La mappa delle start up innovative

La natalità delle imprese è sempre un buon indicatore congiunturale. Più aziende vengono avviate, più si diffonde lo spirito d'iniziativa, fondamentale per una crescita economica sana. Ancora più significativo, in questo periodo, è lo sviluppo delle start up innovative, che sono costituite prevalentemente da giovani, spesso all'interno di "incubatori" universitari o scientifici, quasi sempre frutto di intuizioni o scoperte di nuove opportunità offerte in campo digitale, sociale, ma anche nei settori tradizionali, dall'industriale al commerciale, dall'artigianato ai servizi.
L'aumento delle start up innovative è un fenomeno molto positivo, in particolare per i territori che le ospitano, nonostante l'elevato tasso di mortalità dei primi anni, che le caratterizzano. Alla base di ogni start up innovativa, infatti, si trovano energie fresche, creatività, competenze specifiche, coraggio, volontà, impegno.
Proprio per il loro valore, da pochi anni, le start up innovative hanno un elenco specifico nel registro delle imprese tenuto dalle Camere di commercio. E questo elenco evidenzia, innanzi tutto, che al 30 giugno 2017, in Italia, risultavano iscritte 7.394 start up innovative, il 7,5% in più rispetto a tre mesi prima, a conferma del trend di crescita. Oltre che in termini assoluti, sono aumentate anche in termini relativi; infatti, a fine giugno rappresentavano lo 0,46% di tutte le imprese iscritte alle camere di commercio, a fronte dello 0,43% di fine marzo.
Per quanto riguarda espressamente il Nord Ovest, il bilancio è in chiaroscuro. Al 30 giugno 2017, il Piemonte conta 407 start up innovative, la Liguria 134 e la Valle d'Aosta 15. Nella graduatoria nazionale, relativa ai dati assoluti, il Piemonte è sesto, la Liguria sedicesima e la piccola Valle d'Aosta naturalmente ventesima, cioè ultima.
Ma proprio la Valle d'Aosta è la prima del Nord Ovest per densità di start up innovative, dato che queste costituiscono lo 0,70% della struttura imprenditoriale locale, un tasso che soltanto quattro regioni hanno più elevato: Trentino-Alto Adige (1,07%), Marche (0,86%), Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia (0,72%). Il Piemonte è al settimo posto con lo 0,54%. La quota della Liguria è dello 0,41%, perciò inferiore anche alla media nazionale.
Per le province, l'elenco nazionale delle start up innovative riporta solo le dieci con il maggior numero di iscritte. La lista incomincia con Milano, che, a fine aprile, ne conta 1.160 (15,69% del totale italiano). Seguono Roma con 625 (8,45%) e Torino con 285 (3,85%). Una medaglia di bronzo forse non del tutto soddisfacente per il capoluogo piemontese.
In Italia, a fine aprile le start up avevano, complessivamente 9.365 dipendenti, in media 3,6 per impresa. Sempre in media, ciascuna aveva quattro soci. Il 70,6% forniva servizi ad altre aziende, il 19,6% operava nell'industria e il 4% nel commercio.



Su e giù delle Fondazioni

Fondazioni liguri a passo di gambero, l'anno scorso.Invece, le piemontesi sono andate avanti (con l'eccezione di Alessandria). E' quanto emerge dal rapporto 2016 dell'Acri, l'associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria, pubblicato venerdì 21 luglio.
La graduatoria basata sui patrimoni contabili risultati al 31 dicembre 2016, conferma che tre dei 15 enti del Nord Ovest, generati 25 anni fa dalla Legge Amato, figurano tra i primi dieci a livello italiano: la Compagnia di San Paolo al secondo posto, con 5,880 miliardi di euro (5,809 al 31 dicembre 2015), la Fondazione Crt al terzo, per la prima volta, con poco meno di 2,170 miliardi (2,157 a fine 2015, quando era risultata quarta, preceduta da Cariverona) e Cr Cuneo ottava, come l'anno prima, con 1,304 miliardi (1,374). In testa, come sempre, Fondazione Cariplo, nonostante la diminuzione del suo patrimonio da 6,851 a 6,820 miliardi.
Per ritrovare le altre fondazioni del Nord Ovest, bisogna ripartire dalla posizione numero 28, occupata da Cr Biella (patrimonio di 223,8 milioni), che invece era trentunesima a fine 2015, con 222,8 milioni. In ordine, dopo Cr Biella, si sono piazzate le fondazioni Cr Tortona, salita dal posto numero 32 al 31, grazie all'aumento del suo patrimonio da 215,2 a 216,1 milioni, e Cr Asti, diventata trentaduesima con 212,6 milioni, da trentaquattresima, che era, un anno prima, con 211,4 milioni.
Unica piemontese a indietreggiare è stata la fondazione Cr Alessandria: da venticinquesima, a fine 2015 (patrimonio di 311,5 milioni) a trentaquattresima, con 205,8 milioni.
E' arretrata anche la fondazione Cr Spezia, sia pure di un posto soltanto: al numero 38, per i suoi 194,2 milioni, nonostante l'aumento di un milione del patrimonio. Con la spezzina, sono scese, in graduatoria, le altre due fondazioni ligure di origine bancaria: la De Mari-Cr Savona, cinquantunesima, con  112,4 milioni, mentre era quarantasettesima al 31 dicembre 2015, con 128 milioni; e la fondazione Carige, calata al posto numero 70 (patrimonio di 55,6 milioni) dal precedente 67, conseguente ai circa 70 milioni di fine 2015.
Hanno migliorato le loro collocazioni le fondazioni Cr Vercelli, cinquantesima (115,6 milioni), mentre era cinquantatreesima a fine 2015 (115,1 milioni), Cr Saluzzo, in posizione numero 67 (59,9 milioni) dal precedente 75 (42,6 milioni), Cr Fossano, da 72 a 71 (patrimonio da 52,8 a 53,2 milioni), Cr Bra da 75 a 77 (da 37,4 a 37,5 milioni) e Cr Savigliano da 78 a 77 (da 35,3 a 35,5 milioni).
Le 88 fondazioni di origine bancaria hanno presentato complessivamente, al 31 dicembre scorso, un patrimonio contabile di 39,7 miliardi di euro, inferiore di un miliardo e del 2,2% a quello di fine 2015, principalmente a causa di svalutazioni delle partecipazioni nelle loro banche d'origine. Il loro attivo totale, comunque, è risultato di 46,3 miliardi.
I loro proventi sono ammontati a 1,357 miliardi (-3,8%) e l'avanzo di gestione (non si può parlare di utile trattandosi di enti non profit), in totale, è stato di 838,3 milioni (-13,3%, a causa soprattutto della maggiore fiscalità), così che la redditività del patrimonio è risultata pari al 3,4%, come nel 2015.
Il carico fiscale ha pesato per 354,6 milioni contro i 305,8 dell'esercizio precedente, mentre sono diminuiti del 5,7%, a 838,3 milioni, gli oneri di gestione, comprensivi dei costi relativi ai componenti degli organi statutari.
Nel 2016, le 88 fondazioni hanno erogato 1,031 miliardi (936,7 milioni nel 2015), finanziando 20.286 interventi (-5,9%): circa un quarto degli stanziamenti è stato dedicato al settore Arte-attività e beni culturali (260,9 milioni di euro), il 12,4% all'assistenza sociale (127,4 milioni), il 12,1% a volontariato-filantropia-beneficenza (124,9 milioni), circa altrettanto a Ricerca e sviluppo e il 9,8%, pari a 101,4 milioni, allo sviluppo locale. Dal 2000 a fine 2016, la somma delle erogazioni è stata di 20,3 miliardi.
Delle 88 fondazioni, 34 non hanno più alcuna partecipazione nella rispettiva banca conferitaria, quella da cui hanno tratto origine; mentre 46 ne posseggono quote minoritarie e 8 hanno, invece, ancora la maggioranza, che però dovranno perdere in seguito all'applicazione del protocollo vincolante firmato con il Mef, il ministero dell'Economia e delle Finanze, loro autorità di Vigilanza.




Dove le banche sono più contestate

Una volta, delle banche ci si fidava ciecamente. Da qualche anno, invece, è cambiata molto la considerazione generale degli intermediari creditizi e finanziari, anche a causa dei diversi scandali del sistema, in Italia e all'estero. I clienti si sono messi a controllare, a discutere, a contestare. Sempre più spesso. La nuova conferma del fenomeno è appena arrivata con la relazione 2016 dell'Arbitro Bancario Finanziario (Abf), sistema stragiudiziale di risoluzione delle controversie tra clienti e intermediari bancari e finanziari.
L'anno scorso, in tutt'Italia, i ricorsi ricevuti dall'Arbitro Bancario Finanziario sono stati 21.652, quasi il 60% in più rispetto ai 13.578 del 2015. E la tendenza è ancora in crescita. Nel primo quadrimestre 2017, infatti, sono stati presentati altri 10.028 ricorsi, con un incremento del 54% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso. E delle nuove istanze, il 10% è stato avanzato al Collegio torinese dell'Abf, competente per il Piemonte-Liguria-Valle d'Aosta e istituito nel dicembre 2016, come quelli di Bologna, Bari e Palermo, aggiunti ai preesistenti a Milano, Roma e Napoli.
Nel 2016, l'Arbitro Bancario Finanziario, al quale ci si può rivolgere semplicemente con un modulo scritto, senza avvocato e con la sola spesa di 20 euro, che vengono restituiti in caso di vittoria, ha ricevuto 1.259 ricorsi dal Piemonte, 963 dalla Liguria e 22 dalla Valle d'Aosta. Totale del Nord Ovest: 2.244, pari al 10,36% nazionale.
In particolare, a livello provinciale, l'anno scorso, 686 ricorsi hanno riguardato Torino, 662 Genova, 184 Alessandria, 113 La Spezia, 109 Novara, 94 Savona e altrettanti Imperia, 90 Cuneo, 66 Biella, 60 Vercelli, 37 Asti, 27 Verbania, 22 Aosta.
Passando dai dati assoluti a quelli relativi, si può fare una graduatoria delle province con più ricorsi per milioni di abitanti: in testa si trova Genova con 775, seguita da Spezia con 511 e Imperia con 437. Podio tutto ligure, insomma, per l'insoddisfazione delle relazioni con le banche,. Poi, nell'ordine, si trovano: Alessandria con 429, Biella con 367, Savona con 335, Vercelli con 343, Novara con 294, Aosta con 173, Asti con 170, Verbania con 169, Cuneo con 152.
E' la provincia di Cuneo, pertanto, a mostrare i migliori rapporti tra le banche e i loro clienti. All'opposto Genova. Sempre nel Nord Ovest, a livello regionale, prima è la Valle d'Aosta con il minor numero di "cause" (173) ogni milione di abitanti; il secondo posto spetta al Piemonte con 286 vertenze ogni milione di abitanti e al terzo la Liguria con il rapporto di 613.
Tornando all'Italia intera, l'ultima relazione dice che dei 21.652 ricorsi ricevuti dall'Abf nell'anno appena passato, 12.896 riguardavano le banche (+70,9% rispetto al 2015) e 1.260 Poste Italiane. Quelli accolti sono stati 6.812, i respinti 3.502. Il 71% aveva come oggetto di controversia la cessione del quinto (prestiti concessi a dipendenti e pensionati a valere sul loro mensile), il 6% bancomat e altre carte di debito, il 5% i conti correnti e il 4% i mutui.
Quanto alle 13.770 sentenze emesse dall'Arbitro Bancario Finanziario nel 2016, il 75% è stato favorevole, totalmente o parzialmente, ai clienti, i quali hanno perciò ottenuto riconoscimenti per un totale di 13 milioni di euro. Contro le pronunce dell'Abf, comunque, si può ricorrere alla magistratura ordinaria.
Infine, gli istituti più contestati l'anno scorso dai loro clienti: Prestitalia (2.866 ricorsi), Barclays (2.667), Santander Consumer (2.008), Ibl (1.443), Unicredit (1.266), Poste Italiane (1.070).

