Per chi è stato un buon semestre

E' stato un buon semestre, quello appena passato, per le imprese del Nord Ovest; almeno per quelle grandi e medie, che comunicano i loro risultati e le loro iniziative, comunque obbligo delle società quotate. La prima parte dell'anno è risultata positiva non solo per l'aumento dei ricavi, ma anche per la crescita degli investimenti e delle acquisizioni. Ecco cinque prove.

ITALGAS - L'ultracentenaria società torinese, tornata da poco in Borsa, a livello consolidato, ha registrato ricavi per 565 milioni, dall'inizio di gennaio alla fine di giugno (+9,5% rispetto allo stesso periodo 2016), un utile operativo di 204 (+14,6%) e un utile netto di 140 (+23,1%). E ha fatto investimenti tecnici per 243 milioni, che, secondo i piani, diventeranno circa 500 entro il 31 dicembre. Il 50% della somma già spesa è stato finalizzato alla sostituzione di 800.000 contatori tradizionali con quelli elettronici, che ormai sono più di 2 milioni sui 7,4 milioni attivi. Il tutto senza aggravare l'indebitamento netto, rimasto sotto i 3,7 miliardi.
L'Italgas, che ha come amministratore delegato Paolo Gallo e direttore generale Antonio Paccioretti, come gruppo dispone di 1.581 concessioni e di una rete distributiva di oltre 65.000 chilometri. Dal suo consiglio di amministrazione si è dimessa, il 20 luglio, Barbara Borra, torinese, laurea in Ingegneria chimica al "Poli"e un Mba all'Insead.

REPLY - Altra quotata torinese ed altra eccellenza nazionale. L'impresa dei Rizzante ha chiuso il primo semestre 2017 con un fatturato consolidato di 441,6 milioni (+14,3%) e un utile netto di 35,7 a fronte dei 30,1 del corrispondente periodo dell'anno scorso. Inoltre, ha migliorato la sua posizione finanziaria netta, positiva per 35,3 milioni (23,3 a fine giugno 2016) e ha incrementato il suo patrimonio netto da 337,5 a 360,3 milioni. "Risultati estremamente positivi sia per i ricavi sia per la marginalità" ha commentato il presidente e amministratore delegato Mario Rizzante, manifestando l'impegno del gruppo sulla "nuova frontiera, rappresentata dall'artificial intelligence e dal machine learning, tecnologie che tutti i settori industriali stanno introducendo e sulle quali Reply sta investendo significativamente, in soluzioni e competenze specifiche, per affiancare le aziende in quella che sarà la più profonda trasformazione nei prossimi anni".
Reply, costituita da un modello a rete dio aziende altamente specializzate, è specializzata nella progettazione e implementazione di soluzioni basate sui nuovi canali di comunicazione digitali. Nella guida dell'impresa, il fondatore Mario Rizzante è affiancato dalla figlia Tatiana, amministratore delegato anche lei, e dal figlio Filippo, consigliere di amministrazione con incarichi operativi.

ORSERO - Entrata nel listino Aim di Piazza Affari a metà di febbraio 2017, la Orsero, fondata oltre 50 anni fa dall'omonima famiglia di Albenga, comune savonese dove mantiene la sede operativa, è tra i principali operatori europei nel settore delle importazioni e della distribuzione di prodotti ortofrutticoli (nel 2016 ha fatturato 685 milioni di euro a livello di gruppo, che conta venti stabilimenti e oltre mille dipendenti). In questi ultimi mesi, Orsero ha rafforzato la sua posizione continentale con due acquisizioni: ha rilevato il 50% sia della spagnola Hermanos Fernandez Lopez, secondo maggior distributore di frutta e verdura fresca nel Paese iberico (ricavi per 181 milioni nel 2016) sia della Fruttital Firenze (ricavi 2016 per 41 milioni) sia della Galandi (28,4 milioni); tre società delle quali il gruppo savonese già possedeva l'altro 50% e delle quali, pertanto, è diventato l'unico azionista. Le tre operazioni comportano un esborso vicino ai 35 milioni.
Anche in seguito alla vendita della sua partecipazione nell'omonima società spagnola, il gruppo Fernandez avrà il 6,45% del capitale della Orsero, di cui sarà il secondo maggiore azionista, mentre il primo resta Fip Holding, con circa il 40% dei diritti di voto. Orsero ha riferito che farà fronte ai nuovi impegni con mezzi propri, ma, comunque, sta negoziando un finanziamento a medio-lungo ternine con un pool di banche,
Al vertice della Orsero sono Paolo Prudenziati (presidente, amministratore delegato e responsabile commerciale), Raffaella Orsero (vice presidente, amministratore delegato e direttore generale) e Matteo Colombini (amministratore delegato e responsabile finanziario).

UNOGAS ENERGIA - Un altro gruppo del Ponente Ligure che ha appena fatto un'acquisizione è Unogas Energia, il quale ha rilevato il 51% della Eng, start up di Rovigo finalizzata allo sviluppo di servizi di efficienza energetica nel settore bancario, nei centri commerciali e nelle strutture alberghiere. L'acquisizione è stata fatta attraverso Unogas Tech, controllata che opera nel settore dell'impiantistica e e dei servizi energetici. Unogas Tech è una delle diverse società del gruppo Unogas Energia, nato ad Arma di Taggia (Imperia), dove ha la sede operativa.
Unogas Energia conta 240 dipendenti e prevede di chiudere l'esercizio 2016-2017 con un fatturato consolidato di 610 milioni, superiore del 3% a quello dell'esercizio precedente, quando aveva 110.00 utenze attive in 2.500 comuni, vendendo 765 milioni di metri cubi di gas e oltre mille gigawattora di energia elettrica. Fra l'altro, ha da poco aperto suoi nuovi punti a Fossano, Vercelli e Novara.
Fra le prime società a ottenere l'autorizzazione a vendere gas naturale in tutta l'Italia, dopo la liberalizzazione del 2003, Unogas Energia è presieduta dall'imprenditore locale Walter Lagorio e ha come amministratore delegato Fabio De Martini.

VITTORIA ASSICURAZIONI - Nuovo passo avanti della Vittoria Assicurazioni, la compagnia che fa capo alla famiglia torinese Acutis. Nel primo semestre 2017, il gruppo ha contabilizzato premi complessivi per 646,6 milioni (+2,3% rispetto allo stesso periodo 2016), dei quali 560,9 come lavoro diretto nei rami danni (+4,5%) e 85,7 nei rami vita (-10,1%). L'utile netto consolidato è stato di 41 milioni (-5,4% al netto dei proventi straordinari realizzati nel primo semestre dell'anno passato). Il patrimonio netto del gruppo è salito a 766,8 milioni (+2,8% rispetto al 31 dicembre 2016).
La Vittoria Assicurazioni, quotata a Milano, ha come azionista di maggioranza assoluta, con quasi il 60% del capitale, attraverso le società Vittoria Capital e Yafa Holdin, il presidente onorario Carlo Acutis, il cui figlio Andrea è il presidente operativo, mentre la figlia Adriana è consigliere di amministrazione. Vice presidente è Roberto Guarena e amministratore delegato Cesare Cardarelli.

Numeri italiani 3

IRPEF - Nel 2016, gli italiani hanno dichiarato al Fisco redditi 2015 pari a 832,9 miliardi imponibili ai fini Irpef. Oltre la metà di questa somma è stata erogata dallo Stato: circa 130 miliardi come stipendi ai dipendenti della Pubblica amministrazione e 325 miliardi come pensioni, prestazioni assistenziali, sostegno al reddito e rendite Inail. Quanto ai versamenti, i contribuenti hanno pagato effettivamente 162,7 miliardi a fonte dei 171,7 che avrebbero dovuto, perché oltre 11,1 milioni di dichiaranti, il 27,3%, hanno beneficiato del bonus Renzi, complessivamente per poco meno di 9 miliardi.
Per l'Irpef, nel 2015, i lavoratori dipendenti hanno versato 94 miliardi (56,7%), i pensionati 59,6 miliardi (34,7%) e gli autonomi 9,4 miliardi (5,5%). I lavoratori dipendenti sono circa 17 milioni, ma rappresentano il 54% dei contribuenti che hanno dichiarato redditi positivi. I pensionati sono 16,19 milioni, ma scende a 14,77 milioni il numero di quanti hanno fatto la dichiarazione dei redditi e a 11,48 milioni quelli che hanno pagato almeno un euro di imposte. Infine gli autonomi: i dichiaranti sono risultati 5,11 milioni, però meno di 2,6 milioni hanno presentato redditi positivi. In sostanza, oltre la metà degli italiani non ha redditi imponibili.

I POVERI DELL'ISTAT - L'Istat, l'istituto nazionale di statistica, ha comunicato che stima in 1,619 milioni le famiglie residenti in Italia in condizioni di povertà assoluta nel 2016, famiglie composte complessivamente da 4,742 milioni di individui. Secondo l'Istat, perciò, l'anno scorso, nel nostro Paese si trovavano in povertà assoluta il 6,3% delle famiglie e il 7,9% degli individui. Rispetto al 2015, sono lievemente maggiori sia i numeri assoluti sia le percentuali e ancora un po' di più rispetto al 2013 (5,7% le famiglie in povertà assoluta, allora). Negli ultimi tre anni, dunque, la povertà assoluta è aumentata, come quella relativa.
L'Istat precisa che "L'incidenza della povertà assoluta è calcolata sulla base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. Sono considerate come assolutamente povere, pertanto, le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia, la quale si differenzia per dimensione e composizione, per età della famiglia, per ripartizione geografica e per ampiezza demografica del comune di residenza".

