Altavilla corre con la Tipo

Aveva ragione, Alfredo Altavilla, uno dei principali collaboratori di Sergio Marchionne, di cui è considerato un potenziale successore, a manifestare la sua fiducia nel successo della nuova Fiat Tipo, in occasione del lancio della berlina che aveva suscitato qualche scetticismo nel mondo dell'automobile, soprattutto per la sua impostazione classica e la linea tradizionale. La Fiat Tipo, infatti, è diventata la terza vettura più acquistata in Italia (21.695 nuove immatricolazioni nei primi quattro mesi di quest'anno), superando anche la Renault Clio e, con la sua versione specifica, ha conquistato il primo posto delle familiari o station wagon con più clienti nel nostro Paese (dall'inizio di gennaio alla fine di aprile ne sono stati venduti 6.874 esemplari, oltre 3mila più dell'Audi A4, seconda classificata).
La nuova Tipo, costruita dalla controllata turca Tofas, di cui il manager Fca - Fiat Chrysler Automobiles è stato amministratore delegato. "tira", oltre le previsioni e tanto che Fiat ha dovuto chiedere aumenti della produzione ai fornitori, ben contenti delle commesse aggiuntive.
Alfredo Altavilla, nato nel '63 a Taranto, ma torinese da parecchi anni, fa parte del Gec- Group Executive Council, il ristrettissimo organo a capo del Gruppo Fca, oltre a essere Head of Business Development e Chief Operating Officer Emea, cioè il responsabile operativo delle attività di Fiat-Chrysler in Europa, Medio Oriente e Africa. A lui, laureato in Economia e commercio alla Cattolica di Milano, vengono attribuiti non pochi meriti anche per le affermazioni internazionali della nuova Giulia Alfa Romeo, della Fiat 124 Spider e della Maserati Levante.
Figlio di un concessionario Lancia-Autobianchi, Alfredo Altavilla ha sempre amato le quattroruote e ha coronato un suo sogno quando, nel 1990, è stato assunto in Fiat Auto, dove ha incominciato la sua carriera. Già nel 1995 era responsabile dell'ufficio di Pechino e, quattro anni dopo, delle attività in Asia. Poi ha avuto il coordinamento dell'alleanza con General Motors e, nel 2004, la presidenza della Powertrain, joint venture con il colosso di Detroit per i motori diesel.

In testa per compravendite di case

L'ha confermato anche il sondaggio fatto dalla Banca d'Italia, tra la fine di marzo e quella di aprile, coinvolgendo oltre 1.400 agenzie immobiliari: il mercato della casa è in ripresa anche in questa prima parte del 2017 e gli operatori del settore sono fiduciosi sulla continuità della tendenza favorevole nel breve e nel medio termine. Aumentano le vendite e i potenziali acquirenti, mentre si riducono i tempi delle trattative e il calo dei prezzi sta rallentando; gli sconti sono scesi al 12% rispetto al prezzo richiesto, un paio di punti in meno rispetto a un anno fa e di quattro punti nei confronti di due anni fa.
Nel 2016, gli immobili venduti in Italia sono stati più di un milione, per la prima volta dal 2011. Per la precisione, sono stati 1.141.012, tenendo conto di tutti i comparti: residenziale, terziario, commerciale, produttivo e pertinenze.
In particolare, sono ammontate a 533.741 le compravendite di abitazioni, con un incremento del 18,9%, che si aggiunge alle crescite del 6,5% nel 2015 e del 3,5% nel 2014. Naturalmente è aumentato anche il valore complessivo delle transazioni per i passaggi di proprietà: dai 76 miliardi di euro nel 2015 agli 89 miliardi dell'anno scorso.
Tra le tre regioni del Nord Ovest è la Valle d'Aosta quella che ha registrato il maggior incremento percentuale di compravendite, con il suo 24,6%, superiore al 23,8% della Liguria e al 22,8% del Piemonte. Torino, però, è risultata la prima tra le otto metropoli nazionali: nel capoluogo si sono contate 12.342 compravendite di case (+26,4% sul 2015), a fronte del 23,7% di Bologna, seconda, e di Genova, terza, con il 22,9% (6.631 passaggi di proprietà). Le altre grandi città - Roma, Milano, Napoli, Palermo, Firenze - hanno mostrato tutte tassi minori. Comunque, a Roma le compravendite 2016 sono state 30.253 e a Milano 21.978.
Delle abitazioni che hanno cambiato proprietario, nell'anno passato, quasi la metà (246.182) sono state comprate con un mutuo ipotecario, del valore medio vicino ai 120.000 euro. Le erogazioni dei mutui sono aumentate del 27,3% rispetto al 2015, grazie certamente all'ulteriore calo dei tassi d'interesse, finiti al 2,31% (il trend, però, si sta invertendo).
Tutti questi dati sono stati resi noti dall'Osservatorio del mercato immobiliare, realizzato dall'Agenzia delle Entrate, in collaborazione con l'Abi, l'associazione nazionale delle banche. L'Osservatorio, inoltre, ha rilevato 1.690.520 nuovi contratti di locazione nel 2016, in tutto il Paese (+1,3% sul 2015), per un totale di 1,7 milioni di immobili affittati. In media, la loro superficie è di 92 metri quadrati e il canone annuo di 60,7 euro per metro quadrato.
Però, a Torino i nuovi affitti prevedevano un canone annuo di 77,4 euro a metro quadrato in caso di contratti con durata di oltre tre anni (65,2 euro a Genova) e di 82,3 euro con durata invece inferiore (82,6 euro nella città con la Lanterna).