Come va il mercato auto

In passato, nel mondo dell'automobile, l'Italia è stata il punto di riferimento anche per il lusso, l'eleganza, la tecnologia più avanzata, la sportività. Lasciando stare la Ferrari, che resta un'icona, un mito globale, un caso unico, in particolare, due marche hanno segnato epoche: Lancia e Alfa Romeo. La Casa con il Biscione faceva alzare il cappello persino  a Henry Ford e suoi modelli, per il loro fascino, sono stati pure protagonisti di film straordinari; quanto alla Lancia, ha creato vetture che, fra l'altro, sono state preferite da capi di Stato, dalla Regina d'Inghilterra, da Papa Giovanni XXIII, da emiri e magnati.
Quei periodi sono lontani; ma, ora, l'industria automobilistica italiana sta riconquistando posizioni d'onore nel comparto del lusso e in quello della sportività stradale, combinazione di prestazioni elevate, confort, grande stile. Ci sta riuscendo, intanto in casa, cioè nel nostro Paese, con la Maserati, rigenerata a Torino, e con l'Alfa Romeo targata Fca, quella che sta partendo con la nuova Giulia e la Stelvio. Grazie, Sergio Marchionne.
In Italia, la Maserati è la marca che ha fatto registrare il maggior incremento percentuale delle proprie immatricolazioni, dal primo giorno di gennaio all'ultimo di giugno: 1.661, il 110,2% in più rispetto al corrispondente periodo del 2016 (790). Nessun'altra Casa è riuscita a fare meglio. La sua Levante è risultata il sesto modello con più clienti (1.138)  nel segmento E, quello del lusso appunto (in testa, si sono piazzate ancora tre tedesche: Mercedes Classe E, Bmw Serie5 e Audi A6) e la sua Ghibli al secondo posto nella classifica delle sportive (segmento F) con 442 preferenze, a fronte delle 531 dell'intramontabile Porsche 911.
Nel solo mese di giugno, di Maserati nuove ne sono state vendute 233 (+91% sullo stesso mese 2016), di cui 83 nel Nord Ovest: 51 nella provincia di Torino, 21 in Valle d'Aosta, 4 nel Cuneese, 3 nell'Alessandrino, 2 nell'Astigiano, 1 rispettivamente nel Novarese e nello Spezzino.
Quanto all'Alfa Romeo, nel primo semestre di quest'anno ha contato in Italia 25.204 acquirenti, il 32,5% in più rispetto al primo semestre 2016 (19.022), mentre l'intero mercato nazionale è cresciuto dell'8,9%. La sua quota, pertanto, è salita al 2,2% dall'1,8% precedente. Non solo: la Giulia è stata immatricolata in 5.927 esemplari (1.058 nel primo semestre 2016), che valgono il quinto posto nella graduatoria del segmento D (modelli medio-superiori) e la Stelvio si è piazzata sesta tra i fuoristrada grazie alle sue 2.789 immatricolazioni.
In particolare, in giugno, sono state 4.700 le Alfa Romeo immatricolate, equivalenti alla quota del 2,5% del mercato, la sua più alta degli ultimi cinque anni: 595 in provincia di Torino, 587 in Valle d'Aosta, 22 nella provincia di Cuneo, 20 in quella di Alessandria e, a scalare, fino alle 2 della provincia di Imperia.
A proposito di Imperia, nel mese passato, è risultata la provincia del Nord Ovest che ha avuto meno nuove immatricolazioni: 337, mentre sono state 330 a Vercelli, 443 a Verbania, 482 a Biella, 500 ad Asti, 559 a La Spezia, 636 a Savona, 1.162 a Novara, 1.220 ad Alessandria, 1726 a Cuneo, 1.787 a Genova, 4.119 ad Aosta (fiscalità meno onerosa) e 17.383 a Torino.
Dall'inizio di gennaio alla fine di giugno, in tutto il Piemonte sono state immatricolate 125.817 auto nuove (+38,4% sul primo semestre 2016), in Liguria 19.907 (+12,2%) e In Valle d'Aosta 37.019 (+19,5%).
Ultimo dato: a livello nazionale, nei primi sei mesi di quest'anno, le vendite di auto hanno generato un fatturato di 23,4 miliardi di euro, consentendo allo Stato di incassare la relativa Iva per 4,2 miliardi (+11,7%).


Balocco, Biraghi, Noberasco

In questi giorni, sono emerse diverse notizie aziendali che, finalmente, ridanno un po' di fiducia e fanno sperare in un miglioramento dell'economia locale e italiana. Principalmente tre gli elementi in comune, a prescindere dalle dimensioni dell'impresa e del settore di attività: buon aumento del fatturato nella prima parte di quest'anno, rilevanti investimenti (per ampliamenti, sviluppo tecnologico, espansione all'estero), bilanci in attivo.
Come esempio, vengono riportati i casi di tre industrie alimentari, indicativi di fenomeni e tendenze.

BALOCCO - Al bravo Pier Paolo Luciano, responsabile della Repubblica di Torino e curatore delle pagine settimanali dedicate all'economia piemontese, Alberto Balocco, numero uno dell'omonima industria dolciaria di Fossano, ha anticipato che, nella prima parte dell'esercizio in corso, il fatturato è aumentato del 12% e le prospettive sono favorevoli, per cui i ricavi 2017 dovrebbero risultare ancora superiori ai 170 milioni del 2016, quando sono stati venduti oltre 25 milioni di pezzi, fra panettoni, pandori e colombe e  l'export ha inciso per il 12%.
Fra l'altro, Alberto Balocco ha preannunciato il prossimo avvio della prima, particolare unità produttiva fuori Fossano (a Bologna, nell'ambito Fico-Fabbrica italiana contadina, promossa da Eataly), destinata alla pasticceria tradizionale piemontese secondo un modello replicabile soprattutto all'estero, dove l'impresa cuneese (circa 360 dipendenti) certamente crescerà. Intanto, continua a investire molto, soprattutto in automazione: 55 milioni di euro negli ultimi dieci anni.

BIRAGHI - Un'altra azienda cuneese, forte, dinamica e in sviluppo, è la Biraghi, industria casearia di Cavallermaggiore, che nel 2016 ha fatturato 118 milioni di euro. Guidata dai figli del fondatore, Bruno e Anna, è nota soprattutto per il suo Gran Biraghi, formaggio a grana tipo Parmigiano, e per il Gorgonzola, prodotti esclusivamente con latte locale (150-160 milioni d litri all'anno). La sua confezione di grattugiato da un etto è la più venduta in Italia e aumentano progressivamente le tipologie d'offerta. Come riferito a La Stampa, da Claudio Testa, direttore marketing e strategie commerciali, la Biraghi (250 dipendenti) ha un piano d'investimenti da 15 milioni di euro, finalizzati a nuovi macchinari e alla realizzazione di nuovi magazzini di stagionatura.

NOBERASCO - A proposito di impianti, non si può non ricordare che l'ultracentenaria Noberasco, che vanta la leadership nazionale nella frutta secca e morbida, ha appena inaugurato lo stabilimento di Carcare, dove si è trasferita da Albenga, località entrambe nella provincia di Savona. La nuova struttura della Noberasco, all'avanguardia anche tecnologicamente, ha comportato l'investimento di 45 milioni di euro. Cifra rilevante e che assume un valore ancora maggiore in considerazione del fatturato dell'azienda guidata da Gabriele e Mattia Noberasco, rispettivamente presidente e amministratore delegato, nonché zio e nipote.
Nel 2016, la Noberasco ha fatturato 122 milioni (+20%, in seguito alla vendita di 14 tonnellate di prodotti, e ha come obiettivo 2017 ricavi superiori ai 130 milioni

Restando al settore alimentare, comprensivo delle bevande, va ricordato che nel 2016 ha fatto registrare esportazioni per 4,517 miliardi di euro da parte di aziende piemontesi, 408 milioni dalle liguri e 52 milioni dalle valdostane.
Come censito dall'Istat, l'istituto nazionale di statistica, nel passato esercizio, per il Piemonte sono state le imprese attive nel settore computer, apparecchi e macchinari a evidenziare il maggior valore delle esportazioni (11,228 miliardi sul totale di 44,424), come per la Liguria (1,583 miliardi sui complessivi 7,332), mentre l'export più rilevante per la Valle d'Aosta è stato quello dei metalli e relativi prodotti: 319 milioni su 571.
Seconda principale fonte di esportazioni è risultata quella dei mezzi di trasporto per il Piemonte (11,207 miliardi) e per la Valle d'Aosta (65 milioni) mentre è stato il settore formato da chimica, farmaceutica, gomma, plastica e minerali non metalliferi per la Liguria (1,565 miliardi).
Le esportazioni 2016 di tutta l'Italia sono ammontate a 417,1 miliardi.

















Credit crunch? L'eccezione Biella

Credit crunch? Non nella provincia di Biella, la quale non soltanto è una delle otto italiane che hanno visto un aumento dei crediti concessi dalle banche alle imprese locali negli ultimi tre anni; ma è anche quella che, addirittura, ha fatto registrare l'incremento percentuale maggiore in tutto il Paese. Al 30 aprile 2017, infatti, era pari a 2,340 miliardi la somma dei prestiti bancari alle aziende biellesi, a fronte dei 2,101 miliardi in essere al 30 aprile 2014. L'incremento è dell'11,4%, come nessun'altra delle 110 province italiane ha avuto.
Merito degli istituti locali, a partire dalla Banca Sella? Effetto della ripresa dello spirito d'iniziativa dei biellesi? Conseguenza dell'affidabilità delle società operanti in quest'area? Forse un po' di tutto questo. In ogni caso, il primato biellese appare ancora più significativo alla luce dei dati relativi al resto del Piemonte e all'Italia.
Come evidenziato dalla Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, da sempre molto attenta ai fattori che condizionano l'andamento dell'economia, alla fine dell'aprile di quest'anno, i crediti bancari alle imprese attive in Italia ammontavano a 855,8 miliardi di euro, a fronte dei 918,3 miliardi emersi alla stessa data di 36 mesi prima. Il calo è del 6,8%, tasso nazionale del credit crunch, o, per dirla non in gergo, della stretta dei cordoni della borsa da parte delle banche.
Nell'intero Piemonte, la riduzione è stata del 6,1%, da quasi 60 miliardi a 56,3 di fine aprile 2017; mentre è stata del 5,9% in Liguria, da 20,253 miliardi a 19,062, e del 7,3% in Valle d'Aosta, scesa da 1,655 a 1,533 miliardi.
A livello provinciale, nel Nord Ovest, a patire meno il credit crunch, nel periodo considerato, sono state le imprese del Vercellese (2,1 miliardi al 30 aprile scorso, i crediti in essere concessi dalle banche alle imprese, l'1,1% in meno rispetto a tre anni prima), del Torinese (26,887 miliardi, il 4,6% in meno) e di Genova (11,767 miliardi, il 4,9% in meno). Invece, la provincia del Nord Ovest che ha subito la stretta creditizia maggiore è quella di Novara, dove i prestiti bancari alle aziende locali sono scesi del 13,8% a 4,772 miliardi.
Parlando di prestiti bancari, non si può non parlare di sofferenze, cioè di quei crediti la cui riscossione totale non è certa, perché i soggetti debitori si trovano in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili.
A fine aprile 2017, le sofferenze ammontavano a 9,2 miliardi in Piemonte (pari al 16,4% dei crediti bancari alla imprese della regione), a 3 miliardi in Liguria (15,8% degli impieghi in essere) e a 166 milioni in Valle d'Aosta (10,8%). In tutta l'Italia, la somma delle sofferenze a quella data era di 161 miliardi, pari al 18,8% dei crediti bancari alle imprese.
Per quanto riguarda le province del Nord Ovest, le quote di sofferenze più basse sono state rilevate ad Aosta (10,8%, pari a 166 milioni di euro), Cuneo (11,6%, pari a 1,197 miliardi), Genova (12,9%, pari a 1,521 miliardi), Vercelli (13,9%, pari a 294 milioni) e a Torino (14,8%, pari a 3,981 miliardi). al contrario, le sofferenze percentualmente maggiori sono state denunciate dalle province di Verbania (32,6%, pari a 481 milioni), Alessandria (26%, pari a 1,532 miliardi) e La Spezia (24,5%, pari a 573 milioni).

A proposito di svalutazioni

Il Sole 24 Ore ha riportato che la Malacalza Investimenti, holding della famiglia che ha in portafoglio il 17,58% di Banca Carige (quota di riferimento), ha deciso di non svalutare la sua partecipazione nell'istituto genovese, nonostante l'abbia in carico per 263,4 milioni, corrispondenti a 1,804 euro per azione e nonostante la constatazione che al 30 dicembre 2016 il titolo Carige abbia chiuso in Borsa a 0,318 euro (adesso, la quotazione è ancora inferiore e Piazza Affari valuta il 100% della Banca intorno ai 200 milioni).
Vittorio Malacalza, il numero uno dell'omonimo gruppo, ha spiegato che non ha svalutato, nonostante tutto, perché l'investimento fatto è di lunga durata e lui crede che Carige si riprenderà, si sta lavorando per questo obiettivo e il suo valore tornerà a crescere.
Tanto di cappello: per lo spirito imprenditoriale, la coerenza, la volontà, la determinazione, la chiarezza, la tenacia, il coraggio, la resistenza. Già, perché è difficile non pensare che, nella partita per Carige, Malacalza abbia molti soggetti contro, alcuni dei quali particolarmente forti e occulti. E' difficile non pensare che qualcuno volesse e forse voglia, per Carige, una fine diversa da quella alla quale punta l'imprenditore, che ha scombussolato i piani di qualcuno.
Comunque, tornando alla decisione di Malacalza, è quantomeno doveroso fare un confronto con quello che fece il precedente azionista di riferimento di Carige, cioè l'omonima Fondazione, allora ancora in possesso di oltre il 46% del capitale della Banca. Nel maggio 2014, Fondazione Carige, presieduta da Paolo Momigliano dal 3 dicembre dell'anno prima, approva il bilancio 2013 svalutando del 92% la sua partecipazione nella banca conferitaria, riducendo il valore dell'azione da 1,35 a 0,43 euro.
Con questa scelta, suggerita da consulenti tecnici e finanziari, il principale azionista ha sostanzialmente sostenuto sia che il valore della banca era precipitato e si era quasi azzerato sia che non credeva in una ripresa della stessa.
A parte le prevedibili e inevitabili conseguenze, quella decisione della Fondazione provoca varie considerazioni e ingenera nuovi dubbi, quando non sospetti. Una considerazione è sulle differenze di mentalità e comportamenti degli amministratori di enti o società, a seconda che al vertice si trovi un imprenditore o meno. Un'altra riguarda l'utilizzo e, a volte, l'abuso di consulenti, advisor, periti. E, a questo punto, possono partire dubbi e sospetti, che vanno dalle responsabilità, alle reali capacità, fino alla correttezza, ai conflitti d'interesse, alla buona fede.
Chi assume una guida, deve essere consapevole della sua adeguatezza, dei suoi compiti e delle sue responsabilità, a prescindere dal fatto che sia profit o non profit l'oggetto della sua gestione e che il bene amministrato sia. o meno, di proprietà personale, totale o parziale, com'è la partecipazione di Malacalza in Banca Carige. Un "caso" tutto da seguire.

