Novaresi all'attacco

Tra le mille aziende europee non quotate in Borsa, piccole e medie, selezionate dalla London Stock Exchange, fra l'altro proprietaria della società che gestisce Piazza Affari, in considerazione dei loro elevati tassi di sviluppo, 110 sono italiane e non poche di queste si trovano nel Nord Ovest. Nell'elenco non poteva mancare la novarese Herno, produttrice di capi d'abbigliamento d'alta qualità e di gran moda, che stanno conquistando mercati in tutto il mondo, con la guida di Claudio Marenzi, figlio di Giuseppe, fondatore dell'impresa, con la moglie Alessandra Diana, nel 1948, a Lesa (inizialmente produceva impermeabili). Con Claudio Marenzi al timone, la Herno sta raddoppiando il fatturato ogni due anni: 2016 i ricavi sono ammontati a 76 milioni, per il 60% dovuti all'export. Oltre che presidente e amministratore delegato della Herno, Claudio Marenzi, 55 anni, terzogenito, è presidente di Pitti Immagine e anche della neonata Confindustria Moda, che rappresenta 37.000 imprese Made in Italy del settore.

                             Claudio Marenzi, presidente e amministratore delegato Herno

Ben nota per i suoi marchi Clinians, Malizia, Intesa, Splend'Or, Glicemille, Breeze e altri ancora, la Mirato di Landiona (Novara) aggiunge alla sua gamma “I Provenzali”. Infatti, l'impresa novarese presieduta da Corrado Ravanelli, che l'ha creata all'inizio degli anni 60, ha comprato il ramo d'attività caratterizzato dal marchio I Provenzali (cosmetici naturali), rilevandolo dal gruppo ligure Gianasso, nato nel 1965, a Campomorone, come saponificio e diventato un attore di rilievo, a livello nazionale, nel settore della cosmetica naturale e biologica. Con il marchio I Provenzali, Mirato ha acquisito anche il relativo stabilimento di Genova, con una cinquantina di addetti, impianto che si aggiunge ai due piemontesi. Il gruppo Mirato, leader nel mercato italiano dell'igiene e della bellezza, ha come vice presidente Fabio Ravanelli, dispone di oltre 350 dipendenti e fattura 220 milioni, per il 20% all'estero.

Un'altra novarese in rapida crescita è la Cavanna, fondata nel 1960 dal padre di Riccardo e Alessandra Cavanna, i due fratelli che ne condividono il comando e il capitale. Dal 2014, come ha scritto Maurizio Tropeano su La Stampa, la Cavanna, leader nella tecnologia dei sistemi di distribuzione e confezionamento in flowpach per diversi prodotti – principalmente snack, biscotti e cracker - aumenta il fatturato mediamente del 10% all'anno, arrivato così, nel 2016, a 65 milioni, per il 90% conseguente alle vendite all'estero (recentemente è stata aperta una filiale anche a Bangkok). La Cavanna, che esporta in 58 Paesi, conta 320 dipendenti e dispone di quattro stabilimenti: rispettivamente a Prato Sesia (Novara), Mappano (Torino), negli Usa e in Brasile. A Prato Sesia è collocata anche la nuova sede direzionale.

Novarese, di San Maurizio d'Opaglio, è anche la Tecnomors, dal 1967 attiva nella componentistica per l'automazione e la robotica. Tecnomors ha recentemente concluso l'acquisizione della totalità del capitale della statunitense Applied Robotics, operante nello stesso settore e già partecipata. In seguito a questa operazione, realizzata dalla società di investimenti Trafalgar, che opera come un fondo di private equity e promuove le eccellenze del made in italy, è nato Effecto Group, che vanta un fatturato aggregato superiore ai 10 milioni di euro, 65 dipendenti, tre siti produttivi e ha un piano di forte sviluppo, perseguito anche con nuovi mercati e una diversificazione. Tecnomor è stata rilevata nel 1978 da Piero Giacomini, costitutore della Trafalgar, che gestisce con i figli Graziano e Flavio. Alla holding Trafalgar dei Giacomini fanno capo anche Ivr (idrotermosanitario) e Mayfair (facility management nell'immobiliare).



Protagonisti alla ribalta

CESARE PONTI – Lunedì 25 settembre, a Casalbeltrame, piccolo comune del Novarese, Cesare Ponti riceve il premio “La Rana d'Oro”. Cesare Ponti, nato a Novara nel 1940, laurea in Economia e commercio alla Bocconi, è il presidente dell'omonima azienda di Ghemme, fondata 150 anni fa e leader italiana nel settore degli aceti (fattura oltre 115 milioni ed esporta in più di 70 Paesi). Il “re dell'aceto” guida la Ponti con il fratello Franco. Loro sono gli esponenti della quarta generazione sulla tolda di comando dell'impresa di famiglia, che vede già impegnati esponenti della quinta, a partire da Giacomo Ponti, amministratore delegato.
Imprenditore cattolico, Cesare Ponti, che è stato anche presidente dell'Associazione Industriali di Novara, della Banca Popolare di Intra; fra l'altro, è presidente dell'associazione italiana delle industri prodotti alimentari, della Fondazione Comunità Novarese Onlus e membro di giunta della Camera di commercio di Novara.
Oltre a Cesare Ponti riceveranno “La Rana d'Oro” anche Giulia Maria Crespi (Fai), Gualtiero Marchesi, Valentina Greggio di Verbania (campionessa di sci) e l'attrice Michela Quattrociocche.

MARCO GILLI – Il rettore del Politecnico di Torino è finito sulle pagine di tutti i giornali italiani, e non solo, perché l'ateneo che guida si è conquistato il titolo di migliore università del mondo per numero di suoi laureati che hanno trovato lavoro entro un anno dalla discussione della tesi (94%, contro il 76,2% della media italiana). Il primo posto nella classifica del Graduate Employability Ranking 2018 è stato assegnato al “Poli” di Torino, oltre che al Moscow State Institute of International relations, dall'ente britannico QS, che ha preso in esame 600 università.
Marco Gilli, professore ordinario di Elettronica, autore o coautore di oltre 170 pubblicazioni scientifiche internazionali, è rettore del Politecnico dal 2012, quando ha preso il posto del savonese Francesco Profumo. Nato nel capoluogo piemontese nel 1965, è stato il più giovane Magnifico d'Italia e il secondo più giovane nella storia dell'ateneo torinese. Sposato, due figli, Marco Gilli, fra l'altro, ha vinto il Premio Ravani, assegnatogli dall'Accademia delle Scienze per i contributi al progresso nel campo della fisica e, in particolare, dell'elettrotecnica.

                                              Marco Gilli, Rettore del Politecnico di Torino

ALESSIO TONEGUZZO – Torinese, classe 1967, laureato in Ingegneria aeronautica al Politecnico subalpino, è il nuovo presidente dell'Ordine provinciale degli Ingegneri. Al vertice della categoria, con lui sono stati eletti Fabrizia Giordano e Alberto Lauria (vicepresidenti), Fabrizio Mario Vinardi (segretario) e Luca Gippo (tesoriere). Consiglieri: David Colaiacomo, Annalisa Franco, Paola Freda, Michele Giacosa, Elisa Lazzari, Marianna Matta, Luigi Rinaldi, Valter Ripamonti, Stefano Pazienza e Patrizia Vanoli.
Alessio Toneguzzo, libero professionista dal 1994, è business manager del Gruppo 2G Management Consulting e, dal 2003, presidente di Eurisp Italia, organismo di Ispezione.

CHRISTIAN AIMARO – Originario di Biella, dove ha anche lo studio professionale, l'avvocato Chrystian Aimaro, 36 anni, è stato scelto dalla sindaca Chiara Appendino come nuovo presidente dell'Amiat, l'azienda di Torino che si occupa della raccolta rifiuti e della quale era già consigliere di amministrazione (l'Amiat, ex municipalizzata, è ora controllata da Iren, che ne nomina l'amministratore delegato, dotato di ampi poteri).
Dal 2004 al 2014, Christian Aimaro è stato consigliere comunale a Zibone (Biella) e dal 2010 al 2014 consigliere della Comunità montana Valle dell'Elvo; dal 2014 al 2016, consigliere di amministrazione del Cosrab, Consorzio smaltimento rifiuti dell'area biellese. Fra l'altro, è socio Aiga e Docbi, centro studi biellese.

MARCO GAY – Tra i nuovi 48 consiglieri del Cnel, l'organo costituzionale che Matteo Renzi aveva proposto di abolire con il referendum, figura Marco Gay, designato dalla Confindustria, della quale è stato, da maggio 2014, per tre anni, vice presidente e presidente dei Giovani Imprenditori, dopo aver ricoperto diversi incarichi di vertice nell'organizzazione, prima all'Unione Industriale di Torino e poi in Confindustria Piemonte. Nato nel 1976, sotto la Mole, Marco Gay è sposato e ha tre figli. La sua carriera imprenditoriale è incominciata nella Proma, società operante nel settore vetro-ceramica, poi venduta alla Saint-Gobain. Contemporaneamente, però, faceva anche il docente allo Ied, l'istituto europeo di design e in corsi organizzati dall'Università e dalla Regione.
Cofondatore di start-up innovative, di alcune delle quali è anche presidente, nel 2015 Marco Gay è stato nominato vicepresidente esecutivo di Digital Magics, società quotata in Borsa e della quale è azionista. Fra l'altro, dal maggio 2016 fa parte del consiglio di amministrazione della Luiss.
Con Marco Gay sono entrati nel Cnel altri due piemontesi: Roberto Moncalvo (Coldiretti) e Secondo Scanavino (Cia).


GAIA FRANCESCHINI BEGHINI – Giovanissima torinese, Gaia Franceschini Beghini spicca nella lista 2017 delle quindici italiane più influenti nel mondo del digitale, della tecnologia e dell'innovazione, elenco redatto da Digitalic, rivista specializzata. Da tre anni, Gaia Franceschini Beghini è la responsabile delle attività digitali (head of digital, e-commerce e crm) di Moleskine, brand che ha saputo, grazie anche al lavoro dell'eccellenza torinese, cogliere le opportunità della trasformazione digitale diventando una delle aziende più innovative e apprezzate.
Per le sue capacità e qualità, Gaia Franceschini Beghini, che, da qualche anno, lavora a Milano, dove ha sede Moleskine, alla quale è approdata dalla subalpina Bit-Mama, ha avuto l'onore anche di un ampio servizio pubblicato da la Repubblica e firmato da Sara Strippoli.

                                                   Gaia Franceschini Beghini

NADIA PIZZO - “La sanremese che ha portato sardenaira, basilico e olio d'oliva nei ristoranti del Brasile”. E' così che è stata definita Nadia Pizzo, nata e cresciuta a Bussana, amena frazione del famoso comune del Festival della canzone. Giovane manager, Nadia Pizzo è chef executive di Rascal, la più rinomata e diffusa catena di ristoranti in Brasile (oltre mille i dipendenti diretti, distribuiti fra i nove locali di San Paolo e i tre di Rio de Janeiro).
Nella capitale economica e finanziaria del grande Paese sudamericano, Nadia Pizzo, vive con il marito, fotoreporter internazionale, due figli, dedicandosi con passione al suo lavoro, che è quello di ideare le ricette da trasmettere poi al primo chef di ogni ristoranti Rascal, della quale è diventata anche socia; ricette che hanno i prodotti tipici del Ponente ligure come principali ingredienti.