De Benedetti cresce nella sanità

In sviluppo il business dei De Benedetti nella sanità socio-assistenziale. Il gruppo Kos, controllato dalla Cir e partecipato da F2i Healthcare, è già diventato uno dei maggiori italiani nel settore (gestisce 77 strutture, molte delle quali in Piemonte e in Liguria, per un totale di 7.300 posti letto, conta oltre 5.600 dipendenti ed è attivo anche in India e nel Regno Unito) e continua a migliorare i propri risultati. Dall'inizio di gennaio alla fine di marzo, ha registrato ricavi per 117,5 milioni di euro (+3,6% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso) e ha conseguito un utile netto di 4,6 milioni, a fronte dei 4,4 precedenti.
Nell'intero 2016, Kos, che sta arrivando a rappresentare quasi il 20% del gruppo Cir, ha avuto ricavi per poco più di 461 milioni, ancora una ventina più che nel 2015. L'utile netto 2016 è ammontato a 23,4 milioni, in crescita del 18,2% sui 19,8 milioni dell'esercizio precedente. Kos si occupa di residenze sanitarie-assistenziali, centri di riabilitazione, cure oncologiche, diagnostica e gestioni ospedaliere. Fra l'altro, nell'esercizio passato ha acquisito il controllo di una struttura di riabilitazione psichiatrica nelle Marche e ha avviato il suo primo centro di riabilitazione in India.
Il gruppo Cir ha Rodolfo De Benedetti, primogenito di Carlo, come presidente della holding, nel cui consiglio di amministrazione siede anche Claudio Recchi, al vertice dell'omonima impresa e consigliere pure di Aon Italia e dell'Ipi (Segre).


Altruda alla miliardaria Diasorin

Nuovo riconoscimento professionale per la torinese Fiorella Altruda, fra l'altro direttrice del Centro di Biotecnologie molecolari dell'Università sotto la Mole: è stata eletta nel Consiglio di amministrazione della Diasorin dall'ultima assemblea dei soci, il primo dei quali è il tycoon subalpino Gustavo Denegri con il 44,9% del capitale. E per avere un'idea di quanto valga questa quota basta aggiungere che alla chiusura di venerdì 19 maggio, Diasorin capitalizzava in Borsa 3,78 miliardi di euro (il prezzo dell'azione era di 68,2 euro, ancora il 33,8% in più rispetto all'anno prima).
Leader globale nella produzione di test diagnostici, sede a Saluggia, nella pianura vercellese, Diasorin conta circa 1.700 dipendenti e nel 2016 ha fatturato 569,3 milioni di euro, guadagnandone 112,6, tanto da poter distribuire agli azionisti (secondo, con il 4,3%, è il brillante amministratore delegato, Carlo Rosa) un dividendo complessivo di 43,8 milioni. Un'impresa in continuo sviluppo, come confermano i risultati del primo trimestre 2017, quando Diasorin ha conseguito ricavi netti per 157,5 milioni (+24,5% nei confronti di gennaio-marzo 2016) e un utile netto di 32,9 milioni (+33,2%), con una posizione finanziaria netta salita a 114,1 milioni.
Adeguatissima al nuovo ruolo affidatole dal vertice della Diasorin (vice presidente è Michele Denegri, figlio del fondatore), Fiorella Altruda, laureata in Biologia, insegna Genetica molecolare nell'Università di Torino, dove ha iniziato la carriera accademica trent'anni fa. Aggiunge il nuovo incarico a diversi altri, fra i quali spiccano la presidenza del Bioindustry Park di Collereto Giacosa, il coordinamento dell'European Master in Biolhealth Computing per l'Ateneo cittadino, che la vede anche componente del suo Senato. Inoltre, fa parte del Consiglio di amministrazione della Fondazione CentroScienza e del Cib - Consorzio interuniversitario di Biotecnologie. Per dieci anni, fino al 2015, è stata presidente della Scuola di Biotecnologie e per sette coordinatrice del Polo di Innovazioni-Biotecnologie della Regione Piemonte.

Fondazioni: Spezia prima, Crt terza


Grazie al suo patrimonio netto di 194,2 milioni di euro a fine 2016, ancora uno in più rispetto al 31 dicembre 2015, la Fondazione Carispezia, presieduta da Matteo Melley dal 2001, ha rafforzato la sua leadership tra le fondazioni liguri di origine bancaria. Seconda si è classificata la fondazione savonese Agostino De Mari con 112,4 milioni e ultima la Fondazione Carige con 55,6 milioni, cifra che la relega nella fascia delle più piccole a livello nazionale.
Nel 2016, la Fondazione Carispezia ha conseguito un avanzo di 5,2 milioni (non si può parlare di utile netto, trattandosi di ente non profit), a fronte dei 2,2 milioni della De Mari, che ha come nuovo presidente Federico Delfino, mentre Fondazione Carige ha dichiarato un disavanzo (perdita) di 9,6 milioni. Questo disavanzo è il quarto consecutivo. Gli oneri(costi) totali sono stati pari a 2,2 milioni per la fondazione spezzina, 1,1 per la savonese e 3,3 per quella genovese.
La Fondazione guidata da Melley è risultata anche la più generosa nei confronti della sua area di riferimento; infatti, nell'esercizio passato, ha deliberato erogazioni per 5,2 milioni, 2 più della De Mari, ben diretta da Giulio Tarasco. A Genova, invece, sono stati deliberati stanziamenti per meno di mezzo milione.
In Liguria, comunque, opera anche la ricchissima Compagnia di San Paolo,la quale ha, per statuto, la regione rivierasca come territorio di pertinenza, oltre che, naturalmente, il Piemonte.
A livello nazionale, la graduatoria basata sui patrimoni netti emersi al 31 dicembre 2016 evidenzia una sorpresa: il terzo posto della torinese Fondazione Crt, la quale ha scalzato dal podio la Fondazione Cariverona. Un sorpasso storico. Il patrimonio della Fondazione Crt è salito a 2,170 miliardi di euro, mentre quello dell'ente scaligero è sceso a 2,055 miliardi. Nella piazza d'onore s'è confermata la Compagnia di San Paolo (5,884 miliardi, un'ottantina in più rispetto al fine 2015) e in testa, ancora, la Fondazione Cariplo, nonostante il calo da 6,851 a 6,820 miliardi, che comunque garantisco il primato all'ente presieduto dall'inossidabile Giuseppe Guzzetti,
Fondazione Cariplo, prima in Italia da quando esistono questi enti nati in seguito alla Legge Amato, è stata l'unica delle dieci più grandi, a presentare il bilancio 2016 in rosso: il suo disavanzo è stato di 30,9 milioni, che contrasta in modo particolare con l'avanzo di 267,5 milioni della Compagnia di San Paolo, presieduta da Francesco Profumo.
Tornando alla classifica nazionale per patrimonio netto al 31 dicembre 2016, al quarto posto si trova appunto la Fondazione Cariverona e al quinto la Fondazione Cariparo (Padova e Rovigo) con poco meno di 1,874 miliardi. Seguono, nell'ordine: le Fondazioni di Firenze (1,630 miliardi), Roma, Cuneo (1,304), Carilucca (1,189) e Cariparma, che chiude la top ten con 1 miliardo.




