza di direzione) ha scelto i 14 “campioni della produttività”, premiati pochi giorni fa a Milano, con l'Economia del Corriere della Sera come media partner dell'iniziativa.
Tra le magnifiche 14, tre sono piemontesi: Manitalidea di Ivrea (solution provider per faciliy management, 5.257 dipendenti, fatturato di oltre 315 milioni); la cuneese Simic di Camerana (componenti e apparecchiature, montaggio e manutenzione di impianti industriali, oltre 300 dipendenti, fatturato di 112 milioni) e la biellese Successori Reda di Valle Mosso (origini nel 1865, lanificio specializzato nella produzione di tessuti pregiati, di altissima qualità; fatturato di oltre 90 milioni).
Mct, il cui marchio è MovitexLab, è stata fondata nel 1998, da Paolo Pollacino, imprenditore con la passione dei Rally, a Torino, da dove si poi sposta ad Avigliana. Si occupa di test sui materiali e di prove distruttive, principalmente per il settore automotive. E' una delle poche aziende al mondo a garantire i risultati delle prove entro 24 ore dall'arrivo del pezzo da analizzare. Per rendere l'idea della velocità dell'operato di MovitexLab, Elisabetta Ruffino, responsabile marketing e comunicazione, usa la metafora del “pit stop” in Formula 1. Quest'impresa vanta una grande e innovativa cura del personale.

Vendite auto, Imperia ultima

Imperia fanalino di coda del Nord Ovest, per le vendite di auto nuove nel mese appena passato. La provincia dell'estremo Ponente ligure ha fatto registrare, in settembre, 311 nuove immatricolazioni al Pra, meno di tutte le altre delle nostre tre regioni. Più che a Imperia sono state comprate vetture nuove anche nella provincia di Verbania (356) e di Vercelli (368). Il Pra di La Spezia ha avuto 492 nuove immatricolazioni e 561 quello di Savona.
 Nella provincia di Genova le auto nuove acquistate in settembre sono risultate 1.550, nove in più rispetto a Cuneo; ma meno della metà di quelle di Aosta (3.689), che, però, non può essere messa a confronto, per via delle agevolazioni fiscali che concede.
 In tutta la Liguria, comunque, nel mese passato, sono state vendute 2.914 auto nuove, che, con le 19.843 del Piemonte e le 3.689 della Valle d'Aosta portano a 26.446 il totale del Nord Ovest. Se poi si aggiungono le nuove immatricolazioni registrate dall'inizio di gennaio alla fine di agosto, la somma dal primo giorno dell'anno all'ultimo di settembre diventa di 248.211: in particolare, 26.469 in Liguria, 45.096 in Valle d'Aosta e 176.646 in Piemonte.
A proposito della regione subalpina, l'Unrae, l'unione nazionale delle Case estere operanti in Italia, indica che, in settembre, le consegne di auto nuove ai rispettivi compratori sono state 14.447 nella provincia di Torino (più che in qualsiasi altra provincia del nostro Paese, comprese Milano, 9.803, e Roma, 11.199).
Ed ecco i dati relativi alle altre province piemontesi, in ordine decrescente: Cuneo 1.541, Alessandia 1.050 ad Alessandria, Novara 1.010, Asti 559, Biella 512, Vercelli 368 e Verbania 356.
In tutta l'Italia le vendite di auto nuove sono state 166.956 in settembre (8,1% rispetto allo stesso mese dell'anno scorso) e 1.533.710 nei primi nove mesi (+9%).
Concludendo con la provincia di Imperia, la disaggregazione Unrae evidenzia che l'Alfa Romeo, la Jaguar, la Porsche, Skoda e la Suzuki hanno avuto, ciascuna, un unico cliente; nessuno, invece, Maserati, Mazda, Mitsubishi e Ssanggyong. Due Seat e Volvo, tre Land Rover e Mini. Al contrario, a vendere più vetture nuove sono state: Fiat (55), Ford (30), Toyota-Lexus (28), Renault (26) e Suzuki (20). Peugeot ne ha consegnate 17, Citroen 16, Mercedes 14, Kia 12, Jeep e Volkswagen 10.

Il virus delle fondazioni minori

Tanti pensano che certi problemi di competitività, efficienza, redditività, solidità e persino sopravvivenza di una persona giuridica, quale un'azienda, un ente, una banca, possano essere risolti con la formula dell'aggregazione, della fusione, insomma della crescita dimensionale.
Fra gli altri, la pensano così molti regolatori pubblici e decisori del sistema bancario e finanziario, molti top manager e grandi imprenditori, come molti economisti, analisti, consulenti internazionali.
Insomma è vastissima la platea dei sostenitori del “grande è bello” e, periodicamente, s'ingrossa. Favorita anche dal piacere del dirigismo, tentazione sempre fortissima, in particolare tra politici, alti burocrati, sindacalisti e rappresentanti di categorie.
Da un paio di decenni, è il sistema bancario a subire l'attacco, forse più forte, dei propugnatori del “grande è bello”. Con risultati assolutamente positivi per loro, i propugnatori. E' impressionante il numero delle banche scomparse e il fenomeno continua.
E, forse, anche sulla base dei “successi” ottenuti, dai dirigisti, nel sistema bancario, oltre che per le indubbie difficoltà emerse ed emergenti nel settore, c'è chi ritiene che la soluzione del “grande è bello o, comunque meglio,meglio” andrebbe adottata anche per le Fob, le Fondazioni di origine bancaria. Le premesse sono già state poste con il protocollo d'intesa Acri-Mef, firmato il 22 aprile del 2015, dall'inossidabile e potente Giuseppe Guzzetti, presidente dell'Associazione italiana delle Fob e delle Casse di Risparmio, e da Pier Paolo Padoan, ministro dell'Economia e delle Finanze (Mef).
Infatti, l'articolo 12, il penultimo del Protocollo recita, testualmente: “1. Le Fondazioni perseguono l'efficienza e l'economicità della gestione, valutando il ricorso a forme di cooperazione e di aggregazione per il perseguimento di obiettivi comuni. 2. Le Fondazioni che per le loro ridotte dimensioni patrimoniali non riescono a raggiungere una capacità tecnica, erogativa e operativa adeguata, attivano forme di collaborazione per gestire, in comune, attività operative, ovvero procedono a fusioni tra Enti”.
Cooperazione, aggregazioni, collaborazione, fusioni. Ecco le parole “magiche” che aprono le porte alla possibile ristrutturazione del sistema delle Fondazioni di origine bancaria.
Però, a questo punto, sembra opportuno almeno ricordare che non sono le dimensioni ad assicurare e garantire l'efficienza, l'economicità della gestione, la capacità tecnica, erogativa e operativa adeguata delle Fondazioni di origine bancaria, come non lo sono per le banche, le imprese, gli enti.