Nadia Pizzo, ha fatto scoprire al Brasile la focaccia, la sardenaira, la torta verde, la pasta al pesto, le verdure ripiene e tante altre prelibatezze della sua terra d'origine, della quale è una delle migliori ambasciatrici.

                Nadia Pizzo, bussanese che ha fatto conoscere al Brasile la cucina ligure 

La mappa delle partite Iva

“Studi di settore: addio senza alcun rimpianto, solo se con i nuovi indicatori le tasse diminuiranno”. E' il titolo del comunicato della Cgia, la battagliera associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, la quale aggiunge che “i nuovi indicatori di affidabilità fiscale destinati a sostituire gli studi di settore rappresenteranno, per molti lavoratori autonomi e imprenditori, la fine di un incubo”.
Nella sua nota, la Cgia ricorda che sono poco più di 3,5 milioni le partite Iva sottoposte ai 193 studi di settore dall'Amministrazione finanziaria e che oltre il 73% è congruo, cioè presenta ricavi coerenti a quelli previsti dall'Agenzia delle Entrate. Nonostante questo, però, anche i contribuenti in regola con gli studi di settore “rimangono nel mirino del fisco, visto che ogni anno rischiano di subire un accertamento fiscale”. Tant'è vero che, nel 2016, sono stati circa 368.500 gli accertamenti in materia di Iva, Irap e imposte dirette nei confronti di imprese potenzialmente soggette agli studi di settore.
Nelle tre regioni del Nord Ovest, sono 360.779 i lavoratori autonomi e piccoli imprenditori soggetti agli studi di settore: 252.973 in Piemonte, 98.593 in Liguria e 9.213 in Valle d'Aosta (i dati si riferiscono al 31 dicembre 2015, ma non dovrebbero essere cambiati di molto).

In particolare, i contribuenti finora coinvolti dagli studi di settore e destinati a passare al regime dei nuovi indicatori di affidabilità fiscale, come previsto dalla manovra correttiva approvata nella prima vera scorsa, sono, nelle rispettive province: 129.527 a Torino, 51.931 a Genova, 36.664 a Cuneo, 24.157 ad Alessandria, 20.064 a Novara, 19.613 a Savona, 13.712 a Imperia, 13.337 a La Spezia, 12.149 ad Asti, 11.131 a Biella, 9.702 a Verbania, 9.579 a Vercelli e, appunto, 9.213 ad Aosta.

I miliardi di Eataly e Farinetti

Eataly e il suo fondatore, Oscar Farinetti, tornano a far discutere sulle pagine finanziarie. Sì, di nuovo per i tempi dello sbarco in Borsa, ma ora, soprattutto, per il valore attribuito alla società in funzione della quotazione. E' stato riportato che Oscar Farinetti pensa di riuscire a ottenere un miliardo di euro dal collocamento del 33% delle azioni di Eataly, la cui valutazione complessiva, perciò, ammonterebbe a tre miliardi di euro.
Cifre che hanno cominciato a far storcere qualche naso. Secondo alcuni, la stima è eccessiva. E' vero che Eataly è una grande impresa, fra l'altro nota in buona parte dei mercati più ricchi d'Italia e del mondo; però – obiettano – il prezzo di vendita ipotizzato non sembra correlato alle capacità reddituali attuali e prospettiche e agli altri rapporti normalmente usati per questo tipo di transazioni”.
Comunque, è probabile che Farinetti insista nella sua convinzione, nonostante le prime reazioni dubbiose di analisti e operatori finanziari. Certamente, non è il tipo che si ferma alla vista di qualche ostacolo. Per di più, ha precedenti incoraggianti (ha venduto Unieuro per 530 milioni di euro) e ha la consapevolezza di avere creato con Eataly un unicum ammirato ovunque e non soltanto nel vasto settore in cui opera.
Inoltre, si può credere che Farinetti, geniale, abbia pensato ai tre miliardi anche in funzione della valutazione che la Borsa è arrivata a dare alla Ferrari: oltre 18 miliardi di euro, più o meno quanto Fca-Fiat Chrysler Automobiles, gruppo che vende 4,5 milioni di veicoli all'anno, a fronte delle 8.000 “rosse di Maranello”.
Fra l'altro, un artefice dell'ingresso della Ferrari in Borsa è quello stesso Gianni Tamburi, che ha rilevato, qualche tempo fa, poco meno del 20% del capitale di Eataly, diventandone così il secondo maggior azionista. Primo, naturalmente, è Oscar Farinetti con la sua famiglia, con una quota vicina al 58%. Gianni Tamburi, esperto e validissimo finanziere, ha partecipato attivamente anche alla quotazione di Moncler, altra operazione di successo.
Secondo il progetto, tornato alla ribalta, la quotazione del 33% di Eataly avverrà con la modalità dell'opv (offerta pubblica di vendita); in parole semplici, saranno gli attuali azionisti a cedere, pro quota, parte delle loro azioni, mettendole a disposizione del mercato. Non ci sarà aumento di capitale. A incassare, perciò, saranno gli azionisti attuali, non la società.
Quanto ai tempi, si parla della prima metà del 2018. L'avvio dell'iter della quotazione, secondo indiscrezioni, è previsto che sarà stabilito dal consiglio di amministrazione che sarebbe in programma entro la fine del mese prossimo.
Eataly ha aperto, finora, 38 suoi centri, dove si può comprare e mangiare il meglio della produzione alimentare italiana: 18 sono in città estere, da New York, Boston e Chicago, a Istanbul, da Monaco di Baviera a Seul, da Copenaghen a Dubai. Eataly è presente anche in Brasile, in Giappone e si appresta a esserlo pure in metropoli quali Mosca, Londra, Parigi, Toronto, Stoccolma e Los Angeles.
Dieci anni di vita, Eataly conta circa 5.500 dipendenti, fattura circa 500 milioni, cifra che conta di raddoppiare tra cinque anni. Presidente esecutivo è Andrea Guerra (ex numero uno operativo di Luxottica), mentre uno degli amministratori delegati è Francesco Farinetti, primogenito di Oscar e fratello di Nicola e Andrea.


                                          Oscar Farinetti, inventore e patron di Eataly

Spesa familiare, pochi in recupero

Può darsi che la situazione sia cambiata, dall'inizio di gennaio a oggi; però, fa pensare comunque la fresca denuncia della Confesercenti, secondo la quale la spesa media delle famiglie nel 2016 è risultata superiore a quella del 2007, ultimo anno prima della grande e lunghissima crisi economica italiana, soltanto in sei regioni. E due di queste sono la Liguria e la Valle d'Aosta. Completano il gruppetto Trentino-Alto Adige, Basilicata, Toscana, ed Emilia-Romagna, l'ultima con un misero 0,3% d'incremento.
In Piemonte, la spesa media annuale delle famiglie è stata di 31.291 euro nel 2016 e di 33.048 euro nel 2007. Rispetto ad allora, la diminuzione è di 1.757 euro e del 5,3%. Entrambi i valori sono peggiori della media nazionale. A livello italiano, infatti, la spesa media annuale delle famiglie nel 2016 è stata di 30.293 euro, inferiore del 4,7% a quella del 2007, che ammontava a 31.784 euro.
Certamente non consola che nove regioni evidenzino, nel 2016, cali percentuali della spesa media più alti delle famiglie abitanti in Piemonte, a partire dal 21,6% della Calabria per arrivare al 5,6% del Lazio.
Fra l'altro, non poche delle regioni che hanno ancora da recuperare i livelli di spesa pre-crisi, presentano importi di spesa media annuale da parte delle famiglie tra i più bassi, come i 20.412 euro della Calabria (5.628 euro meno che nel 2007) e i 22.515 euro della Sicilia (-2.001 euro).
Al contrario, il Trentino-Alto Adige, dove, l'anno scorso, la famiglia media ha speso 36.885 euro (primato italiano), ha fatto segnare ancora un aumento del 7,2%, quanto nessuna altra regione. Seconda, per maggiore tasso di crescita, è risultata la Liguria, dove la spesa media familiare è stata di 27.474 euro (+3,9% rispetto ai 26.448 euro del 2007). Quarta la Valle d'Aosta con la spesa media familiare di 34.349 euro nel 2016 (+1,1% rispetto ai 33.960 euro del 2007). Un incremento relativamente superiore a quello della Valle d'Aosta è stato fatto segnare dalla Basilicata (+1,9%), dove però la spesa media familiare 2016 è stata di 23.774 euro.

Dopo il Trentino-Alto Adige, è la Lombardia ad avere avuto la spesa media familiare più alta nel 2016: 36.485 euro, a fronte dei 36.648 del 2007 (-0,4%), quando invece era al primo posto in Italia.

Mercato immobiliare, Genova rallenta

E' ancora cresciuto il mercato immobiliare, nel secondo trimestre di quest'anno, ma a una velocità inferiore a quella del primo trimestre. Questo come media nazionale. Infatti, se è vero che in buona parte dell'Italia, il numero delle compravendite è aumentato, in altre è invece diminuito. Una prova del fenomeno si trova nei dati relativi alle otto metropoli del nostro Paese, sulle quali si focalizza, ogni tre mesi, l'Osservatorio dell'Agenzia delle Entrate.
Così, fra l'altro, emerge che i passaggi di proprietà delle abitazioni sono calati addirittura del 4,3% a Bologna, risultando 1.521 nel secondo trimestre 2017, rispetto ai 1.589 del corrispondente periodo dell'anno scorso; mentre sono saliti del 13,6% a Napoli, dove, dall'inizio di aprile alla fine di giugno, ne sono stati registrati 2.082.
Per quanto riguarda le due metropoli del Nord Ovest, l'Agenzia delle Entrate ha rilevato 3.595 compravendite di abitazioni a Torino, nel secondo trimestre 2017 (+5,7% sullo stesso periodo 2016) e 1.841 a Genova (+1,3%). Il capoluogo ligure, perciò, ha evidenziato non solo una marcia inferiore alla media dell'intera Italia, cresciuta del 3,8%; ma pure un forte rallentamento rispetto al primo trimestre di quest'anno, quando i passaggi di proprietà erano aumentati del 15%.
L'andamento di Genova è stato diverso da quello del capoluogo piemontese, che, al contrario, ha accelerato tra aprile e giugno, dato che nel primo trimestre il suo incremento si era limitato al 4,6%, per di più a fronte del 10,8% nazionale.
Comunque, a livello italiano, nel secondo trimestre di quest'anno, le compravendite di abitazioni sono 145.529, circa 5.000 in più rispetto allo stesso periodo del 2016, confermando un trend positivo in atto da tempo ( si tratta, però, di un recupero, perché le transazioni non hanno ancora raggiunto i livelli più alti registrati prima della grande crisi).
Fra l'altro, l'Agenzia ha comunicato che, dal primo giorno di aprile all'ultimo di giugno, le compravendite delle pertinenze (cantine e soffitte) sono aumentate del 10,1%, quelle di uffici e negozi del 6,2% e del 4,9% quelle del settore produttivo (capannoni e stabilimenti).
Tornando a Torino e Genova, l'analisi dei dati mostra che, in entrambe le metropoli, la quota più alta di compravendite è relativa alle abitazioni con superficie da 50 a 85 metri quadrati (46,5% dei passaggi di proprietà a Torino e 39,4% a Genova), mentre la seconda maggiore fascia di contratti ha riguardato le case da 85 a 115 metri quadrati (33% a Genova e 23,6% a Torino).