"Subalpini" 2017

Luca Filippone, direttore generale di Reale Mutua, Marco Gay, poliedrico imprenditore torinese che ha lasciato da poco la presidenza nazionale dei Giovani di Confindustria, non essendo più rieleggibile al termine del secondo mandato e Luciano Mattioli, a capo dell'omonima azienda di gioielli con la figlia Licia: sono tre dei nuovi soci 2017 del Circolo Subalpino, tra i più prestigiosi, esclusivi ed ambiti di Torino. Farvi parte è un onore riservato a pochi. Bisogna esserne giudicati degni, da una commissione attenta e rigorosa. Al Subalpino non ci si candida, si entra su invito. E con soci che garantiscono su caratteristiche e doti, che vanno dall'eccellenza nel proprio campo di attività, alla riconosciuta posizione sociale, all'onesta, al comportamento decoroso, al buon cuore.
Al Subalpino, fondato nel 1949 da Remo Morone, che l'ha presieduto fino al 1960, si trova il fior fiore piemontese degli avvocati, dei commercialisti, dei medici, dei professori universitari, degli imprenditori, dei liberi professionisti, dei manager e non solo. Grandi personalità che hanno come appuntamento tradizionale il martedì, nelle sale auliche di un palazzo storico di corso Vittorio Emanuele, dove normalmente si cena, velocemente, sobriamente e dandosi rigorosamente del tu, a prescindere dall'età e dagli incarichi ricoperti. Le relazioni sono improntate all'amicizia, alla reciproca disponibilità e benevolenza. Clima sempre piacevole.
Il numero degli iscritti è costantemente contenuto intorno ai 150. Il presidente resta in carica ed è rinnovabile solo per un altro anno. Attualmente a presiedere il Subalpino è il professor Giovanni Gandini, direttore del dipartimento assistenziale di Diagnostica per immagini alla Città della Salute di Torino. E' stato confermato recentemente dall'assemblea, che ha anche eletto consiglieri Silvio Dolci, Gian Mario Giachino, Guglielmo Giordanengo, Paolo Montalenti, Lodovico Passerin d'Entreves, Giuseppe Poli, Luigi Puddu, Mauro Rinaldi, Giovanni Succo ed Emilio Rossi, Confermato anche il collegio dei probiviri, formato da Carlo Luda di Cortemiglia, Lionello Jiona Celesia e Giovanni Zanetti.

Fideuram, record con rimpianto

Nuovo record di Banca Fideuram, leader in Italia nel settore del risparmio gestito e quarta maggiore nell'intera area Euro. Al 31 marzo, infatti, il totale delle masse amministrate dall'istituto torinese che fa parte del colosso Intesa Sanpaolo, ha superato, per la prima volta, la soglia dei 200 miliardi di euro, raggiungendo quota 202,9 miliardi, ancora 4,8 in più rispetto al 31 dicembre 2016. Annunciando questo ambizioso risultato, con soddisfazione non celata, il presidente Matteo Colafrancesco e l'amministratore delegato Paolo Molesini, hanno aggiunto che il primo trimestre si è chiuso con una raccolta netta totale di oltre 2,3 miliardi (+24% rispetto al corrispondente periodo 2016), un utile netto consolidato di 224 milioni (+5%) e il Cet1 - principale indice di solidità - al 16%.
Per Torino, tristemente orfana dello storico "Sanpaolo", Banca Fideuram potrebbe essere motivo d'orgoglio, dato che la sede legale è sotto la Mole, proprio al 156 di Piazza San Carlo, nell'aulico palazzo che ha ospitato il quartier generale del gruppo Sanpaolo prima della sua fusione con la milanese Intesa, allora guidata da Corrado Passera.
Potrebbe, ma non è, perché la sede amministrativa di Banca Fideuram (5.878 private banker, 30 più che a fine 2016) resta a Roma, nonostante le aspettative di diversi torinesi nostalgici, i quali guardano con sospetto anche la sede secondaria nel capoluogo lombardo e sono ben consapevoli dei vantaggi che deriverebbero a Torino dal trasferimento delle attività principali in città, degna e adeguata a ospitarle.
C'è chi confida ancora nella Compagnia di San Paolo, maggiore azionista di Intesa San Paolo (fino a quando?). A ragione?

Fiat tradita da Asti e Novara

In aprile, nella provincia di Cuneo si sono vendute più auto nuove che in quella di Genova: 1.414 le nuove immatricolazioni nella prima, a fronte delle 1.390 della seconda. Nel mese precedente, invece, era successo il contrario. Comunque, i Pra della Granda e sotto la Lanterna, hanno continuato a registrare un numero di targhe nuove di gran lunga inferiore a quello della piccola Aosta (4.742), favorita dai benefici fiscali offerti e colti soprattutto dai gestori delle flotte.
Insieme, le tre regioni del Nord Ovest hanno contato, nel mese appena passato, 24.656 nuove immatricolazioni, pari al 15,37% del totale nazionale. Oltre la metà delle nuove targhe sono state consegnate nella provincia di Torino (12.491), quella che, a livello italiano, ne distribuisce di più dopo Bolzano, anch'essa a tassazione agevolata.
Per quanto riguarda le nuove immatricolazioni nelle altre province del Nord Ovest, l'Unrae, l'unione che rappresenta le marche autoveicolistiche nel nostro Paese, ha riferito che Alessandria ne ha fatte registrare 962, Novara 831, Savona 489, Asti 445, La Spezia 430, Biella 419, Verbania 369, Vercelli 357 e Imperia, fanalino di coda, 317.
Le province di Asti e di Novara sono le uniche due dove la marca Fiat non è risultata al primo posto per numero di nuovi acquirenti, nel mese scorso. Ad Asti è stata superata dalla Renault (81 contro 56) e a Novara dalla Volkswagen (90 contro 84).