FARMACEUTICA - Poco considerata, ma sempre più rilevante per l'economia e la salute degli italiani: è l'industria farmaceutica nazionale, che nel 2016 ha fatto registrare un valore della produzione superiore ai 30 miliardi, il 2,3% in più rispetto al 2015 e circa 5 miliardi più che nel 2010. Da allora le sue esportazioni sono aumentate del 52%, da 13,973 miliardi a 21,282, e il trend è continuato nei primi quattro mesi di quest'anno, con la crescita del 14% delle vendite all'estero. Si è ancora ridotto, pertanto, il saldo negativo commerciale del settore, a 1,7 miliardi nell'esercizio passato, quando le importazioni sono state pari a 22,863 miliardi.
Nel primo quadrimestre di quest'anno, l'industria farmaceutica italiana ha anche aumentato del 4,7% la produzione e del 2,7% l'occupazione, che a fine 2016 era costituita da 64.000 addetti, dei quali 6.200 impegnati in ricerca e sviluppo. Gli investimenti di questo settore, l'anno scorso, sono ammontati a 2,7 miliardi.

DOVE LO STATO RISPARMIA - L'anno scorso, la spesa dello Stato italiano per pagare gli interessi ai sottoscrittori dei suoi titoli di debito è scesa a 66,5 miliardi, 17 miliardi in meno rispetto al 2012, quando, appunto, era stata di 83,5 miliardi. Grazie ai tassi bassi, per effetto soprattutto della politica monetaria della Bce di Mario Draghi, lo Stato ha cumulato risparmi per 47,5 miliardi nell'ultimo quadriennio. Somma analoga a quella che lo Stato dovrebbe pagare, quest'anno, come cedole sul debito pubblico. L'esborso totale, però, sarà di circa 260 miliardi, perché agli interessi dovrà aggiungere 214 miliardi per il rimborso dei titoli di Stato arrivati a scadenza.
Per far fronte a questo impegno finanziario, nel 2017 l'Italia emetterà nuovi titoli di Stato a medio-lungo termine (escludendo, quindi, i Bot) per un valore d'asta, appunto, intorno ai 260 miliardi, cifra che assegna al nostro Paese il relativo primato nell'Eurozona ed è maggiore di circa 120 miliardi a quella della Germania e di una cinquantina di miliardi a quella della Francia.
Quanto ai rendimenti lordi a scadenza, Banca d'Italia ha precisato che a fine dicembre 2016 erano: 0,152% per i Btp a 3 anni, 0,693% per i Btp a 5 anni, 1,886% per i Btp a 10 anni e 2,987% per i Btp a 30 anni;mentre erano 0,699% per i Cct e 0,035% per i Ctz.

BOOM DEL RISPARMIO GESTITO - Prima parte dell'anno molto favorevole per l'industria del risparmio gestito (fondi comuni d'investimento e gestioni di portafoglio): dall'inizio di gennaio alla fine di giugno, la raccolta netta è stata di 56,5 miliardi, più che doppia rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso (27,5 miliardi). e superiore di un miliardo a quella dell'intero 2016. Nel solo mese passato le sottoscrizioni nette sono ammontate a 8,1 miliardi, confermando il trend positivo e il consolidamento degli oltre 2.000 miliardi di patrimonio gestito (per la precisione, al 30 giugno 2017 è pari a 2.005,6 miliardi.
Principale operatore del settore in Italia è il gruppo Generali, che a fine semestre presenta un patrimonio gestito di oltre 470 miliardi (24% del totale); mentre al secondo posto si trova il gruppo Intesa Sanpaolo con 384,3 miliardi (19,6%), raccolti in parte da Eurizon (296 miliardi9 e in parte da Fideuram (88,3 miliardi). In terza posizione si colloca Pioneer Investments (gruppo Unicredit) con 143,9 miliardi, precedendo così Poste Italiane (77,3 miliardi) e Anima Holding (74,9).




Conti correnti: impennata degli stranieri

L'aumento dell'imprenditoria straniera in Italia, fenomeno confermato ogni tre mesi da Unioncamere, ha riflessi anche sul sistema creditizio nazionale. Negli ultimi sei anni, infatti, il numero dei conti correnti intestati a imprenditori nati fuori dal nostro Paese è cresciuto, mediamente, del 10,5% ogni dodici mesi. Lo ha comunicato l'Abi, l'associazione delle banche italiane, precisando che, a fine 2016, sono diventati 122.494 i conti correnti intestati a imprenditori stranieri operanti nella Penisola, mentre erano 74.237 al 31 dicembre del 2010.
Dalle rilevazioni dell'Abi, fra l'altro, è emerso che il 15% degli imprenditori stranieri titolari di un conto corrente in Italia è cinese, l'8,7% originario del Bangladesh, l'8,3% pakistano e il 4,4% egiziano. Queste le quattro comunità estere con più rapporti contrattuali con le banche attive nel nostro Paese.
Le imprese straniere registrate in Italia dalle Camere di commercio a fine 2016 erano 571.255, il 9,4% del totale nel nostro Paese. Il Piemonte ne contava 41.459 (9,4%), la Liguria 19.828 (12,2%) e la Valle d'Aosta 674 (5,2%). Quanto agli imprenditori stranieri, l'Unioncamere ha precisato che al 31 dicembre scorso erano 785.938, dei quali 56.987 operanti in Piemonte, 26.676 in Liguria e 1.129 in Valle d'Aosta. Gli imprenditori stranieri, che oggi sono l'8,5% , nel 2000 rappresentavano solo il 2,7% di tutti gli imprenditori attivi in Italia.
Ancora l'Abi, che è validamente presieduta da Antonio Patuelli e ha fra i suoi vice il torinese Camillo Venesio (amministratore delegato e direttore generale della Banca del Piemonte, dal 1983), ha ricordato che, al 30 giugno 2017, ammontavano a 1.805,5 miliardi gli impieghi economici degli istituti di credito in Italia, somma superiore dell'1,5% a quella in essere alla stessa data del 2016. Dei prestiti concessi dalle banche, il 4,38% (dato di fine maggio) erano in "sofferenza", cioè di difficile esigibilità.
Quanto ai depositi della clientela privata residente, al 30 giugno 2017, le banche ne contavano per 1.394,6 miliardi, quasi 58 miliardi più di un anno prima (+4,3%).

Artigianato a marce basse

Artigianato in recupero, ma a marce basse. Dal primo giorno di aprile all'ultimo di giugno 2017, l'artigianato del Nord Ovest è cresciuto soltanto di 559 imprese: 331 i laboratori in più in Piemonte, 171 in Liguria e 57 in Valle d'Aosta. Così, alla fine del mese scorso, sono risultate 169.289 le aziende artigiane iscritte alle Camere di commercio del Nord Ovest; in particolare, 121.188 in Piemonte, 44.363 in Liguria e 3.738 in Valle d'Aosta.
Per tutta l'Italia, il saldo del secondo trimestre è stato positivo per 3.166 unità, differenza tra le 22.104 nuove iscritte e le 18.938 cancellate dai registri camerali, avendo cessato l'attività. Il saldo è il migliore dei corrispondenti periodi degli ultimi quattro anni; ma figura ben lontano da quello del 2011, quando l'artigianato nazionale si arricchi di 7.291 aziende tra l'inizio di aprile e la fine di giugno.
Non solo. La quantità delle nuove imprese artigiane che si sono iscritte alle Camere di commercio nel secondo semestre 2017 è il più basso degli ultimi otto anni, come lo è quello delle cancellate dai registri. Fra l'altro, nello stesso periodo del 2011 le nuove iscritte furono ben 31.742. Evidente prova di un settore che stenta a riprendere velocità, per i motivi comuni al resto del sistema produttivo: eccessiva fiscalità e burocrazia penalizzante, illegalità, concorrenza sleale e, non ultimo, l'affievolimento dello spirito d'iniziativa.
Comunque, alla fine del giugno appena passato, le varie province del Nord Ovest presentavano al seguente situazione delle imprese artigiane iscritte alle Camere di commercio: 11.350 ad Alessandria, 3.738 ad Aosta, 6.227 ad Asti, 5.255 a Biella, 17.941 a Cuneo, 22.877 a Genova, 7.132 a Imperia, 5.276 a La Spezia, 9.487 a Novara, 9.078 a Savona, 61.953 a Torino, 4.323 a Verbania, 4.652 a Vercelli.
Nel secondo semestre 2017, soltanto le province di Alessandria e di Biella hanno evidenziato un ulteriore dimagrimento dell'artigianato, sia pure di sole 9 imprese in entrambi i territori.
Sempre alla fine del primo semestre, le aziende artigiane in tutta l'Italia sono risultate 1.333.127, pari al 22% dei 6,080 milioni di imprese di ogni genere iscritte alle Camere di commercio.


