di Gustavo Mola di Nomaglio
Giovanni Agnelli con il nipote Gianni nel 1940 |
Sino ad alcuni anni fa, la mancanza di studi sulle
origini degli Agnelli e sull’esatta collocazione sociale del
fondatore della Fiat ha consentito a vari storici di sbizzarrirsi
nella formulazione di teorie contraddittorie e infondate. La stessa
indisponibilità dell’archivio della celebre famiglia torinese
(forse disperso dopo la morte del senatore, quando la palazzina
che egli abitava a Torino, in Via Giacosa, fu trasformata in sede di
uffici) ha agevolato i sostenitori delle tesi più fantasiose.
Circa i luoghi d’origine, alcuni autori hanno indicato
– citando solo alcune delle ipotesi fatte- Venezia, altri Mantova,
altri ancora Napoli. Qualcuno addirittura ha fatto rimbalzare la
famiglia, nel corso dei secoli, tra tutte queste città, per poi
farla risalire a Chieri e approdare, finalmente, in Val Chisone.
Con riferimento all’estrazione sociale e alla
situazione economica di Giovanni Agnelli, anteriormente alla
fondazione della Fiat, le opinioni sono più uniformi, ma non meno
ingiustificate. Gli studiosi si sono rivelati perlopiù concordi nel
considerarlo o definirlo come un parvenu o un “borghese avido di
salire”.
Nel 1998, un saggio pubblicato dal Centro Studi
Piemontesi, di cui alcuni periodici e quotidiani nazionali hanno
discretamente pubblicizzato le risultanze (Gustavo Mola di Nomaglio,
Gli Agnelli. Storia e genealogia di una grande
famiglia piemontese dal XVI secolo al 1866,
Torino, 1998), ha ricondotto nell’alveo della realtà storica il
percorso genealogico e biografico della famiglia, risalendo nel tempo
sino al secolo XVI.
I luoghi comuni sono però duri a morire.
Conseguentemente le teorie di cui la ricerca d’archivio ha ormai da
tempo dimostrato l’infondatezza hanno continuato ad essere ripetute
su libri e giornali.
Gli Agnelli non sono originari né di Mantova, né di
Venezia, né di Napoli, dove pur sono esistite famiglie omonime, ma
hanno le proprie radici nel cuore del Piemonte. Li troviamo in
Racconigi, verso la metà del Settecento, dove da breve tempo si è
trasferito tal Carlo Antonio Agnello o Agnelli, figlio di Giovanni
Lorenzo, originario di Priero, piccolo borgo non lontano da Ceva.
A Priero, del cognome Agnelli non si riscontra traccia,
ma vi esisteva l’antica famiglia dei Nielli (ovvero de Niello, de
Nielli), che portava un cognome forse riconducibile, alle sue
origini, alla feudalità medievale del cebano e che, da generazioni e
generazioni, faceva parte del notabilato locale, dando al paese
amministratori comunali, sindaci, notai e sacerdoti. Fondate
argomentazioni e l’esame esteso di un fitto intreccio di documenti
d’archivio consentono di congetturare che proprio Niello fu il
primigenio cognome di Carlo Antonio Agnelli, evolutosi, attraverso
varie trascrizioni, nell’attuale forma, di cui si ha una delle
prime attestazioni verso il 1740. Pur in mancanza di prove
inequivocabili, occorre ammettere che gli indizi a favore di
quest’ipotesi sono molto significativi. L’origine in Priero, dove
come si è già accennato, non risulta essere esistita una famiglia
cognominata “Agnelli”, mentre erano numerose quelle denominate de
“Nielli” e “Niello”, è inconfutabilmente documentata. In
Priero si riscontra l’esistenza di un Carlo Antonio Niello, figlio
di un Giovanni Lorenzo, in anni compatibili proprio con quel Carlo
Antonio Agnello o Agnelli, che, in Racconigi (dove il cognome Agnelli
era già presente almeno dal XVI secolo), viene definito originario
di Priero. I nomi di battesimo dei figli di quest’ultimo coincidono
in buona parte con i nomi dei fratelli e del padre di Carlo Antonio
Niello, in misura tale da non poter apparire puramente casuale.
Infine, la stessa assonanza dei lemmi Niello e Agnello,
non soltanto da un punto di vista fonetico, non è di rilevanza
trascurabile: ad esempio, il cognome de Nielli nella forma latina
poteva essere scritto “a Niellis”; lo stesso toponimo Niella
veniva talora tradotto, sia in lingua piemontese, sia francese, con
la voce “Agnel”, creando assonanze che trovano riscontro pure in
altri casi, come accade per l’erba chiamata in italiano “Niella”,
che in piemontese diviene “Aniela” o “Agnela”.
Carlo Antonio Agnello, che sin dal suo arrivo in
Racconigi, attorno al 1743, dimostrava di possedere discrete
disponibilità finanziarie, effettuò qualche acquisto di terre e
iniziò, probabilmente, a interessarsi alla speculazione del baco da
seta, ampiamente diffusa nel Racconigese. Sono degni di nota, in
particolare, quattro dei suoi otto figli: Carlo Francesco diede
origine a una linea di piccoli imprenditori nel campo delle
produzioni seriche, Giuseppe Antonio divenne proprietario di un
filatoio piuttosto importante, Giovanni Bartolomeo costruì in
Torino, con l’attività di fondachiere (commerciante all’ingrosso)
un ingente patrimonio, che lasciò in eredità, nel 1819, ai dodici
figli avuti da due matrimoni.