La miniera dei Gavio

E' una miniera d'oro, il Nord Ovest, per il gruppo Gavio. Le "sue" autostrade continuano a incassare un sacco di soldi. La conferma più recente si trova nei dati relativi al primo trimestre di quest'anno, quando le società del gruppo alessandrino che gestiscono la rete autostradale in concessione hanno conseguito ricavi netti da pedaggio per 221,364 milioni di euro, 5,6 milioni in più rispetto al corrispondente periodo del 2016.
A rendere più di tutte è stata ancora l'autostrada Torino-Milano (59 milioni dal primo giorno di gennaio all'ultimo di marzo), gestita dalla Satap, come la Torino-Piacenza (39,7 milioni). Gli altri maggiori incassi sono arrivati dai caselli delle tratte Sestri Levante, Viareggio-Lucca e Fornola-La Spezia, per le quali opera la Salt (37,4 milioni), poi da quelli della Savona-Ventimiglia della Adf-Autostrada dei Fiori (32,5 milioni), ad alta intensità di traffico e, quasi interamente, senza la corsia d'emergenza. La Cisa (La Spezia-Parma) ha incassato 18 milioni, la Sav (Quincinetto-Aosta) 16,1 e l'Ats (Torino-Savona) poco meno di 14,3 milioni. Fanalino di coda l'Asti-Cuneo, da completare, con 4,1 milioni.
A occuparsi del business autostradale dei Gavio sono le società Astm e Sias, entrambe quotate sul listino di Piazza Affari (a quando la fusione delle due?). Astm, la capogruppo del settore, è presieduta da Gian Maria Gros-Pietro, il quale ha lo stesso incarico in Intesa Sanpaolo. Astm possiede il 61,7% della Sias, nel cui consiglio di amministrazione sono stati confermati anche Licia Mattioli e Giovanni Quaglia, vice presidente di Confindustria la prima e numero uno della Fondazione Crt, oltre che dell'Autostrada Torino-Savona, il secondo. Daniela Gavio è vice presidente sia della Sias sia dell'Astm, la quale ha tra i suoi amministratori altri componenti della famiglia, il notaio Caterina Bima e l'avvocato Marco Weigmann.

Morosi per altri 6 miliardi

Sei miliardi di euro. E' il valore complessivo degli oltre tre milioni di crediti scaduti e in "sofferenza" che le società aderenti a Unirec hanno avuto il mandato di recuperare, l'anno scorso, nelle tre regioni del Nord Ovest: 4,450 miliardi in Piemonte, 1,429 miliardi in Liguria e 137 milioni in Valle d'Aosta. Somme tutte superiori a quelle del 2015, quando le associate a Unirec, organizzazione che rappresenta oltre l'80% delle aziende operanti in Italia nel settore della riscossione dei prestiti non onorati tempestivamente: rate scadute di mutui, carte di credito revolving, canoni di leasing, bollette del telefono, piuttosto che del gas, dell'energia o dell'acqua; polizze assicurative, tasse, contratti per l'acquisto di beni di largo consumo.
Nel 2015, infatti, avevano ricevuto mandati per un totale di 5,229 miliardi di euro. Allora, in particolare, le nuove morosità da recuperare ammontavano a 3,838 miliardi di euro in Piemonte, a 1,292 miliardi in Liguria e a 99 milioni in Valle d'Aosta.
Quanto ai risultati ottenuti nel Nord Ovest, l'anno scorso, in seguito alla loro attività, Unirec ha riferito che le sue associate sono riuscite a farsi pagare oltre un milione di rate scadute, per un valore di 738 milioni di euro, 570 dei quali incassati in Piemonte, 155 in Liguria e 13 in Valle d'Aosta.
A livello nazionale, la somma recuperata, per conto dei creditori, è stata di 8,191 miliardi di euro, a fronte dei 9,419 miliardi del 2015 e i 9,672 miliardi del 2014; mentre, nel 2016, ha superato i 69 miliardi il valore delle nuove morosità (35,654 milioni) che le società Unirec hanno avuto il compito di cercare di far rientrare, 10,4 miliardi di euro in più rispetto al 2015 e 13,1 miliardi più che nel 2014.
Dai confronti emerge chiaramente continuano le difficoltà delle famiglie e delle imprese a onorare i propri impegni finanziari, nel Nord Ovest come nel resto del Paese. Un effetto della gravissima crisi economica, incominciata a cavallo del 2007-2008 e non ancora finita.    

La principessa degli yacht

E' la principessa della nautica italiana. E, come tale, è stata trattata anche dal Corriere della Sera, che, le ha dedicato uno spazio notevole e un ritratto lusinghiero dell'inserto settimanale L'Economia, nel primo numero di maggio. Naturalmente, il soggetto in questione è la torinese Giovanna Vitelli, vice presidente di Azimut-Benetti e di Nautica Italiana, l'associazione che rappresenta oltre 80 imprese del settore, alle quali si deve circa l'80% del fatturato della cantieristica nazionale da diporto.
Nell'articolo, fra l'altro, Giovanna Vitelli ha anticipato che Azimut-Benetti, leader mondiale nel comparto degli yacht di lusso con lunghezza sopra i 24 metri, nei primi quattro mesi dell'esercizio in corso ha raccolto nuovi ordini per 221 milioni di euro, con una crescita superiore alle aspettative e a conferma del trend positivo; inoltre, quest'anno lancerà sei nuovi modelli, così che la gamma d'offerta diventerà di 32 e, sei mesi fa, ha consegnato il suo primo yacht di oltre cento metri, entrando nella nicchia dei giganti del mare, sfidando la concorrenza tedesca e olandese.
Giovanna Vitelli, 42 anni, due figli, laurea con lode in Giurisprudenza nel capoluogo piemontese, fino al 2004 ha esercitato la professione di avvocato nel prestigioso studio milanese Bonelli Erede Pappalardo.  In Azimut-Benetti, ha assunto incarichi operativi e direttivi di sempre maggiore responsabilitàLa principessa degli yacht e ora affianca il padre Paolo, fondatore e presidente. Sette cantieri (storico è quello di Avigliana, nella cintura torinese), un paio di migliaia di dipendenti diretti, l'impresa che è controllata dalla famiglia Vitelli ed ha come socio di minoranza Tamburi con il 12%, Azimut-Benetti ha fatturato 710 milioni di euro nell'esercizio 2015-2016 e nel suo piano triennale ha previsto investimenti per 100 milioni.