Tre avvocati speciali

Avvocato da settant'anni. Un traguardo da medaglia, per il torinese Bruno Segre, che, in effetti, l'ha appena ricevuta dal presidente dell'Ordine subalpino, Mario Napoli, durante l'apposita cerimonia. Nato nel settembre del 1918, Bruno Segre, figura poliedrica e ben nota, non soltanto nella città della Mole, ultimo allievo di Luigi Einaudi, si è laureato in legge il 15 giugno del 1940. Di famiglia ebrea, non ha però potuto esercitare subito la professione di avvocato e ha incominciato a guadagnarsi da vivere dando lezioni private e scrivendo tesi di laurea.
Arrestato per disfattismo politico nel 1942, fa due mesi di carcere, poi entra in clandestinità. Nel settembre del '44, il portasigarette di metallo, che teneva nella giacca, lo salva da un proiettile sparatogli dalla Guardia nazionale repubblica; ma viene nuovamente arrestato e finisce dietro le sbarre, alle Nuove di Torino. Riesce a uscire e si arruola nella Resistenza armata. Dopo la Liberazione, si dedica all'attività giornalistica e alla politica (fra l'altro, è stato capogruppo del Psi nel consiglio comunale di Torino dal 1975 al 1980), comunque continuando sempre a fare l'avvocato.
Una professione che tempra, come confermano i casi di almeno altri due illustri avvocati torinesi: Paolo Emilio Ferreri e Franzo Grande Stevens. Chiamato confidenzialmente "Pef", Paolo Emilio Ferreri, 94 anni il prossimo 5 dicembre, lo stesso giorno in cui compirà i 70 anni di iscrizione all'Albo (n.583). Numerosissimi e rilevanti gli incarichi, in enti e società, ricoperti contestualmente all'impegno forense. Fra l'altro, Paolo Emilio Ferreri è stato, per 27 anni, membro del Consiglio superiore della Banca d'Italia, della quale è stato anche decano e presidente del Consiglio di Reggenza della sede di Torino.
Un po' più giovane è Franzo Grande Stevens, l'Avvocato dell'Avvocato (Agnelli): compirà 89 anni il 13 settembre. E' iscritto all'Albo dal 1954, ha già ricevuto la medaglia dei 60 anni di attività e continua a lavorare intensamente, tutti i giorni, nel grande studio che ha le sue radici in quello di Manlio Brosio e poi di Dante Livio Bianco, Paolo Greco e Carlo Galante Garrone. Studio nel quale Franzo Grande Stevens è entrato nel 1953 e che, da tempo, porta giustamente il suo nome, perché l'Avvocato l'ha rifondato, sviluppato e fatto diventare uno dei più prestigiosi non soltanto a livello nazionale .
Avvocato di fiducia di grandi famiglie italiane, ma anche di stranieri come l'Aga Khan, Franzo Grande Stevens è stato, fra l'altro, presidente del Consiglio nazionale forense e al vertice di centinaia di società, compresa la Juventus, oltre che di istituzioni come la Compagnia di San Paolo e il Museo del Risorgimento. Uomo straordinario, si è raccontato personalmente in "Una vita d'avvocato", libro che è stato da poco ristampato.

Lavoro, più speranze che certezze

Sarà anche vero che l'economia sta migliorando, pure in Italia; però, finora, il fenomeno non ha portato i tanto attesi benefici occupazionali. Si sa che il mondo del lavoro ha tempi di reazione più lunghi: le imprese aspettano un consolidamento della ripresa e hanno bisogno di prospettive favorevoli prima di assumere. Quindi, per ora, più che certezze si hanno speranze e un po' di fiducia. D'altra parte, i consuntivi sono ancora negativi.
L'Istat, l'istituto centrale di statistica, ha rilevato che, l'anno scorso, nell'intero Nord Ovest, le assunzioni nette sono state 34.290, ancora 13.542 meno che nel 2015. In particolare, in Piemonte ne sono state registrate 23.501 (36.311 nel 2015), in Liguria 9.602 (10.913) e in Valle d'Aosta 1.187 (608). Il dato relativo alle assunzioni nette è più significato del numero complessivo delle assunzioni, ai fini della valutazione dell'andamento del mercato del lavoro, perché tiene conto delle cessazioni dei contratti e delle trasformazioni degli stessi.
Comunque, anche il totale dei nuovi contratti di lavoro nel 2016 è diminuito rispetto all'anno precedente, con l'eccezione della Valle d'Aosta. Nella regione alpina ne sono stati contati 21.125 contro i 19.958 del 2015; mentre in Piemonte sono stati 359.515 (378.751) e in Liguria 155.171, a fronte dei 160.024 dell'anno precedente.
Confronti peggiori emergono, poi, specificatamente, per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato; in questo caso, anche per la Valle d'Aosta, dove ne sono state censite 2.063 (3.646 nel 2015). In Piemonte le assunzioni con contratto a tempo indeterminato sono risultate 69.187 (115.225) e in Liguria 25.207 (41.030). Naturalmente, molte meno sono state le assunzioni nette con contratto a tempo indeterminato: 7.698 in Piemonte (65.745 nel 2015), 1.183 in Liguria (19.100), mentre in Valle d'Aosta il dato è stato addirittura negativo.
L'Istat, inoltre, ha riferito che, nel 2016, si contavano 1,811 milioni di occupati in Piemonte (+0,7% rispetto all'anno prima, 610.000 in Liguria (-0,4%)  e 54.000 in Valle d'Aosta (-0,7%); quanto alle persone in cerca di occupazione, erano 187.000 in Piemonte (-8,8%), 66 mila in Liguria (+6,2%)  e 5.000 in Valle d'Aosta (-3,3%).
Infine il tasso di disoccupazione: in Piemonte è sceso al 9,3% dal 10,2% del 2015 e in Valle d'Aosta all'8,7% dall'8,9%; mentre in Liguria è salito dal 9,2% del 2015 al 9,7% del 2016.

Titoli di Stato e debito pubblico

Sempre meno titoli di stato italiani nei forzieri delle banche operanti nel Nord Ovest. Al 31 dicembre scorso, ammontavano a 25,5 miliardi di euro i titoli di stato italiani affidati alle banche, in custodia semplice e amministrata. In particolare, appartenevano alle famiglie consumatrici titoli pubblici (Bot, Btp, Cct, Ctz) per un valore complessivo di 24,364 miliardi (al fair value) e alle imprese per 1,143 miliardi.
A fine 2016, nelle banche attive in Piemonte, si trovavano titoli di stato italiani per 17,866 miliardi affidati dalle famiglie (-13,8% rispetto a 12 mesi prima) e per 759 milioni (-16,5%) dalla imprese. E cali ancora percentualmente superiori sono emersi dalla rilevazione sulle banche in Valle d'Aosta, dove il valore dei titoli pubblici dati in custodia dalle famiglie è risultato di 276 milioni (-14,7%) e di 47 milioni (-31%) quello delle imprese.
Sempre al 31 dicembre 2016, le banche presenti in Liguria custodivano titoli pubblici italiani del valore complessivo di 6,222 miliardi (-13,1% rispetto alla stessa data del 2015) per conto delle famiglie e di 337 milioni (-3,8%) per conto delle imprese.
Per quanto riguarda l'intero Paese, la Banca d'Italia ha indicato in 132,037 miliardi di euro, a fine 2016, il valore dei titoli di stato italiani affidati alle banche, in custodia semplice e amministrata, da parte delle famiglie consumatrici e in 55,190 miliardi il valore dei titoli pubblici affidati dalle imprese.
Ancora a proposito di titoli di stato italiani, la stessa Banca d'Italia, che ne detiene per 317 miliardi di euro, ha appena pubblicato la disaggregazione degli importi secondo i loro detentori, al 30 aprile 2017: 400,3 miliardi fanno capo alle istituzioni finanziarie monetarie residenti (banche, fondi comuni d'investimento, Cassa Depositi e Prestiti, istituti di pagamento), 444,6 miliardi alle altre istituzioni finanziarie residenti, 104,5 miliardi agli altri soggetti residenti, non finanziari e 665,1 miliardi a soggetti non residenti, cioè stranieri.
Dunque, al 30 aprile 2017 appartenevano all'insieme dei soggetti residenti nel nostro Paese titoli di stato italiani per 1.555,6 miliardi di euro, a fronte dei 1.491,2 miliardi del 2016 e dei 1.431,8 miliardi del 2015. I soggetti stranieri, invece, detenevano titoli si stato italiani per un valore di 715 miliardi, a fronte dei 726,6 del 2016 e i 741,1 del 2015. Dati che evidenziano, un aumento del possesso da parte dei residenti e, al contrario, un calo da parte dei non residenti, che comunque hanno in portafoglio circa un terzo dei titoli di debito pubblico italiano.
A proposito di debito pubblico, resta da rilevare che al 31 maggio 2017 è salito a 2.278,855 miliardi di euro, nuovo record storico. A fine aprile era di 2.270, 276 miliardi e di 2.217,910 al 31 dicembre scorso. In cinque mesi è ancora aumentato di quasi 61 miliardi. E certo non consola la considerazione che la sua incidenza sul Pil diminuirà se il Pil aumenterà più del previsto. L'incidenza è un conto, il valore assoluto un altro.


Banche, Piemonte in controtendenza

Spesso, essere i primi a incominciare comporta più difficoltà e magari un sacrificio maggiore: ma, almeno in alcuni casi, risulta un vantaggio. Una prova si trova in un freschissimo rapporto della Banca d'Italia sull'occupazione bancaria nel nostro Paese, argomento molto attuale e altrettanto doloroso, visti i continui annunci di drastici tagli ed esuberi, ultimi quelli delle banche venete passate a Intesa Sanpaolo.
Bene, Banca d'Italia ha rilevato che il Piemonte è l'unica regione italiana ad avere avuto un aumento dell'occupazione bancaria tra il 2010 e il 2016. Effetto del fatto che proprio il Piemonte ha segnato l'avvio della profonda e dolorosa ristrutturazione del sistema creditizio. Le altre regioni sono partite dopo. Ecco una ragione della crescita dei bancari in Piemonte, che sono 30.589 al 31 dicembre 2016, il 4,5% in più rispetto alla stessa data del 2010.
Tutte le altre regioni presentano confronti negativi: dal minimo del 3,5% della Lombardia (non casuale) al 25,2% dell'Abruzzo, quella che ha perso più dipendenti di banca di qualsiasi altro territorio. La diminuzione media italiana è stata dell'8,1%, tale da portare sotto il livello dei 300.000 il totale dei dipendenti di banca a fine 2016 (per la precisione: 299.696).
Superiore alla media nazionale è la perdita dell'occupazione bancaria in Liguria, scesa dell'11,8%, a 7.447 unità; mentre è stata contenuta nel 5,2%, sempre rispetto al 2010, quella della Valle d'Aosta, che a fine anno contava 494 bancari, dei quali 484 addetti allo sportelli. Qui, gli sportellisti sono addirittura aumentati del 3,5% negli ultimi sei anni, unico caso in tutto il Paese. In Piemonte, gli sportellisti sono calati del 9,2%, a 15.585 e in Liguria a 5.602 (-12,9%).
Che il Piemonte evidenzi un calo degli addetti allo sportello e, nello stesso periodo, un aumento del totale dell'occupazione bancaria, non è contraddittorio. Il fenomeno si può spiegare con la constatazione che il sistema creditizio piemontese è dotato di banche solide, competitive e più aggreganti che prede. Chi acquisisce o incorpora, normalmente taglia posti di lavoro negli istituti comprati ma li aumenta nelle proprie sedi direzionali, per far fronte alla crescita delle attività e dell'operatività.
Al 31 dicembre scorso, le banche con sede amministrativa in Piemonte erano 29 (18 spa, 9 bcc e 2 filiali di banche estere), in Liguria 4 (3 spa e 1 filiale di banca estera), mentre la Valle d'Aosta aveva un'unica bcc (banca di credito cooperativo). Nella stessa regione, però, operavano complessivamente 17 banche con 95 sportelli; mentre le banche in attività erano 79 in Piemonte con 2.364 sportelli e 51 in Liguria con 822 sportelli.