Diecimila fallimenti dal 2009

Sono diecimila (9.986 a voler essere precisissimi), le imprese del Nord Ovest che hanno portato i libri in Tribunale, dall'inizio del gennaio 2009 al 30 giugno appena passato. Il consuntivo è della Cribis, società del gruppo Crif, specializzata nella business information. In particolare, nel periodo considerato, i fallimenti sono stati 7.631 in Piemonte, 2.235 in Liguria e 120 in Valle d'Aosta. Dalla stessa società è stato aggiunto che, nel primo semestre 2017, in Piemonte sono fallite 381 aziende, in Liguria 124 e in Valle d'Aosta 14.
In tutta l'Italia, dal primo giorno di gennaio all'ultimo di giugno di quest'anno,  sono stati registrati 6.188 fallimenti, il 15,7% in meno rispetto al primo semestre 2016.
Nel solo secondo trimestre, sono state 3.190 le imprese italiane che hanno portato i libri in Tribunale; in media, 35 al giorno, una all'ora. Nel secondo trimestre del 2016 erano state 3.740, una trentina in più nello stesso periodo 2015 e 4.190 in quello del 2014.
I confronti indicano chiaramente che i fallimenti stanno diminuendo, soprattutto dal 2014, quando hanno toccato il picco (nell'intero anno sono stati 15.336); ma sono ancora in numero superiore a quelli del 2009 (9.384) e degli anni immediatamente precedenti. A dimostrazione che l'economia italiana sta migliorando, ma la crisi non è passata del tutto, come dicono chiaramente anche diversi altri indicatori. Nel 2015 si sono contate 14.584 aziende fallite e 13.467 in tutto il 2016.
Tornando ai dati del primo semestre 2017, dalla rilevazione della Cribis emerge che la regione che ha denunciato più fallimenti è stata la Lombardia (1.300, pari al 21% del totale nazionale), seguita da Lazio (786) e Campania (539). Il Piemonte si trova al settimo posto (6,2% dei fallimenti del periodo in tutto il Paese), la Liguria al quattordicesimo (2%) e la Valle d'Aosta al ventesimo, l'ultimo (0,2%). E' il commercio che ha avuto più "vittime" nel periodo: 2.072. Il settore dei servizi ha subito 1.410 fallimenti, l'edilizia 1.253 e l'industria 1.190.

Più compravendite immobiliari

Nuovo recupero del mercato immobiliare. Nel primo trimestre di quest'anno, in Italia, sono state registrate 169.527 nuove compravendite, l'1,8% in più rispetto allo stesso trimestre del 2016. Lo ha comunicato l'Istat, l'istituto nazionale di statistica, precisando che sono aumentati dell'1,6% gli atti notarili riguardanti il settore abitativo e del 4,5% quelli relativi al settore economico, che comprende i fabbricati industriali, esercizi commerciali e, fra l'altro, i laboratori artigiani.
Nell'intero 2016, le transazioni immobiliari in tutto il Paese erano state 528.865, a fronte delle 444.636 del 2015 e di quantità ancora inferiori negli anni precedenti, almeno fino al 2011.
La ripresa delle compravendite immobiliari riguarda tutto il Nord Ovest. In Piemonte, l'anno scorso, ne sono state censite 47. 525 contro le 38.712 del 2015 e le 36.914 del 2014. In Liguria sono state 19.637 nel 2016, mentre erano state 15.857 nel 2015 e 15.413 nel 2014. Infine, la Valle d'Aosta, dove sono salite a 1.652 dalle 1.326 del 2015 e le 1.339 del 2014.
Nel 2014 (ultimo dato specifico disponibile), l'abitazione media degli italiani valeva circa 170.000 euro, cioè 1.450 euro a metro quadrato e il 2,4% meno che nel 2013. Lo hanno riferito l'Agenzia delle Entrate e il Mef (ministero dell'Economia e delle Finanze), fra l'altro evidenziando che, attualmente, nel nostro Paese, sono quasi 20 milioni le famiglie proprietarie della casa in cui vivono (77,4%  del totale). I due enti hanno aggiunto che egli italiani proprietari di un appartamento sono oltre 25,7 milioni,  mentre sono circa 4,7 milioni i locatari e la superficie media di un'abitazione è di 117 metri quadrati.
Nel 2016, la tassazione sugli immobili è stata pari a 19,9 miliardi di euro. Nelle casse pubbliche sono entrati 18,8 miliardi per l'Imu e 1,1 miliardi come Tasi.

La mappa delle start up innovative

La natalità delle imprese è sempre un buon indicatore congiunturale. Più aziende vengono avviate, più si diffonde lo spirito d'iniziativa, fondamentale per una crescita economica sana. Ancora più significativo, in questo periodo, è lo sviluppo delle start up innovative, che sono costituite prevalentemente da giovani, spesso all'interno di "incubatori" universitari o scientifici, quasi sempre frutto di intuizioni o scoperte di nuove opportunità offerte in campo digitale, sociale, ma anche nei settori tradizionali, dall'industriale al commerciale, dall'artigianato ai servizi.
L'aumento delle start up innovative è un fenomeno molto positivo, in particolare per i territori che le ospitano, nonostante l'elevato tasso di mortalità dei primi anni, che le caratterizzano. Alla base di ogni start up innovativa, infatti, si trovano energie fresche, creatività, competenze specifiche, coraggio, volontà, impegno.
Proprio per il loro valore, da pochi anni, le start up innovative hanno un elenco specifico nel registro delle imprese tenuto dalle Camere di commercio. E questo elenco evidenzia, innanzi tutto, che al 30 giugno 2017, in Italia, risultavano iscritte 7.394 start up innovative, il 7,5% in più rispetto a tre mesi prima, a conferma del trend di crescita. Oltre che in termini assoluti, sono aumentate anche in termini relativi; infatti, a fine giugno rappresentavano lo 0,46% di tutte le imprese iscritte alle camere di commercio, a fronte dello 0,43% di fine marzo.
Per quanto riguarda espressamente il Nord Ovest, il bilancio è in chiaroscuro. Al 30 giugno 2017, il Piemonte conta 407 start up innovative, la Liguria 134 e la Valle d'Aosta 15. Nella graduatoria nazionale, relativa ai dati assoluti, il Piemonte è sesto, la Liguria sedicesima e la piccola Valle d'Aosta naturalmente ventesima, cioè ultima.
Ma proprio la Valle d'Aosta è la prima del Nord Ovest per densità di start up innovative, dato che queste costituiscono lo 0,70% della struttura imprenditoriale locale, un tasso che soltanto quattro regioni hanno più elevato: Trentino-Alto Adige (1,07%), Marche (0,86%), Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia (0,72%). Il Piemonte è al settimo posto con lo 0,54%. La quota della Liguria è dello 0,41%, perciò inferiore anche alla media nazionale.
Per le province, l'elenco nazionale delle start up innovative riporta solo le dieci con il maggior numero di iscritte. La lista incomincia con Milano, che, a fine aprile, ne conta 1.160 (15,69% del totale italiano). Seguono Roma con 625 (8,45%) e Torino con 285 (3,85%). Una medaglia di bronzo forse non del tutto soddisfacente per il capoluogo piemontese.
In Italia, a fine aprile le start up avevano, complessivamente 9.365 dipendenti, in media 3,6 per impresa. Sempre in media, ciascuna aveva quattro soci. Il 70,6% forniva servizi ad altre aziende, il 19,6% operava nell'industria e il 4% nel commercio.