Di abitazioni con oltre 145 metri quadrati, ne sono state comprate e vendute, sempre nel secondo trimestre di quest'anno, 341 a Torino (9,5% dei contratti) e 228 a Genova (12,4%).

La Rocca al timone del Corriere torinese

Umberto La Rocca. E' lui che è stato scelto come responsabile della redazione che il Corriere della Sera si appresta ad aprire a Torino per la pubblicazione quotidiana di una ventina di pagine dedicate specificatamente al capoluogo piemontese e alla sua regione, dove sarà in concorrenza con La Stampa e La Repubblica, sotto controllo, entrambe, del gruppo De Benedetti.
Umberto La Rocca ha firmato il contratto oggi, 12 settembre, a Milano, in via Solferino 28, sede del Corriere della Sera, storica e prestigiosa testata della Rcs MediaGroup, che ora fa capo alla Cairo Communication dell'alessandrino Urbano Cairo, fra l'altro patron del Toro, la mitica e amatissima squadra granata che sfida la Juventus in uno dei derby più appassionanti del calcio italiano.
E proprio a Urbano Cairo, neo presidente e amministratore delegato di Rcs MediaGroup, e a Luciano Fontana, direttore del “Corsera”, che si deve la decisione di affidare a Umberto La Rocca la guida della redazione della futura edizione torinese del grande Corriere, edizione la cui prima uscita è prevista intorno a metà novembre.
Umberto La Rocca, 58 anni, sposato, un figlio, vive a Torino, ma è nato e cresciuto a Roma, dove ha iniziato la carriera giornalistica al Messaggero. Del quotidiano romano è stato anche inviato speciale e poi editorialista, fino a quando, nel 2001, è stato chiamato a La Stampa, dal direttore Marcello Sorgi, il quale gli ha affidato l'incarico di capo della redazione della capitale.
De La Stampa, nel 2005, Umberto La Rocca è stato nominato vice direttore, per volontà del bravissimo direttore Giulio Anselmi. E sul ponte di comando del quotidiano torinese, Umberto La Rocca è rimasto fino all'estate del 2009, quando è diventato direttore del genovese Il Secolo XIX, allora ancora interamente di proprietà di Perrone, ora socio dei De Benedetti e di Exor (famiglia Agnelli-Elkann-Nasi) nella Gedi, azionista di maggioranza del gruppo L'Espresso-Repubblica, che edita, fra l'altro, La Stampa e Il Secolo XIX.
Umberto La Rocca ha lasciato Genova e il Secolo XIX nel 2014. Ora incomincia una nuova fase della sua brillante carriera, con un'iniziativa certamente impegnativa, ma che affronta con convinzione, determinazione e, forte sia delle sue capacità sia del valore del Corriere della Sera, con la volontà di vincerla.


Umberto La Rocca, responsabile della redazione dell'edizione torinese del Corriere della Sera

I Rizzante fanno volare Reply

Eccezionale Reply. Oggi, l'azione della società torinese dei Rizzante ha chiuso a 201,8 euro (+2,54% rispetto all'ultimo prezzo di ieri). E' il suo nuovo record borsistico. Tale, fra l'altro, da far risultare pari a 1,887 miliardi di euro il valore riconosciuto dal mercato a questa impresa specializzata nella progettazione, implementazione e manutenzione di soluzioni basate su Internet e le reti social.
E pensare che l'azione Reply veniva trattata a poco più di 115 euro ancora all'inizio di gennaio e a 14 euro solo cinque anni fa. Quasi incredibile.
Costituita, nel 1996, da Mario Rizzante, che ne è il presidente e amministratore delegato, la Reply è controllata dalla famiglia del fondatore, che ne possiede il 53% del capitale. Famiglia che vede altri due suoi esponenti al vertice, entrambi figli di Mario Rizzante: Tatiana, amministratore delegato, e Filippo, consigliere d'amministrazione. Tutti e due impegnati in azienda anche con incarichi operativi.

Nel primo semestre di quest'anno, a livello consolidato, Reply ha fatturato 441,6 milioni (+14,3%) e ha conseguito un utile netto di 35,7, a fronte dei 30,1 del corrispondente periodo precedente. Nell'intero 2016, il gruppo Reply, che conta oltre 5.000 dipendenti ed è formato da numerosissime società, molte delle quali estere e ognuna con vocazione specifica, ha registrato ricavi per 780,7 milioni e un risultato netto di 67,5.
Eccezionale Reply. Oggi, l'azione della società torinese dei Rizzante ha chiuso a 201,8 euro (+2,54% rispetto all'ultimo prezzo di ieri). E' il suo nuovo record borsistico. Tale, fra l'altro, da far risultare pari a 1,887 miliardi di euro il valore riconosciuto dal mercato a questa impresa specializzata nella progettazione, implementazione e manutenzione di soluzioni basate su Internet e le reti social.
E pensare che l'azione Reply veniva trattata a poco più di 115 euro ancora all'inizio di gennaio e a 14 euro solo cinque anni fa. Quasi incredibile.
Costituita, nel 1996, da Mario Rizzante, che ne è il presidente e amministratore delegato, la Reply è controllata dalla famiglia del fondatore, che ne possiede il 53% del capitale. Famiglia che vede altri due suoi esponenti al vertice, entrambi figli di Mario Rizzante: Tatiana, amministratore delegato, e Filippo, consigliere d'amministrazione. Tutti e due impegnati in azienda anche con incarichi operativi.

Nel primo semestre di quest'anno, a livello consolidato, Reply ha fatturato 441,6 milioni (+14,3%) e ha conseguito un utile netto di 35,7, a fronte dei 30,1 del corrispondente periodo precedente. Nell'intero 2016, il gruppo Reply, che conta oltre 5.000 dipendenti ed è formato da numerosissime società, molte delle quali estere e ognuna con vocazione specifica, ha registrato ricavi per 780,7 milioni e un risultato netto di 67,5.  
                                         Tatiana Rizzante, amministratore delegato Reply

Boom borsistico di Gavio

Boom borsistico del gruppo Gavio, oggi, 11 settembre 2017. Le due società quotate a Piazza Affari che fanno capo alla famiglia alessandrina hanno, entrambe, fatto segnare il loro nuovo record: l'azione Astm-Autostrada Torino Milano ha chiuso a 22,14 euro (+3,36%) e il titolo Sias a 13,78 euro (+5,51%). La capitalizzazione complessiva delle due imprese dei Gavio ha superato abbondantemente i cinque miliardi di euro.
A dimostrare il boom borsistico del gruppo Gavio, che, fra l'altro, è il quarto maggior operatore autostradale al mondo, basta il raffronto con i valori minimi toccati dalle due azioni nel corso di quest'anno. Infatti, il 10 gennaio, l'azione Astm valeva 9,95 euro e quella Sias valeva 7,34 euro l'8 di febbraio.
La nuova impennata dei prezzi delle azioni del gruppo Gavio (10.000 dipendenti) ha coinciso con il comunicato con il quale la Sias ha annunciato che le sue controllate Autostrada dei Fiori, Autocamionale della Cisa, Salt (autostrada Torino-Piacenza), Autostrada Torino-Savona e Sav (Valle d'Aosta), hanno sottoscritto gli atti aggiuntivi alle proprie convenzioni in essere con il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture.
Per capire l'importanza e i riflessi di queste firme, basta leggere l'ultimo capoverso del comunicato della Sias, che recita così: “La sottoscrizione degli atti aggiuntivi chiude per Sias e per le proprie società controllate un periodo di indeterminatezza regolatoria, consente al Gruppo di sviluppare nei prossimi anni le attività e gli investimenti sulle proprie reti infrastrutturali in un quadro di certezza contrattuale e regolatoria”.

La famiglia Gavio, attraverso le sue finanziarie Aurelia e Argos, possiede il 59,1% della Astm, la quale, a sua volta, detiene il 62% della Sias.


                                       Beniamino Gavio, numero uno dell'omonimo Gruppo

In Liguria il credito più caro

Fra tutte le otto regioni dell'Italia settentrionale (Nord Ovest e Nord Est) è la Liguria che ha mostrato di pagare maggiormente il denaro delle banche. Come ha rilevato da Banca d'Italia, al 31 maggio 2017 (ultimi dati disponibili), in Liguria, era del 5,86% il tasso attivo medio praticato dagli istituti di credito sulle operazioni a revoca, cioè sugli affidamenti senza scadenza pattuita. Un interesse superiore anche alla media nazionale (4,87%), oltre a quelle dell'intero Nord Ovest (3,98%) e del Nord Est (5,06%).
A fine marzo, il tasso attivo sulle operazioni a revoca era pari al 3,64% in Lombardia, al 4,82% in Piemonte, al 5,62% in Valle d'Aosta, al 4,19% in Trentino-Alto Adige; al 5,65% in Veneto, al 5,64% in Friuli-Venezia Giulia e al 4,86% in Emilia-Romagna.
Più caro che in Liguria, però, il credito bancario costava, allora, in tutto il resto del Paese, con l'eccezione della Sardegna (3,9% il tasso attivo medio sulle operazioni a revoca). L'interesse medio era del 5,27% nell'Italia centrale, del 5,37% e addirittura del 7,41% nell'Italia meridionale, con la punta del 7,98% in Umbria.
Naturalmente, il costo globale del fido accordato dalle banche varia secondo la classe di grandezza. Sempre al 31 marzo scorso, il tasso attivo è risultato dell'8,58% per i fidi fino a 125.000 euro, 8,17% da 125.000 a 250.000 euro, 6,94% da 250.000 a 1 milione di euro, 5,86% da 1 a 5 milioni, 4,94% da 5 a 25 milioni e 4,15% oltre i 25 milioni di euro. Anche nelle diverse classi, la Liguria è sempre risultata la più onerosa, rispetto al Piemonte e alla Valle d'Aosta, oltre che alla Lombardia, dove il costo del credito bancario è meno caro che in tutto il resto della Penisola.
In Lombardia, per i fidi accordati di valore superiore ai 25 milioni di euro, il tasso attivo ammontava all'1,28%, circa tre punti meno di quello della Liguria e tale da far scendere al 2,01% la media delle quattro regioni dell'Italia Nord Occidentale.
Dalle tabelle della Banca d'Italia, fra l'altro, è emerso che il costo medio delle operazioni a revoca nel primo trimestre è calato, rispetto al 31 del dicembre 2016, in tutte le regioni italiane meno che in Liguria, dove alla fine dell'anno scorso, gli impieghi economici, cioè i prestiti delle banche, ammontavano a 32,5 miliardi di euro, dei quali 21,364 relativi alla provincia di Genova, 2,852 alla provincia di Imperia, 3,330 alla provincia di La Spezia e 4,962 a quella di Savona.