Aziende liguri tardano a pagare

Nel Nord Ovest, sono liguri le imprese meno puntuali nel pagare i fornitori. Il fenomeno emerge dall'ultima analisi specifica fatta da Cribis, società del gruppo Crif, leader nei sistemi di informazioni creditizie. Il censimento aggiornato a giugno 2017, infatti, evidenzia che le imprese liguri che pagano entro i termini pattuiti sono il 32,1%, mentre sono il 36,4% in Piemonte e il 37,4% in Valle d'Aosta. Fra l'altro, la media delle aziende liguri puntuali a saldare le fatture alla scadenza prestabilita è inferiore a quella nazionale, che è del 36,4%, identica a quella piemontese.
Le liguri hanno anche il primato negativo locale dei ritardi gravi, considerati tali i pagamenti effettuati dopo più di un mese dalla scadenza. Secondo Cribis-Crif, la quota delle aziende liguri in grave ritardo nel saldare le fatture è pari al 10,8%, contro il 9,7% delle valdostane e l'8,6% delle piemontesi. In tutte le tre regioni del Nord Ovest, comunque, la percentuali dei ritardi gravi è inferiore all'11,01% che rappresenta la media nazionale.
A livello italiano, nel secondo trimestre 2017, per la prima volta da sei anni, si è registrato un miglioramento della puntualità dei pagamenti dei fornitori da parte delle imprese committenti. La quota dei pagamenti nei termini pattuiti è aumentata del 2,8% rispetto al 2016. Altro fattore positivo: sta diminuendo, a ritmo sostenuto, (-16% nell'ultimo anno) la percentuale delle aziende che pagano con ritardi gravi.
Le tre regioni che possono vantare le quote più elevate di aziende puntuali nel saldare i fornitori sono il Veneto (46,1%), l'Emilia-Romagna (45,5%) e la Lombardia (45,2%). All'ultimo posto, invece, si trova la Sicilia con il 19,7%. E proprio quest'ultima è anche la regione che presenta il secondo tasso più elevato di imprese con ritardi gravi di pagamento (20,4%), preceduta di pochissimo dalla Campania (20,5%. Con il 19,4% è poi terza la Calabria.

Fondazioni e falsi mecenati

In queste settimane, si stanno celebrando i 25 anni di vita delle fondazioni di origine bancaria, quelle "strane" istituzioni nate con la Legge Amato. Un po' in tutta l'Italia, numerose fondazioni raccontano quanto hanno erogato in favore delle loro comunità di riferimento. Fra l'altro, è stato ricordato che le 88 fondazioni attive nel nostro Paese, insieme, hanno distribuito oltre 20 miliardi, dal 2000 al 2016. E, nell'occasione, qualcuno ha definito le fondazioni di origine bancaria "i nuovi mecenati".
Titolo appropriato per certi aspetti, cioè se riferito agli enti che promuovono e sostengono arte e cultura, istruzione e ricerca scientifica, salute pubblica e volontariato, sviluppo economico e diverse altre finalità sociali; ma che è del tutto fuori luogo quando viene riferito ai presidenti piuttosto che ai consiglieri e ai direttori o segretari generali delle fondazioni.
Gli amministratori delle fondazioni, a partire dai vertici, non sono i nuovi mecenati. E' vero che sono loro che deliberano gli stanziamenti, che finanziano progetti e iniziative, con cifre che vanno da poche centinaia di euro a milioni di euro. Ma i soldi che fanno uscire dalle casse sono soldi delle fondazioni e non loro, non escono dai portafogli personali. Li sborsassero loro, allora sì che potrebbero farsi ritenere e chiamare mecenati.
Alcuni presidenti e amministratori di fondazioni non evitano di farsi considerare mecenati e, in qualche caso, si comportano come se lo fossero davvero: tagliano nastri, intervengono da protagonisti, accettano riconoscimenti personali, organizzano manifestazioni autoreferenziali e autocelebrative, consentono che la persona sia identificata con l'ente gestito pro tempore. Sono falsi mecenati.
Naturalmente, una parte non va confusa con il tutto. Ci sono stati, e forse ci sono ancora, presidenti e consiglieri, che non soltanto hanno sempre rinunciato a incassare l'emolumento previsto, ordinandone l'intera devoluzione ad associazioni di beneficenza, ma hanno rinunciato a qualsiasi forma di promozione individuale e quando hanno voluto fare del mecenatismo lo hanno fatto con il denaro proprio, magari pretendendo l'anonimato.
Un grande avvocato, che è stato presidente di una grande fondazione nazionale, tra le maggiori in Europa, diceva due cose: "Le fondazioni vanno servite, mentre non ci si deve servire delle fondazioni, mai"; "Al vertice delle fondazioni non ci si candida; ma bisogna essere chiamati" (sottinteso: per capacità e doti).
Come è facile intuire, quel presidente ha fatto un unico mandato. Alla vigilia della scadenza, è stato convocato dal sindaco che lo aveva designato e gli è stato detto che era opportuno cambiare, ringiovanire (allora non si parlava ancora di rottamazione). Con eleganza, immediatamente, quel presidente si è ritirato, lasciando libero il campo, senza alcuna polemica.
I patrimoni delle fondazioni di origine bancaria sono delle fondazioni, di nessun altro soggetto: non degli enti locali e delle altre istituzioni, che ne designano i componenti degli organi statutari. Sono tesori che vanno gestiti con il massimo scrupolo e con la diligenza del buon padre di famiglia, con il maggiore senso di responsabilità possibile, con una cura superiore a quella che si dedica alle proprie risorse personali. Altro che mecenatismo.
Lo stesso dovrebbe valere per le imprese che hanno più soci, come per tanti amministratori pubblici e politici Troppo facile e comodo fare i generosi con i soldi di altri.

Curiosità

IL QUADRIFOGLIO DI BOLAFFI - Non soltanto in Italia, Bolaffi è quasi sinonimo di filatelia. Nata nel 1890, a Torino, Bolaffi oggi è un'impresa di riferimento nel panorama del collezionismo nazionale e internazionale. Con il tempo, alla filatelia ha affiancato la numismatica e poi tutti gli ambiti del collezionismo, compresi quelli di nicchia: manifesti, documenti antichi, dipinti, arredi, gioielli ...
Bolaffi, dunque, è molto conosciuto per la sua attività; ma, forse pochi sanno, che appartiene alla famiglia Bolaffi una tenuta, tra le più belle, che ospita un grande e prestigioso centro ippico dotato di tutte le infrastrutture necessarie per praticare, a ogni livello e con istruttori federali di primo piano, ogni disciplina equestre. Questa tenuta, 60 ettari sulle colline di Sciolze e Rivalba, a 20 chilometri da Torino, si chiama il Quadrifoglio e ospita, dal 1973, l'omonimo Riding & Country Club (presidente onorario è Nicoletta Bolaffi).
Qui, fra l'altro, si allevano cavalli vincenti e la scuola di equitazione, a partire dalla Pony, è tra le più prestigiose. Proprio all'inizio di luglio, un giovane torinese di 11 anni, Leopoldo Petrini, in sella a "Pioggi che va", ha vinto il campionato italiano Poni fino a 138. Leopoldo Petrini, che pochi giorni prima aveva conquistato la medaglia d'argento ai campionati piemontesi e che ha come istruttore Anita Calafiore, è un talento de L'Isola ce non c'è, l'associazione sportiva che gestisce la scuola di equitazione del Quadrifoglio. 

POLVERE D'OLIO - Un'altra creazione, innovativa e gustosa, da parte della Fratelli Carli. L'antica e rinomata Casa olearia imperiese, si appresta a lanciare "D'O Polvere d'olio by Davide Oldani", che - come si legge sul contenitore - è "una polvere preziosa, morbida e fragrante, che saprà trasformare i piatti in piccoli capolavori". Polvere realizzata naturalmente con l'olio extravergine d'oliva, cento per cento italiano, della Fratelli Carli, in collaborazione con lo chef Davide Oldani. 
La Polvere d'Olio è una nuova, inimitabile eccellenza, che nasce da un incontro al vertice del gusto, tra una centenaria esperienza nel saper fare un olio unico e una cucina stellata. Si presenta agli occhi bianca con riflessi verdi e dorati, tipici dell'olio extra vergine di oliva cento per cento italiano Carli. Appena aperta la confezione, si sente un profumo intenso di oliva, che conquista. Il nuovo prodotto ha una consistenza morbida e leggera e la sua aspersione impreziosisce persistentemente, con classe, ogni sapore. 
A credere molto nella nuova creazione è Claudia Carli, neo sposa, direttrice Comunicazione e Marketing dell'omonima società, che ha come neo direttore generale il fratello Carlo e come presidente e amministratore delegato il padre Gianfranco. La Fratelli Carli, attiva dal 1911, conta oltre 320 dipendenti e nel 2016 ha fatturato 155 milioni di euro.

ASTI PRIMA PER DEBITI - E' Asti la provincia del Nord Ovest con la famiglia media più indebitata. Il primato emerge da uno studio della Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, che ha attribuito alla famiglia media astigiana un indebitamento di 21.844 euro al 31 dicembre 2016, superiore dell'1,9% rispetto alla stessa data dell'anno precedente e di circa 1.500 euro all'indebitamento della famiglia media italiana (20.341 euro).
Al secondo posto, nella graduatoria locale, si trova Novara con 21.352 euro (+1,3%) e al terzo Torino con 20.853 (+2,4%).
Seguono, nell'ordine: La Spezia con 18.414 (+2,3%), Verbania con 18.397 (+1,8%), Genova con 18.206 (+1,3%), Savona con 17.887 (+1,1%), Cuneo con 17.630 (+3%), Alessandria con 17.023 (+1,1%), Vercelli con 16.612 (-3%), Biella con 16.000 (+0,2%), Imperia con 15.288 (+1,6%), Aosta con 14.214 (+4,2%).
Dunque, le province di Aosta, Imperia e Biella sono quelle del Nord Ovest con le famiglie meno indebitate. E, comunque, tranne Asti, Novara e Torino, tutte le altre mostrano un indebitamento inferiore a quello medio nazionale. Tutte, inoltre, hanno fatto registrare un incremento percentuale rispetto al 2015, dal 4,2% di Aosta allo 0,2% di Biella, con l'eccezione di Vercelli, che, invece, ha evidenziato un calo del 3%.

L'AMBIENTE DI RE REBAUDENGO - Ha poco più di dieci anni ed è stato il primo museo in Europa dedicato esclusivamente ai beni ambientali. Si trova a Torino e si chiama Maca, acronimo di Museo A come Ambiente. Il 7 luglio, al suo vertice è stato confermato Agostino Re Rebaudengo, imprenditore leader nel settore delle energie rinnovabili. E' stato rieletto presidente all'unanimità. Nella sua attività al Maca, punto di riferimento per l'educazione ambientale e la divulgazione scientifica, non soltanto in Piemonte, Agostino Re Rebaudengo, sarà affiancato da un consiglio direttivo formato da Silvia Leto (assessore all'Urbanistica e ai Lavori pubblici del Comune di Cuorgnè), Alberto Unia (assessore all'Ambienete della Città di Torino), Carlo Enrico De Fornex (Reale Group), Paolo Romano (Smat) e dal direttore Paolo Legato.
Agostino Re Rebaudengo, nato sotto la Mole nel 1959, sposato con Patrizia Sandretto, due figli, laurea in Economia e commercio e, poi, corsi di perfezionamento alla Harvard University di Boston e alla Ucla di Los Angeles, guida un gruppo di imprese che producono sia energia verde da biogas, eolico e fotovoltaico sia sistemi di risparmio energetico. A capo di questo gruppo, che conta circa 180 dipendenti e ha fatturato 120 milioni, si trova Asja, società che ha fondato nel 1995 e di cui è presidente operativo. Inoltre, è presidente di Totem Energy, vice di Elettricità Futura, la neonata e più importante associazione delle aziende elettriche operanti in Italia, oltre che vice presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, una delle più rilevanti dell'arte contemporanea. Fra l'altro, ha presieduto il teatro Stabile di Torino e la sezione piemontese e valdostana dell'Ucid, l'unione degli imprenditori e dirigenti cristiani. Fa parte di diversi circoli d'élite, quali il Whist e il Subalpino. 





Avanti, piemontesi!

L'economia piemontese è, da decenni, terra di conquiste. Statunitensi, francesi, tedeschi, brasiliani, inglesi, indiani, cinesi, svizzeri e, fra gli altri, turchi, hanno comprato e comprano imprese subalpine, in diversi settori. E, puntualmente, emerge un saldo negativo della bilancia dei pagamenti, perché sono molti meno i piemontesi che comprano aziende all'estero. Meno, però, non vuol dire nessuno. Recenti, per esempio, sono le acquisizioni della Ferrero (ammesso che la si voglia considerare ancora piemontese), della torinesissima Lavazza e dell'Itinera del Gruppo Gavio, alessandrina come la Guala Closures Group.

Guala Closures Group ha appena firmato l'accordo per rilevare il 100% della Axiom Propack, industria indiana che produce e commercializza chiusure di sicurezza per alcolici, attività avviata l'anno scorso ma che ha già fatturato 6 milioni di euro nel suo primo esercizio e presenta ottime prospettive. Il gruppo Guala, fondato nel 1954 a Spinetta Marengo dove è cresciuto fino a diventare una multinazionale (quartiere generale in Lussemburgo) leader a livello globale nel comparto delle chiusure in alluminio, prodotte in 26 stabilimenti e vendute in 14 miliardi di esemplari in un centinaio di Paesi, ha 5 centri di ricerca, circa 4.000 dipendenti e fattura oltre 500 milioni di euro.