Un savonese in ritirata

Come direbbe Maurizio Crozza: non ci credo, ma dicono che non sia stata versata neppure una lacrima nella Bim, Banca Intermobiliare, quando Gianpaolo Provaggi ha presentato le sue dimissioni da vice presidente e consigliere di amministrazione, incarichi conquistati solo pochi mesi fa. Dimissioni con effetto immediato e giustificate con la seguente motivazione ufficiale, certamente inusuale: "in ragione del dissenso più volte espresso nelle riunioni consiliari".
Gianpaolo Provaggi, rampante commercialista del Savonese, era arrivato in Bim, travagliata banca private torinese, dopo essere uscito (non si sa spontaneamente o "spintaneamente") dal consiglio di amministrazione di Banca Carige, altro istituto che sta vivendo un periodo particolarmente difficile e complicato. E nel vertice della banca genovese era entrato in seguito all'attività di consulente primario di Fondazione Carige, che fino al 2014 la controllava saldamente e ora, invece, ne possiede meno del 2% del capitale.
Dicono che anche a Genova, in via Cassa di Risparmio e in via Chiossone, dove si trovano le sedi dei due enti con marchio Carige, nessuno abbia pianto in seguito all'abbandono di Provaggi, ma forse non è vero. Comunque, i tre passaggi del Savonese non rievocano buoni ricordi, se non altro perché coincidono con crisi dei soggetti che lo hanno visto all'opera, e ingenerano leciti interrogativi sulle promozioni delle designazioni.

Quei dividendi troppo generosi

In questo periodo, tanti proprietari di azioni di società quotate stanno incassando i frutti annuali dei loro investimenti in Borsa. Cedole spesso ricche e, in qualche caso, molto ricche. Per un totale stimato in oltre 17 miliardi di euro. D'altra parte, alcuni amministratori hanno proposto la distribuzione dell'intero utile disponibile dopo gli accantonamenti obbligatori e altri hanno persino attinto alle riserve, pur di remunerare bene il capitale. E le assemblee hanno approvato, certamente con diffusa soddisfazione. Tra i votanti a favore, non pochi hanno forse pensato: "meglio un uovo oggi ...". Dimenticando una lezione di Luigi Einaudi, grande economista, grande banchiere, grande uomo di Stato e grandissimo saggio.
Luigi Einaudi raccomandava di distribuire sempre una parte limitata dei profitti conseguiti nell'esercizio. Molto meno della metà. Giusto remunerare il capitale di rischio; ma doveroso, imprescindibilmente, destinare la stragrande maggioranza degli utili al rafforzamento patrimoniale. Un patrimonio netto elevato è garanzia di solidità, è un'assicurazione "contro le sorprese del destino", consente e favorisce lo sviluppo dell'impresa, senza indebitarsi.
Oggi, come nel passato recente, troppi trascurano lo stato patrimoniale preferendo concentrarsi sul conto economico; guardano soprattutto la redditività, il breve termine invece del lungo. Una miopia pericolosa, che colpisce la categoria dei top manager e, in particolare, il segmento dei "mercenari," specializzati nel ricavare il massimo dei benefici personali dall'azienda, poli lasciata, con la massima tempestività, indebolita e più povera. E' uno degli effetti disastrosi della prevalenza, per non dire prevaricazione, della finanza. Su tutto il resto.
Chi ha il vero spirito imprenditoriale, il vero creatore di benessere e di ricchezza, pensa e opera per la crescita del patrimonio, per lo sviluppo duraturo. I dividendi spropositati, invece, sono regali agli speculatori e agli azionisti inconsapevoli o irresponsabili; perché sono risorse sottratte al tesoro dell'impresa, pregiudicandone la forza, la competitività, le potenzialità, le opportunità.
Elargire dividendi generosi e poi fare aumenti di capitale è una presa in giro: si danno soldi, che poi vengono richiesti indietro, con gli interessi. E' già successo, anche recentemente. Azionisti prima illusi, poi depauperati. Un prezzo pagato da chi dimentica Luigi Einaudi.

 