A garantire tutto questo sono le capacità e le qualità degli amministratori della persona giuridica, il suo vertice, le persone alla guida. Lo dimostrano tante banche piccole, tantissime pmi, una marea di ditte artigiane e commerciali, di studi professionali e anche di enti. Il bravo amministratore risolve i problemi, trovando la soluzione per ognuno, sempre ispirato dai principi del buon padre di famiglia, senza cedere alle mode, alle tentazioni dei consulenti interessati, alla ricerca del consenso facile.
Giuseppe Guzzetti, presidente Acri


Borsa: 3 nuovi record e Reply diluisce

Record borsistici, nella prima seduta borsistica di ottobre, per tre società del Nord Ovest. Record addirittura storici, almeno finora, per due: Fca-Fiat Chrysler Automobiles e per Diasorin. Record annuale, invece, per Centrale del Latte d'Italia, l'ex Centrale del Latte di Torino.
Luigi Luzzati, presidente Centrale del Latte d'Italia
L'ultimo prezzo dell'azione della Centrale del Latte d'Italia è stato di 3,628 euro, il 7,34% in più rispetto alla chiusura di venerdì scorso e, appunto, il più alto dall'inizio dell'anno. Il maggior prezzo precedente – 3,27 euro - era stato segnato il 3 gennaio.
Il rialzo dell'azione della Centrale del Latte d'Italia è ancora più significativo se si tiene conto che a metà aprile il titolo era precipitato a 2,70 euro, minimo del 2017. Però, va anche rilevato che l'azione della Centrale del Latte è ancora lontana dagli oltre 5 euro del marzo 2104. Così che risulta di 46,5 milioni la capitalizzazione attuale della società torinese, partecipata anche dal Comune del capoluogo piemontese, che però ha già manifestato l'intenzione di vendere.
Quanto a Diasorin, la multinazionale italiana attiva nel mercato delle biotecnologie e leader nel comparto della diagnostica in vitro, ha fatto registrare il suo nuovo primato borsistico con l'azione a 76,50 euro (+1,39% rispetto a venerdì scorso). L'ascesa dell'azione Diasorin dura da molto e sembra irrefrenabile. Prima della fine di gennaio, valeva ancora 53,7 euro.
Ora, la società di Saluggia (Vercelli), che ha al vertice Gustavo Denegri e suo figlio Michele, rispettivamente presidente e vice presidente, insieme con Carlo Rosa, amministratore delegato, viene valutata dal mercato 4,2 miliardi. Principale azionista, con poco meno del 45% del capitale, è la Finde della famiglia Denegri e il numero uno operativo, Carlo Rosa, ha poco più dell'8,5%.
Fca. Il 12 gennaio di quest'anno, a Piazza Affari, l'azione Fiat Chrysler Automobiles ha chiuso le contrattazioni a 8,29 euro, oggi a 15,29, ancora lo 0,86% in più dell'ultima seduta precedente. Nonostante che Sergio Marchionne, il gran pilota della multinazionale controllata dalla famiglia Agnelli-Elkann-Nasi, abbia dichiarato che lo spin-off di Magneti Marelli non si farà prima del 2018 e che gli scorpori di Maserati e Alfa Romeo, se si faranno, si faranno ancora più in lata. Rinvio a data da destinarsi. E' vero, però, che le vendite del gruppo continuano ad andare bene e, soprattutto, non si spengono le voci di una possibile grande aggregazione, magari con il colosso sudcoreano Hyundai-Kia.
In ogni caso, la capitalizzazione di Fca è salita a 23,088 miliardi e il titolo evidenzia una performance semestrale che sfiora il 50% e una performance annuale del 171,75%.
Un'ultima notizia su un'altra regina piemontese di Piazza Affari: Reply, che oggi ha chiuso a 208,6 euro (+2,56) e con la capitalizzazione di quasi 1,9 miliardi, ha comunicato che Alika Srl (holding della famiglia Rizzante che controlla Reply) ha avviato la cessione fino al massimo di 718.000 azioni, corrispondenti a circa il 7,7% del capitale sociale, attraverso la procedura di accelerated bookbuilding riservata a investitori istituzionali.
Il presidente Mario Rizzante, che guida l'impresa torinese con la figlia Tatiana, ha ribadito che “con l'operazione di oggi, e a seguito di sollecitazione da parte degli investitori di mercato, l'azionista di controllo contribuisce all'obiettivo di incremento della liquidità del titolo Reply, pur mantenendo immutato il proprio impegno nei confronti della società e dei suoi stakeholder”.