Su e giù delle Fondazioni

Fondazioni liguri a passo di gambero, l'anno scorso.Invece, le piemontesi sono andate avanti (con l'eccezione di Alessandria). E' quanto emerge dal rapporto 2016 dell'Acri, l'associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria, pubblicato venerdì 21 luglio.
La graduatoria basata sui patrimoni contabili risultati al 31 dicembre 2016, conferma che tre dei 15 enti del Nord Ovest, generati 25 anni fa dalla Legge Amato, figurano tra i primi dieci a livello italiano: la Compagnia di San Paolo al secondo posto, con 5,880 miliardi di euro (5,809 al 31 dicembre 2015), la Fondazione Crt al terzo, per la prima volta, con poco meno di 2,170 miliardi (2,157 a fine 2015, quando era risultata quarta, preceduta da Cariverona) e Cr Cuneo ottava, come l'anno prima, con 1,304 miliardi (1,374). In testa, come sempre, Fondazione Cariplo, nonostante la diminuzione del suo patrimonio da 6,851 a 6,820 miliardi.
Per ritrovare le altre fondazioni del Nord Ovest, bisogna ripartire dalla posizione numero 28, occupata da Cr Biella (patrimonio di 223,8 milioni), che invece era trentunesima a fine 2015, con 222,8 milioni. In ordine, dopo Cr Biella, si sono piazzate le fondazioni Cr Tortona, salita dal posto numero 32 al 31, grazie all'aumento del suo patrimonio da 215,2 a 216,1 milioni, e Cr Asti, diventata trentaduesima con 212,6 milioni, da trentaquattresima, che era, un anno prima, con 211,4 milioni.
Unica piemontese a indietreggiare è stata la fondazione Cr Alessandria: da venticinquesima, a fine 2015 (patrimonio di 311,5 milioni) a trentaquattresima, con 205,8 milioni.
E' arretrata anche la fondazione Cr Spezia, sia pure di un posto soltanto: al numero 38, per i suoi 194,2 milioni, nonostante l'aumento di un milione del patrimonio. Con la spezzina, sono scese, in graduatoria, le altre due fondazioni ligure di origine bancaria: la De Mari-Cr Savona, cinquantunesima, con  112,4 milioni, mentre era quarantasettesima al 31 dicembre 2015, con 128 milioni; e la fondazione Carige, calata al posto numero 70 (patrimonio di 55,6 milioni) dal precedente 67, conseguente ai circa 70 milioni di fine 2015.
Hanno migliorato le loro collocazioni le fondazioni Cr Vercelli, cinquantesima (115,6 milioni), mentre era cinquantatreesima a fine 2015 (115,1 milioni), Cr Saluzzo, in posizione numero 67 (59,9 milioni) dal precedente 75 (42,6 milioni), Cr Fossano, da 72 a 71 (patrimonio da 52,8 a 53,2 milioni), Cr Bra da 75 a 77 (da 37,4 a 37,5 milioni) e Cr Savigliano da 78 a 77 (da 35,3 a 35,5 milioni).
Le 88 fondazioni di origine bancaria hanno presentato complessivamente, al 31 dicembre scorso, un patrimonio contabile di 39,7 miliardi di euro, inferiore di un miliardo e del 2,2% a quello di fine 2015, principalmente a causa di svalutazioni delle partecipazioni nelle loro banche d'origine. Il loro attivo totale, comunque, è risultato di 46,3 miliardi.
I loro proventi sono ammontati a 1,357 miliardi (-3,8%) e l'avanzo di gestione (non si può parlare di utile trattandosi di enti non profit), in totale, è stato di 838,3 milioni (-13,3%, a causa soprattutto della maggiore fiscalità), così che la redditività del patrimonio è risultata pari al 3,4%, come nel 2015.
Il carico fiscale ha pesato per 354,6 milioni contro i 305,8 dell'esercizio precedente, mentre sono diminuiti del 5,7%, a 838,3 milioni, gli oneri di gestione, comprensivi dei costi relativi ai componenti degli organi statutari.
Nel 2016, le 88 fondazioni hanno erogato 1,031 miliardi (936,7 milioni nel 2015), finanziando 20.286 interventi (-5,9%): circa un quarto degli stanziamenti è stato dedicato al settore Arte-attività e beni culturali (260,9 milioni di euro), il 12,4% all'assistenza sociale (127,4 milioni), il 12,1% a volontariato-filantropia-beneficenza (124,9 milioni), circa altrettanto a Ricerca e sviluppo e il 9,8%, pari a 101,4 milioni, allo sviluppo locale. Dal 2000 a fine 2016, la somma delle erogazioni è stata di 20,3 miliardi.
Delle 88 fondazioni, 34 non hanno più alcuna partecipazione nella rispettiva banca conferitaria, quella da cui hanno tratto origine; mentre 46 ne posseggono quote minoritarie e 8 hanno, invece, ancora la maggioranza, che però dovranno perdere in seguito all'applicazione del protocollo vincolante firmato con il Mef, il ministero dell'Economia e delle Finanze, loro autorità di Vigilanza.




Dove le banche sono più contestate

Una volta, delle banche ci si fidava ciecamente. Da qualche anno, invece, è cambiata molto la considerazione generale degli intermediari creditizi e finanziari, anche a causa dei diversi scandali del sistema, in Italia e all'estero. I clienti si sono messi a controllare, a discutere, a contestare. Sempre più spesso. La nuova conferma del fenomeno è appena arrivata con la relazione 2016 dell'Arbitro Bancario Finanziario (Abf), sistema stragiudiziale di risoluzione delle controversie tra clienti e intermediari bancari e finanziari.
L'anno scorso, in tutt'Italia, i ricorsi ricevuti dall'Arbitro Bancario Finanziario sono stati 21.652, quasi il 60% in più rispetto ai 13.578 del 2015. E la tendenza è ancora in crescita. Nel primo quadrimestre 2017, infatti, sono stati presentati altri 10.028 ricorsi, con un incremento del 54% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso. E delle nuove istanze, il 10% è stato avanzato al Collegio torinese dell'Abf, competente per il Piemonte-Liguria-Valle d'Aosta e istituito nel dicembre 2016, come quelli di Bologna, Bari e Palermo, aggiunti ai preesistenti a Milano, Roma e Napoli.
Nel 2016, l'Arbitro Bancario Finanziario, al quale ci si può rivolgere semplicemente con un modulo scritto, senza avvocato e con la sola spesa di 20 euro, che vengono restituiti in caso di vittoria, ha ricevuto 1.259 ricorsi dal Piemonte, 963 dalla Liguria e 22 dalla Valle d'Aosta. Totale del Nord Ovest: 2.244, pari al 10,36% nazionale.
In particolare, a livello provinciale, l'anno scorso, 686 ricorsi hanno riguardato Torino, 662 Genova, 184 Alessandria, 113 La Spezia, 109 Novara, 94 Savona e altrettanti Imperia, 90 Cuneo, 66 Biella, 60 Vercelli, 37 Asti, 27 Verbania, 22 Aosta.
Passando dai dati assoluti a quelli relativi, si può fare una graduatoria delle province con più ricorsi per milioni di abitanti: in testa si trova Genova con 775, seguita da Spezia con 511 e Imperia con 437. Podio tutto ligure, insomma, per l'insoddisfazione delle relazioni con le banche,. Poi, nell'ordine, si trovano: Alessandria con 429, Biella con 367, Savona con 335, Vercelli con 343, Novara con 294, Aosta con 173, Asti con 170, Verbania con 169, Cuneo con 152.
E' la provincia di Cuneo, pertanto, a mostrare i migliori rapporti tra le banche e i loro clienti. All'opposto Genova. Sempre nel Nord Ovest, a livello regionale, prima è la Valle d'Aosta con il minor numero di "cause" (173) ogni milione di abitanti; il secondo posto spetta al Piemonte con 286 vertenze ogni milione di abitanti e al terzo la Liguria con il rapporto di 613.
Tornando all'Italia intera, l'ultima relazione dice che dei 21.652 ricorsi ricevuti dall'Abf nell'anno appena passato, 12.896 riguardavano le banche (+70,9% rispetto al 2015) e 1.260 Poste Italiane. Quelli accolti sono stati 6.812, i respinti 3.502. Il 71% aveva come oggetto di controversia la cessione del quinto (prestiti concessi a dipendenti e pensionati a valere sul loro mensile), il 6% bancomat e altre carte di debito, il 5% i conti correnti e il 4% i mutui.
Quanto alle 13.770 sentenze emesse dall'Arbitro Bancario Finanziario nel 2016, il 75% è stato favorevole, totalmente o parzialmente, ai clienti, i quali hanno perciò ottenuto riconoscimenti per un totale di 13 milioni di euro. Contro le pronunce dell'Abf, comunque, si può ricorrere alla magistratura ordinaria.
Infine, gli istituti più contestati l'anno scorso dai loro clienti: Prestitalia (2.866 ricorsi), Barclays (2.667), Santander Consumer (2.008), Ibl (1.443), Unicredit (1.266), Poste Italiane (1.070).

Come va il mercato auto

In passato, nel mondo dell'automobile, l'Italia è stata il punto di riferimento anche per il lusso, l'eleganza, la tecnologia più avanzata, la sportività. Lasciando stare la Ferrari, che resta un'icona, un mito globale, un caso unico, in particolare, due marche hanno segnato epoche: Lancia e Alfa Romeo. La Casa con il Biscione faceva alzare il cappello persino  a Henry Ford e suoi modelli, per il loro fascino, sono stati pure protagonisti di film straordinari; quanto alla Lancia, ha creato vetture che, fra l'altro, sono state preferite da capi di Stato, dalla Regina d'Inghilterra, da Papa Giovanni XXIII, da emiri e magnati.
Quei periodi sono lontani; ma, ora, l'industria automobilistica italiana sta riconquistando posizioni d'onore nel comparto del lusso e in quello della sportività stradale, combinazione di prestazioni elevate, confort, grande stile. Ci sta riuscendo, intanto in casa, cioè nel nostro Paese, con la Maserati, rigenerata a Torino, e con l'Alfa Romeo targata Fca, quella che sta partendo con la nuova Giulia e la Stelvio. Grazie, Sergio Marchionne.
In Italia, la Maserati è la marca che ha fatto registrare il maggior incremento percentuale delle proprie immatricolazioni, dal primo giorno di gennaio all'ultimo di giugno: 1.661, il 110,2% in più rispetto al corrispondente periodo del 2016 (790). Nessun'altra Casa è riuscita a fare meglio. La sua Levante è risultata il sesto modello con più clienti (1.138)  nel segmento E, quello del lusso appunto (in testa, si sono piazzate ancora tre tedesche: Mercedes Classe E, Bmw Serie5 e Audi A6) e la sua Ghibli al secondo posto nella classifica delle sportive (segmento F) con 442 preferenze, a fronte delle 531 dell'intramontabile Porsche 911.
Nel solo mese di giugno, di Maserati nuove ne sono state vendute 233 (+91% sullo stesso mese 2016), di cui 83 nel Nord Ovest: 51 nella provincia di Torino, 21 in Valle d'Aosta, 4 nel Cuneese, 3 nell'Alessandrino, 2 nell'Astigiano, 1 rispettivamente nel Novarese e nello Spezzino.
Quanto all'Alfa Romeo, nel primo semestre di quest'anno ha contato in Italia 25.204 acquirenti, il 32,5% in più rispetto al primo semestre 2016 (19.022), mentre l'intero mercato nazionale è cresciuto dell'8,9%. La sua quota, pertanto, è salita al 2,2% dall'1,8% precedente. Non solo: la Giulia è stata immatricolata in 5.927 esemplari (1.058 nel primo semestre 2016), che valgono il quinto posto nella graduatoria del segmento D (modelli medio-superiori) e la Stelvio si è piazzata sesta tra i fuoristrada grazie alle sue 2.789 immatricolazioni.
In particolare, in giugno, sono state 4.700 le Alfa Romeo immatricolate, equivalenti alla quota del 2,5% del mercato, la sua più alta degli ultimi cinque anni: 595 in provincia di Torino, 587 in Valle d'Aosta, 22 nella provincia di Cuneo, 20 in quella di Alessandria e, a scalare, fino alle 2 della provincia di Imperia.
A proposito di Imperia, nel mese passato, è risultata la provincia del Nord Ovest che ha avuto meno nuove immatricolazioni: 337, mentre sono state 330 a Vercelli, 443 a Verbania, 482 a Biella, 500 ad Asti, 559 a La Spezia, 636 a Savona, 1.162 a Novara, 1.220 ad Alessandria, 1726 a Cuneo, 1.787 a Genova, 4.119 ad Aosta (fiscalità meno onerosa) e 17.383 a Torino.
Dall'inizio di gennaio alla fine di giugno, in tutto il Piemonte sono state immatricolate 125.817 auto nuove (+38,4% sul primo semestre 2016), in Liguria 19.907 (+12,2%) e In Valle d'Aosta 37.019 (+19,5%).
Ultimo dato: a livello nazionale, nei primi sei mesi di quest'anno, le vendite di auto hanno generato un fatturato di 23,4 miliardi di euro, consentendo allo Stato di incassare la relativa Iva per 4,2 miliardi (+11,7%).