Benessere e bellezza sacrificate alla crisi

Che la crisi economica sia stata particolarmente dura nel Nord Ovest, dove gli effetti negativi del fenomeno continuano, lo dimostra anche la constatazione che qui il numero delle imprese del benessere e della bellezza, cioè della cura personale, non è aumentato negli ultimi cinque anni, al contrario di quasi tutto il resto del Paese. Addirittura, delle sedici province italiane che hanno evidenziato un calo degli operatori di questo settore, esattamente la metà sono del Nord Ovest.
Al 30 giugno scorso, le imprese attive nel campo del benessere personale (saloni di barbiere e parrucchiere, istituti di bellezza, palestre, centri fitness, manicure e pedicure), in Italia sono risultate 153.274 dal censimento di Unioncamere, l'unione nazionale delle Camere di commercio, che ne ha contate 5.965 in più di cinque anni prima (+4%).
In particolare, a fine giugno 2017, la Penisola vedeva in attività 104.434 saloni di barbiere e parrucchiere (+0,4% rispetto alla stessa data del 2012), 36.085 istituti di bellezza (+15,5%), 4.750 palestre (+11,9%), 4.031 centri per il benessere fisico (+11,8%), 1.757 saloni di manicure e pedicure (+45,7%) e 2.217 esercizi offerenti servizi per la persona, ma non specificabili con precisione.
Di tutte queste imprese, 12.437 si trovano in Piemonte (+70 rispetto al 30 giugno 2012), 4.241 in Liguria (+6) e 349 in Valle d'Aosta (-4), unica regione con il segno meno.
Con Aosta, però, altre sette province del Nord Ovest mostrano una diminuzione di imprese del benessere, nei confronti di cinque anni fa. Biella è scesa a 556 (-4), Novara a 1.077 (-9), Verbania a 463 (-16), La Spezia a 634 (-23), Imperia a 671 (-24), Vercelli a 537 (-25) e Torino a 6.213 (-28). Un calo assoluto superiore a quello di Torino l'ha avuto, a livello nazionale, soltanto la provincia di Catania (-29).

Le restanti quattro province del Nord Ovest hanno saldi positivi, limitati per tutte tranne che per Cuneo, non a caso, data la robustezza economica della “Granda” e del suo forte spirito d'iniziativa. Cuneo conta, al 30 giugno 2017, 1.793 imprese del benessere (+112 rispetto alla stessa data 2016, con un incremento percentuale del 6,24% e quindi superiore alla media italiana), Genova 2.070 (+40), Alessandria 1.230 (+19) e Savona 866 (+13).







Quella mossa di Chiara Appendino

Spesso, è il bisogno che dà soluzione ai problemi. La considerazione viene naturale dopo la notizia che la giunta del Comune di Torino, targata Chiara Appendino, ha approvato, il 7 settembre, la delibera relativa al “piano di revisione straordinaria delle partecipazioni comunali”, piano che, in sostanza, prevede la vendita, fra l'altro in tempi brevi, di quote e azioni di una raffica di società, comprese Iren e Centrale del Latte d'Italia, entrambe quotate in Borsa, Sagat (gestisce l'aeroporto di Caselle), Banca Popolare Etica, le due Finpiemonte e i due incubatori universitari torinesi (il Comune ha 115 partecipazioni).
Entro la fine di questo mese, la delibera dovrà passare al Consiglio comunale chiamato a dare il via libera, necessario e opportuno. La necessità deriva non soltanto dal rispetto della Legge Madia ma anche dai problemi di bilancio, evidenziati pure dalla Corte dei Conti. Quanto all'opportunità, è innegabile che, normalmente, le società sono gestite meglio da soggetti privati che non da quelli pubblici, intesi, questi ultimi, come politici o politicizzati.
Gli interessi dei politici amministratori non è detto che coincidano con quelli delle società o degli enti sui quali hanno influenza, per esempio già con le nomine e poi con i suggerimenti sulle scelte gestionali. Per loro natura, i politici – non gli statisti, categoria che in Italia sembra scomparsa – hanno come principale obiettivo il consenso, che si ottiene, principalmente e più rapidamente, con il potere, esercitato con le risorse finanziarie (preferibilmente pubbliche) piuttosto che con le designazioni, gli affidamenti di incarichi e consulenze, pressioni, raccomandazioni, interventi non sempre appropriati.
Ridurre le partecipazioni pubbliche è un bene, per l'economia e per la comunità, per le ragioni indicate sopra e suffragate dai fatti. Il risultato è positivo comunque, anche se sarebbe meglio perseguirlo e ottenerlo per convinzione, non per necessità e magari immediata. Le vendite obbligate, per di più in tempi brevi, rendono meno. Il compratore può approfittare della situazione.
In ogni caso, l'iniziativa della sindaca Chiara Appendino pare apprezzabile e degna di diffusa imitazione, anche in funzione dell'indebitamento delle Amministrazioni locali (per quello statale è meglio stendere velo pietoso) e di quanto lei ha affermato dopo l'approvazione della delibera della sua Giunta. Ha sostenuto, infatti, che il provvedimento va inquadrato “in un'ottica di corretto utilizzo delle risorse pubbliche, del contenimento della spesa e del miglioramento delle performance aziendali e dei servizi offerti a cittadini e imprese”.
A proposito, ancora va ricordato che nelle società privatistiche gli amministratori devono perseguire, per legge, l'interesse esclusivo della società, quindi di tutti gli stakeholders e non di una sola parte, sia pure essa costituita dall'azionista di maggioranza, il quale non può prevaricare i gestori, pur se nominati da lui stesso.

Infine, in merito, teoria e pratica suggeriscono che i governi degli enti locali (per non parlare di quello nazionale) si dedichino ai compiti di indirizzo e di controllo, non a quelli gestionali. La separazione dei ruoli è un principio di democrazia, ma anche di efficacia economica.


                                         Chiara Appendino, sindaco di Torino

Un Corriere di Cairo a Torino

Se ne parla, sempre di più, del prossimo varo del Corriere Piemonte (o Corriere di Torino?), edizione locale del grande quotidiano milanese di via Solferino, passato sotto il controllo della Cairo Communication; ma, finora, nulla di ufficiale. Della nuova iniziativa di Urbano Cairo non c'era traccia nella relazione semestrale di Rcs MediaGroup, editrice del Corriere della Sera e delle sue testate regionali e non c'è traccia nel documento diramato dalla Cairo Communication, oggi, 8 settembre, con i risultati conseguiti dal gruppo nella prima parte dell'esercizio in corso.
Eppure, fonti autorevoli confermano che l'uscita dell'edizione piemontese del Corsera non tarderà: dovrebbe arrivare in edicola prima della fine dell'anno. Urbano Cairo e il direttore del Corriere della Sera stanno valutando potenziali responsabili della redazione che avrà sede a Torino: la scelta del capo della squadra giornalistica pare imminente, anche perché il tempo a disposizione si sta riducendo velocemente.

Ufficiali, invece, sono i dati della semestrale finanziaria della Cairo Communication al 30 giugno 2017: considerando l'intero perimetro del gruppo, comprensivo quindi di Rcs MediaGroup, i ricavi consolidati lordi sono ammontati a 633,3 milioni e l'utile netto di pertinenza è stato di 19,9 milioni. Fra l'altro, nel comunicato stampa della società di Urbano Cairo, che è anche presidente e amministratore delegato di Rcs MediaGroup, si legge che nel semestre è proseguito il rilancio di Rcs, tornata, dopo nove anni, a conseguire un risultato netto positivo (24 milioni nel periodo gennaio-giugno 2017). Positivo è stato anche il margine operativo della tv La7.
La Borsa ha apprezzato: l'azione Cairo Communication ha guadagnato il 4%, tornando sopra i 4 euro e la capitalizzazione ha superato i 522 milioni (quella di Rcs MediaGroup è di 641 milioni).

Banca del Piemonte: più prestiti e più utili

Per conoscere i risultati conseguiti dalla Banca del Piemonte nel primo semestre di quest'anno, bisogna andare sul suo sito. L'Istituto torinese dei Venesio, infatti, non ha emesso alcun comunicato, nonostante che i dati siano più che positivi. Understatement tipicamente sabaudo, modestia, profilo basso. Possibili anche perché, non essendo quotata in Borsa, la società non ha l'obbligo di diffondere notizie sul suo andamento. Però, per essere comunque pienamente trasparente, la Banca di via Cernaia, puntualmente, informa pubblicamente della sua attività.
Così, sul sito si trova che, dall'inizio di gennaio alla fine di giugno 2017, ha conseguito un utile di 6,093 milioni (+45,1% rispetto al corrispondente periodo dell'anno scorso) e un utile netto di 4,096 milioni (+38,7%). Il suo margine di interesse è salito a 17 milioni (+2,5%) e quello d'intermediazione a 32,6 milioni (+3,9%). Le commissioni nette sono passate da 11,3 a 13,1 milioni (+16,1%), mentre i costi operativi sono calati dell'1,3%, a 24,2 milioni.
Il cost income è sceso dall'85,56% all'81,76%, mentre il roe, indicatore della redditività, è cresciuto dal 3,9 al 5,29%. E il Cet1, che misura la solidità patrimoniale della banca, è ancora migliorato, essendo risultato del 16,25%, a fronte del 16,03% emerso al 30 giugno 2016 (si tratta di uno dei valori più elevati, persino a livello europeo).
Rispetto al 31 dicembre passato, la raccolta da clientela è aumentata dello 0,56% a 1,335 miliardi, in controtendenza rispetto al sistema, e gli impieghi alla clientela (prestiti a famiglie e imprese) sono cresciuti del 3,16% a 1,098 miliardi. Il totale dell'attivo ha superato i 2,036 miliardi (+8,2%).
A dare soddisfazioni ai Venesio è anche il portafoglio delle partecipazioni della loro Banca, che comprende, fra l'altro, quote della Banca d'Italia, il 4,2% di Cedacri e 250.000 azioni, pari allo 0,85% del capitale, della Cassa di Risparmio di Ravenna, la quale, a sua volta, ha appena annunciato una buona semestrale.

La Banca del Piemonte ha sportelli in buona parte della regione e a Milano, conta circa 500 dipendenti e 70.000 clienti. E' interamente posseduta dalla famiglia Venesio, che ne è anche alla guida: amministratore delegato e direttore generale, dal 1983, è Camillo Venesio, padre di Carla e Matteo, consiglieri di amministrazione con incarichi operativi di responsabilità. Presidente della Banca, le cui origini risalgono al 1912, è Lionello Jona Celesia, vice presidenti sono Flavio Dezzani e Gianluca Ferrero.