Sotto i riflettori

GIOVANNI QUAGLIA – Il posto d'onore, nella lista dei protagonisti di questi giorni, non può essere assegnato che a Giovanni Quaglia, in funzione della rinascita delle Ogr, Officine che hanno rappresentato una parte importante della storia industriale di Torino (in questo grande complesso, in piena città, a fianco del vecchio carcere e vicino al Politecnico, si riparavano locomotive e vagoni ferroviari) e che adesso diventano un centro propulsore di arte contemporanea e di cultura, di innovazione, di start up e persino di enogastronomia di eccellenza.
Tutto merito della Fondazione Crt, di cui è presidente Giovanni Quaglia. Per la trasformazione delle Ogr-Officine Grandi Riparazioni, la Fondazione Crt, promotrice del progetto, la cui realizzazione ha comportato lavori per mille giorni, ha investito cento milioni di euro e ha superato non pochi ostacoli.
Giovanni Quaglia, 70 anni il prossimo 20 ottobre, cuneese di Genola, comune di cui è stato sindaco per 12 anni, prima di diventare presidente della Provincia, è docente a contratto di Economia e direzione delle imprese all'Università di Torino, dove si è laureato in Lettere moderne e dove abita da qualche tempo, revisore ufficiale dei conti, giornalista pubblicista, fra l'altro, è presidente dell'Autostrada Torino-Savona, società del gruppo Gavio come la Sias, di cui è consigliere di amministrazione.
Il suo curriculum è impressionante. Numerosissimi i suoi incarichi, fra i quali, in passato, anche quello di consigliere di amministrazione di Unicredit. E' commendatore e grande ufficiale della Repubblica, cavaliere di Gran Croce, commendatore dell'Ordine di San Gregorio Magno (nomina del Papa Giovanni Paolo II) e Medaglia d'oro ministeriale per meriti nel settore della cultura, dell'arte e dell'istruzione.
Giovanni Quagli, presidente Fondazione Crt
PATRIZIA SANDRETTO – A proposito di arte contemporanea, fondazioni e ristrutturazioni di vecchi complessi, viene spontaneo evocare immediatamente Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, la presidentessa dell'omonima Fondazione torinese, da anni alla ribalta internazionale. Patrizia Sandretto, moglie di Agostino Re Rebaudengo, ha appena comunicato che, nel 2019, sarà inaugurata la Fundacion Sandretto Re Rebaudengo di Madrid, collocata nell'antico mattatoio della capitale, il Matadero, trasformato in nuovo polo culturale e artistico.
Alla presentazione della nuova iniziativa di Patrizia Sandretto, a Madrid, hanno partecipato anche le sindache della capitale spagnola e del capoluogo piemontese, rispettivamente Manuela Castrillo e Chiara Appendino.
La tappa spagnola è la terza del percorso artistico-imprenditoriale di Patrizia Sandretto, che vent'anni fa ha aperto lo spazio di Guarene, ora destinato a residenza di artisti, e, nel 2002, la sede espositiva di via Modane, a Torino, che ospita mostre e manifestazioni di grande rilievo e prestigio, mentre, precedentemente, era stata una fabbrica di cerchioni, poi rimasta abbandonata per anni.
Laureata in Economia e commercio, Patrizia Sandretto ha coltivato la passione per il collezionismo fin da bambina e per l'arte poco dopo. L'amore per l'arte è cresciuto progressivamente, anche grazie a varie esperienze all'estero, nelle principali capitali di produzione artistica. Ed è diventata una delle maggiori esperte, come conferma, fra l'altro, che è stata una delle prime acquirenti di opere di Cattalan.
L'omonima Fondazione presieduta da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo diffonde e promuove l'arte contemporanea, cercando di avvicinare un pubblico sempre più ampio, anche tramite corsi per adulti e famiglie, nonché con laboratori per studenti. Un modello che verrà replicato a Madrid.
Patrizia Sandretto, presidente Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
LICIA MATTIOLI – Regina del gioiello italiano, Licia Mattioli. Fra l'altro vice presidente di Confindustria e della Compagnia di San Paolo, consigliera di amministrazione della Sias (gruppo Gavio) e della Pininfarina, Licia Mattioli è l'amministratore delegato della Mattioli, impresa della quale è proprietaria con il padre Luciano, presidente. Nata nel 2013 dallo spin off di una piccola parte dell'Antica Ditta Marchisio, venduta dai Mattioli al gruppo Richmond, la Mattioli è passata da una ventina di addetti di allora ai 150 del 2017, il cui esercizio dovrebbe chiudersi con un fatturato intorno ai 38 milioni di euro, per l'80% derivati dalle vendite all'estero, in una trentina di Paesi.
Recentemente, la Mattioli ha rilevato la maggioranza di una ditta orafa di Valenza (Alessandria), distretto che, nel primo semestre di quest'anno, ha fatto registrare un incremento del 39,5% delle esportazioni, tasso inferiore soltanto al 164,6% di Torino, record nazionale al quale ha contribuito certamente il successo della Mattioli. Nel 2016, Torino ha esportato oreficeria e gioielleria per 39,2 milioni, il distretto di Valenza per 1,549 miliardi, cifra inferiore soltanto a quella di Arezzo (1,815 miliardi), ma superiore ai 1,344 miliardi del distretto di Vicenza. L'export di tutta l'Italia è stato di 6,2 miliardi nel 2016, quando il fatturato del settore è ammontato a 7,8 miliardi.
Licia Mattioli è stata la prima donna a essere eletta presidente sia di Fedeorafi sia dell'Unione Industriale di Torino, rispettivamente nel 2011 e nel 2012. Nel 2010 ha ricevuto la Mela d'Oro della Fondazione Bellisario, per le sue capacità imprenditoriali. Torinesissima anche se nata a Napoli (nel '67), Licia Mattioli, sposata, due figli (Gea e Gregorio), è anche iscritta all'Albo degli avvocati.
Licia Mattioli, amministratore delegato Mattioli Spa
STEFANO AMBROSINI – Le brevissime presidenze prima di Veneto Banca, ora in liquidazione, poi della Bim-Banca Intermobiliare, in vendita, sembravano aver frenato l'irresistibile ascesa di Stefano Ambrosini, torinese dal lunghissimo curriculum nonostante l'età (è nato nel 1969). Invece, Stefano Ambrosini è tornato alla ribalta con la recente nomina a presidente di Finpiemonte, il braccio finanziario e operativo della Regione governata da Sergio Chiamparino per il sostegno delle imprese locali e dell'economia.
Finpiemonte, da poco autorizzata a svolgere l'attività bancaria, nel programma di Ambrosini sarà una “leva di politica industriale, strategica per l'area”. Grazie ai finanziamenti che è in grado di erogare (già 1,2 miliardi di euro dal 2013, a beneficio di circa 9.500 soggetti imprenditoriali). Un centinaio di dipendenti, partecipazioni in parchi scientifici e tecnologici, in incubatori e nella Fondazione per l'Ict, Finpiemonte al 31 dicembre aveva impieghi in essere per 2,4 miliardi.
Avvocato civilista dal 1995, giurista, professore ordinario di Diritto commerciale all'Università del Piemonte Orientale, dove insegna Diritto fallimentare e Diritto bancario, Stefano Ambrosini ha gestito oltre 30 amministrazioni straordinarie e liquidazioni coatte e più di 50 concordati preventivi. E' stato o è commissario straordinario anche di Alitalia, della Bertone, della Tirrenia, della Fondazione Maugeri, della Porto di Imperia, della Fashion (Burani). Ha fatto parte di comitati tecnici ministeriali, del Consiglio generale della Compagnia di San Paolo. Ha presieduto Eurofidi, allora maggiore consorzio fidi d'Italia, ma ora in liquidazione. Autore di oltre 100 saggi giuridici, è pure direttore della collana Zanichelli dedicata al Diritto fallimentare.
Stefano Ambrosini, presidente Finpiemonte
PAOLO PICCINI – Appena nominato al vertice operativo di un ente strumentale regionale è anche Paolo Piccini, neo amministratore unico di Liguria Digitale, società pubblica che ha la missione di sviluppare la strategia digitale della Regione Liguria e degli altri soci, per i cittadini e la Pubblica amministrazione. Ex Datasiel, Liguria Digitale garantisce soluzioni e infrastrutture tecnologiche avanzate e di qualità. Conta 410 dipendenti e nel 2016 ha avuto un fatturato netto di 40,3 milioni (38,2 nel 2015). Al 31 dicembre, il suo patrimonio netto ammontava a 10,7 milioni.
A Paolo Piccini, subentrato a Marco Bucci, dimessosi prima di diventare sindaco di Genova, il comando di Liguria Digitale è stato affidato da Giovanni Toti, il dinamico e potente governatore della Regione.
Nato sotto la Lanterna, nel dicembre del 1960, Paolo Piccini, sposato, cinque figli, si è laureato in Ingegneria elettronica nel 1985, a Genova, ma ha studiato anche alla Columbia University di New York. Dirigente d'azienda, ha in curriculum trent'anni di esperienza nel settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, della difesa e della sicurezza in multinazionali dell'hight tech come Olivetti, Marconi e nel gruppo Leonardo (ex Finmeccanica), dove ha ricoperto incarichi di rilevante responsabilità fino al 2014. In seguito, a Roma, con altri partner, ha fondato Brightlink, società digitale.
Paolo Piccini, amministratore unico Liguria Digitale