Balocco, Biraghi, Noberasco

In questi giorni, sono emerse diverse notizie aziendali che, finalmente, ridanno un po' di fiducia e fanno sperare in un miglioramento dell'economia locale e italiana. Principalmente tre gli elementi in comune, a prescindere dalle dimensioni dell'impresa e del settore di attività: buon aumento del fatturato nella prima parte di quest'anno, rilevanti investimenti (per ampliamenti, sviluppo tecnologico, espansione all'estero), bilanci in attivo.
Come esempio, vengono riportati i casi di tre industrie alimentari, indicativi di fenomeni e tendenze.

BALOCCO - Al bravo Pier Paolo Luciano, responsabile della Repubblica di Torino e curatore delle pagine settimanali dedicate all'economia piemontese, Alberto Balocco, numero uno dell'omonima industria dolciaria di Fossano, ha anticipato che, nella prima parte dell'esercizio in corso, il fatturato è aumentato del 12% e le prospettive sono favorevoli, per cui i ricavi 2017 dovrebbero risultare ancora superiori ai 170 milioni del 2016, quando sono stati venduti oltre 25 milioni di pezzi, fra panettoni, pandori e colombe e  l'export ha inciso per il 12%.
Fra l'altro, Alberto Balocco ha preannunciato il prossimo avvio della prima, particolare unità produttiva fuori Fossano (a Bologna, nell'ambito Fico-Fabbrica italiana contadina, promossa da Eataly), destinata alla pasticceria tradizionale piemontese secondo un modello replicabile soprattutto all'estero, dove l'impresa cuneese (circa 360 dipendenti) certamente crescerà. Intanto, continua a investire molto, soprattutto in automazione: 55 milioni di euro negli ultimi dieci anni.

BIRAGHI - Un'altra azienda cuneese, forte, dinamica e in sviluppo, è la Biraghi, industria casearia di Cavallermaggiore, che nel 2016 ha fatturato 118 milioni di euro. Guidata dai figli del fondatore, Bruno e Anna, è nota soprattutto per il suo Gran Biraghi, formaggio a grana tipo Parmigiano, e per il Gorgonzola, prodotti esclusivamente con latte locale (150-160 milioni d litri all'anno). La sua confezione di grattugiato da un etto è la più venduta in Italia e aumentano progressivamente le tipologie d'offerta. Come riferito a La Stampa, da Claudio Testa, direttore marketing e strategie commerciali, la Biraghi (250 dipendenti) ha un piano d'investimenti da 15 milioni di euro, finalizzati a nuovi macchinari e alla realizzazione di nuovi magazzini di stagionatura.

NOBERASCO - A proposito di impianti, non si può non ricordare che l'ultracentenaria Noberasco, che vanta la leadership nazionale nella frutta secca e morbida, ha appena inaugurato lo stabilimento di Carcare, dove si è trasferita da Albenga, località entrambe nella provincia di Savona. La nuova struttura della Noberasco, all'avanguardia anche tecnologicamente, ha comportato l'investimento di 45 milioni di euro. Cifra rilevante e che assume un valore ancora maggiore in considerazione del fatturato dell'azienda guidata da Gabriele e Mattia Noberasco, rispettivamente presidente e amministratore delegato, nonché zio e nipote.
Nel 2016, la Noberasco ha fatturato 122 milioni (+20%, in seguito alla vendita di 14 tonnellate di prodotti, e ha come obiettivo 2017 ricavi superiori ai 130 milioni

Restando al settore alimentare, comprensivo delle bevande, va ricordato che nel 2016 ha fatto registrare esportazioni per 4,517 miliardi di euro da parte di aziende piemontesi, 408 milioni dalle liguri e 52 milioni dalle valdostane.
Come censito dall'Istat, l'istituto nazionale di statistica, nel passato esercizio, per il Piemonte sono state le imprese attive nel settore computer, apparecchi e macchinari a evidenziare il maggior valore delle esportazioni (11,228 miliardi sul totale di 44,424), come per la Liguria (1,583 miliardi sui complessivi 7,332), mentre l'export più rilevante per la Valle d'Aosta è stato quello dei metalli e relativi prodotti: 319 milioni su 571.
Seconda principale fonte di esportazioni è risultata quella dei mezzi di trasporto per il Piemonte (11,207 miliardi) e per la Valle d'Aosta (65 milioni) mentre è stato il settore formato da chimica, farmaceutica, gomma, plastica e minerali non metalliferi per la Liguria (1,565 miliardi).
Le esportazioni 2016 di tutta l'Italia sono ammontate a 417,1 miliardi.

















Credit crunch? L'eccezione Biella

Credit crunch? Non nella provincia di Biella, la quale non soltanto è una delle otto italiane che hanno visto un aumento dei crediti concessi dalle banche alle imprese locali negli ultimi tre anni; ma è anche quella che, addirittura, ha fatto registrare l'incremento percentuale maggiore in tutto il Paese. Al 30 aprile 2017, infatti, era pari a 2,340 miliardi la somma dei prestiti bancari alle aziende biellesi, a fronte dei 2,101 miliardi in essere al 30 aprile 2014. L'incremento è dell'11,4%, come nessun'altra delle 110 province italiane ha avuto.
Merito degli istituti locali, a partire dalla Banca Sella? Effetto della ripresa dello spirito d'iniziativa dei biellesi? Conseguenza dell'affidabilità delle società operanti in quest'area? Forse un po' di tutto questo. In ogni caso, il primato biellese appare ancora più significativo alla luce dei dati relativi al resto del Piemonte e all'Italia.
Come evidenziato dalla Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, da sempre molto attenta ai fattori che condizionano l'andamento dell'economia, alla fine dell'aprile di quest'anno, i crediti bancari alle imprese attive in Italia ammontavano a 855,8 miliardi di euro, a fronte dei 918,3 miliardi emersi alla stessa data di 36 mesi prima. Il calo è del 6,8%, tasso nazionale del credit crunch, o, per dirla non in gergo, della stretta dei cordoni della borsa da parte delle banche.
Nell'intero Piemonte, la riduzione è stata del 6,1%, da quasi 60 miliardi a 56,3 di fine aprile 2017; mentre è stata del 5,9% in Liguria, da 20,253 miliardi a 19,062, e del 7,3% in Valle d'Aosta, scesa da 1,655 a 1,533 miliardi.
A livello provinciale, nel Nord Ovest, a patire meno il credit crunch, nel periodo considerato, sono state le imprese del Vercellese (2,1 miliardi al 30 aprile scorso, i crediti in essere concessi dalle banche alle imprese, l'1,1% in meno rispetto a tre anni prima), del Torinese (26,887 miliardi, il 4,6% in meno) e di Genova (11,767 miliardi, il 4,9% in meno). Invece, la provincia del Nord Ovest che ha subito la stretta creditizia maggiore è quella di Novara, dove i prestiti bancari alle aziende locali sono scesi del 13,8% a 4,772 miliardi.
Parlando di prestiti bancari, non si può non parlare di sofferenze, cioè di quei crediti la cui riscossione totale non è certa, perché i soggetti debitori si trovano in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili.
A fine aprile 2017, le sofferenze ammontavano a 9,2 miliardi in Piemonte (pari al 16,4% dei crediti bancari alla imprese della regione), a 3 miliardi in Liguria (15,8% degli impieghi in essere) e a 166 milioni in Valle d'Aosta (10,8%). In tutta l'Italia, la somma delle sofferenze a quella data era di 161 miliardi, pari al 18,8% dei crediti bancari alle imprese.
Per quanto riguarda le province del Nord Ovest, le quote di sofferenze più basse sono state rilevate ad Aosta (10,8%, pari a 166 milioni di euro), Cuneo (11,6%, pari a 1,197 miliardi), Genova (12,9%, pari a 1,521 miliardi), Vercelli (13,9%, pari a 294 milioni) e a Torino (14,8%, pari a 3,981 miliardi). al contrario, le sofferenze percentualmente maggiori sono state denunciate dalle province di Verbania (32,6%, pari a 481 milioni), Alessandria (26%, pari a 1,532 miliardi) e La Spezia (24,5%, pari a 573 milioni).