A sua volta, il gruppo Gavio, giovedì 6 luglio, ha comunicato che la sua Itinera, che fa capo alla quotata Autostrada Torino Milano (Astm), ha acquisito il 50% e il controllo della statunitense Halmar International, che costruisce grandi infrastrutture di trasporto e comunicazione: strade, autostrade, metropolitane, ferrovie, aeroporti, ponti. Questa impresa è tra le cinque maggiori del settore operanti a New York. Ha un giro d'affari annuo di 250 milioni di dollari e un portafoglio ordini di oltre 500.
Itinera, già attiva in Medio Oriente, Africa, America Latina, oltre che in Europa, con l'acquisizione della Halmar entra nel mercato statunitense delle infrastrutture, che, secondo le previsioni, farà registrare investimenti per 2.000 miliardi di dollari entro il 2025.
Molto soddisfatto dell'operazione si è dichiarato Beniamino Gavio, il numero uno dell'omonimo Gruppo di Tortona. Nato ad Alessandria nell'ottobre del 1965, laurea in Economia alla Kensington University a Glendale (California), Beniamino Gavio è, fra l'altro, presidente di Aurelia, Argo Finanziaria, Primav Infraestrutura, Interstrade e Baglietto (cantieri navali), oltre che consigliere di amministrazione di Astm, Sias, Igli Pca e Ecorodovias Infraestrutura e logistica.
A proposito di Ecorodovias, società quotata alla borsa di San Paolo del Brasile e tra i principali player infrastrutturali del Paese, va ricordato che il gruppo Gavio, dopo esserne diventato co-controllore, risulta il quarto operatore autostradale al mondo con una rete in concessione di 3.320 chilometri, di cui 1.860 proprio in Brasile.

Anche Diasorin, già con diverse aziende straniere, si appresta a una nuova campagna di acquisti all'estero. Lo ha lasciato intuire l'amministratore delegato Carlo Rosa, in occasione della presentazione del piano industriale al 2019, quando i ricavi del gruppo di Saluggia, di cui è il secondo maggiore azionista, dovrebbero arrivare intorno ai 735 milioni di euro (569 nel 2016), l'utile netto tra i 155 e 160 milioni (113 nel 2016) e il free cash flow cumulato tra i 445 e i 455 milioni.
"A seguito dell'importante generazione di cassa prevista nell'arco del piano, Diasorin - è stato comunicato - conferma il proprio interesse verso opportunità di crescita per linee esterne, con particolare attenzione verso realtà che consentano al Gruppo di espandere la propria base clienti, la presenza in aree geografiche ritenute rilevanti, nonché di ampliare il menù dei propri test".
Diasorin è leader mondiale della diagnostica in vitro. Presiedente e principale azionista è il torinese Gustavo Denegri, mentre Caro Rosa possiede la seconda quota maggiore del capitale della capogruppo, quotata in Borsa, dove capitalizza oltre 3,7 miliardi.

Un'altra società piemontese quotata in Borsa ha da poco fatto un investimento importante negli Usa per l'acquisto della nuova sede della sua filiale locale, a Detroit. Si tratta della Fidia, leader nella tecnologia del controllo numerico e dei sistemi di fresatura ad alta velocità. la Fidia, guidata da Giuseppe Morfino, fondatore (nel 1974), presidente e amministratore delegato, oltre che socio di controllo con il 55,9% del capitale, al termine del primo trimestre di quest'anno aveva un portafoglio ordini pari a 20,9 milioni di euro (+43% rispetto alla stessa data 2016. Nell'esercizio passato ha fatturato 58,8 milioni e ha avuto un utile netto di 2,4 milioni.

In un nuovo mercato straniero è appena entrato anche Reale Group. L'antica compagnia assicurativa torinese, infatti, ha annunciato che nei giorni scorsi è stata inaugurata Reale Chile Seguros Generales, che segna l'esordio del Gruppo presieduto da Iti Mihalich nel mercato latino americano. Partita con 70 dipendenti, Reale Chile punta ad averne 340 entro dieci anni, quando la sua raccolta premi dovrebbe arrivare a circa 240 milioni di euro, che collocherebbero la nuova compagnia fra le prime cinque del Paese.
Il Cile è il secondo mercato estero di Reale Group. Segue quello spagnolo, dove operano già due compagnie del gruppo, che nel 2016 ha raccolto premi per 3,8 miliardi e ha conseguito un utile netto di 131 milioni. Reale Group, che ha come direttore generale Luca Filippone e condirettore Massimo Luvié, conta 3.200 dipendenti e 3,8 milioni di assicurati. Il suo patrimonio netto supera i 2,4 miliardi e il suo indice di solvibilità è del 241%, tra i più alti del sistema.

Numeri italiani 2

SPESA SANITARIA - Nel 2016, in Italia, la spesa sanitaria corrente è stata di 149,5 miliardi di euro, l'1% in più rispetto al 2015 (148 miliardi); nel 2014 era stata di 146,1 miliardi e di 143,6 nell'anno precedente. Per il 75%, la spesa sanitaria del 2016, pari all'8,9% del Pil, è stata sostenuta dal settore pubblico; mentre i privati hanno speso per la loro salute 37,3 miliardi, il 2% in più rispetto al 2015 (33,8 miliardi) e per il 90% direttamente come famiglie. Nel 2014 la spesa sanitaria dei privati era stata di 32,3 miliardi e di 31,2 nel 2013.
Questi dati sono dell'Istat, l'istituto nazionale di statistica, il quale ha anche calcolato che mediamente la spesa sanitaria 2016 pro capite è stata di 2.466 euro e che 82 miliardi sono serviti per l'assistenza sanitaria e per cure riabilitative e 31,1 miliardi per prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici. Ulteriore disaggregazione: il 45,5% della spesa totale si deve agli ospedali, principali erogatori di assistenza; mentre il 22,4% ai servizi sanitari ambulatoriali.

USCITE FAMILIARI - Ancora l'Istat ha rilevato che, l'anno scorso, in Italia, la spesa media mensile delle famiglie è stata di 2.524, 38 euro, superiore dell'1% a quella del 2015 e del 2,2% a quella del 2013. Però, è stata ancora inferiore ai 2.639,89 del 2011, a conferma della continuità della crisi economica iniziata a cavallo della fine del 2007. Per i generi alimentari, la famiglia italiana ha speso mensilmente 447,96 euro, a fronte dei 2.076 per beni e servizi non alimentari.
Naturalmente, sono emerse differenze tra regione e regione. In particolare, la spesa mensile familiare è risultata di 2.862,42 euro in Valle d'Aosta, 2.607,58 euro in Piemonte e 2.289,46 euro in Liguria.

SITUAZIONE PATRIMONIALE - Al 31 dicembre scorso, le famiglie residenti in Italia avevano depositi bancari per 1.143,7 miliardi, titoli obbligazionari per 362,3 miliardi, azioni e partecipazioni per 916,8 miliardi e assicurazioni, fondi pensione e tfr per 953 miliardi; per cui, il totale delle loro attività era pari a 4.168 miliardi.
Quanto alle loro passività, erano rappresentate per 54,2 miliardi da debiti a breve termine, di cui 53,1 nei confronti delle banche, e 643,7 miliardi da debiti a medio e lungo termine (571,1 con le banche). Aggiungendo i 230,4 miliardi costituiti da debiti commerciali, fondi di quiescenza e altre partite minori si arriva a passività totali per 928,2 miliardi.
A fine 2016, il saldo patrimoniale delle famiglie italiane è risultato positivo per 3.239,8 miliardi.

PERDE COLPI LA LOTTA ALL'EVASIONE - Nei primi cinque mesi 2017, le entrate derivanti dall'attività di accertamento e controllo, riferite solo ai ruoli dei tributi erariali, sono risultate pari a 3,491 miliardi, inferiori dello 0,9% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso. Difficile che la riduzione sia motivata dalla maggiore onestà, più facile, invece, che si debba a una minore efficacia della lotta all'evasione.
Comunque, dal primo giorno di gennaio all'ultimo di maggio, le entrate tributarie sono ammontate a 159,4 miliardi, facendo segnare un incremento dell'1,9% e quindi di poco meno di 3 miliardi sull'analogo periodo 2016. In particolare, le imposte dirette sono cresciute dell'1,4% a 80,7 miliardi e le indirette del 2,4% a 78,7 miliardi (l'Iva ha reso da sola quasi 46,8 miliardi, il 4,3% in più).
Pressoché invariate le entrate dai giochi: poco meno di 5,9 miliardi, che confermano l'inarrestabile propensione del Paese a sfidare la fortuna, illudendosi di vincere e con il risultato di arricchire lo Stato e gli operatori del settore.

LA BILANCIA DELLE RIMESSE - Banca d'Italia ha rilevato che nel 2016 le rimesse dall'Italia verso l'estero, cioè le somme di denaro inviate dagli emigrati nel nostro Paese a loro connazionali, tutti o quasi parenti, sono state pari a 5,073 miliardi, la cifra più bassa degli ultimi dieci anni almeno e inferiore di oltre 2,3 miliardi al picco del 2011. Il progressivo calo delle rimesse dall'Italia verso l'estero è causato da diversi fattori, non ultimo l'abbandono del nostro Paese da parte di numerosi immigrati, per le difficoltà economiche.
Al contrario, negli ultimi due anni, sono aumentate le rimesse degli italiani dall'estero verso casa: nel 2016, sono state pari a 645,6 milioni, cifra praticamente uguale a quella del 2015 e superiore a tutte le precedenti, a partire dal 2008, quando era stata di 426,3 milioni.
Se, però, alle rimesse dall'estero verso l'Italia si aggiungono i redditi conseguiti nello stesso anno dai frontalieri italiani, il totale delle risorse trasferite in Italia dai nostri connazionali che lavorano all'estero sale a 7,2 miliardi, mentre erano state di 2,3 miliardi nel 2011.

RAPPORTI DI LAVORO - Nei primi quattro mesi del 2017, nel nostro Paese, il settore privato ha fatto registrare un saldo positivo di 550.000 posti di lavoro tra assunzioni e cessazioni, superiore ai 390.000 dello stesso periodo 2016 e ai 499.000 al primo quadrimestre 2015. Annualizzato, cioè considerando gli ultimi dodici mesi, il saldo risultato a fine aprile 2017 è positivo per 490.000 contratti di lavoro, dei quali 415.000 a tempo determinato, 29.000 a tempo indeterminato e 47.000 di apprendistato.
Sempre riferite ai soli datori di lavoro privati, le assunzioni dall'inizio di gennaio alla fine di aprile sono state 2.129.000 (+17,5% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso). In particolare, quelle a tempo indeterminato sono aumentate del 30,6%; al contrario, sono diminuite del 4,5% quelle a tempo indeterminato.
Le cessazioni del rapporto di lavoro, nel complesso, sono ammontate a 1.570.000 (+10,5% rispetto al primo quadrimestre 2016): i licenziamenti sono stati 189.000 (-0,6%) e le dimissioni sono aumentate dello 0,4%.

LE CIFRE DELL'UNRAE - L'Unrae, l'associazione delle Case automobilistiche estere operanti in Italia nella distribuzione e commercializzazione di veicoli, a fine 2016 conta 43 aziende iscritte, che insieme fatturano circa 50 miliardi e occupano circa 160.000 persone, impegnate in 3.100 concessionarie, 11.000 officine autorizzate e nelle Case madri presenti nel nostro Paese, dove le Case estere investono circa 10 miliardi per acquisti di componentistica e, attraverso le loro filiali italiane di ricerca, sviluppo e design, 10,5 miliardi per beni e servizi.
Nell'anno passato, le associate Unrae hanno immatricolato in Italia 1.291.369 vetture, pari al 70,7% dell'intero mercato nazionale.