Mappa dei peggiori pagatori pubblici

Ne esce maluccio, il Nord Ovest, da un nuovo studio sui ritardi dei pagamenti dei fornitori da parte degli enti pubblici. Tant'è vero che l'onore è salvato soltanto da due piccoli comuni piemontesi, gli unici soggetti a figurare in una delle tre classifiche nazionali relative ai venti migliori pagatori; mentre sette si trovano nelle graduatorie che comprendono i venti maggiori ritardatari.
Lo studio in questione è appena stato pubblicato dalla Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di imprese, che, fra l'altro, se l'è presa anche con Equitalia, accusata di predicare bene e razzolare male: “Quando era chiamata a riscuotere – ha scritto la Cgia – non guardava in faccia nessuno. Nei confronti dei contribuenti era rigorosa, inflessibile e non ammetteva alcuna giustificazione. Per contro, quando doveva onorare gli impegni contrattuali sottoscritti, almeno alla luce di quanto è accaduto nel 2016, questa precisione e meticolosità nel rispettare le scadenze sfumavano, al punto che liquidava i propri fornitori oltre i termini di legge”.
Nel 2016, Equitalia ha pagato con 13 giorni di ritardo, medi ponderati, rispetto ai 30 giorni che la legge prevede come termine entro il quale le amministrazioni pubbliche devono saldare le fatture. L'Inps ha ritardato di 29 giorni, mediamente. E tanti altri enti, ministeri compresi, hanno fatto ancora peggio, molto peggio.
Comunque, tornando al Nord Ovest, il gol della bandiera l'hanno segnato i piccoli comuni piemontesi di Oldenico (Vercelli) e di Germagno (Verbania): entrambi con poco più di 200 abitanti, l'anno scorso, si sono piazzati tra i primi venti migliori pagatori della categoria. Oldenico ha saldato le fatture dei fornitori addirittura con 28 giorni di anticipo rispetto al limite previsto dalla legge, ottenendo così la medaglia di bronzo, a pari merito con due municipi lombardi (l'oro è andato al comune sardo di Lunamatrona e l'argento ad Aiello del Friuli: il primo ha pagato con un anticipo di 30 giorni rispetto alla scadenza e il secondo con 29 giorni).
Proprio Verbania, invece, è risultata in testa alla graduatoria italiana delle province che, nel 2016, hanno pagato i fornitori con i maggiori ritardi: quello attribuito a Verbania è stato di 175 giorni, ancora più di Ascoli Piceno, seconda con 111 e i 94 di Benevento, terza.
Le altre province del Nord Ovest entrate nella classifica dei venti peggiori pagatori sono: la Spezia, quarta con 69 giorni di ritardo, la Città Metropolitana di Torino, decima con 49 giorni, Alessandria dodicesima con 46 e Asti diciasettesima con 35. Nessuna tra le venti che hanno pagato in anticipo.
Per quanto riguarda gli enti della sanità pubblica, situazione analoga alla precedente: nessuna Asl o Usl o soggetto simile di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, tra i primi 20 enti del Servizio sanitario nazionale che hanno pagato i fornitori in anticipo rispetto alla scadenza prevista dalla legge; mentre tre sono tra i venti con i maggiori ritardi.
Si tratta dell'Azienda ospedaliero-universitaria Maggiore della Carità (Novara), ottava a livello italiano per i suoi 100 giorni di ritardo, l'Asl della provincia di Biella, diciasettesima per i suoi 65 giorni e l'Asl Torino 3, ventesima per i 56 giorni.