A proposito di svalutazioni

Il Sole 24 Ore ha riportato che la Malacalza Investimenti, holding della famiglia che ha in portafoglio il 17,58% di Banca Carige (quota di riferimento), ha deciso di non svalutare la sua partecipazione nell'istituto genovese, nonostante l'abbia in carico per 263,4 milioni, corrispondenti a 1,804 euro per azione e nonostante la constatazione che al 30 dicembre 2016 il titolo Carige abbia chiuso in Borsa a 0,318 euro (adesso, la quotazione è ancora inferiore e Piazza Affari valuta il 100% della Banca intorno ai 200 milioni).
Vittorio Malacalza, il numero uno dell'omonimo gruppo, ha spiegato che non ha svalutato, nonostante tutto, perché l'investimento fatto è di lunga durata e lui crede che Carige si riprenderà, si sta lavorando per questo obiettivo e il suo valore tornerà a crescere.
Tanto di cappello: per lo spirito imprenditoriale, la coerenza, la volontà, la determinazione, la chiarezza, la tenacia, il coraggio, la resistenza. Già, perché è difficile non pensare che, nella partita per Carige, Malacalza abbia molti soggetti contro, alcuni dei quali particolarmente forti e occulti. E' difficile non pensare che qualcuno volesse e forse voglia, per Carige, una fine diversa da quella alla quale punta l'imprenditore, che ha scombussolato i piani di qualcuno.
Comunque, tornando alla decisione di Malacalza, è quantomeno doveroso fare un confronto con quello che fece il precedente azionista di riferimento di Carige, cioè l'omonima Fondazione, allora ancora in possesso di oltre il 46% del capitale della Banca. Nel maggio 2014, Fondazione Carige, presieduta da Paolo Momigliano dal 3 dicembre dell'anno prima, approva il bilancio 2013 svalutando del 92% la sua partecipazione nella banca conferitaria, riducendo il valore dell'azione da 1,35 a 0,43 euro.
Con questa scelta, suggerita da consulenti tecnici e finanziari, il principale azionista ha sostanzialmente sostenuto sia che il valore della banca era precipitato e si era quasi azzerato sia che non credeva in una ripresa della stessa.
A parte le prevedibili e inevitabili conseguenze, quella decisione della Fondazione provoca varie considerazioni e ingenera nuovi dubbi, quando non sospetti. Una considerazione è sulle differenze di mentalità e comportamenti degli amministratori di enti o società, a seconda che al vertice si trovi un imprenditore o meno. Un'altra riguarda l'utilizzo e, a volte, l'abuso di consulenti, advisor, periti. E, a questo punto, possono partire dubbi e sospetti, che vanno dalle responsabilità, alle reali capacità, fino alla correttezza, ai conflitti d'interesse, alla buona fede.
Chi assume una guida, deve essere consapevole della sua adeguatezza, dei suoi compiti e delle sue responsabilità, a prescindere dal fatto che sia profit o non profit l'oggetto della sua gestione e che il bene amministrato sia. o meno, di proprietà personale, totale o parziale, com'è la partecipazione di Malacalza in Banca Carige. Un "caso" tutto da seguire.

Tre avvocati speciali

Avvocato da settant'anni. Un traguardo da medaglia, per il torinese Bruno Segre, che, in effetti, l'ha appena ricevuta dal presidente dell'Ordine subalpino, Mario Napoli, durante l'apposita cerimonia. Nato nel settembre del 1918, Bruno Segre, figura poliedrica e ben nota, non soltanto nella città della Mole, ultimo allievo di Luigi Einaudi, si è laureato in legge il 15 giugno del 1940. Di famiglia ebrea, non ha però potuto esercitare subito la professione di avvocato e ha incominciato a guadagnarsi da vivere dando lezioni private e scrivendo tesi di laurea.
Arrestato per disfattismo politico nel 1942, fa due mesi di carcere, poi entra in clandestinità. Nel settembre del '44, il portasigarette di metallo, che teneva nella giacca, lo salva da un proiettile sparatogli dalla Guardia nazionale repubblica; ma viene nuovamente arrestato e finisce dietro le sbarre, alle Nuove di Torino. Riesce a uscire e si arruola nella Resistenza armata. Dopo la Liberazione, si dedica all'attività giornalistica e alla politica (fra l'altro, è stato capogruppo del Psi nel consiglio comunale di Torino dal 1975 al 1980), comunque continuando sempre a fare l'avvocato.
Una professione che tempra, come confermano i casi di almeno altri due illustri avvocati torinesi: Paolo Emilio Ferreri e Franzo Grande Stevens. Chiamato confidenzialmente "Pef", Paolo Emilio Ferreri, 94 anni il prossimo 5 dicembre, lo stesso giorno in cui compirà i 70 anni di iscrizione all'Albo (n.583). Numerosissimi e rilevanti gli incarichi, in enti e società, ricoperti contestualmente all'impegno forense. Fra l'altro, Paolo Emilio Ferreri è stato, per 27 anni, membro del Consiglio superiore della Banca d'Italia, della quale è stato anche decano e presidente del Consiglio di Reggenza della sede di Torino.
Un po' più giovane è Franzo Grande Stevens, l'Avvocato dell'Avvocato (Agnelli): compirà 89 anni il 13 settembre. E' iscritto all'Albo dal 1954, ha già ricevuto la medaglia dei 60 anni di attività e continua a lavorare intensamente, tutti i giorni, nel grande studio che ha le sue radici in quello di Manlio Brosio e poi di Dante Livio Bianco, Paolo Greco e Carlo Galante Garrone. Studio nel quale Franzo Grande Stevens è entrato nel 1953 e che, da tempo, porta giustamente il suo nome, perché l'Avvocato l'ha rifondato, sviluppato e fatto diventare uno dei più prestigiosi non soltanto a livello nazionale .
Avvocato di fiducia di grandi famiglie italiane, ma anche di stranieri come l'Aga Khan, Franzo Grande Stevens è stato, fra l'altro, presidente del Consiglio nazionale forense e al vertice di centinaia di società, compresa la Juventus, oltre che di istituzioni come la Compagnia di San Paolo e il Museo del Risorgimento. Uomo straordinario, si è raccontato personalmente in "Una vita d'avvocato", libro che è stato da poco ristampato.

Lavoro, più speranze che certezze

Sarà anche vero che l'economia sta migliorando, pure in Italia; però, finora, il fenomeno non ha portato i tanto attesi benefici occupazionali. Si sa che il mondo del lavoro ha tempi di reazione più lunghi: le imprese aspettano un consolidamento della ripresa e hanno bisogno di prospettive favorevoli prima di assumere. Quindi, per ora, più che certezze si hanno speranze e un po' di fiducia. D'altra parte, i consuntivi sono ancora negativi.
L'Istat, l'istituto centrale di statistica, ha rilevato che, l'anno scorso, nell'intero Nord Ovest, le assunzioni nette sono state 34.290, ancora 13.542 meno che nel 2015. In particolare, in Piemonte ne sono state registrate 23.501 (36.311 nel 2015), in Liguria 9.602 (10.913) e in Valle d'Aosta 1.187 (608). Il dato relativo alle assunzioni nette è più significato del numero complessivo delle assunzioni, ai fini della valutazione dell'andamento del mercato del lavoro, perché tiene conto delle cessazioni dei contratti e delle trasformazioni degli stessi.
Comunque, anche il totale dei nuovi contratti di lavoro nel 2016 è diminuito rispetto all'anno precedente, con l'eccezione della Valle d'Aosta. Nella regione alpina ne sono stati contati 21.125 contro i 19.958 del 2015; mentre in Piemonte sono stati 359.515 (378.751) e in Liguria 155.171, a fronte dei 160.024 dell'anno precedente.
Confronti peggiori emergono, poi, specificatamente, per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato; in questo caso, anche per la Valle d'Aosta, dove ne sono state censite 2.063 (3.646 nel 2015). In Piemonte le assunzioni con contratto a tempo indeterminato sono risultate 69.187 (115.225) e in Liguria 25.207 (41.030). Naturalmente, molte meno sono state le assunzioni nette con contratto a tempo indeterminato: 7.698 in Piemonte (65.745 nel 2015), 1.183 in Liguria (19.100), mentre in Valle d'Aosta il dato è stato addirittura negativo.
L'Istat, inoltre, ha riferito che, nel 2016, si contavano 1,811 milioni di occupati in Piemonte (+0,7% rispetto all'anno prima, 610.000 in Liguria (-0,4%)  e 54.000 in Valle d'Aosta (-0,7%); quanto alle persone in cerca di occupazione, erano 187.000 in Piemonte (-8,8%), 66 mila in Liguria (+6,2%)  e 5.000 in Valle d'Aosta (-3,3%).
Infine il tasso di disoccupazione: in Piemonte è sceso al 9,3% dal 10,2% del 2015 e in Valle d'Aosta all'8,7% dall'8,9%; mentre in Liguria è salito dal 9,2% del 2015 al 9,7% del 2016.