Damiani nel mirino dei Pir

Nel prossimo novembre, Damiani compirà i suoi primi dieci anni di quotazione alla Borsa di Milano. Nonostante questo, non riceve grande attenzione da parte delle cronache finanziarie e degli investitori, anche se con l'avvento dei Pir (Piani individuali di risparmio), la situazione dovrebbe cambiare, perché i nuovi strumenti finanziari sono destinati a canalizzare i risparmi sulle piccole e medie imprese presenti sul listino di Piazza Affari, incrementandone la capitalizzazione e le possibilità di sviluppo.
Attualmente, la Damiani capitalizza in Borsa poco più di 97 milioni. Eppure è un gruppo che ha chiuso l'esercizio terminato il 31 marzo 2017 con un fatturato consolidato di 161,7 milioni di euro (+4,1% rispetto al precedente) e un patrimonio netto di 63,1 milioni. Il suo ebitda (utile prima degli interessi, delle imposte, degli ammortamenti e delle svalutazioni) è stato di 4,3 milioni, se depurato delle componenti non ricorrenti e migliore di 5,9 milioni. Il risultato netto consolidato è stato negativo per 5,5 milioni; ma la crescita della redditività, l'apporto di nuove risorse finanziarie e l'arrivo di nuovi manager fanno ritenere che l'esercizio appena incominciato sarà ben migliore.
Produttore e distributore di gioielleria e orologeria di alto livello, con marchi che sono punte di diamante del lusso made in Italy (Salvini, Bliss, Calderoni, Rocca 1974 e, naturalmente, Damiani), il gruppo fondato nel 1924 a Valenza, dove ha sede (la città alessandrina è una capitale nazionale dell'oreficeria) opera un po' in tutto il mondo con numerose società, la più recente delle quali è stata costituita a Dubai, nel gennaio di quest'anno, con la partecipazione di un operatore locale. Nel passato esercizio, inoltre, sono state inaugurate le boutique Damiani a Parigi e a Kuala Lumpur.
Recente è anche l'acquisizione del controllo di Venini, la più famosa e blasonata vetreria artistica al mondo, nata nel 1921 a Venezia. L'acquisto della Venini, nel 2016, ha segnato anche l'avvio della diversificazione della Damiani, la cui azione negli ultimi sei mesi ha comunque fatto registrare un aumento del 22% del suo valore borsistico. 
Il Gruppo, che ha oltre 60 punti vendita gestiti direttamente, conta 620 dipendenti, per il 72% donne. Capofila è la Damiani spa, le cui azioni sono possedute per il 58,8% dalla Leading Jewels sa, riconducibile ai fratelli Guido, Giorgio e Silvia Grassi Damiani, che rappresentano la terza generazione proprietaria e alla guida dell'azienda nata per iniziativa di Enrico Grassi Damiani. Gli stessi tre fratelli, entrati nell'impresa di famiglia agli inizi degli anni 90, posseggono singolarmente quote della società: il 6,1%  ciascuno, il presidente Guido (classe 1968) e il vice presidente e amministratore delegato Giorgio (1971) e il 5,3% la vice presidente Silvia, con delega alle Relazioni esterne e all'Immagine del Gruppo). Presidente onorario è la madre Gabriella.
Per le sue creazioni, Damiani ha ricevuto e continua a ricevere premi internazionali.

Paola Ferrari & la Santanchè

All'inizio di questa settimana, diversi mezzi di comunicazione hanno riportato la notizia che la nota e sinuosa conduttrice televisiva Paola Ferrari, sposata da vent'anni con Marco De Benedetti, imprenditore e manager, al quale ha dato due figli (Alessandro e Virginia),  ha comprato il 5,76% delle azioni della Lucisano Media Group, società quotata nel segmento Aim della Borsa di Milano e a capo di un gruppo di produzione e distribuzione nel settore audiovisivo e gestione multiplex. L'acquisizione, per circa 3 milioni di euro, è avvenuta attraverso la Alevi srl e comporterà, fra l'altro, l'ingresso di Paola Ferrari, nuora di Carlo De Benedetti, nel consiglio di amministrazione della Lucisano, con responsabilità anche operative.
Non è stato fatto rilevare, però, che la Alevi srl, appartenente a Paola Ferrari, figura già nella compagine societaria della Visibilia Editore Holding, con una quota del 7,2%, come riportato in un recente comunicato stampa. E Visibilia Editore Holding è controllata da Daniela Garnero Santanchè, una delle cuneesi più note: è imprenditrice, parlamentare, personaggio frequentemente in televisione e sulle pagine di mondanità.

Imperia prima per imprese straniere

Due province liguri tra le prime dieci italiane con la maggiore densità di imprese straniere. Lo rivela l'ultima indagine di Unioncamere, dalla quale risulta che, al 31 marzo scorso, il 14,6% delle aziende registrate alla Camera di commercio hanno come titolare uno straniero, a fronte del 9,5% che costituisce la media nazionale. Soltanto tre province presentano un tasso superiore a quello di Imperia e sono: Prato con il 27,6% (primato nazionale), Trieste con il 15,8% e Firenze con il 15,5%. L'altro provincia ligure nella top ten è quella di Genova, al nono posto con il 12,7%, corrispondente a 10.833 aziende, mentre sono 3.751 le straniere attive in provincia di Imperia.
Le altre province del Nord Ovest evidenziano, a fine marzo 2017, le seguenti quote di imprese con titolare straniero sul totale delle iscritte alle Camere di commercio: Torino 11,1% (24.538), Novara 10,8% (3-285), Savona 10,5% (3.172), Vercelli 9,4% (1.534), Asti 9,3% (2.208) come Alessandria (4.041), Verbania 7,6% (1.000), La Spezia 7,3% (2.179), Biella 5,9% (1.064), Cuneo 5,8% (4.001) e Aosta 5,3% (668).
Proprio Aosta è una delle poche province italiane a mostrare un saldo negativo di imprese straniere nel primo trimestre di quest'anno, avendo registrato un numero di nuove iscritte inferiore a quello delle cancellate dal registro camerale nel periodo. La differenza è negativa per 7 aziende, mentre è stata di 2 per la provincia di Biella, l'unica altra del Nord Ovest con il segno meno.
In tutt'Italia, dal primo giorno di gennaio all'ultimo di marzo, sono state 17.052 le nuove imprese estere che si sono iscritte alle Camere di commercio, a fronte delle 13.378 che sono state cancellate. Il saldo è risultato positivo per 3.674 unità, così che è salito a 574.253 il totale delle imprese con titolare straniero attive nel nostro Paese alla fine del primo trimestre di quest'anno ed è salita al 9,5% la loro quota, livello mai raggiunto prima (cinque anni fa, le imprese straniere erano ancora il 7,5% del totale nazionale).
E se è vero che il saldo del primo trimestre 2017 è inferiore a quello dello stesso periodo dell'anno scorso, quando sono state censite 5.342 imprese straniere in più; è altrettanto vero che la crescita della loro incidenza è dovuta anche al fatto che sono diminuite notevolmente le imprese italiane, tanto che il saldo complessivo, cioè delle italiane più le straniere, è negativo per 19.579 unità.
Per quanto riguarda il Nord Ovest, le disaggregazioni di Unioncamere mostrano che al 31 marzo le imprese straniere registrate sono 41.671 in Piemonte (1.548 le nuove iscritte nel trimestre e 1.227 le cancellate), 19.936 in Liguria (rispettivamente 572 e 477) e 668 in Valle d'Aosta (20 e 27). In quest'ultima regione il totale delle imprese iscritte è diminuito di 299 unità, mentre la perdita trimestrale è stata di 2.619 imprese in Piemonte e di 723 in Liguria.
A livello di Paese, dove un'impresa straniera su tre è artigiana, emerge che sono nati in Marocco i titolari di 68.459 aziende attive in Italia, in Cina 51.077, in Romania 48.570, in Albania 31.329 e in Bangladesh 30.672. Queste sono le cinque comunità estere con più imprese attive nella Penisola, dove i settori le maggiori presenze straniere sono il commercio (207.000) e le costruzioni (131.000).

Tre neoeletti e ...tre confermate

Tra i più recenti eletti del Nord Ovest a incarichi di rilievo, un posto d'onore spetta certamente ad Alberto Dal Poz, giovane imprenditore torinese acclamato al vertice nazionale di Federmeccanica. Alberto Dal Poz, nato nel 1972 sotto la Mole, dove si è laureato in Ingegneria gestionale, sposato, tre figli, aggiunge la nuova responsabilità a diverse altre, fra le quali spicca la presidenza di Fondaco Sgr, la società subalpina che gestisce oltre 6 miliardi di euro per conto di alcune delle principali fondazioni di origine bancaria, a partire dalla Compagnia di San Paolo, che l'ha fondata e che ne è l'azionista di riferimento. Dal Poz è amministratore delegato e socio di maggioranza della Comec e della sua controllata Usa (componentistica meccanica di precisione in lamiera stampata), oltre che azionista della Electro Power System. Fra l'altro è consigliere di I3P, incubatore del Politecnico ed è stato presidente dell'Amma e vice dell'Unione Industriale di Torino.
Torinese è anche Giorgio Marsiaj, appena eletto presidente di Skillab, il laboratorio di competenze dell'Unione industriale di Torino e dell'Amma, l'associazione delle imprese metalmeccaniche locali. Skillab ha la missione di contribuire al miglioramento delle performance delle aziende, facendone crescere le competenze dei manager e degli specialisti. Giorgio Marsiaj, classe 1947, tre figli, laurea in Scienze Politiche, è un imprenditore di lungo corso e ampio raggio. Plenipotenziario italiano della statunitense Trw Automotive, gruppo industriale che in Italia ha sei stabilimenti con un paio di migliaia di dipendenti, Giorgio Marsiaj è a capo o condivide il vertice di varie società, prime fra tutte quelle di famiglia, come la M. Marsiaj & C., holding di partecipazioni fondata dal padre Michele nel 1947. Già saggio di Confindustria, Marsiaj è anche presidente dell'Amma, consigliere di amministrazione della Vittoria Assicurazioni e di Fenera Holding, di cui è socio come del fondo Charme. E' socio pure dello Yacht Club di Genova, dove lo si può vedere al timone dell'ammirato Swan 70 Flyng Dragon.
Restando nell'ambito dell'Unione Industriale di Torino, va riferito che Giovanni Fracasso, imprenditore di prima generazione, è stato eletto presidente della Piccola Industria, organo di rappresentanza delle Pmi, per il quadriennio 2017-2021. Giovanni Francasso è co-fondatore e presidente di Dooh.it, innovativa azienda operante nel campo della comunicazione digitale. Il nuovo impegno si aggiunge a quello di numero uno del Seti, il settore che rappresenta le associate attive nel settore dei servizi e del terziario innovativo, nonché a quelli nazionali in Confindustria.
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Essere confermati con lo stesso, altissimo, numero di preferenze dell'elezione precedente, è un risultato molto significativo e certo non capita a tutti quelli che si ricandidano.E' successo, però, a Annamaria Furlan, rieletta segretaria generale della Cisl nazionale con 194 voti, identico numero ottenuto la prima volta, tre anni fa, quando i votanti erano 200, mentre sabato 1 luglio erano 203. Una prova dell'apprezzamento della sua attività al vertice del sindacato di ispirazione cattolica, organizzazione alla quale si è iscritta quando aveva 23 anni e alla quale è rimasta sempre fedele, preferendola anche alla candidatura a presidente della Provincia di Genova che le avevano proposto.
Annamaria Furlan, nata nell'aprile del 1958 nella città della Lanterna, sposata, un figlio, ha incominciato a lavorare alle Poste di Sestri Levante, prendendo subito la tessera della Cisl, dove ha fatto presto a distinguersi per le sue capacità e qualità. Nel 2000 è stata eletta segretaria della Cisl ligure, prima donna ad assumere questo ruolo in regione. Fra l'altro, è stata segretaria confederale per il settore terziario e servizi, poi segretario generale aggiunto, a fianco di Bonanni, suo grande sostenitore.
Un'altra ligure confermata è Federica Maggiani, rieletta presidente della Cna de La Spezia, confederazione dell'artigianato della provincia. Imprenditrice della nautica, dove La Spezia vanta la maggior concentrazione di imprese del settore, Federica Maggiani, classe 1969, una figlia, è dirigente di Motorvela, l'azienda di famiglia. Nel 2014 era stata eletta anche vice presidente della locale Camera di commercio. L'assemblea che l'ha eletta al vertice dell'organizzazione artigiana per i prossimi quattro anni e alla quale hanno partecipato, fra gli altri, il presidente nazionale della Cna, Daniele Vaccarino, e il ministro della Giustizia, Andrea Orlano, ha chiamato a far parte del gruppo di presidenza Davide Mazzola, vice presidente vicario, più Rosalia Brancaleone, Gianluca Lombardi, Pierluca Mainoldi, Paolo Panzatis e Matteo Tiberi.
Il 29 giugno, l'assemblea di Visibilia Editore, società quotata all'Aim della Borsa di Milano, oltre ad approvare il bilancio 2016, chiuso con una perdita di 780.000 euro (1,2 milioni nel 2015), ha rieletto presidente Daniela Garnero Santanchè, imprenditrice e politica, molto nota. Con lei sono stati eletti consiglieri di amministrazione Davide Mantegazza, Dimitri d'Asburgo Lorena e Canio Giovanni Mazzaro. I soci hanno anche deliberato l'azione di responsabilità nei confronti di alcuni amministratori precedenti. Il giorno dopo l'assemblea, è stato comunicato che Visibilia Editore Holding ha ridotto la sua partecipazione in Visibilia Editore sotto la soglia di rilevanza del 75%, portandola al 74,8%. Secondo maggior azionista è la srl Alevi con il 7,2% mentre il restante 18% è frazionato sul mercato.


Dicono che ... 3

COMBINATA ROI-BUCCI - Dicono che nei palazzi genovesi del potere sia serpeggiata preoccupazione, dopo che Maurizio Roi, sovrintendente del Teatro Carlo Felice nominato nel 2014 dall'allora primo cittadino Marco Doria, ha dichiarato che metteva a disposizione il suo mandato, in seguito all'elezione di Marco Bucci a nuovo sindaco di Genova. Roi ha dichiarato che la sua decisione era motivata dal "rispetto istituzionale". Gesto encomiabile e degno di una personalità di rilievo, molto apprezzato anche dal nuovo sindaco, fra l'altro espressione del centro destra e quindi in netta discontinuità rispetto agli ultimi decenni di governo del centro sinistra.
Però, l'atto di Roi è risultato indigesto agli occupanti di diverse poltrone e poltronissime, che dipendono dall'Amministrazione cittadina. Qualcuno ha incominciato a tremare, anche perché, da buon manager, Bucci ha anticipato che valuterà l'operato di ogni designato dal Comune per poi confermarlo nell'incarico o meno. Proposito giudicato molto favorevolmente da chi non vede l'ora non tanto di cambiamenti per motivi politici, quanto della fine di un sistema finalizzato a premiare l'appartenenza o meriti partitici a scapito della meritocrazia. Sotto la Lanterna, le prime mosse di Bucci piacciono e alimentano un po' di speranza.