Lo studio della Cgia di Mestre non comprende le Regioni, “per l'impossibilità di realizzare un confronta a causa della mancanza di dati omogenei”.

Rischio usura, tante richieste d'aiuto

Altre 700. Tante sono le richieste di aiuto già pervenute alla Scialuppa Crt Onlus – Fondazione anti usura, dall'inizio di gennaio a oggi, da parte di famiglie di Piemonte e Valle d'Aosta in gravi difficoltà per l'eccessivo indebitamento. Il numero degli sos assume un valore ancora maggiore se si considera che nell'intero 2016 le domande di salvataggio sono state 793, cifra che certamente risulterà superata al 31 dicembre prossimo.
Nei primi nove mesi di quest'anno, la Scialuppa Crt Onlus, presieduta da Ernesto Ramojno (consigliere delegato è Luciana Malatesta) ha deliberato interventi per oltre 2 milioni di euro a favore di soggetti a rischio di usura, mettendoli nelle condizioni non soltanto di cadere nelle grinfie degli strozzina ma anche di rendere di nuovo sostenibile la loro posizione debitoria.
L'intervento materiale della Scialuppa Crt Onlus, infatti, consiste nella concessione della garanzia necessaria perché le banche convenzionate eroghino un nuovo prestito alla persona in difficoltà che, fra l'altro, non avrebbe potuto più ricorrere agli istituti di credito in quanto finita nella lista dei debitori non più affidabili.
Fra l'altro, il nuovo prestito, restituibile con rate che la famiglia può pagare più facilmente sia per il tasso minimo sia per la lunga durata, che le rende sopportabili, viene erogato dopo il pagamento di tutti i debiti precedenti, non pochi dei quali tagliati grazie alle trattative fatte dal volontario della Scialuppa Crt Onlus che si è preso cura della pratica.
L'ente benefico, costituito vent'anni fa dalla Fondazione Crt, finora ha deliberato oltre 2.000 pratiche di finanziamento, ha concesso garanzie per poco meno di 36 milioni di euro e ha dato, sempre in modo del tutto gratuito, poco meno di 13.400 consulenze a famiglie, artigiani e commercianti troppo indebitati e, perciò, a rischio usura.
La Scialuppa Crt Onlus è una delle due fondazioni torinesi anti usura; l'altra è la San Matteo.
Ernesto Ramojno presidente La Scialuppa Crt Onlus

“ANTENNE DI ASCOLTO SULLA RAMPA DI LANCIO”

A proposito, ancora, di enti benefici e volontario, sempre a Torino, è sulla rampa di lancio “Antenne di ascolto”, un nuovo centro di assistenza per “donne e uomini d'impresa in difficoltà” promosso dall'Arcidiocesi e dall'Ucid, l'unione degli imprenditori e dirigenti cattolici.
All'iniziativa hanno già aderito la Commissione regionale dell'Abi (Associazione Bancaria Italiana), la direzione piemontese e valdostana di Equitalia, l'Unione Industriale di Torino, la locale Api (associazione piccole e medie imprese), l'Ascom-Confcommercio, la sezione provinciale della Cna (Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa) e la Confartigianato Imprese di Torino.
La gestione operativa di “Antenne d'ascolto”, che dovrebbe trovare collocazione all'interno della Fondazione Operti, per ora fa capo a Giancarlo Picco, Pierfranco Rivolo e a Roberto Vio, i primi due esponenti dell'Ucid e il terzo dell'Ufficio per la Pastorale del Lavoro.

Volontari che s'impegneranno nell'attività del nuovo centro d'ascolto hanno già seguito dei corsi di formazione, secondo il relativo progetto della psicologa Enrica Gagliardi.  