Titoli di Stato e debito pubblico

Sempre meno titoli di stato italiani nei forzieri delle banche operanti nel Nord Ovest. Al 31 dicembre scorso, ammontavano a 25,5 miliardi di euro i titoli di stato italiani affidati alle banche, in custodia semplice e amministrata. In particolare, appartenevano alle famiglie consumatrici titoli pubblici (Bot, Btp, Cct, Ctz) per un valore complessivo di 24,364 miliardi (al fair value) e alle imprese per 1,143 miliardi.
A fine 2016, nelle banche attive in Piemonte, si trovavano titoli di stato italiani per 17,866 miliardi affidati dalle famiglie (-13,8% rispetto a 12 mesi prima) e per 759 milioni (-16,5%) dalla imprese. E cali ancora percentualmente superiori sono emersi dalla rilevazione sulle banche in Valle d'Aosta, dove il valore dei titoli pubblici dati in custodia dalle famiglie è risultato di 276 milioni (-14,7%) e di 47 milioni (-31%) quello delle imprese.
Sempre al 31 dicembre 2016, le banche presenti in Liguria custodivano titoli pubblici italiani del valore complessivo di 6,222 miliardi (-13,1% rispetto alla stessa data del 2015) per conto delle famiglie e di 337 milioni (-3,8%) per conto delle imprese.
Per quanto riguarda l'intero Paese, la Banca d'Italia ha indicato in 132,037 miliardi di euro, a fine 2016, il valore dei titoli di stato italiani affidati alle banche, in custodia semplice e amministrata, da parte delle famiglie consumatrici e in 55,190 miliardi il valore dei titoli pubblici affidati dalle imprese.
Ancora a proposito di titoli di stato italiani, la stessa Banca d'Italia, che ne detiene per 317 miliardi di euro, ha appena pubblicato la disaggregazione degli importi secondo i loro detentori, al 30 aprile 2017: 400,3 miliardi fanno capo alle istituzioni finanziarie monetarie residenti (banche, fondi comuni d'investimento, Cassa Depositi e Prestiti, istituti di pagamento), 444,6 miliardi alle altre istituzioni finanziarie residenti, 104,5 miliardi agli altri soggetti residenti, non finanziari e 665,1 miliardi a soggetti non residenti, cioè stranieri.
Dunque, al 30 aprile 2017 appartenevano all'insieme dei soggetti residenti nel nostro Paese titoli di stato italiani per 1.555,6 miliardi di euro, a fronte dei 1.491,2 miliardi del 2016 e dei 1.431,8 miliardi del 2015. I soggetti stranieri, invece, detenevano titoli si stato italiani per un valore di 715 miliardi, a fronte dei 726,6 del 2016 e i 741,1 del 2015. Dati che evidenziano, un aumento del possesso da parte dei residenti e, al contrario, un calo da parte dei non residenti, che comunque hanno in portafoglio circa un terzo dei titoli di debito pubblico italiano.
A proposito di debito pubblico, resta da rilevare che al 31 maggio 2017 è salito a 2.278,855 miliardi di euro, nuovo record storico. A fine aprile era di 2.270, 276 miliardi e di 2.217,910 al 31 dicembre scorso. In cinque mesi è ancora aumentato di quasi 61 miliardi. E certo non consola la considerazione che la sua incidenza sul Pil diminuirà se il Pil aumenterà più del previsto. L'incidenza è un conto, il valore assoluto un altro.


Banche, Piemonte in controtendenza

Spesso, essere i primi a incominciare comporta più difficoltà e magari un sacrificio maggiore: ma, almeno in alcuni casi, risulta un vantaggio. Una prova si trova in un freschissimo rapporto della Banca d'Italia sull'occupazione bancaria nel nostro Paese, argomento molto attuale e altrettanto doloroso, visti i continui annunci di drastici tagli ed esuberi, ultimi quelli delle banche venete passate a Intesa Sanpaolo.
Bene, Banca d'Italia ha rilevato che il Piemonte è l'unica regione italiana ad avere avuto un aumento dell'occupazione bancaria tra il 2010 e il 2016. Effetto del fatto che proprio il Piemonte ha segnato l'avvio della profonda e dolorosa ristrutturazione del sistema creditizio. Le altre regioni sono partite dopo. Ecco una ragione della crescita dei bancari in Piemonte, che sono 30.589 al 31 dicembre 2016, il 4,5% in più rispetto alla stessa data del 2010.
Tutte le altre regioni presentano confronti negativi: dal minimo del 3,5% della Lombardia (non casuale) al 25,2% dell'Abruzzo, quella che ha perso più dipendenti di banca di qualsiasi altro territorio. La diminuzione media italiana è stata dell'8,1%, tale da portare sotto il livello dei 300.000 il totale dei dipendenti di banca a fine 2016 (per la precisione: 299.696).
Superiore alla media nazionale è la perdita dell'occupazione bancaria in Liguria, scesa dell'11,8%, a 7.447 unità; mentre è stata contenuta nel 5,2%, sempre rispetto al 2010, quella della Valle d'Aosta, che a fine anno contava 494 bancari, dei quali 484 addetti allo sportelli. Qui, gli sportellisti sono addirittura aumentati del 3,5% negli ultimi sei anni, unico caso in tutto il Paese. In Piemonte, gli sportellisti sono calati del 9,2%, a 15.585 e in Liguria a 5.602 (-12,9%).
Che il Piemonte evidenzi un calo degli addetti allo sportello e, nello stesso periodo, un aumento del totale dell'occupazione bancaria, non è contraddittorio. Il fenomeno si può spiegare con la constatazione che il sistema creditizio piemontese è dotato di banche solide, competitive e più aggreganti che prede. Chi acquisisce o incorpora, normalmente taglia posti di lavoro negli istituti comprati ma li aumenta nelle proprie sedi direzionali, per far fronte alla crescita delle attività e dell'operatività.
Al 31 dicembre scorso, le banche con sede amministrativa in Piemonte erano 29 (18 spa, 9 bcc e 2 filiali di banche estere), in Liguria 4 (3 spa e 1 filiale di banca estera), mentre la Valle d'Aosta aveva un'unica bcc (banca di credito cooperativo). Nella stessa regione, però, operavano complessivamente 17 banche con 95 sportelli; mentre le banche in attività erano 79 in Piemonte con 2.364 sportelli e 51 in Liguria con 822 sportelli.

Aziende liguri tardano a pagare

Nel Nord Ovest, sono liguri le imprese meno puntuali nel pagare i fornitori. Il fenomeno emerge dall'ultima analisi specifica fatta da Cribis, società del gruppo Crif, leader nei sistemi di informazioni creditizie. Il censimento aggiornato a giugno 2017, infatti, evidenzia che le imprese liguri che pagano entro i termini pattuiti sono il 32,1%, mentre sono il 36,4% in Piemonte e il 37,4% in Valle d'Aosta. Fra l'altro, la media delle aziende liguri puntuali a saldare le fatture alla scadenza prestabilita è inferiore a quella nazionale, che è del 36,4%, identica a quella piemontese.
Le liguri hanno anche il primato negativo locale dei ritardi gravi, considerati tali i pagamenti effettuati dopo più di un mese dalla scadenza. Secondo Cribis-Crif, la quota delle aziende liguri in grave ritardo nel saldare le fatture è pari al 10,8%, contro il 9,7% delle valdostane e l'8,6% delle piemontesi. In tutte le tre regioni del Nord Ovest, comunque, la percentuali dei ritardi gravi è inferiore all'11,01% che rappresenta la media nazionale.
A livello italiano, nel secondo trimestre 2017, per la prima volta da sei anni, si è registrato un miglioramento della puntualità dei pagamenti dei fornitori da parte delle imprese committenti. La quota dei pagamenti nei termini pattuiti è aumentata del 2,8% rispetto al 2016. Altro fattore positivo: sta diminuendo, a ritmo sostenuto, (-16% nell'ultimo anno) la percentuale delle aziende che pagano con ritardi gravi.
Le tre regioni che possono vantare le quote più elevate di aziende puntuali nel saldare i fornitori sono il Veneto (46,1%), l'Emilia-Romagna (45,5%) e la Lombardia (45,2%). All'ultimo posto, invece, si trova la Sicilia con il 19,7%. E proprio quest'ultima è anche la regione che presenta il secondo tasso più elevato di imprese con ritardi gravi di pagamento (20,4%), preceduta di pochissimo dalla Campania (20,5%. Con il 19,4% è poi terza la Calabria.