CAMERE DI COMMERCIO - A proposito di premi, ancora a Genova, si sente dire che alcuni consiglieri della Camera di Commercio presieduta da Paolo Cesare Odone hanno mugugnato, sommessamente e in luoghi ben sicuri per la loro discrezione, quando hanno saputo che Maurizio Caviglia, il potentissimo e temuto segretario generale, in carica dal 2007, considerato il Mazarino della Superba, nel 2016 ha avuto un emolumento ancora maggiore di quello dell'anno precedente: 218.322 euro (lordi), 38.031 dei quali come retribuzione di risultato, voce superiore di circa 5.300 euro a quella del 2015.
I critici di Caviglia, forse anche perché un po' invidiosi o comunque indispettiti dalle sue azioni, hanno fatto notare che i conti della Camera di Commercio e la sua gestione economica non sono così brillanti: l'ente ha chiuso il bilancio 2016 con una perdita di 1,3 milioni, che segue quella di 1,1 milioni denunciata per il 2015. Per di più, mentre l'ammontare degli interventi economici, cioè delle azioni a favore del sistema produttivo locale, sono calati a 2,3 milioni dai 3,2 milioni dell'esercizio precedente.
E a chi faceva notare che il segretario della Camera di Commercio di Torino, Guido Bolatto, in carica dal 2001, ha guadagnato di più (240.000 euro gli emolumenti complessivi percepiti nel 2016, come nel 2015, a carico della finanza pubblica), è stato risposto che la Camera torinese, validamente presieduta dall'imprenditore Vincenzo Ilotte, nel 2016 ha avuto un avanzo di quasi 1,3 milioni, mentre aveva perso 182.261 euro nel 2015 e 394.597 nel 2014. E i suoi interventi sono stati pari a 4,5 milioni, equivalenti all'11% degli oneri correnti, la stessa quota dell'anno precedente-

ELKANN - AGNELLI - Dicono che l'esteso articolo, pubblicato da Milano Finanza del 24 giugno e intitolato "Un impero con pochi Agnelli", sia stato piuttosto sgradito nella nota e grande famiglia torinese, anche per l'occhiello, che recitava: "John Elkann è il monarca assoluto del clan discendente dal fondatore della Fiat. Ma dietro di lui solo due parenti, Alessandro Nasi e Andrea Agnelli, hanno incarichi realmente operativi. Gli altri? Rentier o con attività fuori dal perimetro". Sotto la Mole, da sempre, si preferisce l'understatement, il profilo basso, la discrezione.
E' indiscutibile, però, che l'impero che fa capo alla ormai olandese Giovanni Agnelli Bv, sia guidato da John Elkann, prescelto dal nonno, l'Avvocato, dopo la prematura scomparsa di Giovanni Alberto, primogenito di Umberto Agnelli, avvenuta vent'anni fa. John Elkann è presidente non soltanto della Giovanni Agnelli Bv, ma anche della sua controllante, l'accomandita Dicembre Eredi di Giovanni Agnelli, inventata da Franzo Grande Stevens (l'Avvocato dell'Avvocato), oltre che della Fca (Fiat Chrysler Automobiles) e della Exor, holding alla quale fanno capo, fra l'altro, le partecipazioni in Cnh (26,9%), Ferrari (22,9%), Partner Re (100%), Banca Leonardo (16,5%) e Juventus (63,7%).
Comunque, anche gli altrettanto giovani Alessandro Nasi e Andrea Agnelli, hanno diversi incarichi rilevanti nel Gruppo, a partire dalla Giovanni Agnelli Bv, della quale sono consiglieri di amministrazione, come Tiberto Brandolini d'Adda, Luca Ferrero Ventimiglia ed Eduardo Teodorani-Fabbri, pure loro esponenti della famiglia.

DE AGOSTINI - La Fondazione De Agostini, costituita per volontà delle famiglie novaresi Boroli e Drago, azioniste dell'omonimo gruppo nato per la pubblicazione delle carte geografiche, quest'anno compie i suoi primi dieci anni di attività. Da allora ha sostenuto oltre 100 progetti e ha erogato circa 12 milioni di euro, a beneficio di un'ottantina di enti non profit impegnati nella solidarietà, in particolare nei confronti delle popolazioni colpite dalle calamità naturali e dei soggetti svantaggiati. Presidente della Fondazione De Agostini è Roberto Drago, il quale - dicono - è orgoglioso soprattutto del progetto "Sartoria Emmaus", realizzato insieme con la Fondazione comunitaria del Novarese (sostenuta anche dalla Fondazione Cariplo) e dalla Fondazione Banca Popolare di Novara.
Il progetto Sartoria Emmaus, avviato nel 2014, ha la finalità della formazione imprenditoriale per donne che vivono situazioni di disagio. "Il successo è stato tale - ha raccontato Roberto Drago - che la sartoria ha iniziato a lavorare anche per grandi firme della moda italiana e l'attività si espansa così tanto da richiedere l'ampliamento della struttura che la ospita".

UN SALOTTO TORINESE - Dicono che abbiano ricevuto un dividendo complessivo di 925.000 euro i soci di Fenera Holding, finanziaria subalpina guidata da Lucio Zanon di Valgiurata, che ne è anche uno degli azionisti, come le famiglie Lavazza, Marsiaj, Garosci e le emiliane Maramotti e Seragnoli. Nell'esercizio passato, Fenera Holdin ha aumentato gli investimenti in portafoglio a 63,7 milioni dai 51,2 milioni precedenti. Le attività consolidate sono salite a 67,2 milioni e il patrimonio netto è risultato di 45,9 milioni.
Fra l'altro, Fenera possiede lo 0,8% di Credemholdin, di cui Lucio Zanon di Valgiurata è vice presidente, il 18% di Tosetti Value Sim, il 12% di Alkims Sgr e lo 0,6% del gruppo dolciario Elah-Dufour-Novi, guidato brillantemente da Flavio Repetto (presidente) con il figlio Guido (amministratore delegato).



Cultura: Genova battuta pure da Aosta

Torino al terzo posto e Aosta al settimo, nella classifica nazionale 2016 delle province con la più elevata incidenza del Sistema Produttivo Culturale e Creativo (Spcc) sull'economia locale. La graduatoria, che non comprende Genova nei primi dieci piazzamenti, è stata redatta dalla Fondazione Symbola e dall'Unioncamere, enti che stimano in circa 90 miliardi di euro il valore prodotto in Italia, l'anno scorso, dalla filiera del settore Spcc, formato dai soggetti, privati e pubblici, che producono beni e servizi culturali (architettura, comunicazione, design, cinema-radio-tv, videogiochi e software, musica, stampa ed editoria, patrimonio storico-artistico, performing arts e arti visive), e da quanti utilizzano la cultura come input per accrescere la loro competitività, soggetti definitivi, nello studio, "creative-driven".
Nel rapporto 2017 di Symbola e Unioncamere, intitolato "Io sono cultura - l'Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi", si legge che l'incidenza del Sistema produttivo culturale e creativo è pari all'8,6% del valore aggiunto prodotto dalla provincia di Torino nel 2016 e al 6,9% in Valle d'Aosta. Tassi più elevati di quello torinese sono stati attributi a Milano (9,9%) e Roma (10%). Al quarto posto si trova Siena (8,2%), seguita, nell'ordine, da Arezzo (7,6%), Firenze (7,1%), appunto Aosta, poi Ancona (6,6%), Bologna e Modena, entrambe con il 6,6%, a chiusura della top ten.
Per l'incidenza del settore sull'occupazione complessiva, la provincia di Torino è quarta con l'8,2% e Aosta decima con il 7,2%, mentre in testa si trova Milano con il 10,1%. Come regione, la Valle d'Aosta è terza e il Piemonte è quarto, in tutte e due le classifiche.
"La cultura è uno dei motori trainanti dell'economia italiana, uno dei fattori che più alimentano la qualità e la competitività del made in Italy" hanno scritto gli estensori del rapporto, sottolineando che il Sistema Produttivo Culturale e Creativo dà lavoro direttamente a 1,5 milioni di persone e, attivando altri settori dell'economia, arriva a muovere un totale di 250 miliardi di euro, equivalenti al 16,7% del valore aggiunto nazionale (il turismo è il principale beneficiario di questo volano).
In particolare, le industrie culturali propriamente dette (cinema, editoria, software, videogiochi, musica e stampa) producono un valore aggiunto superiore a 33 miliardi, con 492.000 occupati;  le industrie creative (architettura, comunicazione e design) poco meno di 13 miliardi, con 253.000 addetti; mentre le performing arts e arti visive generano una ricchezza pari a 7,2 miliardi e hanno 129.000 posti di lavoro. Quanto al patrimonio-storico artistico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), il suo contributo 2016 è stato stimato in 3 miliardi come valore aggiunto e in 53.000 occupati.
Infine, le imprese "creative driven", chiamate così quelle che impiegano, in maniera strutturale, professioni culturali e e creative, quali la manifattura evoluta (dal mobile alla nautica) e l'artigianato artistico. A queste imprese sono stati attribuiti un valore aggiunto di 33,5 miliardi e un'occupazione di 568.000 persone.

Cavalieri, la squadra di Maurizio Sella

Era un saggio, ora è presidente. Il banchiere Maurizio Sella, numero uno dell'omonimo gruppo creditizio-finanziario biellese, il 28 giugno, è stato eletto al vertice del Gruppo piemontese dei Cavalieri del Lavoro, costituito nel 1918 da Teofilo Rossi di Montelera. Un sospetto di cosa stava bollendo in pentola deve averlo avuto, Maurizio Sella, quando gli è stato detto che, questa volta, non c'era bisogno che lui facesse parte della terna dei saggi incaricati di scegliere il candidato da proporre per la presidenza. Comunque, nessun dubbio per la sessantina di Cavalieri iscritti al Gruppo piemontese e valdostano. Tutti d'accordo sul suo nome, prestigioso e indiscutibile.
Maurizio Sella, 75 anni compiuti da poco, nominato Cavaliere del Lavoro quando ne aveva 49, oltre che presidente della holding di famiglia, dell'omonima, storica banca e della controllata Patrimoni Sella è, fra l'altro, consigliere di amministrazione della Buzzi Unicem e membro del comitato esecutivo dell'Abi, l'associazione nazionale delle banche, di cui è stato presidente, come lo è stato, fino al 13 giugno, dell'Assonime, influente associazione delle società italiane per azioni.
A passare il testimone della presidenza del Gruppo piemontese dei Cavalieri del Lavoro a Maurizio Sella, i cui figli sono amministratori delegati delle banche controllate, è stato Giuseppe Donato, che in passato ha guidato e presieduto la Skf italiana e, attualmente, è presidente della Sagat, la società che gestisce l'aeroporto di Caselle Torinese.
Oltre che da Maurizio Sella, il nuovo vertice del Gruppo piemontese dei Cavalieri del Lavoro, di cui sono appena entrati a far parte i neo nominati Licia Mattioli, Catia Bastioli (amministratore delegato di Novamont e presidente di Terna) e Massimo Perotti (titolare e timoniere dei Cantieri Sanlorenzo), per il triennio 2017-2020, è formato dai vicepresidenti Marco Boglione e Gianfranco Carbonato, e dai consiglieri Roberto Balma, Maria Luisa Cosso Eynard, Lorenzo Ercole, Piero Marsiaj, Amilcare Merlo, Nerio Nesi, Debora Paglieri, Mario Rizzante, Savinio Rizzo. Tesoriere: Camillo Venesio, amministratore delegato e direttore generale della Banca del Piemonte, altro istituto creditizio privato, ultracentenario, sano, solido ed efficiente.