Carli a macchia d'olio

La stessa gioia di un bambino in un bel negozio di giocattoli o di una donna in un elegante  e fornitissimo negozio di scarpe. Ecco quello che prova l'amante di gastronomia in un emporio della Fratelli Carli, uno dei nove aperti finora nel Nord Italia, il più recente dei quali all'Oriocenter, lo shopping center che si trova a due passi dall'aeroporto di Orio al Serio-Bergamo ed è forse più famoso del nostro Paese.
Negli empori Carli si trova una sterminata gamma di prodotti alimentari, naturalmente a partire da quelli che hanno come base l'olio e le olive, ma anche gli altri cibi della tradizione ligure e mediterranea, oltre che vini e aceti, dolci e varie golosità e persino articoli di una linea speciale per la cura personale. Insomma, una fonte di benessere e di piaceri, in un ambiente molto gradevole.
E questo spiega il successo degli empori della Fratelli Carli, che sempre più stanno contribuendo allo sviluppo dell'impresa imperiese fondata nel 1911 dall'omonima famiglia, che ne mantiene saldamente il controlla e la guida (Gianfranco Carli è il presidente e amministratore delegato, il figlio Carlo neo direttore generale e la figlia Claudia direttrice Comunicazione e Marketing).
La Fratelli Carli, infatti, nel 2016 ha fatturato circa 155 milioni di euro, facendo segnare un ulteriore aumento dei ricavi rispetto al 2015, quando aveva una redditività del 3,82% (roe) e contava oltre 320 dipendenti.
Il primo Emporio della Carli è stato inaugurato 2010, logicamente a Imperia, a fianco dello stabilimento e del Museo dell'Olio. Poi, è stata la volta di Torino, Padova, Milano, Cuneo, Bologna, Monza, Como e, appunto, Orio al Serio. La scelta del decimo è ancora top secret.
La Fratelli Carli è nata 106 anni fa dall'idea di Giovanni Carli, uno dei sei figli del tipografo Carlo. L'allora ventenne Giovanni ottiene il permesso di andare a vendere l'olio prodotto in abbondanza dagli oliveti di famiglia non ai commercianti locali, come si era sempre fatto, ma direttamente alle famiglie piemontesi raggiunte in bicicletta. Funziona. L'anno successivo pubblica il primo listino e lo invia ai clienti, sempre più numerosi. Ordini e consegne per corrispondenza. La Fratelli Carli diventa fornitrice persino della Real Casa, con l'investiture ufficiale di Vittorio Emanuele.
E' nel 1965, invece, che viene avviata la rete di consegnatari dotati dei furgoni verdi con il marchio Fratelli Carli, mezzi che si vedono distribuire i prodotti Carli in tutt'Italia, venduti però anche in numerosi altri Paesi.

Nuovi dolori per i liguri

Nuovi dolori. A procurarli al mondo ligure del non profit - associazioni ed enti che operano in vari campi, dal socio-assistenziale ai beni culturali e artistici, dalla sanità alla beneficenza - è la lettura del bilancio 2016 di Fondazione Carige, non ancora oggetto di comunicato stampa ma che si può trovare sul sito dell'istituzione con sede a Genova, in via Chiossone, di fronte all'ingresso destinato al personale di quella che era la sua banca, la Cassa di risparmio di Genova e Imperia, della quale oggi possiede meno del 2% del capitale.
Nel 2016, Fondazione Carige ha perso altri 9,6 milioni di euro. Dopo il rosso di 4,7 milioni del 2015, i 217,7 del 2014 e la perdita monstre di 914,5 milioni denunciata nel bilancio 2013, il primo approvato da Paolo Momigliano, eletto presidente il 3 dicembre di quell'anno e confermato nella carica il 14 aprile dell'anno scorso. Oltre un miliardo negli ultimi quattro anni. Di conseguenza, il patrimonio netto della Fondazione è precipitato a 55,6 milioni, tale da relegare l'ente ligure nelle ultime posizioni della graduatoria nazionale del settore, mentre, in passato è stato fra i dodici di testa.
Però, non sono soltanto le perdite di quattro anni consecutivi e il patrimonio ridotto ai minimi termini, a far discutere e a preoccupare quanti ricordano il ruolo rilevante, strategico, che Fondazione Carige ha avuto per la regione e, soprattutto, per le province di Imperia e del capoluogo con la Lanterna.
Fra l'altro, infatti, l'ultimo bilancio evidenzia che, a fronte di proventi ordinari inferiori ai 6 milioni nell'esercizio, si trovano oneri per quasi 3,3 milioni. Somma, quest'ultima, alla quale hanno contribuito i 301.531 euro dovuti per i compensi e i rimborsi spese degli organi statutari (il presidente è costato 48.125 euro, il Consiglio di amministrazione 77.129 e il Consiglio di indirizzo 51.077) e i 767.912 euro spesi per consulenti e collaboratori esterni.
Non solo: le erogazioni deliberate nel corso del 2016 per l'attività istituzionale, cioè gli stanziamenti per gli interventi a favore delle comunità locali, sono stati pari a 458.062 euro. Una cifra che, affiancata alle altre, la dice lunga, anzi lunghissima. E a qualcuno viene in mente "ma se ghe pensu". Meno male, per Genova e Imperia, che c'è la Compagnia di San Paolo, che interviene con milioni di euro all'anno.
 

Lapo senza Tessitore

Andrea Tessitore, brillante e giovane imprenditore torinese (è nato il 25 maggio 1973) ha lasciato Italia Independent Group, l'impresa di cui è stato fondatore insieme con Lapo Elkann, il quale ne mantiene il controllo con il 63,8% del capitale (un altro 8,6% fa capo al fratello John, presidente di Fca - Fiat Chrysler Automobiles; mentre il 6,2% è detenuto dalla DueG Holding e il 18,8% è frazionato sul mercato). Andrea Tessitore si è dimesso dalla carica di consigliere di amministrazione, fra l'altro poco dopo che era stato nominato vice presidente, in seguito alla cooptazione di Giovanni Carlino come amministratore delegato, responsabilità che gli è stata confermata dagli azionisti nell'assemblea dell'8 maggio.
Nella stessa riunione, durante la quale è stato approvato il bilancio 2016 (fatturato pari a 27,7 milioni di euro, perdita di 12,2 milioni, indebitamento netto di 18,2 milioni al 31 dicembre), i soci di Italia Independent Group, quotata in Borsa nel segmento Aim, hanno anche deliberato di non sostituire Tessitore, riducendo a sette il numero dei consiglieri di amministrazione.
Un altro torinese, noto non soltanto nel capoluogo piemontese, che si è da poco dimesso da consigliere di amministrazione di una società quotata a Piazza Affari e tra la maggiori italiane in campo assicurativo, la Vittoria Assicurazioni, è Lodovico Passerin d'Entrèves, il quale è stato molto ringraziato, per l'attività svolta, dal Consiglio, che, anche in questo caso, ha deliberato di non cooptare un nuovo amministratore.
Vittoria Assicurazioni, controllata dalla famiglia torinese Acutis, che esprime il vertice della capogruppo (presidente onorario è Carlo Acutis, mentre presidente operativo è il figlio Andrea e la figlia Adriana componente del Cda), nel primo trimestre 2017, a livello consolidato, ha incassato premi per 312,4 milioni (+4,6% rispetto al corrispondente periodo 2015) conseguendo un utile netto di 21,8 milioni (il patrimonio netto è salito a 759,1 milioni).