La Fiorentini "promossa" per il suo boom

Tra le mille pmi europee non quotate in Borsa selezionate, per i loro alti tassi di sviluppo, dalla London Stock Exchange, la società che gestisce anche Piazza Affari, 110 sono italiane e una di queste è la torinese Fiorentini Alimentari, leader nel nostro Paese per le gallette di cereali “soffiati” (mais, riso e non solo).
Questa impresa, le cui origini risalgono al 1918, come rivendita di alimentari esotici, per iniziativa di Leonildo Fiorentini, per una dozzina d'anni, fino al 2016, è cresciuta a due cifre, ininterrottamente, arrivando così a fatturare 80 milioni di euro.
La Fiorentini, che conta oltre 200 dipendenti, ha una vastissima gamma di prodotti, tutti rigorosamente bio, dietetici, senza glutine, certificati, di alta qualità e saporiti, quindi salutistici e macrobiotici. La lista dell'offerta si allunga continuamente e diverse specialità ricevono premi anche all'estero, dove l'azienda è sempre più presente.
A breve, la Fiorentini lancerà uno snack innovativo in monoporzioni che, esordirà nei mercati Esselunga, con la quale l'impresa torinese ha appena raggiunto un accordo per la collocazione privilegiata accanto alle casse, ulteriore riconoscimento della sua affermazione su in notevole sviluppo.
La Fiorentini Alimentari, che possiede al 100% la Birko, società che realizza le specialità della sua controllante commerciale, è presieduta da Roberto Fiorentini, nipote del fondatore, 67 anni, laurea in Economia e commercio, padre di Simona e Fabrizia, già impegnate nell'impresa di famiglia con i rispettivi mariti. Amministratore delegato è la moglie di Roberto Fiorentini, Adriana.
In seguito al costante sviluppo, la Fiorentini Alimentari, che produce anche per altre marche e il cui capitale è tutto in mano all'omonima famiglia, ha dato il via ai lavori di costruzione di un nuovo stabilimento, a Trofarello, nella cintura del capoluogo piemontese. E' previsto un investimento di 30 milioni.
Roberto Fiorentini, presidente Fiorentini Alimentari

Ai raggi X i conti delle Università

Poco meno di 1,1 miliardi di euro. E' la somma dei proventi operativi 2016 (entrate) delle quattro università statali del Nord Ovest, che, insieme, hanno circa 145.000 iscritti e quasi 9.000 dipendenti, la meta dei quali è costituita dal personale dedicato alla didattica e alla ricerca. I quattro atenei sono l'Università e il Politecnico di Torino, l'Università di Genova e l'Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro (Upo).
Il Nord Ovest dispone di altri due atenei, non statali, ma che sono riconosciuti dal Miur, il ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca: l'Università della Valle d'Aosta e l'Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, che ha sede a Pollenzo, nel Cuneese, ed è più conosciuta come l'Università del Gusto, come l'aveva battezzata il suo fondatore, il braidese Carlin Petrini.
Se si facesse un bilancio consolidato degli atenei statali di Piemonte e Liguria, relativamente all'esercizio 2016, riporterebbe, fra l'altro, costi operativi per circa 902 milioni, un risultato netto (utile) di poco inferiore ai 61 milioni, debiti per oltre 217 milioni, a fronte dei quali, però, si troverebbe un patrimonio netto di quasi 940 milioni.
In merito ai proventi operativi, la disaggregazione dei dati mostra che quelli propri – prevalentemente le tasse d'iscrizione e i ricavi conseguenti a ricerche commissionate da soggetti esterni e trasferimenti tecnologici – sono stati pari a 285,5 milioni, mentre sono ammontati a 666,4 milioni i contributi ricevuti dal Miur, nell'esercizio.
Quanto ai costi operativi, quelli dovuti al personale tutto sono stati di 559 milioni, dei quali 442 per docenti e ricercatori. Ha poi sfiorato i 126 milioni la spesa dei quattro atenei per il sostegno dei loro studenti, innanzi tutto con le borse di studio.
L'Università del Nord Ovest più grande è quella di Torino, mentre il Politecnico subalpino può vantare il risultato netto più alto: 42,869 milioni (37,698 nel 2015), a fronte dei 13,184 milioni della Upo (Piemonte Orientale), i neppure due milioni sia dell'Università di Torino(per la precisione 1,931 milioni) sia di quella di Genova (1,862 milioni).
L'Università di Torino, il cui rettore è Gianmaria Ajani, conta poco meno di 70.000 iscritti, 1.174 professori, 742 ricercatori e oltre 1.800 addetti amministrativi. Nel 2016, i suoi proventi sono stati di 448,3 milioni (460,2 nel 2015), di cui 107,8 propri (111,3) e 281,7 rappresentati dai contributi ministeriali (287 milioni nell'esercizio precedente).
I costi operativi dell'ateneo guidato da Ajani, che al 31 dicembre presentava debiti per 131,6 milioni e un patrimonio netto pari a 412,7 milioni, sono stati pari a 425,7 milioni (427,1 nel 2015): 259,2 milioni per il personale tutto (189,1 milioni per quello dedicato alla didattica e alla ricerca) e 56,9 milioni per il sostegno degli studenti.
Politecnico, rettore Marco Gilli: 31.500 iscritti, 693 docenti, 261 ricercatori, 871 amministrativi. Dei proventi 2016, pari a 265 milioni (251 nell'esercizio precedente), 89,7 milioni sono propri (85,4) e 135,5 arrivati dal Miur (133,8). I costi operativi sono rimasti uguali al 2015,cioè sui 208 milioni, 121,3 dei quali dovuti al personale (125,8) e, in particolare, 85,6 milioni a professori più ricercatori (87,1). Le spese di sostegno degli studenti sono salite da 18,2 a 19,9 milioni. I debiti sono scesi da 68,1 a 64,3 milioni, mentre il patrimonio netto è cresciuto da 275,4 a 312,6 milioni.
Upo. L'Università del Piemonte Orientale, il cui rettore è Cesare Emanuel, ha circa 12.000 iscritti, 236 professori, 109 ricercatori e 307 dipendenti tecnico-amministrativi. I suoi proventi operativi sono risultati pari a 89,3 milioni (91 nel 2015), dei quali 19,6 propri (18,8) e 56,3 arrivati dal Miur (56). Il totale dei costi operativi, 74,6 milioni, come nel 2015, è formato dai 43 milioni per il personale, compresi i 32, invariati, per quello dedicato alla didattica e alla ricerca, più gli 11,4 milioni spesi per il sostegno degli studenti, cifra analoga a quella del 2015. Al 31 dicembre, i suoi debiti ammontavano a 4,8 milioni (3,1) e il patrimonio netto a 83,2 milioni (75,7).