Carla Venesio, consigliere di amministrazione e coordinatrice private banking e wealth management della Banca del Piemonte

Erg oltre i 2 miliardi e record di Iren

Record storici di Borsa, oggi 7 settembre, per due grandi quotate del Nord Ovest: Erg e Iren, totalmente genovese la prima e abbastanza la seconda. Erg ha chiuso le contrattazioni a 13,39 euro, nuovo massimo almeno degli ultimi cinque anni. In seguito all'ulteriore incremento odierno (+0,6%), la capitalizzazione della Erg, controllata dalle famiglie Garrone e Mondini, ha superato i 2 miliardi (per la precisione è salita a 2,002 miliardi).
Dall'inizio dell'anno, il valore dell'azione del gruppo energetico guidato da Edoardo Garrone (presidente esecutivo) con il fratello Alessandro (vice presidente esecutivo), con Giovanni Mondini (vice presidente) e con Luca Bettone (amministratore delegato) è aumentato di circa il 28%.
Primato anche per l'Iren, che ha chiuso a 2,34 euro dopo essere stata scambiata, in giornata, fino a 2,346 euro. Risulta del 58%, pertanto, la performance annuale dell'utility presieduta dal torinese Paolo Peveraro e pilotata da Massimiliano Gallo, dal primo giorno di dicembre del 2014. Nei soli ultimi sei mesi, il valore dell'azione Iren è cresciuto del 44,5%. Ora, Piazza Affari valuta Iren 2,789 miliardi.


                                              Edoardo Garrone, presidente esecutivo Erg

Il cioccolato Novi piace anche a Zegna

La Elah Novi Dufour, rinomata impresa che possiede anche la storica Baratti & Milano, produce e commercializza un'ampia gamma sia di pregiato e apprezzatissimo cioccolato sia di caramelle, sia di preparati per la pasticceria di casa, ha, da poco, un nuovo e importante socio: l'Ermenegildo Zegna, grande gruppo della moda italiana, ultracentenario e d'origine biellese, creatore di tessuti e capi d'abbigliamento della più alta qualità, venduti in tutto il mondo, dove rappresentano una componente del miglior “made in Italy”.
L'Ermenegildo Zegna ha rilevato il 10% della Elah Novi Dufour, controllata dalla famiglia Repetto, i cui esponenti continuano a guidarla saldamente e brillantemente: presidente operativo è l'inossidabile Flavio Repetto, cavaliere del lavoro, e amministratore delegato il figlio Guido.
In seguito all'acquisizione della partecipazione, Gildo Zegna, amministratore delegato dell'omonima azienda presieduta dal fratello Paolo, è entrato nel consiglio di amministrazione della Elah Novi Dufour, società che vede fra i suoi azionisti anche la torinese Fenera Holding, al cui vertice si trova Lucio Zanon di Valgiurata. Fra l'altro, è prevedibile che Zegna e l'impresa dolciaria di Novi Ligure varino iniziative congiunte, quasi certamente con il coinvolgimento della Baratti & Milano, la marca più elitaria.
Il gruppo fondato da Flavio Repetto, comprendente anche la Gr-Generale Ristorazione, dotato di tre stabilimenti (oltre che in quello principale nella cittadina di Fausto Coppi, realizza suoi dolci a Bra e a Sassello, nel Savonese) conta oltre 240 dipendenti e ha chiuso il bilancio consolidato con ricavi pari a 137,4 milioni (124 milioni nell'esercizio precedente) e con l'utile di 7,2 milioni, a fronte dei 4,5 del 2015. Quanto a quest'anno, il fatturato potrebbe superare i 150 milioni.
Elah Novi Dufour continua a fare notevoli investimenti: per oltre 11 milioni nel 2016, dopo i 7,3 milioni dell'anno prima, grazie anche alle grandi disponibilità liquide, comunque ancora salite da 27,5 a 35 milioni. D'altra parte, il progressivo rafforzamento patrimoniale è un mantra di Flavio Repetto, che opera costantemente per la crescita della solidità e del valore dell'azienda, a beneficio non solo degli azionisti, ma anche dei dipendenti.
Al 31 dicembre 2016, il patrimonio netto del gruppo è risultato di 57,7 milioni, mentre era di 50,5 milioni alla stessa data del 2015.


Double face di Carlo De Benedetti

Risultato double face, quello della M&C, nel primo semestre 2017. La quotata che fa capo a Carlo De Benedetti, il quale ne possiede il 54% attraverso la sua Per, ha chiuso la prima parte dell'esercizio in corso con un utile netto di 25,8 milioni a livello di gruppo, ma con una perdita di 1,7 milioni da parte della controllante, appunto la spa, della quale sono azionisti anche la Compagnie Financiere la Luxembourgeoise (9,3%), la Tamburi Investments Partners (poco meno del 3,5%) e la Bim-Banca Intermobiliare (2,45%), che sta per essere venduta.
La relazione semestrale 2017, per quanto riguarda il consolidato evidenzia ricavi per 217 milioni, un risultato operativo positivo per 3,8 miliardi, oneri finanziari netti per 4,5 milioni, un indebitamento netto di 83,2 milioni, a fronte del quale si trova un patrimonio netto di 99,5 milioni.
I ricavi consolidati si devono quasi totalmente al gruppo Treofan, il cui controllo è stato acquisito dalla M&C con un esborso di 45,8 milioni. Per l'operazione, M&C, presieduta dal torinese Emanuele Bosio, ha anche aperto una linea di credito di 25 milioni, “il cui rientro potrà avvenire al completamento dell'aumento di capitale sociale di 30,5 milioni, deliberato il 31 gennaio 2017 e garantito per 25 milioni dai due principali azionisti di M&C e da un consorzio di garanzia per la parte restante”.

A proposito dell'aumento di capitale, la sua scadenza è stata prorogata al 30 giugno 2018, rispetto al 30 settembre 2017, “in considerazione dei tempi tecnici per l'ammissione delle azioni M&C alle negoziazioni sul Mercato Telematico Azionario (Mta)”.  

La vetta di Prima Industrie

Agosto super per gli azionisti di Prima Industrie, gruppo torinese leader nel settore dei laser per applicazioni industriali e delle macchine per la lavorazione della lamiera, oltre che nell'elettronica e nelle tecnologie laser. Come precisato nel fresco rapporto della Borsa Italiana, l'azione Prima Industrie è quella che ha avuto la terza migliore performance in agosto, avendo fatto registrare un incremento del 55,7% del suo valore. Meglio hanno fatto solo due titoli minori del listino.
Non solo: proprio il 31 agosto, l'azione Prima Industrie ha segnato il suo nuovo record storico, essendo stata trattata a 41,48 euro. Cifra che diventa ancora più significativa se rapportata ai 15,7 euro emersi al termine degli scambi borsistici del 3 gennaio di quest'anno. Un aumento di quasi 26 euro in otto mesi. E il rendimento su base annuale è cresciuto di poco meno del 187%. Tanto che, attualmente, Prima Industrie a Piazza Affari capitalizza oltre 425 milioni.
A beneficiare dell'impennata della quotazione di Prima Industrie, prima di tutti, è l'azionista di riferimento, cioè il Rashanima Trust, che fa capo alla famiglia Mansour (Emirati Arabi), tra le più ricche al mondo. Rashanima Trust ha il 29,1%, la quota più alta, superiore anche al 13,38% del cinese Yunfeng Gao, fondatore e presidente del Han's Laser Technology Industry Group, al 5,15% di Lazard Freres e dell' 8,17% posseduto dal management, al quale si deve l'eccezionale sviluppo dell'impresa e del suo conseguente riconoscimento da parte del mercato, che si divide il restante 37% del capitale.
Il vertice operativo di Prima Industrie è formato da Gianfranco Carbonato, presidente esecutivo e dai due amministratori delegati, che sono Ezio Basso e Domenico Peiretti (del consiglio di amministrazione fanno parte, fra gli altri, Paolo Cantarella e Carla Patrizia Ferrari). Gianfranco Carbonato, classe 1945, sposato, un figlio, laureato in Ingegneria al Politecnico di Torino, dove ha anche insegnato prima di iniziare a lavorare alla Dea di Moncalieri, che ha lasciato nel 1977 per fondare, con un gruppetto di manager, Prima Industrie, che ha compiuto quindi i suoi primi quarant'anni.
Gianfranco Carbonato, che è stato anche presidente dell'Unione Industriale di Torino e di Confindustria Piemonte, ha tra i suoi incarichi attuali quello di consigliere di amministrazione di Intesa Sanpaolo, il colosso bancario del quale è stato vice presidente.
Prima Industrie, conta circa 1.700 dipendenti; oltre che in Italia ha stabilimenti negli Usa, in Cina, in Finlandia e vanta l'installazione di oltre 12.000 sue macchine in più di 80 Paesi. Nel primo semestre di quest'anno ha fatturato 202,4 milioni (+10,4%) e ha conseguito un utile netto di 7,5 (+159%); ha acquisito nuovi ordini per 240,7 milioni (+24,9%), portando così a 177,8 milioni (+40,9%) il suo portafoglio al 30 giugno 2017.




Venesio e le regole bancarie


Nel mondo creditizio, il mese scorso, ha fatto molto discutere e continua a farlo, un intervento di Camillo Venesio, amministratore delegato e direttore generale della Banca del Piemonte, oltre che vice presidente dell'Abi, l'associazione nazionale delle banche.
In sostanza, rievocando un rapporto del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, che ribadisce l'importanza delle banche non grandi (Lsi-Less significant institutions) per il finanziamento delle piccole e medie imprese e raccomanda un peso regolamentare meno oneroso per gli istituti di credito di minori dimensioni, Camillo Venesio ha manifestato l'opportunità che anche in Europa si passi a norme veramente adeguate alla dimensione e alla complessità degli intermediari, criticando la posizione della Vigilanza Ue, che, invece, insiste su una normativa uguale per tutti, pur riconoscendo che ogni Lsi non pone alcun rischio sistemico e quindi, in teoria, potrebbe godere di regole più semplici.
La Banca del Piemonte, ultracentenaria e interamente posseduta dalla famiglia Venesio, i cui componenti ne sono alla guida (con Camillo Venesio, hanno incarichi direttivi e operativi la figlia Carla e il figlio Matteo, entrambi anche consiglieri di amministrazione) ha concluso i primi sei mesi di quest'anno con una raccolta complessiva di 3,8 miliardi (+10%), un aumento del 15% del risparmio gestito, un calo del 14% dei crediti deteriorati, che rappresentano il 4,5% degli impieghi e un Cet1 del 16,50%, indice di solidità tra i più elevati a livello europeo.