Di questi meritano di essere ricordati in particolare
Carlo e Marcellino. Il primo si laureò in medicina e, pur in
mancanza di specifiche ricerche idonee a confermarlo in modo
indubitabile, è molto probabile che si debba identificare con quel
Carlo Agnelli fondatore, nel 1847, congiuntamente a Clemente Michel,
Carlo Re ed Eligio Baudino, della “Distilleria nazionale di spirito
di vino all’uso di Francia Michel, Re, Agnelli e Baudino”, dalla
quale derivò, col modificarsi dell’assetto societario e dei soci,
un’azienda celebre nel mondo, la Martini & Rossi.
Marcellino si laureò, invece, in giurisprudenza,
divenendo, nella prima metà del secolo XIX, uno dei principali
avvocati di Torino, membro del “Collegio dei dottori di legge”
dell’Università, “Avvocato Liquidatore presso il Real Senato di
Piemonte” e socio, a fianco di tanti esponenti dell’alta società
torinese, dell’Accademia Filarmonica.
Basterebbero questi personaggi per affermare che, già
nel primo Ottocento (epoca in cui affondano anche le radici delle
tradizioni militari, che saranno sempre care agli Agnelli), la
famiglia appartiene al notabilato; ma il compito di gettare le basi
per raggiungere mete ancora più ambiziose toccò al secondogenito di
Carlo Antonio, Giovanni Lorenzo. Questi fu padre di quindici figli,
il dodicesimo dei quali fu Giuseppe Francesco, nato a Racconigi il 25
giugno 1789, che fu, secondo una tradizione familiare, ufficiale al
seguito di Napoleone, nelle campagne di guerra attraverso l’Europa,
distinguendosi per atti di valore.
Ma a Giuseppe Francesco, che è poi il nonno del
fondatore della Fiat, spetta anche il ruolo di iniziatore di una
sempre più evidente ascesa degli Agnelli. Poco dopo la Restaurazione
egli, residente ormai nella capitale del Regno di Sardegna, figura
tra i banchieri torinesi (occorre precisare che a Torino col termine
“banchiere” erano chiamati certamente coloro che si dedicavano
essenzialmente alle operazioni e negoziazioni di cambio, ma
soprattutto quanti si occupavano della negoziazione delle sete
gregge, spesso finanziando il lavoro dei filatori e occupandosi poi
di smerciare il prodotto, tanto grezzo quanto lavorato, sia
all’interno dello Stato sabaudo, sia sul mercato estero).
Giuseppe Francesco importa e vende spezie all’ingrosso,
ricavandone ampi guadagni, che reinveste comprando tenute e terreni
agricoli e fondando, a Carignano, una moderna raffineria di zucchero
(la “Agnelli, Pelisseri e Compagnia, Raffinatori”), con alta
capacità produttiva, già presente con il proprio “zuccaro in pani
affinato di primo getto” all’esposizione nazionale d’industria
del 1832 e destinataria di un premio in quella del 1838.
Giuseppe Francesco effettua operazioni immobiliari e
fondiarie, dimostrando eccellenti capacità di agricoltore e creando
posti di lavoro in vari campi. Lucrosissima, in particolare, risulta
la compravendita della tenuta Parpaglia (una vasta cascina di quasi
seicento giornate piemontesi, che si estendeva sui territori di
Candiolo e Vinovo) acquistata nel 1840 da Teresa Audifredi. Parpaglia
faceva parte, anticamente, del patrimonio dell’Ordine Mauriziano.
Il banchiere Adriano Audifredi l’aveva comperata nel quadro delle
alienazioni forzate decise in epoca napoleonica, in seguito alla
politica di spoliazione sistematica degli Ordini religiosi e
cavallereschi praticata dagli invasori. Agnelli la pagò 310.000 Lire
e la rivendette dodici anni dopo, in seguito a serrate trattative,
all’Ordine Mauriziano con un grosso guadagno, poiché il Re voleva,
a ogni costo, che fosse reintegrata nella tenuta di caccia di
Stupinigi, per restituirle l’originaria consistenza ed estensione.
Nel 1853 ,grazie alla liquidità derivante dalla
cessione di Parpaglia, Agnelli acquista dai Turinetti di Priero, per
220.000 Lire, la splendida villa di Villar Perosa (da qualcuno
attribuita al Juvarra), con annesse circa 300 giornate di terra,
considerata una tra le più sontuose “villeggiature” del
Piemonte. Tra le mura della villa, nel 1866, nasce Giovanni Agnelli,
circondato da governanti, domestici, giardinieri, certo non un futuro
“arricchito” come qualcuno vorrebbe, ma un uomo che ha alle
spalle, senza nulla togliere ai suoi meriti personali, una solida
situazione finanziaria, idonea ad aprire molte porte e a progettare
nuove imprese.
Giovanni Agnelli senior, anello di congiunzione tra
passato e futuro, è a un tempo l’iniziatore di un ciclo nuovo,
nell’era del capitalismo, e il punto di arrivo, invece, di una
solida famiglia piemontese dell’antico regime, coerente anche in
affari con il rigore che comunemente ai subalpini si attribuiva,
annoverabile, essendo ben documentate le sue intraprese
settecentesche, tra le più antiche dinastie imprenditoriali del Vecchio Continente.