Infine l'Università di Genova, che ha al vertice il rettore Paolo Comanducci. Circa 31 iscritti, 785 professori, 470 ricercatori e 1.418 amministrativi. Proventi operativi per 294,8 milioni (298,3 nel 2015), 68,3 dei quali propri (70,3) e 193 di origine Miur (196,2). Totale dei costi operativi: 289,2 milioni (298,2), dei quali 193,6 milioni per il personale (202,4) e, in particolare, 135,3 per quello dedicato alla didattica e alla ricerca (144,3), e 37,6 milioni per il sostegno degli studenti (36,5). Debiti per 16,7 milioni (14,9) e patrimonio netto per 129,2 (127,3 al 31 dicembre del 2015).
Marco Gilli rettore Politecnico

Gianmaria Ajani rettore Università Torino


Paolo Comanducci rettore Università Genova

Cesare Emanuel rettore Upo




Reale Group cresce, Intesa Sanpaolo sfida

“Reale Group chiude un buon primo semestre 2017, con risultati ampiamente positivi e la conferma di una solida capacità di sviluppo redditizio sia in Spagna sia in Italia, malgrado le difficoltà di crescita del mercato interno. E si consolida ulteriormente con l'acquisizione di Uniqa in Italia e il lancio di Reale Chile Seguras sul mercato sudamericano”: questo il commento di Luca Filippone, direttore generale di Reale Mutua, la compagnia a capo dell'omonimo gruppo torinese che conta oltre 3,8 milioni di assicurati e più di 3.600 dipendenti.
Nei primi sei mesi 2017, l'utile netto di pertinenza del Gruppo Reale è stato di 50,5 milioni, in sostanziale continuità con quello del primo semestre dell'anno scorso, nonostante la svalutazione del Fondo Atlante per ulteriore 18 milioni.
La raccolta premi complessiva è cresciuta del 13,2% rispetto al corrispondente periodo 2016, raggiungendo così i 2,085 miliardi; in particolare, la raccolta Vita è aumentata del 27,1% e del 7,9% quella Danni. Il patrimonio netto è salito a 2,460 miliardi dai 2,363 miliardi del 30 giugno 2016.
Tutti questi risultati tengono conto degli impatti derivati sia dall'acquisto delle imprese italiane del gruppo austriaco Uniqa, completato lo scorso maggio, sia dall'avvio dell'operatività della Reale Chile Seguros.

Nello stesso giorno dell'emissione della semestrale di Reale Group, diversi quotidiani hanno pubblicato che Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, mira a far crescere le attività assicurative del Gruppo anche nel ramo Danni, tanto da diventarne uno degli attori principali, in Italia,entro quattro anni e il primo entro i quattro anni successivi. Primo come lo è già nel ramo Vita. “Diventare leader in Italia nel ramo Danni – ha dichiarato Carlo Messina – non è impossibile, come abbiamo già dimostrato nel Vita e nell'asset management”.
Attualmente, le attività assicurative del Gruppo fanno capo a Intesa Sanpaolo Vita, compagnia con sede legale a Torino, presieduta dal piemontese Luigi Maranzana, ex amministratore delegato del glorioso “Sanpaolo”, e guidata da Nicola Maria Fioravanti, amministratore delegato e responsabile della Divisione Insurance di Intesa Sanpaolo..

Nel primo semestre di quest'anno Intesa Sanpaolo Vita ha conseguito un utile netto di 375,3 milioni, e ha registrato una produzione netta Vita pari a 3,666 miliardi. Il suo patrimonio netto è ammontato a 5,520 miliardi.

Nicola Maria Fioravanti, responsabile Insurance Isp
Luca Filippone, direttore generale Reale Mutua 
                                              



Due "casi" liguri: Orsero e Carige

Giornata nera, quella odierna, per il titolo Orsero, uno dei quattro liguri (gli altri sono: Erg, Banca Carige e Boero Bartolomeo, che però ha già avviato le procedure per uscire dal listino di Piazza Affari). L'azione Orsero, infatti, ha chiuso a 10,51 euro, il 15,65% in meno rispetto alla quotazione precedente. L'”orso” ha portato Orsero vicino al minimo del 2017, che è stato di 9,36 euro, segnato il 9 gennaio. Nonostante la caduta di oggi, però, l'azione dell'impresa di Albenga, guidata da Raffaella Orsero (vice presidente e amministratore delegato) mostra un valore ancora superiore del 17,7% a un anno fa.
Il tonfo è sopraggiunto il giorno dopo la comunicazione dei risultati conseguiti nel primo semestre 2017. Dati non tutti positivi. Se, infatti, i ricavi netti sono ammontati a 473 milioni (336,6 nel corrispondente periodo precedente), l'utile netto è stato di 20 milioni (11,4 nel gennaio-giugno dell'anno scorso) e il patrimonio netto è salito a 149,2 milioni dai 116,5 di fine 2016; il margine lordo è sceso da 43,8 a 38,1 milioni e l'indebitamento netto è cresciuto dai 49,1 milioni del 31 dicembre 2016 ai 76,8 milioni del 30 giugno, comprensivi però dei 20,4 milioni spesati per le acquisizioni.