Sella e Fenera, nuova alleanza

l quotidiano finanziario Mf ha pubblicato che si è allargata l'alleanza piemontese tra i gruppi Banca Sella (Biella) e Fenera Holding (Torino). Pochi giorni fa, il giornale ha riferito che il gruppo presieduto da Maurizio Sella, dopo essere diventato, l'anno scorso, socio di Fenera Private Equity, recentemente ha partecipato alla costituzione della Fenera & Partner sgr, che ha come oggetto sociale la gestione di fondi, sicav italiane ed estere incluse. Mf ha poi precisato che della newco, il gruppo biellese ha il 10,1%, detenuto in parte da Banca Sella Holding e in parte dalla controllata torinese Banca Patrimoni Sella & C; mentre il 45,4% fa capo a Jp Capital e il 44,5% a Fenera Holding.
Il gruppo Banca Sella ha chiuso il primo semestre 2017 con un utile netto di 40,6 milioni. La sua raccolta globale è salita del 3,7% a 34,4 miliardi. La raccolta diretta è ammontata a 11,1 miliardi (+0,8%) e gli impieghi alla clientela sono cresciuti del 5% rispetto al 31 dicembre 2016, raggiungendo così gli 8,3 miliardi. I ricavi netti da servizi sono stati pari a 149,4 milioni (+12,6%).
Fenera è un gruppo finanziario, con attività diversificate in Italia e all'estero. Fra l'altro, possiede una quota rilevante del redditizio Credito Emiliano.
Nato alla fine degli anni 80, a Torino, per iniziativa delle famiglie Zanon di Valgiurata e Palazzi Trivelli, oggi annovera tra i suoi azionisti più significativi anche i gruppi imprenditoriali Arduini, Avandero, Daffonchio, Garosci, Girotto, Lavazza, Mais, Manfredi, Maramotti, Marsiaj, Massa Midana, Pavesio, Pkp, Savio. A questi, secondo Mf, si è aggiunta da poco Intesa Sanpaolo.
Presidente e amministratore delegato di Fenera Holding è Lucio Zanon di Valgiurata, che ha come vice Giacomo Stratta (esecutivo) e Umberto Zanon di Valgiurata. Fra i consiglieri di amministrazione spiccano Giuseppe Lavazza, Giorgio Marsiaj e Carlo Pavesio.



Marchionne, il suo tesoro a 450 milioni

Circa 450 milioni di euro. Tanto valevano, potenzialmente e quindi virtualmente, venerdì 1 settembre 2017, alla chiusura di Borsa, le azioni del gruppo Agnelli-Elkann-Nasi quotate a Piazza Affari e possedute da Sergio Marchionne. Potenzialmente e virtualmente, perché, per diventare denaro contante, quelle azioni dovrebbero essere vendute e, per di più, al prezzo dell'ultimo contratto eseguito venerdì, attraverso la Borsa.
Comunque, il valore del tesoro di Marchionne è stato calcolato moltiplicando il numero dei titoli di proprietà che gli vengono attribuiti per la loro quotazione del 1 settembre. Al totale, quindi, si arriva sommando i 194,7 milioni di euro relativi al suo pacchetto di Fca-Fiat Chrysler Automobiles (14,6 milioni di azioni per 13,34 euro, prezzo alla chiusura di venerdì e nuovo massimo storico), più i 142 milioni di euro relativi alla sua partecipazione in Ferrari (1,46 milioni di azioni, per 97,25 euro) e i 112,87 milioni di euro relativi alla sua quota di Cnh Industrial (11,8 milioni di azioni, per 9,56 euro).
Rispetto a dodici mesi fa, Sergio Marchionne ha pressoché raddoppiato il suo patrimonio costituito dalle azioni delle tre società controllate da Exor, la holding della grande Famiglia torinese. Infatti, il titolo Fca ha evidenziato una performance annuale del 122,3%, di poco inferiore al 125% del rendimento dell'azione Ferrari; mentre è risultato del 46% l'incremento di Cnh Industrial (Iveco, New Holland, Case, Steyr sono i suoi principali marchi).
Anche queste performances, che si sono riflesse conseguentemente su Exor (azione a 54,3 euro) si devono, in buona parte, al campione Sergio Marchionne, al quale vanno riconosciuti straordinari meriti, capacità e qualità. Il suo lavoro è stato ed è eccezionale. Quanto è riuscito a fare e ottenere è quasi incredibile. Ha preso la guida della Fiat quando la Casa era in stato pre-fallimentare, mentre oggi Fca è valutata dal mercato più di 20 miliardi e, secondo diversi esperti, varrà ancora di più. Ferrari, che vende 8.000 vetture-gioiello all'anno, il doppio rispetto a prima, dopo la quotazione, è diventata un asset, cioè un bene, da 18,5 miliardi.
Un fuoriclasse, Sergio Marchionne, che, però, non esita a partecipare al funerale di un suo addetto stampa in pensione né nega un selfie con gestori dei banchetti del mercato torinese della Crocetta, dove, qualche sabato mattina, lo si può vedere fare la spesa, con semplicità e modestia, guardato da una scorta tanto efficiente quanto discreta.


Maranzana-Fioravanti, turbo assicurativo

In forte sviluppo, la Divisione Insurance di Intesa Sanpaolo, le cui società operative hanno sede a Torino e hanno un vertice parzialmente subalpino (presidente è il piemontese Luigi Maranzana, che è stato amministratore delegato del grande e storico Sanpaolo; amministratore delegato Nicola Maria Fioravanti), dovrebbe chiudere l'esercizio in corso con una raccolta premi Danni pari a circa 450 milioni.
Lo ha previsto il responsabile delle Divisione assicurativa, appunto Nicola Maria Fioravanti, precisando che ancora nel 2015 il comparto Danni raccoglieva premi per circa 200 milioni e per lo più concentrati sul settore auto, mentre ora l'offerta è molto diversificata, essendo costituita da prodotti per la casa, la salute e gli infortuni. Alla fine di giugno, la produzione lorda Danni ammontava a 233,2 milioni (+16,4%).
Ai primi posti in Italia per i premi Vita (produzione lorda pari a 11,488 miliardi al termine del primo semestre) Intesa Sanpaolo Vita, per la sua crescita, può contare anche sull'allargamento dalla base di potenziale clientela, ora di 12 milioni, 2 milioni in più, in seguito all'acquisizione di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza da parte del gruppo guidato da Carlo Messina.
Nel primo semestre di quest'anno, Intesa Sanpaolo Vita ha registrato ricavi per quasi 600 milioni (+20%), ha conseguito un utile netto di 375,3 milioni e il suo cost/income è sceso intorno al 14%.



Imprenditoria ai raggi x

Tanti dati interessanti e tante curiosità sull'imprenditoria del Nord Ovest e del resto d'Italia emergono da una elaborazione appena fatta dalla Camera di commercio di Milano sulle persone che hanno cariche nelle imprese, sia come titolare sia come socio e amministratore.
A fine marzo 2017, gli italiani imprenditori sono risultati 7.550.725. Di questi, 503.910 sono nati in Piemonte (6,67% del totale nazionale), 175.551 in Liguria (2,32%) e 12.738 in Valle d'Aosta (0,17%).
Per numero di suoi imprenditori, il Piemonte è al settimo posto nella graduatoria italiana, dietro il Lazio (510.952), l'Emilia-Romagna (519.877), la Sicilia (531.315), il Veneto (619.407), la Campania (695.299) e la Lombardia (1.047.776). Chiudono la top ten, la Puglia con 461.692, la Toscana con 418.665 e la Calabria con 247.812.
Lo studio della Camera di commercio meneghina mostra, fra l'altro, per ogni provincia, il numero e la percentuale degli imprenditori, intesi sempre come titolari di carica, nati fuori dalla regione che comprende la provincia esaminata.
Così, si scopre che, se Milano è prima anche per la quota di imprenditori nati fuori dalla sua regione (45,3%, corrispondente a 246.156 individui), Aosta è seconda con il 40,7% (7.306), Novara terza con il 39,1% (16.010), Imperia quarta con il 38,9% (11.803). E le altre tre province liguri si piazzano fra le prime dieci: Savona con il 36,1% (14.194), La Spezia con il 35,2% (9.067) e Genova con 34,4% (38.549).
Quindi ,ben sei province del Nord Ovest figurano nel gruppo di testa nazionale per densità di imprenditori nati fuori dalla regione dove operano. Situazione significativa e che merita certamente riflessioni, se non altro perché indicativa dello spirito locale d'iniziativa.
Comunque, quanto alle altre province del Nord Ovest, ecco le rispettive quote: 33,5% Alessandria (18.790 imprenditori nati fuori regione), 30,8% Torino (94.726), 26,5% Verbania (4.537), 25,9% Vercelli (5.334), 22,5% Asti (6.798), 22,1% Biella (5.743), 13,3% Cuneo (13-319).
Restando al Nord Ovest, un'ulteriore disaggregazione dei dati forniti dalla Camera di commercio milanese, consente di verificare anche quali sono le regioni dalle quali proviene il maggior numero di imprenditori attivi nella provincia nella quale operano ma che non fa parte della loro regione d'origine. E le sorprese non mancano.
Cominciando da Torino, dove oltre ai 211.869 imprenditori piemontesi in attività, si trovano 10.138 titolari di cariche nati in Sicilia, 9.911 nati in Puglia e 9.153 in Calabria. Queste sono le tre regioni che contribuiscono maggiormente alla formazione dell'esercito imprenditoriale torinese.
Alla provincia di Alessandria le prime tre regioni che hanno fornito più imprenditori sono la Liguria con 3.451, la Lombardi con 3.394 e la Sicilia con 1.571. Ancora ai primi tre posti, in provincia di Asti si trovano la Sicilia con 711, la Lombardia con 615 e la Campania con 568; in provincia di Biella, la Lombardia con 964, il Veneto con 610 e la Sicilia con 373; in provincia di Cuneo, la Liguria con 1.897, la Lombardia con 1.086 e la Calabria con 894; in provincia di Novara, la Lombardia con 5.613, la Sicilia con 1.254 e la Campania con 954; nel Vco (Verbano-Cusio-Ossola), la Lombardia con 1.198, la Campania con 287 e la Calabria con 279; nella provincia di Vercelli, la Lombardia con 936, la Sicilia con 568 e la Campania con 397.
Liguria. Nella provincia di Genova, il maggior numero di imprenditori non liguri è fornito dalla Lombardia (3.724), seguita dal Piemonte (3.688) e della Sicilia (3.160); nella provincia di Imperia, al primo posto si trova il Piemonte (2.012), al secondo la Calabria (1.384) e al terzo la Lombardia (1.119); nella provincia di La Spezia, nell'ordine, la Toscana (2.464), la Lombardia (763) e la Sicilia (646); infine, in quella di Savona, il Piemonte (3.639), la Lombardia (1.890) e la Sicilia (1.179),
In Valle d'Aosta, il più alto numero di imprenditori non locali è dato dal vicino Piemonte (2.736), seguito dalla Campania (1.072) e dall'Abruzzo (993).



Santanchè cede quote di Visibilia

Visibilia Editore Holding, finanziaria della quale è presidente e amministratore delegato la cuneese Daniela Garnero Santanchè, che ne possiede oltre il 90% del capitale, ha ridotto al 66,09% la sua partecipazione in Visibila Editore, società quotata all'Aim della Borsa di Milano e proprietaria delle testate Ville Giardini, Ciak e Pc Professional. Il calo di diversi punti della quota di Visibilia Editore è conseguente a una serie di vendite di sue azioni, regolarmente comunicate.
Visibilia Editore, presieduta dalla stessa Santanchè, presidente anche di altre due società trattate a Piazza Affari (la Ki Group di Torino e la lombarda Bioera), è la quotata del Nord Ovest con la più bassa capitalizzazione. Infatti, il mercato attribuisce a Visibilia Editore un valore complessivo di 3,6 milioni di euro (l'ultimo prezzo dell'azione, venerdì 1 settembre, è stato di 0,15 euro).