Fondazioni e falsi mecenati

In queste settimane, si stanno celebrando i 25 anni di vita delle fondazioni di origine bancaria, quelle "strane" istituzioni nate con la Legge Amato. Un po' in tutta l'Italia, numerose fondazioni raccontano quanto hanno erogato in favore delle loro comunità di riferimento. Fra l'altro, è stato ricordato che le 88 fondazioni attive nel nostro Paese, insieme, hanno distribuito oltre 20 miliardi, dal 2000 al 2016. E, nell'occasione, qualcuno ha definito le fondazioni di origine bancaria "i nuovi mecenati".
Titolo appropriato per certi aspetti, cioè se riferito agli enti che promuovono e sostengono arte e cultura, istruzione e ricerca scientifica, salute pubblica e volontariato, sviluppo economico e diverse altre finalità sociali; ma che è del tutto fuori luogo quando viene riferito ai presidenti piuttosto che ai consiglieri e ai direttori o segretari generali delle fondazioni.
Gli amministratori delle fondazioni, a partire dai vertici, non sono i nuovi mecenati. E' vero che sono loro che deliberano gli stanziamenti, che finanziano progetti e iniziative, con cifre che vanno da poche centinaia di euro a milioni di euro. Ma i soldi che fanno uscire dalle casse sono soldi delle fondazioni e non loro, non escono dai portafogli personali. Li sborsassero loro, allora sì che potrebbero farsi ritenere e chiamare mecenati.
Alcuni presidenti e amministratori di fondazioni non evitano di farsi considerare mecenati e, in qualche caso, si comportano come se lo fossero davvero: tagliano nastri, intervengono da protagonisti, accettano riconoscimenti personali, organizzano manifestazioni autoreferenziali e autocelebrative, consentono che la persona sia identificata con l'ente gestito pro tempore. Sono falsi mecenati.
Naturalmente, una parte non va confusa con il tutto. Ci sono stati, e forse ci sono ancora, presidenti e consiglieri, che non soltanto hanno sempre rinunciato a incassare l'emolumento previsto, ordinandone l'intera devoluzione ad associazioni di beneficenza, ma hanno rinunciato a qualsiasi forma di promozione individuale e quando hanno voluto fare del mecenatismo lo hanno fatto con il denaro proprio, magari pretendendo l'anonimato.
Un grande avvocato, che è stato presidente di una grande fondazione nazionale, tra le maggiori in Europa, diceva due cose: "Le fondazioni vanno servite, mentre non ci si deve servire delle fondazioni, mai"; "Al vertice delle fondazioni non ci si candida; ma bisogna essere chiamati" (sottinteso: per capacità e doti).
Come è facile intuire, quel presidente ha fatto un unico mandato. Alla vigilia della scadenza, è stato convocato dal sindaco che lo aveva designato e gli è stato detto che era opportuno cambiare, ringiovanire (allora non si parlava ancora di rottamazione). Con eleganza, immediatamente, quel presidente si è ritirato, lasciando libero il campo, senza alcuna polemica.
I patrimoni delle fondazioni di origine bancaria sono delle fondazioni, di nessun altro soggetto: non degli enti locali e delle altre istituzioni, che ne designano i componenti degli organi statutari. Sono tesori che vanno gestiti con il massimo scrupolo e con la diligenza del buon padre di famiglia, con il maggiore senso di responsabilità possibile, con una cura superiore a quella che si dedica alle proprie risorse personali. Altro che mecenatismo.
Lo stesso dovrebbe valere per le imprese che hanno più soci, come per tanti amministratori pubblici e politici Troppo facile e comodo fare i generosi con i soldi di altri.

Curiosità

IL QUADRIFOGLIO DI BOLAFFI - Non soltanto in Italia, Bolaffi è quasi sinonimo di filatelia. Nata nel 1890, a Torino, Bolaffi oggi è un'impresa di riferimento nel panorama del collezionismo nazionale e internazionale. Con il tempo, alla filatelia ha affiancato la numismatica e poi tutti gli ambiti del collezionismo, compresi quelli di nicchia: manifesti, documenti antichi, dipinti, arredi, gioielli ...
Bolaffi, dunque, è molto conosciuto per la sua attività; ma, forse pochi sanno, che appartiene alla famiglia Bolaffi una tenuta, tra le più belle, che ospita un grande e prestigioso centro ippico dotato di tutte le infrastrutture necessarie per praticare, a ogni livello e con istruttori federali di primo piano, ogni disciplina equestre. Questa tenuta, 60 ettari sulle colline di Sciolze e Rivalba, a 20 chilometri da Torino, si chiama il Quadrifoglio e ospita, dal 1973, l'omonimo Riding & Country Club (presidente onorario è Nicoletta Bolaffi).
Qui, fra l'altro, si allevano cavalli vincenti e la scuola di equitazione, a partire dalla Pony, è tra le più prestigiose. Proprio all'inizio di luglio, un giovane torinese di 11 anni, Leopoldo Petrini, in sella a "Pioggi che va", ha vinto il campionato italiano Poni fino a 138. Leopoldo Petrini, che pochi giorni prima aveva conquistato la medaglia d'argento ai campionati piemontesi e che ha come istruttore Anita Calafiore, è un talento de L'Isola ce non c'è, l'associazione sportiva che gestisce la scuola di equitazione del Quadrifoglio. 

POLVERE D'OLIO - Un'altra creazione, innovativa e gustosa, da parte della Fratelli Carli. L'antica e rinomata Casa olearia imperiese, si appresta a lanciare "D'O Polvere d'olio by Davide Oldani", che - come si legge sul contenitore - è "una polvere preziosa, morbida e fragrante, che saprà trasformare i piatti in piccoli capolavori". Polvere realizzata naturalmente con l'olio extravergine d'oliva, cento per cento italiano, della Fratelli Carli, in collaborazione con lo chef Davide Oldani. 
La Polvere d'Olio è una nuova, inimitabile eccellenza, che nasce da un incontro al vertice del gusto, tra una centenaria esperienza nel saper fare un olio unico e una cucina stellata. Si presenta agli occhi bianca con riflessi verdi e dorati, tipici dell'olio extra vergine di oliva cento per cento italiano Carli. Appena aperta la confezione, si sente un profumo intenso di oliva, che conquista. Il nuovo prodotto ha una consistenza morbida e leggera e la sua aspersione impreziosisce persistentemente, con classe, ogni sapore. 
A credere molto nella nuova creazione è Claudia Carli, neo sposa, direttrice Comunicazione e Marketing dell'omonima società, che ha come neo direttore generale il fratello Carlo e come presidente e amministratore delegato il padre Gianfranco. La Fratelli Carli, attiva dal 1911, conta oltre 320 dipendenti e nel 2016 ha fatturato 155 milioni di euro.

ASTI PRIMA PER DEBITI - E' Asti la provincia del Nord Ovest con la famiglia media più indebitata. Il primato emerge da uno studio della Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, che ha attribuito alla famiglia media astigiana un indebitamento di 21.844 euro al 31 dicembre 2016, superiore dell'1,9% rispetto alla stessa data dell'anno precedente e di circa 1.500 euro all'indebitamento della famiglia media italiana (20.341 euro).
Al secondo posto, nella graduatoria locale, si trova Novara con 21.352 euro (+1,3%) e al terzo Torino con 20.853 (+2,4%).
Seguono, nell'ordine: La Spezia con 18.414 (+2,3%), Verbania con 18.397 (+1,8%), Genova con 18.206 (+1,3%), Savona con 17.887 (+1,1%), Cuneo con 17.630 (+3%), Alessandria con 17.023 (+1,1%), Vercelli con 16.612 (-3%), Biella con 16.000 (+0,2%), Imperia con 15.288 (+1,6%), Aosta con 14.214 (+4,2%).
Dunque, le province di Aosta, Imperia e Biella sono quelle del Nord Ovest con le famiglie meno indebitate. E, comunque, tranne Asti, Novara e Torino, tutte le altre mostrano un indebitamento inferiore a quello medio nazionale. Tutte, inoltre, hanno fatto registrare un incremento percentuale rispetto al 2015, dal 4,2% di Aosta allo 0,2% di Biella, con l'eccezione di Vercelli, che, invece, ha evidenziato un calo del 3%.

L'AMBIENTE DI RE REBAUDENGO - Ha poco più di dieci anni ed è stato il primo museo in Europa dedicato esclusivamente ai beni ambientali. Si trova a Torino e si chiama Maca, acronimo di Museo A come Ambiente. Il 7 luglio, al suo vertice è stato confermato Agostino Re Rebaudengo, imprenditore leader nel settore delle energie rinnovabili. E' stato rieletto presidente all'unanimità. Nella sua attività al Maca, punto di riferimento per l'educazione ambientale e la divulgazione scientifica, non soltanto in Piemonte, Agostino Re Rebaudengo, sarà affiancato da un consiglio direttivo formato da Silvia Leto (assessore all'Urbanistica e ai Lavori pubblici del Comune di Cuorgnè), Alberto Unia (assessore all'Ambienete della Città di Torino), Carlo Enrico De Fornex (Reale Group), Paolo Romano (Smat) e dal direttore Paolo Legato.
Agostino Re Rebaudengo, nato sotto la Mole nel 1959, sposato con Patrizia Sandretto, due figli, laurea in Economia e commercio e, poi, corsi di perfezionamento alla Harvard University di Boston e alla Ucla di Los Angeles, guida un gruppo di imprese che producono sia energia verde da biogas, eolico e fotovoltaico sia sistemi di risparmio energetico. A capo di questo gruppo, che conta circa 180 dipendenti e ha fatturato 120 milioni, si trova Asja, società che ha fondato nel 1995 e di cui è presidente operativo. Inoltre, è presidente di Totem Energy, vice di Elettricità Futura, la neonata e più importante associazione delle aziende elettriche operanti in Italia, oltre che vice presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, una delle più rilevanti dell'arte contemporanea. Fra l'altro, ha presieduto il teatro Stabile di Torino e la sezione piemontese e valdostana dell'Ucid, l'unione degli imprenditori e dirigenti cristiani. Fa parte di diversi circoli d'élite, quali il Whist e il Subalpino.