Auci torna sotto la Mole

E' romano, ma a Torino ha vissuto per diversi anni, per lavoro, sempre apprezzato. Sotto la Mole, città che gli è sempre piaciuta, Ernesto Auci, è tornato più volte e, dai prossimi giorni, tornerà ancora più spesso. D'ora in avanti, come onorevole. E' lui, infatti, che subentra a Maurizio Baradello, deputato mancato il 9 maggio, a soli 56 anni. Alle elezioni del 2013, Auci era risultato il secondo dei non eletti di Scelta Civica, il partito che aveva mandato in Parlamento, per il collegio torinese, Paolo Vitelli, il patron dell'Azimut poi dimessosi, nel 2015.
Ernesto Auci, 71 anni, tesserino da giornalista professionista dal 1970, presiede First Online, prestigiosa testata d'informazione web che ha fondato e di cui è azionista, oltre che editorialista. Ernesto Auci è stato direttore responsabile del Sole 24 Ore, dal 1997 al 2001, quando il quotidiano con la carta color salmone vendeva oltre 300.000 copie al giorno, era la bibbia del sistema economico italiano e gareggiava con il Financial Times. Del Sole è poi stato amministratore delegato, come lo è stato successivamente di Itedi-La Stampa, per un paio d'anni, prima di assumere, nel 2005, la responsabilità dei Rapporti istituzionali della Fiat.
Per il gruppo industriale torinese, Auci aveva già lavorato, dal 1992 al 1997, con l'incarico di direttore della Comunicazione. Lo aveva chiamato a Torino l'avvocato Agnelli, che lo stimava molto, prelevandolo da Confindustria, dove Auci è stato responsabile delle Relazioni esterno prima con la presidenza di Lucchini e, infine, con quella di Sergio Pininfarina.

Torino batte Milano 2 a 0

Torino batte Milano 2 a 0. Almeno nel "triangolare" 2016 delle Fondazioni di origine bancaria. Il risultato emerge dai bilanci, appena pubblicati. La Compagnia di San Paolo ha chiuso l'esercizio passato con un avanzo (tale è definito l'utile, trattandosi di un ente non profit) di 267,5 milioni di euro; la Fondazione Crt ha dichiarato 34,5 milioni, mentre la milanese Fondazione Cariplo ha denunciato un disavanzo (perdita) di 30,9 milioni.
Per la Fondazione Cariplo, presieduta dall'inossidabile e potentissimo Giuseppe Guzzetti, la nuova perdita si aggiunge a quella denunciata nel bilancio 2015, pari a 38,7 milioni. Il suo patrimonio netto, perciò, è sceso a 6,820 miliardi di euro (6,851 al 31 dicembre 2015). Valore che, comunque, la conferma al primo posto tra le fondazioni italiane, ancora davanti alla Compagnia di San Paolo, il cui patrimonio netto è invece salito di un'ottantina di milioni a 5,880 miliardi.
Anche la Fondazione Crt, ora presieduta da Giovanni Quaglia, ha aumentato il suo patrimonio netto, risultato pari a 2,170 miliardi a fine 2016, una dozzina di milioni in più rispetto a un anno prima.
Il patrimonio netto è l'indicatore principale per determinare la graduatoria delle fondazioni di origine bancaria, mentre il totale delle attività finanziarie in portafoglio, al netto dei debiti, è rilevante per la valutazione delle capacità di erogazione delle fondazioni, molte delle quali svolgono un ruolo importante nei rispettivi territori di pertinenza, intervenendo in campi che vanno dal welfare alla ricerca scientifica, dalla salute pubblica all'arte e alla cultura, dall'istruzione allo sviluppo economico.
Al 31 dicembre 2016, il totale dell'attivo (lordo) della Fondazione Cariplo ammonta a 7,584 miliardi , a fronte dei 6,615 miliardi della Compagnia di San Paolo e i 2,760 della Fondazione Crt.
Quanto ai fondi accantonati specificatamente per il finanziamento degli stanziamenti istituzionali (erogazioni), il primato spetta alla Compagnia di San Paolo con 436,9 milioni, a fronte dei  413,4 della Fondazione Crt i 193,6 della Fondazione Cariplo, che a fine 2015 ne dichiarava per 333,1.  