Il capolavoro dei Rizzante

Tra i non addetti ai lavori, pochi la conoscono, persino a Torino, dove è stata costituita 21 anni fa e dove ha sede, nonostante sia un campione della Borsa italiana, abbia più di 6.200 dipendenti e sia un'eccellenza imprenditoriale nel campo delle più avanzate tecnologie informatiche. Il soggetto in questione è Reply, società a capo di un gruppo specializzato nella progettazione, implementazione e manutenzione di soluzioni basate su internet e sulle reti sociali. Un gruppo che controlla centinaia di aziende, sparse un po' in tutto il mondo e che, nel 2016, ha fatturato 780 milioni, con un utile netto di 67,5 milioni.
Reply, la cui maggioranza assoluta appartiene alla famiglia Rizzante, fondatrice, è un'impresa straordinaria, che si sviluppa a un ritmo impressionante (nel suo primo esercizio aveva fatturato meno di 6 milioni) Lo hanno confermato anche i dati del primo trimestre di quest'anno: ricavi per 208,4 milioni (186,3 nello stesso periodo 2015), margine operativo lordo di 28 milioni (25), utile di 25,3 milioni ante imposte (22,5). E, al 31 marzo, posizione finanziaria netta positiva per 80,6 milioni, a fronte dei 28,2 di fine 2016.
In Borsa, Reply sta capitalizzando oltre 1,5 miliardi. Il 7 giugno, la sua azione è stata scambiata fino a 181 euro, nuovo record storico. Cifre che diventano particolarmente significative se si considera che l'azione Reply valeva 60,9 euro ancora al 31 dicembre 2014 e 21 euro alla stessa data del 2012, quando la sua capitalizzazione era di 193,6 milioni. Indubbiamente c'è chi ha fatto una fortuna puntando su Reply, la cui crescita sembra irresistibile, come sono state finora le sue performance reddituali e borsistiche.
A proposito proprio delle performance del titolo, Mario Rizzante, presidente e amministratore delegato di Reply, ha dichiarato che  "è interessante come numerosi azionisti e investitori abbiano confermato il loro interesse in merito a un aumento della liquidità dell'azione. Al fine di recepire questa indicazione - ha aggiunto Mario Rizzante - il management e i principali azionisti saranno focalizzati su un incremento della liquidità dell'azione Reply, quale obiettivo di medio termine".
Insomma, s'intuisce l'intenzione di aumentare il numero delle azioni disponibili sul mercato, finalità che potrebbe essere raggiunta anche con una vendita parziale di titoli attualmente nel portafoglio della Alika srl (holding della famiglia Rizzante), la quale possiede il 52,78% del capitale di Reply, mentre il secondo maggior socio singolo è Goldman Sachs con il 3,6%.
Nella guida di Reply, Mario Rizzante, che ha incominciato come operaio Fiat, è affiancato dalla figlia Tatiana, anche lei amministratore delegato, e dal figlio Filippo, consigliere di amministrazione con incarichi operativi. (è Chief Technology Officer).
Tatiana Rizzante, laureata in Ingegneria informatica al Politecnico di Torino, è al vertice di Reply, di cui è stata cofondatrice insieme con altri manager, da oltre dieci anni. Sposata, una figlia, da sempre appassionata di nuove tecnologie, in azienda si è occupata subito della creazione e dello sviluppo delle competenze nei settori a elevato tasso di innovazione, promuovendo anche le numerose acquisizioni. Prima di entrare nell'impresa di famiglia, ha lavorato allo Cselt (ora Tlab). Per i suoi valori, è stata chiamata a far parte, fra l'altro, del Consiglio direttivo di Confindustria Digitale ed è stata nel cda di Ansaldo StS (ex Finmeccanica, ora Leonardo).

Finanza italiana

CREDITI DETERIORATI (NPL) - Alla fine del 2016, i crediti deteriorati delle banche italiane (finanziamenti, mutui e prestiti, che i debitori non riescono più a ripagare regolarmente o del tutto) ammontava a 173 miliardi, pari al 9,4% degli impieghi totali degli istituti. Di questa montagna di crediti concessi dalle banche, 81 miliardi erano rappresentati da "sofferenze" (crediti la cui riscossione non è certa, perché i soggetti debitori si trovano in stato di insolvenza o in una situazione equiparabile) e i restanti 92 miliardi dalle altre esposizioni deteriorate, già svalutate per circa un terzo del valore nominale.
Di crediti deteriorati o di Npl, come ormai molti li chiamano usando il termine inglese (non performing loans) nel sistema finanziario nazionale si parla, da mesi, sempre di più. Sono considerati, infatti, il cancro delle banche italiane. E quasi non passa giorno che non arrivi, da diverse parti, la sollecitazione a disfarsene, il più presto possibile. Addirittura, in qualche caso, la Bce dà ultimatum. Però, c'è un problema. Le banche puntano a vendere gli Npl senza rimetterci troppo, mentre le società specializzate nell'acquisto e nella gestione dei crediti deteriorati mirano a pagarli poco, spesso tra il 20 e il 30% del loro valore nominale.
Così, succede che le banche ci rimettono un sacco di soldi, mentre i pochi operatori acquirenti di soldi ne guadagnano un sacco, essendo capaci a riscuotere dai debitori somme ben più elevate di quelle pagate per i crediti deteriorati rilevati.
Dell'anomalia di questo nuovo, colossale business, si è reso conto lo stesso Governatore della Banca d'Italia, il quale ha riconosciuto che "La Vigilanza è consapevole della necessità di non forzare politiche generalizzate di vendita dei crediti deteriorati, che conducono, di fatto, a un trasferimento di risorse dalle banche italiane a pochi investitori specializzati". Peccato, però, che il pressing sulle banche italiane continui, a tutto vantaggio degli speculatori.

LA STRAGE BANCARIA - Altro che deforestazione bancaria, qui è una strage. Già al 31 dicembre 2016, nel nostro Paese si sono ridotti a 70 i gruppi bancari e a 475 le banche non incluse nei gruppi. Esattamente un anno prima i gruppi erano ancora 75 e 504 le banche non incluse nei gruppi. Numeri che diventano ancora più significativi se si considerano sia i consuntivi degli anni precedenti sia il fatto che delle banche non incluse nei gruppi a fine 2016 ben 325 sono Bcc (credito cooperativo) e 82 succursali di istituti esteri. Inoltre, va considerato che dall'inizio di quest'anno a oggi, il sistema ha avuto ancora altre perdite e nei prossimi mesi il fenomeno continuerà.
Insomma, tra poco, di banche indipendenti in Italia ne resteranno un centinaio. Intanto, cala, ancora di più e rapidamente, il numero degli sportelli e dei dipendenti. Mentre, l'attività tipica si mantiene su buoni livelli. Infatti, la raccolta bancaria da clientela, in essere al 31 maggio, è risultata pari a 1.713,9 miliardi e gli impieghi in essere hanno sfiorato i 1.800 miliardi.

ASSICURAZIONI - Nel 2016, il totale dei premi pagati alle compagnie assicurative operanti in Italia è sceso a 134 miliardi, l'8,7% in meno rispetto ai 147 miliardi del 2015. Il calo si deve soprattutto al Ramo Vita, che ha incassato l'11% in meno, evidenziando così un'inversione di tendenza dopo i tre anni precedenti di crescita progressiva. Più contenuta è stata la diminuzione del valore delle polizze emesse nel comparto Auto, ridotto del 3% e in linea, negativa, con l'ultimo lustro. E' invece risalito del 3% il Ramo Danni non auto. Però, il Ramo Vita vale il 76% dei premi assicurativi pagati l'anno scorso nel nostro Paese, mentre il Ramo Danni vale il 24%, equamente diviso tra Auto e non.
In merito all'Rc Auto, va rilevato che il premio medio 2016 per l'assicurazione obbligatoria di una vettura a uso privato è sceso a 420 euro (al netto di tasse e contributi), somma che però è ancora superiore di 140 euro a quella pagata da francesi, tedeschi e spagnoli. Forse può consolare, comunque, che nel 2015 il divario era di 190 euro e di oltre 260 nel 2011.
Le 111 compagnie assicurative attive in Italia, con quasi 30.000 dipendenti e oltre 5.700 broker, alla fine dell'anno scorso avevano, all'attivo, investimenti per oltre 810 miliardi (a valore di mercato), 360 dei quali rappresentati da titoli di Stato. Insieme, hanno dichiarato un utile complessivo vicino ai 6 miliardi, quanto nell'esercizio precedente.

BORSA DI MILANO - Piazza Affari in double face. L'anno scorso, l'indice Ftse Italia Mib storico è diminuito del 7,6% e la capitalizzazione totale delle società italiane quotate è calata a 525 miliardi a fine 2016 dai 573,6 di fine 2015. E' sceso anche il controvalore degli scambi di azioni delle società nazionali a 615,4 miliardi dai 792.9 precedenti. Al contrario, sono aumentate le società presenti nel listino da 356 a 387, il numero più alto degli ultimi cinque anni. Sono cresciuti, inoltre, i dividendi distribuiti dalle quotate italiane (da 15,1 a 16,7 miliardi), come i rapporti fra gli utili e la capitalizzazione e fra i dividendi e la capitalizzazione.

CONTI PUBBLICI - Il consolidato 2016 delle Amministrazioni pubbliche, riportato nella relazione annuale della Banca d'Italia, mostra entrate totali per 788,5 miliardi, ancora 2,6 miliardi in più rispetto al 2015 e quasi 41 miliardi più che nel 2011; inoltre, mostra spese totali per 829,3 miliardi, quasi un miliardi meno dell'anno prima, ma 20,7 miliardi in più rispetto al 2011. Insomma, le Amministrazioni pubbliche continuano a spendere più di quanto incassano e, come se non bastasse, la crescita delle loro spese è superiore a quella delle loro entrate. Chiaro che così il debito pubblico non può che continuare a salire.
Altrettanto grave è che le sole spese pubbliche in diminuzione sono quelle relative agli interessi pagati per i debiti (merito esclusivo della Bce di Mario Draghi e dei suoi tassi bassissimi) e quelle per gli investimenti fissi, pari a 35 miliardi nel 2016 a fronte degli oltre 45 di cinque anni prima.
Naturalmente, viene fatto osservare che però è calata l'incidenza sul Pil sia delle spese (al 49,6%), sia delle entrate (al 47,1%), sia dell'indebitamento netto (al 2,4%); tuttavia, andrebbe aggiunto, che questi risultati sono conseguenti non a comportamenti virtuosi delle Amministrazioni pubbliche, ma al miglioramento del Pil, frutto prevalentemente dei soggetti privati.  


Celi (hi-tech) alla H-Farm

Sempre più intensa la caccia di nuove imprese torinesi ad alta tecnologia da parte degli investitori. L'ultima preda, in ordine di tempo, è la Celi, pmi innovativa leader nel campo dell'intelligenza artificiale, del machine learning e dell'analisi del linguaggio (progetta e realizza tecnologie semantiche multilingue per estrarre conoscenza e creare valore dai dati linguistici).
Il 100% della Celi è appena stato comprato dalla H-Farm, società quotata in Borsa, primo venture incubator al mondo, oltre 250 dipendenti e un fatturato superiore ai 28 milioni nel 2016. Il valore dell'operazione è di 2,3 milioni, che i soci di Celi ricevono in parte in denaro e in parte in azioni della H-Farm, fondata e guidata da Riccardo Donadon.
La Celi, che ha come presidente e amministratore delegato Vittorio Di Tomaso (secondo ad è Giampaolo Mazzini), ha tre sedi - Torino, Milano, Trento - opera in Europa, Usa e Asia; conta 25 dipendenti e vanta un'esperienza di 15 anni. Nel passato esercizio ha fatturato 1,8 milioni, realizzando un utile operativo di 360.000 euro.

Bim cambia di nuovo proprietà

Nuova svolta per la Bim - Banca intermobiliare di investimenti e gestioni. La banca torinese specializzata nella gestione di patrimoni familiari cambia proprietà, un'altra volta. La quota della Bim in portafoglio a Veneto Banca, pari al 71,4% del capitale, è destinata alla vendita. E a comprarla non sarà Intesa Sanpaolo, che ha escluso questa partecipazione dal perimetro delle attività da rilevare in seguito al contratto firmato, domenica 25 giugno, con i commissari liquidatori della Popolare di Vicenza e, appunto, di Veneto Banca, nominati dalla Banca d'Italia, dopo l'accordo con il ministro dell'Economia e delle Finanze.
La Borsa ha accolto positivamente la notizia. Nella prima giornata successiva alla decisione della liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza e dell'acquisizione di buona parte delle loro attività e passività a Intesa Sanpaolo, grazie anche al contributo dello Stato, il titolo Bim ha fatto registrare un aumento del 13,7%, chiudendo a 1,363 euro. Quotazione ancora inferiore al massimo annuale di 1,58 raggiunto il 10 gennaio, ma decisamente superiore al minimo di 1,14 euro toccato venerdì 23 del mese corrente, quando era dilagante l'incertezza sul destino della Banca, nata proprio vent'anni fa, dopo essere stata Sim e, prima ancora, Commissionaria di Borsa, dal 1981, anno a cui si possono far risalire le origini dell'istituto finanziario.
Veneto Banca era entrata in Bim nel 2009, acquisendo il 40% della Cofito, holding che possedeva il 52,3%  di Banca Intermobiliare. Nel 2011, però, Veneto Banca incorpora Cofito, per fusione, e diventa controllante della Bim. Tuttavia, nel giugno dell'anno scorso, la maggioranza di Veneto Banca passa al fondo Atlante, gestito da Quaestio Capital Management Sgr, che, perciò, sia pure indirettamente, diventa il nuovo azionista di controllo della Bim. Condizione durata un anno e finita domenica, altra data storica per banca torinese che è stata delle famiglie Segre, Scanferlin, D'Aguì, ancora titolare del 9% delle azioni.
La Bim, che dispone di 29 filiali sparse in Italia e 165 private banker e che ha in portafoglio Bim Suisse, Symphonia Sgr, Bim Fiduciaria e Bim Insurance Brokers, al 31 marzo scorso, presentava una raccolta globale - amministrato più gestito - pari a 9,2 miliardi di euro e un Cet1 dell'11,43%. Ha chiuso il primo trimestre con un risultato negativo di 2 milioni. Nell'intero 2016 ha perso 83,1 milioni, dopo averne persi 28,8 nel 2015. Attualmente è presieduta da Maurizio Auri. Direttore generale è Stefano Grassi, consigliere di amministrazione con deleghe Giorgio Girelli.