Anche per l'azione ordinaria di Banca Carige le contrattazioni odierne di Borsa si sono chiuse in rosso, dato che l'ultimo prezzo è stato di 0,23 euro (-1,24%). Un risultato che molti hanno ritenuto non negativo in considerazione della notizia, pubblicata con grande evidenza, che la continuità aziendale dell'istituto creditizio genovese potrebbe essere a rischio se il piano di rafforzamento patrimoniale non raggiungerà tutti gli obiettivi.
In risposta alla richiesta di chiarimenti da parte della Consob, infatti, la stessa Banca Carige ha scritto che “qualora anche una sola” delle operazioni di rafforzamento – l'aumento di capitale, la conversione di individuati bond subordinati e vendita di assest - “non si realizzasse in tutto o in parte, i requisiti patrimoniali della Banca potrebbero risultare inferiori a quelli indicati dalla Bce, richiedendo ulteriori misure di rafforzamento patrimoniale, ovvero determinando altri interventi da parte dell'Autorità di Vigilanza”.
In parole povere, è stato paventato il rischio di una fine come quella di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Ipotesi che, tuttavia, giudica non realistica chi conosce a fondo Vittorio Malacalza, diventato il nuovo azionista di riferimento dopo le dismissioni della Fondazione Carige. Per il suo 17,5% di Banca Carige, fino a qualche anno fa sesto gruppo bancario in Italia, Vittorio Malacalza ha investito oltre 230 milioni, che certamente non intende perdere, come succederebbe in caso di liquidazione.
Malacalza è un imprenditore tosto, come ha dimostrato e continua a dimostrare. Volontà e tenacia sono sue caratteristiche. Ha battezzato “Mai domo” la sua barca a vela, tanto per essere chiaro. E soltanto uno così poteva affrontare la sfida Carige, banca certamente non amata da regolatori e vigilanti e banca che, altrettanto certamente, qualcuno voleva finisse in altre mani. E soltanto uno come Malacalza ha potuto resistere e reagire, finora, a tutti gli attacchi, visibili e non.
A questo punto, Malacalza è anche l'ultima speranza per i piccoli azionisti e i detentori delle obbligazioni meno rischiose. Se perderà lui, avranno perso tutti.

Vittorio Malacalza, azionista di riferimento di Banca Carige

Quanto ci prende il fisco ogni anno

Nel nostro Paese, c'è un soggetto che, mese dopo mese, da innumerevoli anni, continua ad aumentare i suoi “ricavi”: è il Fisco, inteso come cassa pubblica dove finiscono gli introiti derivanti da imposte, tasse, tributi, contributi, addizionali, accise e così via. Le prove della crescita progressiva degli incassi fiscali arrivano, puntualmente, ogni trenta giorni, con i dati diramati dal Mef, il ministero dell'Economia e delle Finanze.
Così, l'ultimo rapporto del Mef riferisce che le entrate tributarie e contributive, nei primi sette mesi 2017, sono aumentate di altri 6 miliardi di euro (+1,6% rispetto all'analogo periodo 2016). In particolare, le entrate tributarie sono ammontate a 259,229 miliardi (+1,5) e a 28,625 miliardi (+2,8%) quelle degli enti territoriali (Regioni, Comuni, Province e altri Enti locali); quanto alle entrate contributive (Inps, Inail e gli altri enti previdenziali privatizzati) sono state pari a 129,650 miliardi (+1,7%).
Il totali degli incassi fiscali nei primi sette mesi è di 415,7 miliardi, tale da da far prevedere facilmente che il 2017 si chiuderà con una somma ben superiore ai 732,1 miliardi introitati dal Fisco nell'intero 2016.
Altrettanto prevedibile, perciò, è che risulterà ancora maggiore l'”apporto” finanziario fornito alle Amministrazioni pubbliche da parte dei contribuenti in regola con il Fisco (non tutti gli italiani lo sono). In proposito, la Cgia, associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, ha appena pubblicato uno studio su quanto ha versato, in media, ogni abitante delle diverse regioni, come entrate tributarie alle Amministrazioni centrali e territoriali (dati del 2015, ultimi disponibili).
Così, è emerso che se ogni soggetto italiano (media fatta contando sia le persone fisiche, compresi neonati e ultracentenari, sia le imprese, più gli evasori di entrambe le categorie) ha partecipate alle entrate tributarie per 8.800 euro (nel 2015), il lombardo lo ha fatto per 11.898 euro (primato nazionale) e il calabrese per 5.436 euro, meno di tutti gli altri.
Dal soggetto ligure medio sono arrivati 10.121 euro nelle casse delle Amministrazioni centrali e territoriali, cifra superiore ai 9.590 euro del piemontese e valdostano. La Liguria, pertanto, si è piazzata quinta nella classifica redatta sulla base delle entrate tributarie dal residente medio, mentre sono risultati sesti Piemonte e Valle d'Aosta.
Le tre regioni del Nord Ovest sono state precedute, nell'ordine, da Lazio (10.452 euro), Emilia-Romagna (10.810), Trentino-Alto Adige (11.029) e, appunto, Lombardia. A loro volta, si sono trovate davanti anche a Veneto (9.408 euro), Toscana (9.390) e Friuli-Venezia Giulia (9.311), che chiude la top ten.
Nell'anno d'imposta 2015, le persone fisiche che hanno presentato la dichiarazione dei redditi sono state 40,8 milioni (+0,1% sul 2015), per un totale dichiarato di 833 miliardi (media do 20.690 euro pro-capite). Però, l''82% del reddito complessivo dichiarato è rappresentato dai redditi da lavoro dipendente e da pensione; in particolare, quest'ultimo, vale il 30% del reddito complessivo dichiarato.
Un quadro che autorizza a ritenere attendibili le stime sull'evasione fiscale nel nostro Paese. Una nuova indicazione delle somme sottratte all'Erario arrivata da Unimpresa, secondo la quale l'evasione fiscale in Italia è di circa 87 miliardi all'anno.

La stessa Unimpresa ha calcolato che, negli ultimi dieci anni, l'attività di recupero delle imposte fatta dall'amministrazione ha portato nelle casse dello Stato solo 119,8 miliardi a fronte degli 850 dovuti. Comunque, il recupero è in crescita, come confermano i 19 miliardi incassati nel 2016.