La strage bancaria

Dalla "foresta pietrificata", come fu definito il sistema bancario italiano, un paio di decenni fa, da Giuliano Amato, alla grande deforestazione, preannunciata recentemente da Antonio Patuelli, il presidente dell'Abi, il quale ha profetizzato che, alla fine del 2017, nel nostro Paese si conteranno poco più di cento soggetti creditizi, tra gruppi e istituti indipendenti. A fronte del 604 attivi al 31 dicembre 2016 e ai 788 alla stessa data del 2009, quando risultavano aperti oltre 34.000 sportelli (5.000 in più rispetto a sette anni dopo) e i bancari erano ancora 330.512, cioè 31.000 più che all'inizio del 2017. Un taglio radicale.
Con tante banche sono destinati a sparire, nei prossimi mesi, altri sportelli e altri posti di lavoro, alle casse come nei back office. La ristrutturazione è epocale.
Diverse sono le cause di questo fenomeno, a partire dalla gravissima crisi economica incominciata a cavallo del 2007-2008 e non ancora finita, almeno nel nostro Paese. Fra l'altro, la redditività del settore, che dieci anni fa era pari al 10% del capitale, è scesa quasi a zero, quando non è finita sotto lo zero (naturalmente questa è la media, perché varie banche, big, medie e piccole, hanno chiuso bilanci in utile, a conferma che determinante non è la dimensione dell'impresa, ma la qualità della gestione). Sono cambiati i comportamenti della clientela, che sempre più utilizza la banca via Internet. Inoltre, è cresciuta considerevolmente la concorrenza di operatori diversi da quelli tradizionali.
Ad accelerare il drastico ridimensionamento della struttura bancaria nazionale, comunque, sono anche le autorità di vigilanza, monetarie e di regolamentazione, le cui direttive e i cui obblighi rendono progressivamente più difficile l'attività degli istituti creditizi. Dalle 14.200 norme specifiche vigenti nel 2011 si è saliti oltre 51.000. E nel solo primo semestre 2016, le banche italiane sono state chiamate a 630 nuovi adempimenti, cinque per ogni giorno feriale.
Non solo: le banche sono state e continuano a essere costrette a forti rafforzamenti patrimoniali, ingenti accantonamenti, aumenti di liquidità, riduzioni dei rischi e della leva finanziaria, per non parlare delle enormi svalutazioni dei crediti e del passaggio di una marea di esposizioni a sofferenze o incagli. Operazioni non sempre giustificabili e con conseguenze spesso gravemente dannose, non soltanto per gli azionisti e gli obbligazionisti, ma anche per i clienti - imprese e famiglie - che si vedono negare presti e mutui, finanziamenti per gli investimenti. A volte, se la forma prevale sulla sostanza, la burocrazia sul buon senso, gli effetti possono essere deleteri e persino economicamente fatali.
La "deforestazione", comunque, viene attuata con diverse modalità, che vanno dalle fusioni alle incorporazioni, alle acquisizioni, alle aggregazioni. Magari, i marchi, quellistorici in particolare, per un po' vengono mantenuti; ma le autonomie spariscono e con esse tante società. Prevalentemente nel comparto delle Bcc, le banche di credito cooperativo (334 al 31 dicembre 2016, già 31 meno rispetto alla stessa data del 2015), oltre che in quello delle Casse di risparmio.
Certo, la ristrutturazione del sistema bancario italiano è ineludibile, come è avvenuto altrove e in molti altri settori diversi dal creditizio; però, questo fenomeno è provocato anche dall'inadeguatezza e dall'incapacità di non pochi amministratori e manager, alcuni dei quali accusati di reati gravi. In ogni caso, sarebbe un errore credere che il futuro del settore sia soltanto dei colossi e delle banche grandi. Nell'industria bancaria, come in altri campi, non sono le economie ad assicurare redditività, competitività e sviluppo.
Tornado ai numeri, alla fine del 2016, nel  Nord Ovest avevano sede 34 banche, dotate di 3.281 sportelli, 107 meno che  a fine 2015. In particolare, il Piemonte aveva 29 banche -18 spa e 9 Bcc - e 2.364 sportelli (2.451 a fine 2015), la Liguria 4 banche e 822 sportelli (841 un anno prima), La Valle d'Aosta una banca (Bcc) e 95 sportelli, avendo registrato una sola chiusura nei 12 mesi precedenti.

Compagnia in cura dimagrante

All'assemblea di Intesa Sanpaolo (Isp), alla fine dell'aprile scorso, la Compagnia di San Paolo si è confermata maggiore azionista con il 9,198% del capitale ordinario (seconda è risultata la Fondazione Cariplo con il 4,836% e quarta la Fondazione Cariparo-Padova e Rovigo con il 3,242%, preceduta dalle Generali con il 3,4%, che però hanno poi preannunciato il proposito di vendere). Un anno prima, la Compagnia di San Paolo - presidente Francesco Profumo e segretario generale, dal 2001, Piero Gastaldo, classe 1954 - aveva il 9,34% delle azioni Isp.
Il peso della gloriosa fondazione torinese di corso Vittorio Emanuele è, dunque, un po' calato. Ma la quota resta molto superiore a quella che la Compagnia si è impegnata a detenere entro il 22 aprile del 2018, in rispetto del protocollo Acri-Mef. Infatti, l'intesa firmata un paio d'anni fa, impegna la Compagnia a far scendere il valore della sua partecipazione in Intesa Sanpaolo tanto da non rappresentare più del 33% del valore del suo attivo totale.
A fine 2016, il valore delle attività finanziarie della Compagnia di San Paolo ammontava a circa 6,8 miliardi di euro, per il 52,9% costituito dalla partecipazione in Intesa Sanpaolo (59,7% al 31 dicembre 2015). La differenza è ancora di una ventina di punti, corrispondenti a circa il 4% del capitale della banca presieduta da Gian Maria Gros-Pietro e guidata da Carlo Messina.
Se effettivamente la Compagnia scenderà al 5% o poco più di Intesa Sanpaolo, si troverà, sostanzialmente, nella stessa posizione della Fondazione Cariplo, che ha come indiscusso numero uno, fin dalle origini, Giuseppe Guzzetti, il quale è anche lo storico e indiscusso presidente dell'Acri, l'associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria. Compagnia e Cariplo, allora, si troverebbero più o meno alla pari, in Isp, sempre che la fondazione milanese non acquisti altre azioni Intesa Sanpaolo, come sarebbe possibile dato che il valore della partecipazione nella Banca è pari al 23,4% del totale dell'attivo al 31 dicembre 2016 (per la verità, però,potrebbe anche vendere, pur non avendo mai manifestato una simile intenzione, in considerazione, fra l'altro, dei ricchi dividendi già incassati e promessi).
Evitando di evidenziare i potenziali effetti della posizione paritetica delle due fondazioni nell'azionariato della Banca, va invece ricordato che la vendita delle azioni Isp farà incassare una montagna di soldi alla Compagnia di San Paolo, che a fine aprile 2017 aveva in portafoglio 1,4 miliardi di azioni della Banca. Al 5 maggio 2017 l'azione ordinaria Intesa Sanpaolo quotava poco meno di 3 euro, una cifra non lontana dai massimi degli ultimi cinque anni, raggiunti nell'estate del 2015, quando il titolo si aggirava sui 3,5 euro.
Anche la plusvalenza si preannuncia ricca: nel bilancio 2015, la Compagnia indicava in 2,27 euro il valore di carico dell'azione della sua banca conferitaria.