Anagrafe: 103 stranieri in più al giorno

Nord Ovest sempre meno popolato e sempre più internazionale. Nel solo marzo 2017 sono stati 3.498 gli stranieri che si sono iscritti alle anagrafi di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, tanti da portare il totale dei primi tre mesi a 9.323, che equivalgono a una media giornaliera di 103 nuovi iscritti nel periodo gennaio-marzo, media superiore di una decina di unità a quella dell'intero 2016, quando i nuovi iscritti provenienti dell'estero sono stati 34.555 (la media quotidiana di marzo 2017, in particolare, è stata di 113 stranieri).
Invece, sempre nel marzo appena passato, sono state 1.505 le persone cancellate dalle anagrafi del Nord Ovest in seguito al loro trasferimento fuori dall'Italia (in media, 48 al giorno) e 16.383 in tutto il 2016 (media di 45).
Di conseguenza, la bilancia anagrafica con l'estero, mostra una crescita di poco meno di 2.000 residenti stranieri in marzo (1.993, per la precisione) e di 18.172 nei dodici mesi 2016.
La crescita della popolazione straniera, però, rallenta soltanto il calo complessivo degli abitanti del Nord Ovest; lo frena, ma non lo blocca. Anche perché il saldo naturale,differenza fra nati e morti, resta fortemente negativo: per 3.442 unità in marzo e per 30.627 nei 12 mesi 2016.
Ecco, perciò, che nel primo trimestre 2017, il Nord Ovest ha perso altri 10.558 residenti, diventati così 6.073.888 al 31 marzo, quando, in particolare, il Piemonte ne ha censiti 4.385.279 (4.392.256 al 31 dicembre 2016), la Liguria 1.561.987 (1.565.307) e la Valle d'Aosta 126.622 (126.883).
Tornando ai nuovi iscritti stranieri all'anagrafe, il Piemonte ne ha registrati 2.542 in marzo e 24.275 nell'intero 2016, la Liguria rispettivamente 912 e 9.656, la Valle d'Aosta 44 e 624. Quanto al saldo naturale, in Piemonte è stato negativo per 2.386 persone in marzo e per 19.252 nel 2016, in Liguria per 1.026 nel mese e per 10.952 nell'anno passato, in Valle d'Aosta, rispettivamente per 30 e 423.



Il travaso del risparmio

Travaso del risparmio nelle banche del Nord Ovest, che perdono depositi ma aumentano la raccolta indiretta. Dall'inizio di gennaio alla fine di marzo 2017, nelle tre regioni del Nord Ovest, i depositi bancari e il risparmio postale sono diminuiti di 2,9 miliardi rispetto al 31 dicembre 2016, scendendo da 148 a 145,1 miliardi; mentre la raccolta indiretta, costituita principalmente da titoli di Stato (Bot, Btp e Cct) e da titoli di capitale (soprattutto azioni, obbligazioni convertibili e warrant), a custodia o in amministrazione, è aumentata di quasi 3,9 miliardi, salendo dai 269,1 miliardi dell'ultimo giorno dell'anno scorso ai 273 miliardi del 31 marzo appena passato.
In particolare, i depositi bancari e il risparmio postale delle famiglie consumatrici è sceso dai 109,1 miliardi del 31 dicembre 2016 ai 108,3 miliardi di fine marzo 2017, mentre, nello stesso periodo, i loro titoli in deposito a custodia o in amministrazione sono passati da 122,4 a 124,7 miliardi.
Alla somma di questi ultimi le famiglie consumatrici del Piemonte hanno contribuito per 92,1 miliardi, quelle della Liguria per 30,8 miliardi e quelle delle Valle d'Aosta per quasi 1,8 miliardi. Nel primo trimestre 2017, la raccolta indiretta relativa alle famiglie consumatrici è cresciuta di 1,754 miliardi (+1,94%) in Piemonte, di 533 milioni (+1,76%) in Liguria e di 22 milioni (+1,27%) in Valle d'Aosta.
Quanto ai depositi bancari e al risparmio postale, le disaggregazioni dei dati rilevati dalla Banca d'Italia mostrano che, al 31 marzo 2017, le famiglie consumatrici ne avevano per 77,4 miliardi in Piemonte (78 miliardi al 31 dicembre 2016), per 28,5 miliardi in Liguria (28,7 miliardi) e per 2,36 miliardi in Valle d'Aosta (2,35), unica delle tre regioni del Nord Ovest a non evidenziare una diminuzione.

Sempre dal bollettino della Banca d'Italia, fra l'altro, è emerso che il credito al consumo erogato dalle banche e dagli altri intermediari finanziari vigilati nel Nord Ovest è salito dagli 11,315 miliardi di fine 2016 agli 11,580 miliardi del 31 marzo 2017 (8,523 miliardi in Piemonte, 2,820 miliardi in Liguria e 237 milioni in Valle d'Aosta).

Rincarano le stanze per universitari

A Torino, città universitaria (circa 100.000 gli iscritti ai due atenei su poco più di 800.000 abitanti), è di 344 euro il prezzo medio richiesto agli studenti per l'affitto di una camera singola. Lo ha calcolato l'ufficio studi di Immobiliare.it, che ha preso in esame il mercato dei posti letto nelle 14 città italiane che hanno più fuori sede.
Il canone di Torino è il quinto più caro, anche se non è aumentato rispetto a un anno fa. Al primo posto si trova Milano con 528 euro, al secondo Roma con 439, al terzo Firenze con 401 e al quarto Bologna con 355. Il meno caro, invece, è quello di Catania: 196 euro, 3 euro meno che a Palermo.
La media nazionale è di 416 euro al mese, il 4% in più rispetto all'anno scorso e il 9% in più rispetto al 2015, sempre secondo Immobiliare.it, il cui amministratore delegato, Carlo Giordano, ha aggiunto che “negli ultimi anni è stata registrata una crescita costante della domanda di stanze e posti letto in affitto e se un tempo era prerogativa degli universitari fuori sede, l'home sharing ha guadagnato popolarità anche fra i lavoratori, non solo come forma di risparmio ma anche come nuovo stile di vita giovane e alla moda”.

“Ne è conseguito un aumento dei prezzi delle locazioni – ha detto ancora Carlo Giordano – a cui, riducendo la quota del sommerso, hanno contribuito anche misure come il canone concordato e la cedolare secca”.

Quell'affinità editoriale

Le famiglie torinesi Agnelli-Elkann-Nasi e De Benedetti credono nel matrimonio editoriale che hanno perfezionato alla fine del giugno appena passato, unendo i gruppi Itedi e l'Espresso-La Repubblica; ma la Borsa non è ancora convinta.
Nonostante l'annuncio che Exor, la holding guidata da John Elkann, è salita al 5,99% della Gedi Gruppo Editoriale, la nuova società nata dall'unione delle attività italiane delle due famiglie nel settore e quotata a Piazza Affari, oggi, 30 agosto, il titolo ha chiuso a 0,70 euro, valore inferiore dello 0,43% al prezzo di ieri e vicinissimo al minimo dell'anno, che è stato di 0,69 euro, toccato il 7 luglio (il massimo, invece, è stato di 0,89 euro, raggiunto il 28 marzo).
Per arrivare a sfiorare il 6% della Gedi, gruppo che edita La Repubblica, La Stampa, il Secolo XIX, l'Espresso e, fra l'altro, 13 testate locali, oltre a possedere la Manzoni, concessionaria di pubblicità, nonché tre radio più diversi assets, Exor ha comprato un ulteriore 1,71% delle azioni, per un totale di 6,8 milioni di euro.
Gedi Gruppo Editoriale, al cui vertice operativo si trovano il presidente Marco De Benedetti e l'amministratore delegato Monica Mondardini (Carlo De Benedetti è presidente onorario), conta poco meno di 2.000 dipendenti, capitalizza in Borsa quasi 360 milioni e nel primo semestre di quest'anno ha fatturato 287,3 milioni, ricavandone un utile netto di 7,4.
Risultati che non comprendono i dati relativi all'ex Itedi, che invece concorreranno alla formazione del bilancio della seconda parte dell'esercizio.

La Gedi è controllata dalla Cir, la quale ne ha il 43,4% del capitale, la stessa identica quota che Exor ha de L'Economist, il settimanale anglosassone considerato la Bibbia dell'economia internazionale (i diritti di voto di Exor, però, sono limitati al 20%).

Bim e Buzzi, 29 agosto nero

Nerissimo 29 agosto per Bim-Banca Intermobiliare in Borsa. L'azione dell'istituto torinese specializzato nel private banking e ancora posseduto da Veneto Banca, in liquidazione -  posseduto ancora per poco perché l'intera partecipazione di maggioranza assoluta (71%) sta per passare di mano - ha chiuso a 1,125 euro, segnando il 9,4% meno del giorno precedente e il nuovo minimo dall'inizio dell'anno. Rispetto agli ultimi dodici mesi la performance è negativa del 16%.
La valutazione borsistica (capitalizzazione) dell'intera Bim è scesa a 180 milioni di euro; ma le voci che i fondi interessati all'acquisto offrirebbero, ai liquidatori di Veneto Banca, circa 80 milioni ha fatto precipitare la quotazione, già in sofferenza da tempo. anche a causa delle notevoli perdite accusate negli ultimi due esercizi. E pensare che fino a poco più di due anni fa, l'azione della Banca subalpina veleggiava in Piazza Affari sopra i 3,5 euro.
La giornata è stata particolarmente negativa anche per un'altra società piemontese, Buzzi Unicem, la cui azione ordinaria ha avuto come ultimo prezzo 19,31 euro, che rappresenta il valore più basso del 2017. Il nuovo calo, comunque contenuto nello 0,8%, ha come causa principale, secondo diversi esperti, la rivalutazione dell'euro nei confronti del dollaro, moneta con la quale viene regolato circa il 40% del fatturato del gruppo, realizzato appunto in America.

Buzzi Unicem, multinazionale del cemento che fa capo all'omonima famiglia di Casale Monferrato, ha una capitalizzazione di oltre 3,2 miliardi e la sua azione ordinaria, l'8 maggio scorso, era stata scambiata a 25,22 euro.  

Strage di botteghe e il fattore estorsioni

Strage di artigiani e piccoli commercianti. Negli ultimi otto anni, dal giugno 2009 allo stesso mese 2017, in Italia, hanno cessato l'attività 145.678 imprese artigiane e 12.045 commercianti al dettaglio. Le prime sono scese a 1.322.640 da 1.468.318 che erano, mentre i piccoli negozi di vicinato sono calati da 805.147 a 802.508.
Complessivamente, il nostro Paese ha perso quasi 158.000 imprese dei due settori, che, secondo l'Ufficio studi della Cgia, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre, davano lavoro a poco meno di 400.000 persone.
In particolare, per quanto riguarda le imprese artigiane, in Piemonte hanno chiuso i battenti 15.333 (negli ultimi otto anni, sono diminuite dell'11,3%), in Liguria 2.603 (-5,6%) e in Valle d'Aosta 494 (-11,7%).
La stessa Cgia ha spiegato il fenomeno con queste parole: “La crisi economica, il calo dei consumi, le tasse, la burocrazia, la mancanza di credito e l'impennata del costo degli affitti sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli imprenditori ad abbassare definitivamente la saracinesca della propria bottega. Se, inoltre, teniamo conto che, negli ultimi 15 anni, le politiche commerciali della grande distribuzione si sono fatte sempre più mirate e aggressive, per molti artigiani e piccoli negozianti non c'è stata via di scampo. L'unica soluzione è stata quella di gettare la spugna”.
Tra i mali che pervadono il mondo delle mini-imprese, dai laboratori artigianali ai piccoli negozi ed esercizi pubblici, quali i bari e i ristoranti, la Cgia di Mestre non ne ha ricordato uno, che pure ha evidenziato pochi giorni prima di diffondere i dati sulla moria delle aziende minori, cioè il forte aumento delle estorsioni, “tipico reato praticato dalle organizzazioni criminali di stampo mafioso ai danni degli imprenditori”.
Nel nostro Paese, infatti, le denunce per estorsione sono cresciute dalle 5.992 del 2010 alle 9.839 del 2015 (ultimo dato disponibile finora). L'incremento è stato del 64,2%. Così che il giro d'affari collegato a questo reato è stato stimato tra i 2,7 e i 7,7 miliardi di euro all'anno (forbice larga, perché, come per l'usura, le estorsioni denunciate sono soltanto un parte di quelle praticate e subite”.
Comunque, sulla base delle denunce presentate all'Autorità giudiziaria, è risultata la Valle d'Aosta la regione che ha avuto il maggior incremento percentuale di estorsioni, a livello nazionale. Infatti, per la Valle d'Aosta, l'aumento è stato del 466,7% (dalle 3 denunce del 2010 alle 17 del 2015), a fronte del 188% del Trentino-Alto Adige, secondo in questa graduatoria e del 172,8% dell'Emila-Romagna.
In Liguria, le estorsioni denunciate sono salite dalle 154 del 2010 alle 290 del 2015 (+88,3%, che vale l'ottava posizione nella classifica italiana) e in Piemonte dalle 409 alle 667 (+63,1% e quindicesimo posto).
In termini assoluti, nel 2015 è stata la Lombardia a registrare il maggior numero di denunce per estorsione (1.336), seguita dalla Campania (1.277) e dal Lazio (916).


Le banche "soffrono" di più in Liguria

Nel Nord Ovest, al 31 dicembre 2016, è la Liguria che presenta la quota più elevata di crediti deteriorati sul totale degli impieghi bancari: 19,6%, a fronte del 10,4% della Valle d'Aosta, il 14,3% del Piemonte e il 17,6% medio italiano. In Liguria, dunque, di ogni mille euro prestati dagli istituti di credito 196 euro sono “non performing loans” (Npl), cioè esposizioni nei confronti di soggetti in stato di insolvenza o in situazioni equiparabili (“sofferenze”), esposizioni scadute e/o sconfinanti e probabili inadempienze.
Per le banche, sono le imprese liguri a rappresentare i peggiori debitori del Nord Ovest, dato che ben il 30,1% dei crediti da loro ottenuti sono diventati Npl, quindi a rischio di non essere onorati del tutto o in parte. Questa quota è quasi doppia a quella delle imprese della Valle d'Aosta (15,8%) ed è superiore sia a quella del Piemonte (21,8%) sia della media nazionale (29,2%).
Il primato negativo ligure vale anche per le piccole imprese, che, infatti, mostrano Npl pari al 25,1% dei finanziamenti bancari ottenuti, contro il 23,3% del Piemonte e il 16,5% della Valle d'Aosta.
Invece, è in Piemonte che si trovano le famiglie consumatrici meno affidabili per gli istituti di credito. Qui, infatti, è risultato dell'8,5% il tasso di crediti deteriorati affidati alle famiglie, mentre è dell'8,3% in Liguria e del 5,4% in Valle d'Aosta (10,4% la media nazionale).
In Liguria, a fine 2016, i prestiti delle banche alla clientela ammontavano complessivamente a 35,788 miliardi, dei quali 21,725 nella provincia di Genova, 6,114 nella provincia di Savona, 4,523 nella provincia di La Spezia e 3,427 nella provincia di Imperia.
Come precisato dalla Banca d'Italia, in Liguria, a fine 2016, le banche vantavano crediti per 19,061 miliardi nei confronti delle imprese (in particolare, 3,8 miliardi alle piccole), per 13,753 miliardi verso le famiglie consumatrici e 1,719 miliardi verso le Amministrazioni pubbliche. Alla stessa data, le sofferenze erano pari a 3,810 miliardi.
In Piemonte, al 31 dicembre 2016, i prestiti delle banche alla clientela erano pari a 112,825 miliardi, dei quali 56,470 alle imprese (12,826 alle piccole), 39,598 alle famiglie consumatrici e 9,551 alle Amministrazioni pubbliche. Per quanto riguarda le singole province, Torino evidenziava prestiti complessivi per 61,538 miliardi, Cuneo per 16,427, Alessandria per 9,911, Novara per 8,756, Asti per 4,827, Biella per 4,606, Vercelli per 3,681 e Verbania per 3,079. In totale, le sofferenze erano pari a 11,734 miliardi.

Infine, la Valle d'Aosta: la somma dei prestiti bancari a fine 2016 era di 2,831 miliardi, dei quali 1,507 alle imprese (427 milioni alle piccole), 870 milioni alle famiglie consumatrici e 99 milioni alle Amministrazioni pubbliche. Totale delle sofferenze: 193 milioni.

Elkann-Agnelli a quota 65 miliardi

Di nuovo al vertice della Borsa italiana. Le cinque società quotate a Piazza Affari, che fanno capo alla famiglia Elkann-Agnelli-Nasi, cioè Fiat Chrysler Automobiles (Fca), Ferrari, Exor, Cnh Industrial e Juventus, alla chiusura del 25 agosto 2017, hanno evidenziato una capitalizzazione complessiva di 64,95 miliardi di euro (valore che si ottiene moltiplicando il prezzo dell' azione per il numero delle azioni costituenti il capitale della società).
Capitalizzazione quasi raddoppiata rispetto a quella di fine luglio 2016. Allora, infatti, la Borsa valutava le cinque società, tutte insieme, 32,663 miliardi, il 98,86% in meno rispetto a oggi.
E' vero che il 24 agosto 2017 le azioni di tre delle cinque quotate controllate dalla grande famiglia torinese hanno fatto segnare il massimo storico (12,9 euro Fca, 98,75 euro Ferrari e 55,2 euro Exor); ma, indubbiamente, tutte evidenziano grandi performances annuali, a partire dal 134,4% della Juventus e il 123% della Ferrari.
Comunque, grazie all'impennata degli ultimi mesi, Fca, della quale Exor ha il 29,4% delle azioni ma il 42,6% dei diritti di voto, ha chiuso la settimana con una capitalizzazione di 19,362 miliardi, tornata superiore a quella della Ferrari (18,961 miliardi), della quale Exor possiede il 22,91% delle azioni e il 32,75% dei diritti di voto. 
Terza per capitalizzazione, con i suoi 13,1 miliardi, è la stessa Exor, il cui 52,99% del capitale è della Giovanni Agnelli, la finanziaria della Famiglia al vertice dell'omonimo Gruppo.
Segue, per capitalizzazione, Cnh Industrial (12,8 miliardi al 25 agosto 2017), controllata da Exor con il 26,9% delle azioni e il 42,6% dei diritti di voto. Chiude la serie, la Juventus, che capitalizza 714 milioni ed è posseduta per il 63,7% da Exor, della quale John Elkann è presidente e amministratore delegato, mentre vice presidenti sono Sergio Marchionne e Alessandro Nasi e responsabile della finanza Enrico Vellano.

Exor, l'ex Ifint, ha in portafoglio anche il 100% di Partner Re, colosso assicurativo. Il valore netto degli asset di Exor al 31 dicembre 2016 ammontava a 14,6 miliardi.

Brevetti: Alessandria lepre

Alessandria è l'unica provincia del Nord Ovest a figurare tra le prime dieci italiane che hanno fatto registrare il maggior aumento di brevetti registrati all'Epo (European Patent Office) tra il 2006 e il 2015, periodo dello studio di Unioncamere appena reso noto. Alessandria è passata dai 33 brevetti registrati all'Ufficio europeo di Monaco di Baviera ai 44 del 2015, con un incremento del 35%.
A questa performance certamente hanno contribuito il gruppo Mossi Ghisolfi e il gruppo Guala.
Leader nell'innovazione applicata al settore del Pet, dell'ingegneria e dei prodotti chimici rinnovabili derivati da biomasse non alimentari, il gruppo Mossi Ghisolfi, sede a Tortona, attivo nelle Americhe e in Asia, oltre che in Europa, nel 2016 ha fatturato oltre 1,9 miliardi di dollari, realizzati con più di 1.700 dipendenti. E' controllato dalla M&G Finanziaria, di proprietà della famiglia Ghisolfi.
Quanto al Guala Closures Group, sede a Spinetta Marengo, è leader di mercato nella produzione di chiusure in alluminio e non “non refillable”, con una vasta gamma di soluzioni tecnologiche innovative per proteggere la qualità del prodotto contenuto: liquore, vino, olio, aceto, farmaci, acqua e altre bevande. Guidato da Marco Giovannini, presidente e amministratore delegato, il gruppo Guala, produce annualmente oltre 14 miliardi di chiusure di sicurezza, vendute in più di 100 Paesi. Ha 26 stabilimenti, 5 centri di ricerca e circa 4.000 dipendenti. L'anno scorso ha fatturato oltre 500 milioni di euro.
Tornando all'Epo, Unioncamere, dopo aver attribuito ad Alessandria la decima posizione tra le province che hanno maggiormente aumentato il numero dei loro brevetti registrati allo specifico Ufficio europeo nel 2015 rispetto a dieci anni prima, ha assegnato il quindicesimo posto alla seconda provincia del Nord Ovest più performante, quella di Novara, i cui brevetti sono saliti dai 31 del 2006 ai 39 di due anni fa (+26%).
Unioncamere ha redatto anche la graduatoria delle 15 province che, al contrario, sono regredite nella loro capacità brevettuale. E in questa classifica si trovano tre province del Nord Ovest: Torino, Genova e Asti.
Dai 305 brevetti registrati all'Epo nel 2006, Torino è scesa ai 217 del 2015. Peggio, a livello italiano, hanno fatto soltanto Monza-Brianza (meno 194 brevetti) e Milano (meno 126, differenza tra i 641 del 2006 e i 515 di dieci anni dopo). La provincia di Genova è passata da 42 a 32 brevetti e quella di Asti, quindicesima, da 14 a 5.

Nella graduatoria relativa ai Paesi europei per capacità brevettuale, l'Italia si piazza al quarto posto, preceduta dalla Germania, che brevetta cinque volte più di noi, dalla Francia (il doppio) e dall'Olanda, che però presenta il più alto tasso d'innovazione, con 418 brevetti ogni milione di abitanti, a fronte dei 391 della Svezia, i 307 della Germania, i 162 della Francia, i 64 dell'Italia e i 32 della Spagna.